Letteratura del 1600 in Europa e in Italia

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Letteratura del 1600 in Europa e in Italia

La cultura letteraria del 1600 in Europa e in Italia

G. Rogante

E la nuova filosofia mette tutto in dubbio,
……
il sole è perduto, e la terra; e nessun ingegno umano
può indicare all’uomo dove andarlo a cercare.
E’ tutto in pezzi, è scomparsa ogni coesione,
ogni equa distribuzione, ogni rapporto:
sovrano, suddito, padre, figlio, son cose dimenticate.

In questi versi, scritti nel 1611, da John Donne il poeta inglese evoca il clima di smarrimento che pervade la sua epoca. E’ uno smarrimento che attraversa tutta l’Europa e che è generato fondamentalmente da due grandi fatti, l’uno storico, l’altro scientifico, che incrinano ogni certezza.
Il primo fatto, di natura storica, è la crisi dell’autorità religiosa del papa generata dalla riforma di Lutero e da tutte le altre conseguenti forme di protestantesimo. Il protestantesimo spezza l’unità europea. L’Italia e la Spagna rimangono interamente sotto l’autorità del papa e continuano ad essere paesi cattolici; la Germania, l’Inghilterra e i paesi Bassi diventano paesi protestanti e non riconoscono più l’autorità di Roma; la Francia è sconvolta e lacerata dalle guerre di religione tra cattolici e protestanti. Dunque Lutero e il protestantesimo hanno minato il principio di autorità della Chiesa e del Papa e in Europa i punti di riferimento religiosi diventano tanti: il papa, Lutero, Calvino, i re. La crisi della verità religiosa crea un grande senso di disagio non solo nella gente comune, ma soprattutto negli intellettuali. E’ come se alla struttura intellettuale mancasse una base certa su cui appoggiarsi.
Il secondo fatto, di natura scientifica, è la scoperta, da parte degli scienziati, da Copernico a Keplero, a Galilei, che la Terra non è il centro dell’Universo, ma che il sole è centro e non di tutto, ma solo del sistema solare; che nel cosmo i sistemi sono tanti e tanti i punti centrali. A un sistema semplice e circoscritto che era quello aristotelico-tolemaico costituito da una parte sublunare (la terra) e una celeste (le orbite circolari dei pianeti della terra), si sostituisce un sistema complesso nel quale la terra perde la propria centralità e nell’infinito cosmo le centralità sono tante quanti sono i sistemi.
Insomma come nella storia si passa dalla centralità della chiesa di Roma  e da un unico principio di verità a tante chiese e principi, in parallelo nella scienza si passa dalla centralità assoluta della terra a una miriade di mondi e di sistemi, contrariamente a quanto, per tradizione, fino allora la chiesa aveva insegnato attingendo alla Bibbia interpretata alla lettera e assunta come libro non solo religioso, ma anche scientifico.
Dunque la scienza si scopre l’infinito, ma anche gli uomini scoprono l’infinita quantità di punti di vista.

La scrittura scientifica
In conseguenza di questi fatti il secolo XVII segna, incontrastabilmente, la nascita della scienza moderna, di cui in Italia Galileo Galilei è il massimo rappresentante. Una scienza che, naturalmente, diventa cammino infinito di ricerca, in cui il già conosciuto è sempre pochissimo rispetto all’infinito da conoscere; ma per questo una attività affascinante, suggestiva, capace di meravigliare. Quando Galilei guarda il cielo con il cannocchiale, che per primo rivolge verso il mondo celeste, non può non rimanere sorpreso dinanzi all’immenso e complesso libro della natura, come lui lo chiama. Per un verso egli e gli altri scienziati del suo tempo studiano la natura con strumenti e metodi attendibili, perciò sono in grado di verificare, di misurare, di svelare leggi fisiche; per un altro verso essi percepiscono con consapevolezza profonda l’inarrivabilità di tutto il conoscere, quindi i propri limiti dinanzi alla incommensurabilità del cosmo.
Un testo che in maniera molto limpida rappresenta questa condizione scientifica è Lo scienziato e la cicala, un apologo contenuto nel volume Il Saggiatore di Galilei dove l’autore mostra la possibilità di trovare e riconoscere diversi e numerosi suoni, di uccelli, di strumenti musicali, di insetti, d’altro, ma non di trovarli tutti, perché sono infiniti.
Naturalmente in conseguenza degli studi di Copernico (1473  - 1543), scienziato polacco che provò scientificamente la tesi antica di Aristarco da Samo sull’eliocentrismo, di Keplero (1571-1630), astronomo tedesco che dimostrò, unendo matematica e astronomia, che le orbite dei pianeti sono ellittiche e parlò di una grande armonia fisica dell’universo, e di Galilei (1564-1642), fisico, matematico e astronomo che studiò la rotazione della terra, le macchie solari, scoprì i satelliti di Giove, studiò costantemente la superficie lunare e la composizione della Via Lattea, per la prima volta e con grande scandalo della tradizione e della Chiesa si parlò di una fisica celeste, oltre che di quella terrestre. Prima di allora mai era stato osato parlare di fisica celeste, perché il cielo, ritenuto sede del Divino, era considerato incorruttibile, ossia perfetto, quindi non soggetto alle leggi della fisica. Grande sconcerto fu provocato infatti dagli studi di Galilei sulla superficie lunare fino allora considerata luminosa e inalterabile. Galilei invece potè osservare che la superficie lunare era costellata di montagne e vulcani e soprattutto non dotata di luce propria.
Lo sconvolgimento della tradizione generò non solo sconcerto, ma anche la reazione dell’autorità religiosa, che mediante il Tribunale del Sant’Uffizio, rivendicò la propria verità e processò molti scienziati e filosofi, tra cui Galilei e Giordano Bruno, che andava affermando l’infinitezza del mondo e la presenza del soffio divino in ogni infinitesima parte del cosmo.
Il Seicento comunque rappresenta la nascita del linguaggio e del trattato scientifico, scritto con stile essenziale e esatto, descrizioni e argomentazioni dimostrative. Per la prima volta in trattati scientifici viene usata la lingua volgare a posto del latino e la descrizione scientifica raggiunge un numero maggiore di persone ed acquista una sua bellezza colma della meraviglia degli scrittori-scienziati.
Opere fondamentali di Galilei sono Il Saggiatore e il Dialogo sui due massimi sistemi (quello tolemaico e quello copernicano). In quest’ultimo la tradizione della vecchia cultura legata ai “mondi di carta”, cioè di cose scritte nei libri, ma non verificate sperimentalmente, viene rappresentata dal personaggio di Simplicio; la nuova cultura fondata sulla osservazione costante e sullo studio matematico viene rappresentata da Filippo Salviati e Giovan Francesco Sagredo, che, in un certo qual modo, impersonano il pensiero di Galilei.
Galilei ha il merito di aver distinto la religione dalla scienza e di riconoscere la loro diversità in due diversi libri: il libro della Bibbia, fonte simbolica della verità religiosa, e il libro della natura, scritto in caratteri matematici e geometrici dove si attingono le leggi della realtà fisica.

Barocco e poesia mistica
Naturalmente il dibattito serrato tra la Chiesa e gli scienziati creò una frattura, condanne di eresia e rallentamenti, ma determinò anche una grande insicurezza e un grande senso di vuoto nella società; un senso di precarietà e di instabilità che per un verso rivolse gli animi degli scrittori verso forme di religiosità più profonda, più autentica, ispirate dall’incertezza, dalla consapevolezza dei limiti umani e dalla consapevolezza di un infinito irraggiungibile. Sono le forme di poesia mistica ispirate al tempo che passa, alla distruzione di ogni cosa, alla invocazione all’Assoluto e all’Infinito e, naturalmente, al disprezzo per le cose terrene. I poeti spagnoli sono i massimi esponenti di questo genere di scrittura.
Ma per un altro verso, soprattutto in Italia, molti poeti angosciati dalla precarietà e incertezza di ogni cosa reagiscono con la creazione di opere finalizzate a destare meraviglia e sorpresa, raggiunte attraverso l’esagerazione, la sovrabbondanza di metafore, di abbellimenti e di forzati estetismi. E’ un modo, da parte loro, per esorcizzare il vuoto. In altre parole essi riempiono il vuoto derivato dall’incertezza con molti pieni e ridondanze create dalla loro fantasia e dalla loro capacità di creare espressioni straordinarie. E’ questo il genere del Barocco, caratterizzato da scarsi contenuti e sovrabbondanza e ricercatezza di forme.

Il romanzo spagnolo
La Spagna, nazione cattolicissima e legata alla tradizione medioevale e cavalleresca, aristocratica e cortese, ma destinata nel contesto moderno fatto di commerci, di investimenti, di mutamenti, a rimanere ancorata a forme arcaiche anacronistiche, vive la situazione più drammatica. Essa sta tra la vecchia società nobiliare e feudale e la nuova commerciale, senza sapersi lanciare nel nuovo, nostalgicamente fissa sul passato. E’ in questo contesto che nasce il romanzo di M. de Cervantes (1547-1616) , il Don Chisciotte.
In quest'opera, stampata in due volumi dal 1606 al 1615, l'autore prende di mira con l'arma della satira e dell'ironia i romanzi cavallereschi e la società del suo tempo contrapponendo l'allampanato cavaliere don Chisciotte che, immerso in una perenne insoddisfazione, insegue un sogno esaltato e maniaco di avventure e di gloria alla figura del suo umanissimo scudiero, Sancio Pancia, incapace di innalzarsi al di sopra della piatta realtà. Don Chisciotte è l’emblema di una Spagna che sogna i tempi che non ci sono più e non vuole accettare il presente, e di questo sogno muore. Don Chisciotte infatti, vorace lettore di romanzi cavallereschi, un giorno pensa di essere un cavaliere invincibile e parte, a cavallo di un ronzino e munito di un elmo che altro non è che un catino, alla volta di avventure eroiche destinate, nella sua fantasia, a salvare i deboli e la spagna da invasioni pericolose. L’opera di Cervantes è il romanzo di chi perde il centro e ne diventa folle; è il desiderio dell’eroicità e della gloria raggiunta a costo di follia; è il moderno romanzo del dramma umano, tra realtà e sogno. Pirandello lo prese a modello.

 

Fonte: http://www.istitutomontani.it/appunti/132/letteratura%20europea%20del%20600.doc

Sito web da visitare: http://www.istitutomontani.it

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