Letteratura e industria

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Letteratura e industria

 

LA POESIA SOSPESA TRA LA CITTA’-FABBRICA E LA FABBRICA DELLA CULTURA

di Alessandro Novellini

Letteratura e Industria

Non sono molte le opere in prosa o in poesia che abbiano come tema o come sfondo il lavoro e la realtà industriale.
Un tentativo interessante lo aveva fatto Elio Vittorini con la rivista Il Politecnico e, più tardi, nel 1961, con Il Menabò, edito da Einaudi, che ospitava  una serie di racconti, poesie, saggi per lo più inediti aventi per tema Letteratura e Industria,   i cui autori più significativi erano (cito dal n. 4 del Menabò):

Ottiero Ottieri, con Taccuino industriale: esperienza diaristica in prosa di una realtà industriale in Lombardia. Altre opere di Ottieni, sempre sul tema, sono state: Tempi stretti, sulla Milano industriale del secondo dopoguerra e Donnarumma all’assalto, che narra la sua esperienza come dirigente del personale alla Olivetti di Pozzuoli, con la descrizione della prima calata al Sud delle industrie del Nord;

Lamberto Pignotti con L’uomo di qualità (forse in riferimento letterario all’opera ben nota di Musil, L’uomo senza qualità): 31 composizioni poetiche di stile ermetico-realista (cito alcuni titoli: Gli interessi del capitale, Il supersfruttamento, La religione della tecnica, Il presente futuro) in cui l’organizzazione industriale è trattata in sottordine all’espressione letterario-esistenziale;

Vittorio Sereni che, con Una visita in fabbrica, racconta con  una lunga poesia prosastico-discorsiva la sua  visita guidata allo stabilimento Pirelli-Bicocca di Milano;

Luigi Davì, con Il capolavoro, un lungo racconto autobiografico (Davì è stato in gioventù operaio tornitore) sull’esecuzione del capolavoro di aggiustaggio in una grande fabbrica ci dà una descrizione realistica della situazione politica e sociologica dell’ambiente operaio torinese. Davì, edito da Einaudi, ha pubblicato anche altro racconti di carattere industriale, raccolti in 3 volumi: Gimkana Cross, L’aria che respiri, Il vello d’oro;

Vittorini, sul n. 5 del Menabò, continuò il dibattito su letteratura e industria con interventi di G. Bragantin, Italo Calvino, Giansiro Ferrata, Marco Forti, Franco Fortini.
Ma il dibattito si sfilacciò in seguito  su  questioni letterarie , con gli autori bene assestati nelle loro idee e nei loro corporativismi, cosicché tutto si esaurì presto in fumosità specialistiche  e le buone intenzioni di Vittorini, che era un po’ un fuorilegge nel panorama letterario italiano, vennero presto ridimensionate.
Il mondo letterario ufficiale italiano era troppo impregnato di letteratura classica e umanistica per poter rivolgere ai rapporti fra Letteratura e Industria l’attenzione che meritavano. Chiaramente, questa non era cosa per loro.
Dopo il tentativo, comunque meritorio, di Vittorini, la questione Letteratura e Industria venne rapidamente chiusa e i successivi Menabò (ne escono altri cinque) si occuparono di ricerche poetiche, di letteratura come storiografia o di sociologia nella letteratura.
I letterati ritornarono ai loro prediletti giardini del Parnaso e i tornitori a fare il loro mestiere, certamente più utile.

 

                                                                                                                                                          2.

Ci vorranno successivamente altri scrittori, come Giovanni Arpino, Primo Levi, Paolo Volponi, per mettere in auge con le loro opere i rapporti tra Letteratura e Industria.

Arpino tentò con il romanzo Una nuvola d’ira, edito da Mondatori nel 1962, di darci un quadro della vita operaia torinese attraverso il dramma antico dell’amore-gelosia, con i personaggi emblematici, tutti operai, di Matteo, Angelo e Sperata,una Dona Flor di periferia con i suoi “due mariti”, che si esprimono in un linguaggio tecnico-popolare-gergale, immersi in un contesto politico-ideologico di sinistra, con la tragedia finale del suicidio dell’uomo più anziano, l’operaio Matteo, che si butta con la moto giù da una scarpata sulle colline delle Langhe.

Primo Levi, da autore individualista fuori dagli ancoraggi letterari, chimico-industriale, come si definiva, secondo la sua prima e più importante professione, ci ha dato, con La chiave a stella, la storia di Tino Faussone, operaio artigiano di ceppo piemontese, libero e sicuro della propria esperienza e capacità di lavoro, che se ne va per il mondo ad eseguire montaggi di tralicci industriali. Faussone (e per lui Primo Levi) vede e sa riconoscere la realtà, il conflitto fra chi comanda e chi esegue, ma come un arcangelo operoso si innalza tra i suoi tubi metallici, fissa putrelle, serra dadi e bulloni, salda lamiere e longaroni, effettua giunzioni e collegamenti, prova e collauda valvole e tenute. Il suo linguaggio italo-anglo-piemontese si fa capire grazie alla meticolosità e all’intelligenza dell’operatore anche nei Paesi più lontani  Il libro di Levi, come scrive nella prefazione Corrado Stajano, è una sorta di odissea contemporanea e il protagonista è una specie di Ulisse che dall’India alla Russia, dall’Alaska all’Africa, gira con la sua chiave a stella ad alzare con i suoi tralicci un altro monumento, quello della moralità del lavoro.

Paolo Volponi ci ha dato con il suo romanzo Memoriale, edito da Garzanti, ambientato tra le colline del Canavese, di carattere prettamente industriale moderno, un capolavoro anche letterario.
E’ la storia di Albino Saluggia, un operaio dell’Olivetti di Ivrea negli anni ’50-’60, al culmine del progresso industriale, che nella sua qualità di uomo subalterno, provato dalla guerra e dalla prigionia, incerto, disadattato ed estraneo all’ambiente in cui opera, rappresenta emblematicamente l’estraniamento della classe operaia privata di ogni potere decisionale, anche là dove le relazioni umane, come alla Olivetti, sembrano essere più democratiche.
Ritornato dalla guerra e dalla prigionia in Germania e residente con la madre a Candia, sulle rive del lago, a pochi chilometri dalla grande fabbrica, viene assunto come operaio generico dopo un breve tirocinio, aspetta a lungo e invano l’aumento di qualifica e il passaggio di categoria, comincia a credere di avere intorno a sé solo nemici, si lascia andare a una crisi depressiva, partecipa agli scioperi contro lo sfruttamento, rimedia una sospensione dal lavoro e una lettera di licenziamento. Quindi   ritorna a casa, al suo orto, per lasciarsi morire sulle colline intorno al lago. Ha capito che nessuno lo può aiutare.
Volponi., come dirigente a Ivrea delle relazioni con il personale, conosceva bene la realtà industriale moderna, fatta di conflitti sociali e di sfruttamento, anche se mascherata dalle tecniche più sofisticate preparate dagli uffici Tempi e Metodi e volute dalla Direzione. Più tardi, nominato direttore della Fondazione Agnelli a Torino, cercò di far valere le sue idee progressiste e di promozione sociale di fronte alla legge del profitto instaurata dalla Fiat, idee bene espresse nella sua raccolta poetica Con testo a fronte, che non collimavano evidentemente con quelle della Direzione della Fiat e della Fondazione, da cui fu allontanato senza troppi riguardi.
Nella poesia La deviazione operaia, tratta dall’opera Testo a fronte, Volponi bene definisce il concetto di “d minuscola” intesa come deviazione dalla norma e come forma di resistenza operaia allo sfruttamento scientifico del lavoro:

                                                                                                                                                          3.

d compare sempre a lato
                                               tremante su tutti i dati richiesti
                                               come indice della deviazione
                                               operaia dalla norma e dai testi;
                                               d deviazione involontaria, fatica, disattenzione
                                               e d deviazione volontaria: espedienti, pretesti
                                               di conflitto, opposizione …

In fabbrica  si definiscono,  si incasellano,  si schedano e poi si ammoniscono e infine si licenziano gli elementi operai K1, K2, K3, ciascuno con le sue peculiarità.

                                               …                              
Non sia mai
                                               che un K3 abbia la libertà
                                               di circolare fra molti operai …

Volponi ha creato le sue poesie sulla fabbrica traendole principalmente come ispirazione dall’opera dello psicologo Cesare Musatti Ricerche sui temi dell’organizzazione del lavoro – Studio sui tempi di cottimo di un’azienda metalmeccanica, frutto di una ricerca condotta alla Olivetti per conto dell’Azienda.
Il capitolo II del lavoro di Musatti parla di tempo minimo e tempo medio, mentre il capitolo III accenna alla deviazione (d) e al coefficiente di correzione del tempo minimo. Il capitolo VI parla della determinazione del TC (tempo di cottimo) e del sistema salariale. Musatti ha cura di affermare in una nota che la sua ricerca si è svolta nell’estate del ’43, durante la guerra, nel momento in cui le condizioni generali del Paese stavano diventando particolarmente critiche. Per tale motivo il progetto, presentato alla Direzione generale dell’Ufficio Tempi e Metodi per una riduzione del numero delle ore lavorative, congiunta a un ritocco della curva dei cottimi elevante la percentuale remunerativa, non ebbe possibilità di successo. Più tardi, alla Olivetti, la retribuzione aumentò progressivamente con l’aumento del numero di macchine da scrivere che uscivano dalla linea. La consuetudine comportava il raggiungimento del 96% della produzione. La Commissione interna ottenne un più forte incremento del premio di uniformità per i punti di cottimo a partire dal 92%.
Con Volponi si entra nel vivo e in modo coinvolgente nei rapporti tra Letteratura e Industria, abbandonando sofisticazioni letterarie e paraventi di comodo.
Il suo esempio di partecipazione civile e politica (fu eletto come senatore per il Collegio di Macerata nelle file del PCI) ci fa capire quanto siano vicini letteratura e impegno sociale, senza afflati retorici, ma puntando sul reale espresso in forma poetica.
Esempi di letteratura relativi all’industria sono i reportages diretti degli operai della Fiat esiliati da Valletta alla O.S.R. di Torino (Officina Sussidiaria Ricambi), diventata poi nel linguaggio corrente torinese Officina Stella Rossa, raccolti nel volume Fiat Confino, a cura di Aris Accornero, edizioni Avanti 1959, che hanno dato un valido contributo alla conoscenza della condizione operaia in Italia, dando origine più tardi al documento legislativo conosciuto come lo Statuto dei Lavoratori.

Un’altra voce che si può allineare a pieno diritto nei rapporti tra letteratura e industria, non fosse altro che per le posizioni rivestite nella società torinese, è quella di Walter Mandelli, dapprima dirigente del PCI, poi segretario della Federmeccanica, che ha pubblicato il libro Ricordi di fonderia, edito da Marsilio. E’ un libro autobiografico interessante e che bene rispecchia, per l’ambigua personalità del protagonista, la vita operaia torinese negli anni del secondo dopoguerra.

 

                                                                                                                                                          4.

Fa parte integrante del libro una memoria biografica scritta da Mandelli su suo padre Giovanni, dirigente Fiom negli anni del primo dopoguerra, e poi imprenditore in proprio, che considero una
delle più valide descrizioni del trapasso dal mondo contadino del nord Italia alla società imprenditoriale moderna.

Dopo Volponi, non vedo altri autori italiani di valore impegnati particolarmente nel rapporto letteratura e industria. Si può citare Aldo Busi con il suo romanzo Diario di un venditore di collants, un quadro ironico e veritiero del miracolo industriale nel nord-est d’Italia, vero paradigma dell’attuale società italiana, arrivista e senza scrupoli.

Ultimo, ma non minore, il romanzo allegorico di Oddone Camerana Il Centenario (si riferisce al Centenario della fondazione della Fiat – 1899-1999), edito da Baldini e Castoldi che narra, come dice la fascetta,  una vicenda ambientata tra le macerie del capitalismo, grottesca e corrosiva,   nel  linguaggio stereotipato dei managers, che raggiunge  effetti esilaranti degni di Carlo Emilio Gadda.

Come esempio di rapporto tra industria e letteratura citerei ancora  il libro dell’ing. Giorgio Garuzzo,  Fiat, i segreti di un’epoca  - edito da Fazi Editore,  con la prefazione di Alain Friedman, giornalista dell’Economist, che ci dà uno spaccato della storia della Fiat dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90, vista da uno dei protagonisti. L’ing. Garuzzo, ricordiamolo, è stato per un certo tempo il numero 4 della dirigenza della Fiat.

E amerei ricordare, con riferimento alla letteratura in lingua piemontese, un poeta-operaio, Luigi Valsoano, nato a Pont Canavese nel 1862 e morto a Torino nel 1906, di professione meccanico.
Egli ci ha lasciato una piccola raccolta di rime piemontesi intitolata Fior del pavé. L’autore lavorò in Piemonte e poi emigrò in cerca di lavoro in Svizzera a La-Chaux-de-Fonds e poi a Liegi. Una delle sue poesie, pubblicate alla fine dell’800 sulla rivista Birichin, dal titolo Ij ciminieje (Le ciminiere), che ricorda i primi scioperi nelle industrie tessili,  è diventata una famosa canzone cantata nei cori dei circoli operai:

                                                           Guarda giù, an cola pianura,
                                                           ij  cimineje fan pa pì fum
                                                           ij padron dla gran paura
                                                           as fan goerné da coj die lum.     *

* coj die lum: così erano chiamati i carabinieri per il cappello a tricorno che ricordava un abatjour.

 

                                                                                                                                                          5.

Per passare ad altri Paesi, in Francia abbiamo avuto alcuni narratori del mondo industriale moderno, tra cui Roger Vailland che, con il romanzo 325.000 franchi, Prix Goncourt 1957, ha reso in modo realista la situazione degli operai e dei padroncini delle fabbriche di stampaggio della plastica a Oyonnaz, vicino al confine Svizzero, negli anni ‘60.

Un altro degli esempi più interessanti del binomio letteratura-industria, con un ampio disegno di carattere storico sociologico, è il romanzo Antoine Bloyé di Paul Nizan, scritto nel 1933. Si tratta di una biografia del padre di Nizan, ex dirigente tecnico delle Ferrovie francesi, di origine operaia e operaio ferroviere egli stesso negli anni di crescita dell’industria moderna francese, dal 1880 al 1920, dove viene descritta con scrupolosa precisione psicologica l’ascesa di Antoine Bloyé che si eleva dalla condizione proletaria a quella della media borghesia.

In Germania l’autore più significativo che può essere collegato al tema letteratura-industria è Hans Fallada, che con il suo romanzo Kleiner Mann was nun? (E adesso pover’uomo?), scritto nel 1932, riflette la realtà tedesca del primo dopoguerra fino al periodo della grande crisi del 1929, con le fabbriche che chiudono, il ristagno della produzione industriale, i milioni di disoccupati.
Ma il modo di vita e di lavoro della giovane coppia Pinneberg in una Berlino caotica e dura, ricollega l’incertezza individuale con quella generale della “piccola gente” creata dall’ordine (o meglio dal disordine) industriale e finanziario borghese. Il destino del commesso Pinneberg, licenziato dal grande magazzino e che si trova coinvolto in una manifestazione operaia è uguale a quello del lavoratore salariato. Sono tutti nella stessa precaria condizione sociale. Ci penserà il nazismo sorgente a mettere tutti in riga e a creare le premesse della seconda guerra mondiale, per la conquista dello spazio vitale a scapito dei popoli vicini, con i risultati che conosciamo.

In Inghilterra come cantore della condizione dei minatori inglesi ricordiamo A.C. Cronin che con le sue opere The stars look down (E le stelle stanno a guardare)  e The citadel (La cittadella) ci ha dato due romanzi che furono popolarissimi negli anni 30-40.

Dopo il primo governo laburista che vinse le elezioni del 1945 sono nati fermenti importanti che hanno dato origine al nuovo teatro inglese di Wesker, Pinter e Osborne, permeato della nuova realtà sociale e dei nuovi rapporti tra le classi.

Nel campo specifico di letteratura-industria può essere citato il romanzo Night and Sunday morning (Sabato sera, domenica mattina) di Alan Sillitoe, che descrive il mondo dei quartieri operai di Nottingham: pubs, tetri casamenti, catene di montaggio, risse, sbronze, una vita amorosa senza freni. Siamo già in un’epoca più vicina a noi, quasi di società post industriale e di crisi dei valori, di fuga nella droga e nell’irrazionale, senza alcuna certezza.

Nella ex Unione Sovietica la voce più alta del realismo socialista (il rapporto positivo tra letteratura e  industria era particolarmente curato dal regime) è indubbiamente quella di Juri Trifonov che ha saputo darci, pur entro i limiti imposti dai canoni imperanti, romanzi di ottima fattura tra cui La casa sul lungofiume, Il vecchio, Un’altra vita, Il lungo addio, in cui la realtà sovietica, i rapporti fra le diverse classi e i molti corporativismi sono descritti sono descritti in modo obiettivo e veritiero.
La società sovietica, in particolare quella moscovita che l’autore conosce molto bene, ci appare negli anni 70-80, sotto l’era di Breznev, non diversa da quella del mondo occidentale, forse più dimessa e opaca, meno consumista, forzatamente egualitaria ma con tutti i problemi materiali e morali lasciati irrisolti. Un realismo amaro, quello di Trifonov, e senza illusioni.

 

                                                                                                                                                          6.

Negli Stati Uniti la letteratura nord-americana si è sempre confrontata con i temi sociali, non rifuggendo dal descrivere l’ascesa e la caduta di veri protagonisti-simbolo nel mondo esasperatamente concorrenziale del capitalismo.
Da Walt Whitman, che cantava Mannahatta (New York) come fucina del lavoro sin dai tempi dei velieri: Isola sulle rocce/rive dove ognor gaie s’incontrano le onde del mare/che salgono e scendono precipiti/ a Carl Sandburg, che nei suoi poemi Chicago e The people, yes, descrive la vita della città industriale del lago Michigan, con particolare riferimento alle fabbriche, ai mattatoi, alla vita lavorativa e sociale nei suoi abitanti. citiamo questa poesia, del 1914, che richiama una recente tragedia del lavoro in una acciaieria della nostra città:

                                                Anna Imroth

                        Cross the hands over the breast here – so.
                        Straighten the legs a little more – so.
                        And call for the wagon to come and take her home.
                        Her mother will cry some and so will her sisters and
                           brothers.
                        But all of the others got down and they are safe and this
                           is the only one of the factory girls who wasn’t lucky in
                          making the jump when the fire broke.
                        It is the hand of God and the lack of fire escapes.

Incrociale le braccia sul petto  - così.
Raddrizzale ancora un poco le gambe – così.
E chiama il furgone che la riporti a casa.
Sua madre piangerà, e così le sorelle e i fratelli.
Ma tutti gli altri son salvi: è lei la sola ragazza
della fabbrica che non fu fortunata nel saltar giù
quando il fuoco fece irruzione.
E’ stata la mano di Dio, e la mancanza d’uscite di sicurezza.

Fra gli scrittori che hanno rappresentato gli aspetti più brutali dello sviluppo capitalistico in nord America, citiamo Theodore Dreiser che, con An American tragedy e Sister Carrie, ha scritto due romanzi significativi sulla situazione sociale degli anni del primo Novecento, John Dos Passos che, con la trilogia: The 42nd Parallel, 1919, The big money, presenta una visione dell’America in pieno boom industriale negli anni dal 1910 al 1920 durante la I guerra mondiale, con il ritratto di giovani radicali che vedono la guerra come un maggior sfruttamento della classe lavoratrice; Sinclair Lewis con Babbit e Main street, storie del prototipo dell’americano medio, self made man, vitalista e efficiente, con una critica spietata della società americana, di cui mette a nudo le meschinità e i compromessi, James T. Farrel, uno dei maggiori esponenti del romanzo sociale americano, con Studs Lonigan, del 1935, uno studio della disgregazione morale e fisica dei giovani lavoratori sullo sfondo della squallida periferia di Chicago; e infine John Steinbeck che, con i suoi famosi romanzi The grapes of wrath (Furore) e In dubious battle (La battaglia) ha esposto un quadro reale della grande depressione e della crisi americana degli anni ’30, con le disperate migrazioni interne lungo la highway 66 verso gli aranceti della California, dove la mano d’opera era sfruttata e malpagata,  ma dove poteva anche esistere una nuova speranza.

 

 

 

Fonte: http://www.kore.it/CAFFE/poesia/lett_%20indust.doc

Sito web da visitare: http://www.kore.it/

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