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LA NUOVA ETA’ DELL’ORO
L’avvento di Nerone, che suscita tante speranze, è salutato come una nuova età dell’oro da vari poeti: in parte per opportunità, in parte per necessità, ma forse anche con convinzione. In questo coro sentiamo anche le voci di due grandi scrittori che cadranno vittime di Nerone, ma che inizialmente gli furono molto vicini: il suo maestro Seneca (che celebra l’avvento di Nerone nell’Apokolokyntosis e nel De clementia), e lo stesso Lucano che, giovanissimo poeta della corte neroniana, vincitore del concorso di poesia ai Neronia del 60 con un carme di lode al principe andato perduto, apre la sua Pharsalia con una celebrazione del nuovo imperatore (ma l’interpretazione delle intenzioni del poeta in quel passo è problematica). Nella cultura, come in altri aspetti delta vita sociale, la politica avviata da Nerone nei primi anni del suo governo ha lanciato nuove prospettive, ha suscitato nuova fiducia ed entusiasmi anche sinceri, e ha aperto un periodo molto fertile della letteratura. Ma i più importanti frutti di questa stagione letteraria non nasceranno in sintonia, bensì in tensione problematica, o anche in drastica opposizione, con le linee politiche e culturali del governo neroniano: e alla fine parte cospicua dell’ambiente, che spesso in stretto contatto con la corte imperiale aveva prodotto questa grande letteratura, sarà distrutta dall’imperatore stesso in un feroce bagno di sangue
I presupposti della politica culturale neroniana non potevano infatti consentire un’intesa duratura tra il principe e le forze intellettuali che egli stesso aveva contribuito a mobilitare: come abbiamo visto, Nerone proponeva un modello di vita e una gerarchia di valori troppo distante dalla tradizione etico-politica repubblicana, cui la classe produttrice di cultura continuava pur sempre a fare riferimento. II prestigio conferito alle arti e 1’assunzione in prima persona del ruolo di principe-artista in Nerone facevano tutt’uno con quella rivalutazione del momento ludico ed edonistico da lui espressa con le tante manifestazioni provocatorie di licenza e irresponsabilità nel comportamento personale, e convergevano, insieme a elementi di altra natura, quali la stessa disinvolta pratica del delitto dinastico, a proclamare un’idea del potere imperiale come assoluto e irresponsabile, secondo il modello orientale della regalità. Un modello che si accompagnava a un quadro di fasto, di grandiosità, di lusso e di piacere, che comprendeva al suo interno anche 1’esibizione grandiosa e il godimento delle arti della parola e dell’immagine. Via via che nel corso degli anni si dimostrò come questa fosse la realtà della politica neroniana, il principe perse sempre più la fiducia tanto della nobilitas, che egli inizialmente si era astenuto dal perseguitare e aveva anzi in parte favorito, quanto dei nuovi ceti emergenti che, anche se meno condizionati dall’ottica senatoria e più disposti ad accettare la realtà della monarchia, non intendevano vedersi ridotti a strumenti di un sovrano, che col suo stravagante comportamento tradiva così clamorosamente quello che a essi appariva essere il suo compito precipuo, e cioè una seria dedizione all’amministrazione della cosa pubblica. Il comportamento di Nerone rivelò invece, gradatamente, che 1’illusione augustea di un principe che governa facendosi garante del funzionamento delle antiche istituzioni repubblicane non aveva più speranze di realizzarsi, e che, anzi, i meccanismi istituzionali erano tali che potevano portare al potere 1’uomo più inadatto a esercitarlo, offrendogli le condizioni per mantenerlo fino a quando la morte, la rivoluzione o la congiura non lo eliminassero.
LA COMPONENTE STOICA NELL’ OPPOSIZIONE A NERONE
Le ragioni che segnarono la caduta del consenso verso la politica di Nerone sono in parte le stesse ragioni che posero Nerone in conflitto con tanti intellettuali, e che portarono alla strage di scrittori e uomini di cultura seguita alla scoperta della congiura pisoniana: una cultura nutrita dalla grande tradizione etico-politica repubblicana, e dalla filosofia stoica, che a quella tradizione aveva dato il principale sostegno teorico, poteva accettare il principio monarchico solo a patto che il monarca rispettasse le esigenze morali e politiche rappresentate da quella tradizione anzi, solo a patto che se ne facesse lui stesso il garante, dando il più alto esempio di impegno nell’adempimento dei doveri che etica tradizionale e stoicismo romano assegnavano a ogni uomo. La realtà del regime tirannico suscitò un’opposizione politica e intellettuale che si ispirò, al tempo stesso, all’etica tradizionale del senatore romano, e allo stoicismo che a quell’etica aveva dato un supporto filosofico. E lo stoicismo, insegnando all’individuo disponibilità alla rinuncia e all’abnegazione di sé in nome di una ragione universale, rese gli oppositori più disponibili al martirio, ad affrontare in molti casi anche la morte volontaria, in testimonianza dell’impossibilità di operare, in una tale situazione politica, per la realizzazione della virtù. .La perdita della speranza in una rigenerazione della politica romana, la consapevolezza di una totale mancanza di vie d’uscita istituzionali per realizzare una politica giusta e pacifica, ispirano la cupa angoscia della visione del mondo di Lucano, il poeta-stoico congiurato, e permeano la sofferta ricerca morale dell’ultimo Seneca, il filosofo stoico che molti congiurati dovettero considerare come un punto di riferimento per la loro impresa e che forse non fu a essa estraneo. E un altro poeta stoico, Persio, dà un quadro desolante e privo di luci del costume e della morale contemporanei, che gli appaiono preda di una patologia insanabile.
CLASSICISMO E ANTICLASSICISMO
Sotto i primi imperatori giulio-claudi il prestigio del canone dei «classici» augustei pareva aver in qualche modo scoraggiato nuovi grandi cimenti creativi. Con la nascita del regime neroniano, la generale ripresa di fiducia e il deliberato rilancio del modello augusteo si accompagnano a una vistosa ripresa delle ambizioni letterarie: Nerone stesso non pone limiti alle proprie aspirazioni poetiche, e compone vasti poemi epici mitologici e storici, tragedie, liriche (ci restano rari frammenti). Lucano si impegna nella composizione di un grande poema epico-storico; Seneca si cimenta nella tragedia; Calpurnio Siculo riprende la strada di Virgilio bucolico; Columella, nel X libro del suo trattato sull’agricoltura, offre al lettore un poemetto georgico di tipo virgiliano; Persio proporrà una raccolta di satire ispirate a Orazio. Questi poeti non hanno più come obiettivo quello di dare un corrispettivo romano ai grandi autori greci: ormai i Romani sanno di avere un loro corpo di scrittori di autorevolezza pari a quella dei grandi «classici» greci, e si pongono sulla scia di questi modelli latini, in un rapporto di confronto e di emulazione.
La produzione letteraria meno originale in questi anni si poneva per lo più, «classicamente», come erede devota della tradizione augustea, anche se nella perduta poesia celebrativa ne dava, a quanto pare, sviluppi manierati o sovraccarichi di coloriture, che ne compromettevano la misura «classica». Ma presso gli autori più inquieti e più originali - anche autori che operano nella stessa corte - viene a maturazione una tendenza letteraria fortemente innovativa, che finisce col porsi in contrasto con la tradizione augustea. Questa tendenza si sviluppa nella prosa retorica, e investe con evidenza anche il linguaggio poetico. II nuovo «asianesimo» dell’oratoria dei declamatori, vibrante di effetti vistosi, mosso da enfasi patetica e da coloriture accese, stava creando nel pubblico un nuovo gusto della lingua d’arte, influenzava i diversi generi prosastici e poetici, interpretava a volte negli stessi declamatori tensioni e inquietudini riconducibili alla problematicità dell’evoluzione della società romana tra repubblica e impero. Su questo terreno, un nuovo stile «anticlassico» o «barocco» (come si usa dire con impreciso anacronismo) è originalmente sviluppato, in modalità diverse, da Seneca, Lucano, Persio. Questi tre autori, che vivono il loro tempo con acuta inquietudine, e che nel corso della loro esperienza arrivano a vedere chiusa ogni via d’uscita alla loro insoddisfazione, elaborano uno stile acceso e vibrante, che si fonda, in ciascuno di essi, su una diversa tradizione di lingua letteraria (rispettivamente, della retorica, della lingua poetica epico-tragica e del sermo oraziano). Non si tratta, in nessuno di questi tre autori, di cedimento a deteriori ragioni di esibizionismo retorico, ma anzi della creazione di un mezzo di espressione adeguato per quel sofferto senso di dissociazione tra un quadro di valori che si riconduce all’etica repubblicana e alla morale stoica (e il cui equilibrio pare emblematicamente simboleggiato dall’armonia dello stile classico» ciceroniano e augusteo) e, di contro, la realtà delle condizioni di esistenza nella società imperiale, e neroniana in particolare, che induce a contestare la validità di quell’equilibrio. La singolarissima e problematica opera di Petronio sembra mettere infine in discussione, e negare senso, all’intera tradizione della letteratura, risolvendola nell’estroso gioco di una geniale parodia dissacrante.
E il forte successo che, a quanto è testimoniato, subito riscossero le satire di Persio e il poema di Lucano, come il larghissimo favore incontrato dalla prosa di Seneca, dimostrano quanto dovessero essere diffusi e sentiti, nel pubblico del tempo, il bisogno di novità nella forma letteraria e 1’impulso a rifiutare la dipendenza dagli schemi proposti dai grandi classici dell’età cesariana e augustea.
Fonte: http://www.liceoxxv.it/didattica1/didattica/materiali%20per%20gli%20studenti/Latino/Epoca%20di%20Nerone.doc
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