Letteratura e storia del cinema

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Letteratura e storia del cinema

LETTERATURA e STORIA al CINEMA”

Aneddoti e curiosità intorno al film
A cura di Simone Campanozzi
Le citazioni sono tratte dal volume Io lo chiamo cinematografo, conversazione con Giuseppe Tornatore (Mondadori, 2012) e dal volume: Cinema e letteratura. Incontri con gli autori, a cura di Michela Costantino (Franco Angeli, 2008).

“Cristo si è fermato a Eboli è un film felice. Che mi commuove ancora oggi. Malgrado il passo lento, il film tiene. Grazie alla presenza magnetica di Volonté, ai volti meravigliosi dei contadini, e agli ambienti. Non succede niente, eppure non annoia” (Francesco Rosi).
Rosi pensava di girare il film già da anni e ricorda che proprio Carlo Levi era andato a trovarlo sul set di Salvatore Giuliano, correva l'anno 1962, per vedere personalmente come il regista affrontasse la rappresentazione filmica di un avvenimento tanto doloroso e divisivo per l'Italia. Anni dopo seppe che Carlo Levi aveva deciso di affidargli la trasposizione del suo libro, rinunciando a concedere i diritti nienteméno che a Rossellini, a Pietro Germi e forse allo stesso Visconti. Ma Rosi sentiva di essere più adatto a rappresentare la vicenda di Carlo Levi, rispetto anche a valenti registi ancora legati alla stagione neorealista e alla narrazione di storie. E nel libro Cristo si è fermato a Eboli, sottolinea il regista “la storia non c’è e neanche un'azione vera e propria, come del resto in Salvatore Giuliano”.
Le trattative ebbero inizio e una sera, nella meravigliosa villa Strohl Fern dove Levi viveva e aveva il suo studio pieno di quadri, "davanti ad un piatto di orecchiette insieme all’amico e produttore Nello Santi, ebbi chiara la scena iniziale del film, con lui anziano che contemplava i ritratti dei suoi contadini. Fu Linuccia Saba, figlia di Umberto e cara amica di Levi che mi fece capire che potevo girare il film, ma poiché ero impegnato su altri film dovetti aspettare il 1978, quando purtroppo Carlo non c’era più e lei mi concesse i diritti".
Levi temeva che altri registi importanti avrebbero potuto stravolgere il romanzo "così capii che avrei dovuto farlo col mio metodo abituale: unendo una struttura documentaria a momenti lirici, persino intimisti. Restando sulla struttura del libro, la storia è uscita fuori".
Del film esiste anche una versione televisiva e questo perché, come afferma un po' sconsolato Rosi "un film così non me lo farebbe più fare nessuno, ma già all’epoca fu complicato e accettarono perché avevo promesso la doppia versione televisiva a puntate. Quindi divenne una co-produzione italo-francese, con Franco Cristaldi e Daniel Toscan du Plantier. Rispetto alla versione televisiva, l’unico taglio importante è quando alla fine si ritorna ai giorni nostri e il protagonista parla con la sorella, ma sono tagli che non si notano. Invece, purtroppo, quando si facevano i tagli per risparmiare le colonne sonore restavano mozzate"
Giuseppe Tornatore ricorda perfettamente il film, la grande interpretazione di Gian Maria Volonté, rammenta addirittura le sensazioni percettive dei suoni e dei rumori di scena: “Ricordo il suono del crine, quando Volonté si siede o si sdraia sul materasso della casa contadina che lo ospita”. Rosi confida: "quando girammo nella vera casa dove Levi aveva abitato durante gli anni del confino, Volonté era emozionato".
Per quanto concerne le scenografie e le location Rosi non ebbe dubbi sulla scelta di girare negli stessi paesi contadini della Lucania in cui aveva vissuto la sua esperienza di confinato l'antifascista Carlo Levi: "Io cerco sempre i luoghi, e non ho pace fino a quando non li trovo. Quella casa era disabitata da anni. Il critico Francesco Bolzoni scrisse che io non ho fatto rivivere il mondo contadino, non mi sono applicato sulla “questione meridionale” ma che mi sono preoccupato di più del rapporto tra Levi e i personaggi che lo circondano. Ma è proprio quel rapporto che mi fa vedere il mondo contadino. Per me è la più matura e la più interiore interpretazione di Volonté. Io ho vissuto parecchio in Lucania prima di iniziare a girare il film, ad Aliano (Gagliano nel libro e nel film) ma anche a Craco (per la parte diroccata e franata)  e Guardia Perticara, che non aveva diroccamenti, perché avevo bisogno di situazioni differenziate".
Da par suo, un regista sensibile e competente come Tornatore sottolinea: “Si intuisce che il film viene da lontano. Perché il regista non lo avverti, la regia è impalpabile, come se non ci fosse. Una tale magia, una tale cifra elegiaca”. Ed invero, aggiunge Rosi, "la Lucania non assomiglia né alla Sicilia, né alla Puglia, né alla Campania. Io ho iniziato un rapporto d’amore con questa terra. Sono andato a vivere lì e molti personaggi sono interpretati da persone comuni, dalla gente locale".
Oltre a Volonté,  bravissimo François Simon nei panni del prete, doppiato magistralmente da Oreste Lionello. Altri sono non attori e paesani di quei luoghi. Giacomo Giardina, poeta dialettale futurista, magro come un fil di ferro e senza denti, interpreta il becchino, in una memorabile scena in cui grida, con eccezionale mimica, che l'intero paese "è fatto di ossa di morto". L’esattore delle tasse, figura  tragicomica di impiegato naturalmente odiato dagli altri compaesani, è interpretato da uno spazzino analfabeta di Matera. 
Qualche cenno al drammatico contesto storico in cui è girato il film, ossia la primavera-estate del 1978, che Rosi ricorda così: "rapimento Moro, c’era una grande angoscia, lavoravo e vedevo che da quelle immagini trasudavano gli stessi valori che, contemporaneamente, i brigatisti stavano distruggendo. No alle Br e sì allo Stato, ma uno Stato che va cambiato, che deve diventare migliore. Volonté era più estremista di me. La terra in cui giravo mi trasmetteva uno stato di grande serenità, che solo l’eco del rapimento Moro trasformava in tormento".
Per Rosi nella vicenda autobiografica raccontata da Levi emerge con forza il grande inganno di Mussolini e del fascismo, ai danni di una popolazione contadina meridionale che mai si era sentita considerata dal Potere di turno nella sua lunga storia millenaria. Non a caso nella commovente sequenza iniziale ascoltiamo la voce fuori campo di Volonté che riporta le parole di Levi, dure e taglienti come le pietre di quel territorio aspro e sofferente, abitato da gente che da sempre sopporta povertà e sfruttamento, indigenza e malattie, violenza e morte prematura.
"E così ebbi l’idea del carrello (lunghissimo piano sequenza) girato tra Matera e Craco, piazzai la macchina da presa su un camioncino, tra la campagna desolata, con l’eco del discorso di Mussolini che esultava “Finalmente l’Abissinia, la conquista, l’Africa in Italia, ma l’Africa era già in Italia…".
Nella bellissima fotografia affidata ancora a Pasqualino De Santis, l’arrivo dell’eclissi viene enfatizzato con l’uso dei filtri degradé, (filtro neutro fatto scorrere davanti all’obiettivo), il cielo sembra schiacciare i personaggi, la donna con lo scialle nero esce e mentre avanza il cielo diventa sempre più scuro.
Musica: “il tema di Piero Piccioni è struggente ed elegiaco. Io sono appassionato di musica, Piccioni guardava il film, mi dava le sue impressioni e poi si metteva al lavoro” (Francesco Rosi).
Considerazioni sul rapporto tra letteratura e film
Raffaele La Capria, che ha firmato alcune sceneggiature con Rosi, ha detto che “più che un cinema politico, il suo è il cinema del nostro malessere nazionale, della democrazia malata dell’Italia di questo quarantennio”.
Bruno Torri spiega che i nessi tra letteratura e cinema, sia per le affinità sia per le differenze, sono molto problematici anche per i critici e per tutti coloro che devono giudicare un film tratto da un’opera letteraria. Il cinema ha cominciato ben presto a fare ricorso alle fonti letterarie, per autolegittimarsi e per interessare un pubblico colto. Solo in seguito il cinema si guadagnerà la piena autonomia di linguaggio. A volte si faceva una trasposizione di un romanzo best seller, sperando in un successo commerciale (Via col vento), altre volte si guardava all’interesse artistico ed estetico. Alcuni registi hanno fatto ricorso costante alla letteratura, basti citare Visconti e Kubrick.
La letteratura offre soggetti, modelli narrativi, tipologie di personaggi, ambientazioni, tutta una serie di elementi diegetici che si prestano da sempre ad essere trasferiti sullo schermo.
Principale tratto distintivo e ovviamente che utilizzano due linguaggi diversissimi: il cinema è basato sull’immagine, e non importa se l’immagine è anche sonorizzata, la letteratura è basata sulla parola.
Il linguaggio che fa solo ricorso alla parola è sempre omogoneo e lineare, mentre nel linguaggio cinematografico le immagini possono sovrapporsi, a fini espressivi, come nel caso delle dissolvenze incrociate.
I grandi elementi del cinema sono: l’immagine; la parola (parlata e fuori campo, parola scritta, monologhi e dialoghi ecc.); i rumori; la musica (di scena o di commento). Il cinema ricorre a diversi codici espressivi.
Tratto comune tra letteratura e cinema: si fondano entrambi su una trama e ambedue sono arti dello spazio e del tempo. Solo che articolano spazio e tempo in modo diverso; la letteratura soprattutto con i verbi, il cinema con il montaggio. Alla base dei rapporti tra cinema e letteratura si ha sempre la lettura del testo, da cui si traggono idee, suggerimenti, emozioni, poi l’opera letteraria viene messa da parte e si comincia a fare cinema. Prima tappa, la stesura della sceneggiatura.
A tale proposito Francesco Rosi afferma: "Io credo che non ci si rivolga ad un’opera letteraria per la struttura del suo racconto; ma fondamentalmente il cineasta può servirsi dell’opera letteraria per trasferirla con un altro linguaggio e con altro mezzo di espressione. Serve come deposito, a volte, di anni di riflessione e di maturazione. Teniamo conto sempre che mentre la parola è evocativa, l’immagine è fondamentalmente impositiva, si impone allo spettatore. Il linguaggio cinematografico, in ultima analisi, è il montaggio e quindi il ritmo, che veicola e trasmette emozioni immediate. Un film passa e mi deve dare emozioni, ma io voglio uno spettatore attivo, che venga stimolato da quello che voglio dire con quel film".
Ma Rosi avverte anche che quando si vuole fare un cinema “civile” e “sociale” bisogna stare attenti, "perché il cinema è un mezzo anche pericoloso e il pubblico può essere sviato dall’avvicinarsi a una possibile verità. Ecco l’importanza della documentazione (esempio di Salvatore Giuliano e Il caso Mattei). Pasolini diceva che la televisione può essere una dittatura…. Cristo si è fermato ad Eboli  è l’esempio massimo della fedeltà che ho voluto portare ad un testo letterario. Mentre l’esempio massimo di una certa infedeltà può essere considerato Uomini contro.
Nel caso del libro di Carlo Levi, sottolinea ancora Rosi, "io ho voluto aderire non solo strutturalmente alla vicenda narrata, ma ho voluto trasmettere le emozioni che quel libro suscita, che appartengono alle scoperte di un intellettuale del nord, di un antifascista mandato al confino in mezzo ai calanchi della Lucania, che si trova per la prima volta proiettato in un mondo mai neanche immaginato: la gente con il tracoma, i bambini con le pance gonfie, gialle, la superstizione, la magia, la spaventosa arretratezza.. Levi si scoprirà fratello di quella gente, quindi è un discorso sulla solidarietà umana. Un viaggio basato sull’emozione, sui silenzi, sugli sguardi, sulle cose fate vedere, sulla riscoperta della questione meridionale, del resto sempre attuale".
Grazie a questa capacità di adesione alla realtà raccontata nel libro e alla capacità di trasporla visivamente, Rosi ha potuto constatare il coinvolgimento del pubblico in tutto il mondo: ha vinto l’Oscar inglese per cinema e televisione, il primo premio al Festival di Mosca, un premio in Giappone e vari riconoscimenti nazionali. La cosa incredibile, racconta, è stato "quando ho presentato il film a Chicago in un teatro gremito da 3000 persone. Temevo che forse avrebbero faticato a capire un film in cui il protagonista cammina per paesini, si ferma, osserva uno che munge una capra, un altro che sta con i maiali e con le le galline e poi i lunghi dialoghi con la sorella. Invece, alla fine piangevano tutti, perché erano figli di immigrati e di contadini, polacchi, italiani, ebrei".
Ma quali devono essere eventuali rapporti di fedeltà tra testo letterario e film: "Ho scelto sempre quei libri che avrei voluto scrivere, ma una volta deciso quale trasporre su pellicola il regista deve distinguere tra “storia” (la struttura narrativa) e “discorso” (cioè che cosa ha voluto dire lo scrittore e cosa voglio dire io). Posso permettermi anche di stravolgere la storia, non sono tenuto alla fedeltà del romanzo, perché il film è una cosa diversa. Anzi, ritengo che chi vada a vedere un film non dovrebbe sapere nulla del libro dal quale è stato tratto. Prima si deve giudicare il film, poi mi puoi chiedere conto delle scelte. Ad esempio, in Uomini contro ho deciso di inserire alla fine una scena che nel libro sta all’inizio, ovvero il dialogo tra il tenente Sassu e il generale Leone, aggiungendo di sana pianta la fucilazione finale del tenente".
A tale proposito, ricordiamo che in entrambi i film recita Gian Maria Volonté, sebbene nel film Cristo si è fermato a Eboli l'attore svolga il ruolo di assoluto protagonista. Se Rosi afferma "Carlo Levi sono io", per spiegare come sia riuscito a rendere credibile la figura dell'Autore,  Tornatore controbatte che allora si tratta di una doppia personificazione, perché "anche Volonté è tra i tuoi attori preferiti in cui ti sei identificato di più, al punto da fargli indossare un tuo indumento (cravatta e camicia) nel film". Forse proprio questa "doppia personificazione" spiega la riuscita del film.
Carlo Levi ha voluto essere sepolto ad Aliano.

 

 

 

 

Fonte: http://www.italia-resistenza.it/rete/wp-content/uploads/2015/02/Materiali-Cristo-si-%C3%A8-fermato-a-Eboli.doc

Sito web da visitare: http://www.italia-resistenza.it/

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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