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L’ERMETISMO
L’ermetismo è una corrente poetica che si sviluppa in Italia tra il 1920 e il 1930, cioè nel periodo fra le due guerre. E’ una delle più alte espressioni poetiche del ‘900.
I poeti ermetici intendono la poesia come un momento di folgorazione, di grazia, come intuizione improvvisa del mistero della vita. Di conseguenza le loro composizioni sono molto brevi, scarne, diventano poesia pura, essenziale, che si esprime attraverso poche parole di intenso valore allusivo, simbolico, capaci di evocare sensazioni straordinarie.
Gli ermetici riducono tutto all’essenziale: semplificano la sintassi privandola dei nessi logici, aboliscono talvolta la punteggiatura, utilizzano il verso libero, gli spazi bianchi e le pause lunghe che rappresentano momenti di concentrazione, di silenzio, di attesa.
In modo concentrato ed essenziale esprimono il senso di vuoto, la solitudine morale dell’uomo contemporaneo, il suo “male di vivere” in un’epoca travagliata da tragiche esperienze come quella della prima guerra mondiale e del ventennio fascista.
I poetici ermetici più rappresentativi sono: Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale.
GIUSEPPE UNGARETTI
Il pensiero e la poetica
La produzione poetica di Ungaretti viene divisa in tre fasi.
La prima ( corrispondente agli anni giovanili e all’esperienza di combattente in trincea) è caratterizzata da una forte sperimentazione linguistica. Sono componimenti brevi, in cui il poeta si impegna molto nella ricerca di parole che siano sonore, ritmiche ed evocative di emozioni.
Le opere di questo periodo hanno una forte componente autobiografica e rievocano sia gli anni della giovinezza trascorsi in Egitto, sia la cruda esperienza del fronte.
La concezione di poesia che ne emerge è quella di una ricerca laboriosa di “ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile”; perciò il poeta deve tuffarsi in un “abisso” per recuperare l’essenza più intima della realtà. Sul piano stilistico queste sono le novità:
Dopo la guerra, con l’avvicinamento del poeta alla religione cattolica, ha inizio la seconda fase, caratterizzata da poesie che hanno come tema la riflessione sul tempo e sulla morte.
I versi brevissimi della prima fase vengono sostituiti da componimenti più articolati e densi vicini alle forme metriche tradizionali.
Ungaretti sceglie il recupero della sintassi, della punteggiatura e delle forme metriche tradizionali, in particolare dell’endecasillabo. Alla poetica dell’attimo e del frammento il poeta sostituisce una diversa percezione del tempo, inteso come continuità ma anche come fugacità, in opposizione all’eternità. Il sentimento del tempo si lega così alla meditazione sulla morte e sul “sentimento della catastrofe”. Anche il linguaggio si fa più ricercato e ricco di aggettivi.
La terza fase inizia con le poesie di straziante tenerezza scritte in morte del figlio Antonietto. Si fa più profonda la meditazione e la riflessione sul destino dell’uomo.
Nella terza fase il poeta si orienta invece verso il recupero della tradizione classica attraverso nuovi ritmi, fatti di pause e suggestioni musicali, e attraverso una forma ancora più ampia e solenne. Il tono delle liriche è meno intimo e volutamente isolato, ma si apre al colloquio con gli altri uomini nel trattare contenuti più umani e concreti, nel comunicare il proprio dolore, quello per la morte del figlioletto, e quello dell’umanità intera, per la seconda guerra mondiale.
Il commento delle poesie
S. MARTINO DEL CARSO (1916)
(da L’ALLEGRIA, sezione IL PORTO SEPOLTO)
Il poeta usa parole essenziali e scarne per esprimere il senso tragico della distruzione di un paese e dell’ animo del poeta, “ il paese più straziato”. Un paese del Carso, San Martino, viene distrutto dalla furia della battaglia. Le case sono ridotte a “qualche brandello di muro” e tanti cari amici sono stati uccisi dalle cannonate. Ma tutti sono presenti e vivi nel cuore del poeta, che soffre al ricordo di quei giorni di morte.
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato
La poesia è impostata sul confronto tra il paese e il cuore del poeta: le case di S. Martino ridotte a brandelli e il cuore del poeta straziato dal dolore e dalle rovine della guerra.
La riflessione del poeta sui compagni morti nasce dall’osservazione del paese ( “ di queste case” v. 1) sul quale si è abbattuta la furia devastatrice della guerra. Questo collegamento è determinato dalla parola “brandello di muro”, una metafora che richiama l’immagine di un corpo lacerato.
Le case distrutte potranno essere ricostruite; le vittime della guerra non potranno essere recuperate alla vita. La drammaticità di questa situazione viene espressa nei versi 5-8 ( “di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto”) dove l’autore spiega che di tanti che ricambiavano il suo affetto non sono rimasti neppure i brandelli dei corpi straziati dalle cannonate.
Il verso 9 si apre con la congiunzione “ma” usata per concentrare la nostra attenzione sulla terza strofa. Il poeta, infatti, dopo aver constatato che non è rimasto nulla dei morti, nemmeno “un brandello” vuole farci capire che anche chi è stato annientato dalla guerra può, in un certo senso sopravvivere nel cuore e nella memoria di chi è rimasto. Infatti il cuore del poeta, pur essendo il paese più straziato e devastato dalla guerra, conserva il ricordo di tutti coloro che sono passati.
SOLDATI (1918)
(da L’ALLEGRIA, sezione GIROVAGO)
Questa breve poesia è stata composta nel 1918 sul fronte italo-francese.
Si sta come
d’ autunno
sugli alberi
le foglie
Attraverso una rapida similitudine, il cui primo termine di paragone è rappresentato dal titolo del componimento, Ungaretti dichiara che la vita dei soldati è fragile come quella delle foglie in autunno, destinate a cadere al primo colpo di vento.
Più in generale la figura del soldato rappresenta il destino di tutta l’umanità sempre e comunque precaria su questa terra.
FRATELLI(1916-1943)
(da L’ALLEGRIA, sezione IL PORTO SEPOLTO)
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
In questa poesia il poeta cerca di esprimere il senso della fragilità della vita sconvolta dalla follia della guerra. É notte. L’aria è squarciata dai lampi della battaglia. Due reparti combattenti si incontrano sulla linea del fronte. Mentre si salutano e si scambiano notizie, ecco nel buio risuonare la parola che il mondo impazzito sembra aver dimenticato: fratelli! La parola “fratelli” si leva timidamente (“tremante”) nella notte come una “foglia appena nata”. Nell’aria straziata dai lampi dei proiettili e dagli scoppi di bombarde (“spasimante”) la parola “fratelli” è come un grido di rivolta dell’uomo consapevole della sua fragilità (“dell’uomo presente alla sua fragilità”) contro le atrocità della guerra.“Fratelli” è la parola chiave che apre e chiude la poesia.
Fonte: https://piattaformadidattica.files.wordpress.com/2011/05/ermetismo-ungaretti.docx
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