Letteratura fra le due guerre

Letteratura fra le due guerre

 

 

 

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Letteratura fra le due guerre

Il primo dopoguerra è caratterizzato da un clima di profonda delusione per la “vittoria mutilata” e di disagio morale, di squilibri economici e di rilevanti conflitti sociali. La complessità della problematica politico-sociale di quegli anni trova un riscontro nella scissione del Partito socialista (gennaio 1921 congresso di Livorno): si stacca un gruppo di delegati fra cui Gramsci, che fondano il PCI. Sempre nel ’21 vanno alla camera una ventina di deputati fascisti, tra cui Mussolini. La crisi dello stato liberale coincide con l’ascesa del Fascismo (marcia su Roma 28 ottobre 1922), segnata nelle sue varie tappe dalle violenze squadristiche e dalla sistematica eversione delle libertà statuarie. Col 1925 si costituisce lo stato totalitario.
Atteggiamento degli intellettuali
- la gran parte della cultura aderì più o meno in buona fede all’avventura fascista
- al polo opposto si posero quegli intellettuali che dichiararono il proprio impegno civile e politico, cercarono di diffondere la consapevolezza della minaccia costituita dalle forze reazionarie, dichiararono la loro avversione al regime fino a pagare di persona il prezzo della propria coerenza politica (Gobetti, Gramsci)
- ci fu “l’assenza” di quei gruppi di intellettuali che, asserendo la priorità dell’arte e della poesia, si chiudevano nel puro esercizio letterario, in aristocratico isolamento.

Le riviste
a) l’impegno: coerente visione dei rapporti fra cultura e politica; opposizione irriducibile al fascismo
Ordine nuovo: 1919/21 fondata da Gramsci, (collaboratori Togliatti, Terracini), problemi legati alla   Torino industriale e operaia;
Rivoluzione liberale: 1922/24 fondata da Gobetti; Rinnovamento della società da attuarsi con una mediazione fra borghesia progressista e classe operaia;
Il Baretti: 1924/28 fondata da Gobetti, collaboratori Montale. Battaglia per una letteratura “tutta   cose”, “civilmente e politicamente impegnata”
b) “l’assenza” come ambiguità :
La Ronda 1919/23 polemizza con tutte le recenti esperienze letterarie. Prosa d’arte (saggio, bozzetto, elzeviro), pagina levigata e preziosa, gusto della parola rigorosa ed esatta, assunzione dell’arte a supremo ed inconfutabile valore. Assenza da ogni interesse “pratico” ed attuale, condanna degli intellettuali che si compromettono (>>ambiguità ideologica)
c) tra disimpegno e opposizione
Solaria (1926/36) collaboratori Montale, Ungaretti, Saba, Quasimodo, Pavese, Vittorini, Gadda.
Esclude programmaticamente ogni discorso politico, sociale o di varia cultura, limitandosi ad una discussione esclusivamente letteraria; respinge le istanze neorealistiche della Ronda.
- combatte vittoriosamente la sua battaglia per l’accettazione della poesia ermetica
- propone una narrativa della memoria (nuove tematiche, tempo della memoria, mondo interiore)
- mette in luce la letteratura americana (ad opera di Pavese e Vittorini)
d) l’evasione
‘900  1922/29 si ricollega a Stracittà che sosteneva la necessità dell’ampliamento dell’orizzonte culturale italiano (orientamento europeistico che si manifesta soprattutto verso due particolari correnti della cultura europea: simbolismo e surrealismo. L’interesse per le esperienze del surrealismo europeo presiede alla poetica che fu espressa dalla rivista e di cui M. Bontempelli fu il teorizzatore: realismo magico. Questo, di pari passo con la pittura metafisica, si proponeva di mettere in luce certe dimensioni “magiche” della realtà quotidiana. (Landolfi, Buzzati)
e) l’adesione al Fascismo
Il selvaggio 1924/43 All’europeismo delle altre riviste opponeva la difesa del patrimonio culturale e civile d’Italia, la valorizzazione del “carattere rurale e paesano delle genti italiane” secondo la dominante ideologia del regime.


Fra le due guerre: la prosa

Nel primo ‘900 si possono distinguere 2 tipi di narrativa:
a) la nuova prosa autobiografica e lirica dei vociani, volta al rifiuto del romanzo e imperniata invece sul frammento ( diari di guerra, giornali, taccuini di bordo)
b) una narrativa di impianto più tradizionale, attenta alla descrizione di ambienti e personaggi e sorretta da un ben articolato intreccio, di più scoperta derivazione naturalistica (Borgese, Moretti, Pea, Cicognani)

Nel periodo del ventennio il panorama presenta queste caratteristiche:
a) La prosa autobiografica e lirica dei vociani sfocia nel periodo fra le due guerre:
- nella “prosa d’arte” (pagina levigata e preziosa, bozzetti, elzeviro)
- nella narrativa solariana (tempo della memoria, monologo interiore) Pavese, Alvaro, Vittorini, Gadda (opposizione al regime, ma non diretta, e sfumata invece attraverso la trasfigurazione del reale
- nella corrente di “realismo magico” espressa dalla rivista ‘900 (letteratura d’evasione)

b) la narrativa di impianto tradizionale del primo dopoguerra sfocia, tra le due guerre, nella tendenza “realistica” di certa letteratura d’opposizione:  Moravia “Gli indifferenti” 1929, Brancati “Don Giovanni in Sicilia” 1942, Bernari “Tre operai” 1934, Silone “Fontamara”1930 e “Pane e vino” 1936

Fra le due guerre : la poesia
L’Ermetismo

Con l’ermetismo (il termine fu coniato dal critico Francesco Flora , che in un suo saggio del 1936 alludeva alla presunta “oscurità” di questa lirica dovuta all’abuso dell’analogia: l’ermetismo era stata una pratica misterica dell’antichità), la poesia italiana s’immette autorevolmente nel circolo della grande cultura decadente europea. La poesia ermetica fa la prima prova in Italia nel 1916, quando uscì “Il Porto sepolto” di Ungaretti; domina il panorama letterario nel periodo fra le due guerre, in coincidenza col ventennio, e per questo v’è stato chi ha accusato gli ermetici di essersi chiusi nella roccaforte di una poesia “di evasione” per iniziati.
In effetti, anche se non tutti gli esponenti seppero sottrarsi alla sirena dell’ideologia dominante, la lirica ermetica – che fu peraltro esperienza non esclusivamente italiana- rappresentò per alcuni poeti, come Montale, una sorta di resistenza culturale al Fascismo e insieme il tentativo di affermare il valore universale della poesia al di sopra di ogni contingenza politica.
Componenti storiche : il senso della crisi dei valori ottocenteschi o, per usare un ‘espressione ungarettiana “il senso della catastrofe”, che da decenni era in atto in Europa e che già aveva avuto le sue manifestazioni artistiche anche in Italia (da Pascoli ai vociani) si aggrava con l’incalzare delle vicende storiche del nostro paese: la guerra, il dopoguerra e il fascismo. Di qui, un più deciso accostarsi alle correnti poetiche d’oltralpe, che già avevano espresso con nuovi disperati accenti il senso della solitudine dell’uomo, del dolore, dell’irrazionalità della vita.
Componenti filosofiche : l’umana condizione di alienazione, di solitudine e di angoscia trova un’espressione nell’esistenzialismo , un insieme di indirizzi filosofici aventi per oggetto l’analisi dell’esistenza, intesa come “qualcosa che sfugge alla ragione”. L’esistenzialismo “finisce col porre l’essenza della vita nella morte”; l’uomo “exstitit “,  sporge dal nulla, è gettato nel mondo, abbandonato al determinismo di esso, per approdare nuovamente al nulla. “L’esperienza esistenzialista è stata particolarmente vissuta ed ha dato i risultati più convincenti nella storia della letteratura, in Germania per opera della corrente che va da Rilke a Carossa, in Italia per opera di quella corrente poetica che ebbe inizio con G. Ungaretti e va sotto il nome di “ermetismo”, in quanto appunto volle essere una radicale presa di contatto della persona con la radice esistenziale del suo essere e con la crisi che questa sempre opera nella vita; in Francia per opera di J.P. Sartre”. (Preti)

Componenti letterarie  
Confluiscono nell’ermetismo:

  1. l’influenza dei decadenti stranieri, da Mallarmé a Rimbaud, da Verlaine ad Apollinaire, a Valery ad Eliot, sentiti come l’espressione più significativa e drammatica della condizione dell’uomo moderno.
  2. La lezione dei “vociani” , i quali del decadentismo d’oltralpe accolgono, oltre a certe tecniche espressive, anche la concezione della poesia come attimo, illuminazione, frammento.
  3. L’influenza, sulla seconda fase dell’ermetismo, di “Solaria” che insiste per quasi un decennio, a partire dal 1926, sull’esigenza di un discorso europeo.

La poetica e le tecniche espressive dell’Ermetismo
Compito della poesia è, come per i decadenti francesi citati, non più “persuadere” a certe verità, o illustrare alcuni aspetti di una realtà, ma portare alla luce l’essenza segreta del reale, attingere le misteriose vertigini dell’inconscio. Di qui la ricerca della parola essenziale, liberata da ogni intenzione oratoria, da ogni convenzione sentimentale, restituita alla sua verginità. Per Ungaretti la parola è “illuminazione” che affiora dall’oscuro germinare dell’io profondo, scoperta e creazione di realtà; per Montale la parola non può dare messaggi, e tuttavia lo scabro linguaggio montaliano conferisce alla realtà descritta una scabra tensione metafisica. Caratteristico, stilisticamente, il ricorso all’analogia che, nella libera associazione d’immagini, brucia i nessi logico-sintattici, e al linguaggio simbolico.
Per una poetica dell’ermetismo : Carlo Bo “Letteratura come vita” 1938
La letteratura non deve essere considerata un mestiere da svolgere nelle pause della vita, ma la vita stessa, cioè la parte migliore della vita, cioè la vita interiore, nei più segreti e misteriosi abissi della coscienza.
Sul filo di questo stretto rapporto vita-letteratura si riconduceva la vita ai suoi valori esistenziali e la “letteratura” a una misura di “eterno scandaglio” e di “approfondimento”. Una siffatta misura della “vita” sottrae la letteratura dalla cronaca, dagli interessi, dai compromessi del quotidiano, suggerendo quella condizione di “assenza” che caratterizza la poesia degli ermetici…. (cfr. analisi del testo)

Tra il 1945 e il 1955: la stagione del Neorealismo.

In Italia, fra il ’45 e il ’55, ci furono anni fervidi di scontri ideologici e di accese speranze. Come avrebbe scritto Calvino “pareva che la vita potesse ricominciare da zero”, aperta ad un’illimitata fiducia nella possibilità di nuovi rapporti fra gli uomini, di un dialogo autentico a livello universale. Le nuove prospettive di vita sommuovevano il fondo della nostra cultura, da decenni stagnante nella sua aristocratica raffinatezza: mentre in Francia Sartre propugnava attraverso la sua rivista “Tempi moderni” (1945) la necessità dell’ “impegno”, ossia la finalità della cultura e dell’opera d’arte, che “deve concorrere a produrre certi mutamenti nella società”, in Italia si sviluppava un’imponente ed appassionata opera di revisione della cultura precedente. Questa appare povera di agganci con la realtà, rarefatta esperienza di intellettuali asserragliati in un loro mondo chiuso ai problemi dei più: vennero coinvolti, ad es,., in un giudizio di generale condanna, il “calligrafismo” dei rondisti, la “oscurità” degli ermetici, l’ ”evasione” dei metafisici di “realismo magico”.

In questo clima maturano:
1) la pubblicazione del Politecnico (1945/47), fondata da Vittorini, che affronta 3 temi fondamentali:
a) necessità di una nuova cultura, aperta ai più vari problemi letterari, economici, sociali, volta a colmare l’abisso instauratosi fra la cultura tecnico-scientifica ed umanistica
b) funzione di questa nuova cultura, che non doveva essere consolatoria come quella del passato, ma rivoluzionaria, doveva operare nella storia
c)  rapporti fra cultura e politica: (in polemica con Togliatti , Vittorini affermava che la cultura, pur rivoluzionaria, deve essere libera, non farsi “ancella della politica”, né tanto meno piegarsi a menzogne per onor di partito, il che si tradurrebbe in un “oscurantismo”

2) la pubblicazione dell’opera di Gramsci a cominciare dal ’47 “Quaderni dal carcere” che propugnava una letteratura “nazional-popolare” perché una lunga, secolare concezione “aristocratica” delle lettere aveva creato una frattura fra scrittori e popolo, cosicché i sentimenti popolari non erano vissuti come propri dagli scrittori, quindi invitava ad una letteratura non più “consolatoria”, ma operante nella società, calata nel vivo degli uomini e delle cose.

3)  la nascita di un nuovo movimento artistico-letterario: il Neorealismo.
IL NEOREALISMO   (1945/55)
Investì tutte le arti ed in particolare il cinema (Rossellini, De Sica), riaffermava l’esigenza dell’ “impegno”; sul piano letterario, pur riallacciandosi ad alcune prove del ventennio (Moravia, Bernari, Brancati), è da considerarsi un movimento sostanzialmente nuovo per vari motivi:

  1. contrappose polemicamente nuovi contenuti (partigiani, operai, scioperi, bombardamenti, fucilazioni, baraccati, sciuscià ecc. ) all’arte della pura forma e della “morbida memoria “ (Salinari)
  2. cercò un mutamento radicale delle forme espressive, che sottolineano la rottura con l’arte precedente, un linguaggio nuovo, non letterario, che corrispondesse all’urgenza dei nuovi valori umani e sociali; di qui l’operazione d’innesto dei dialetti e del gergo nella lingua tradizionale
  3. espresse alcuni caratteristici generi letterari, quali il documento, la cronaca, la narrativa saggistica, la poesia “corale” che testimoniavano il ripudio delle forme liriche dei solariani e degli ermetici in nome di una rigorosa esigenza di concretezza e di obiettività.

LIMITI: tendenza alla deformazione della realtà secondo particolari schemi ideologici, rinuncia polemica ad ogni impegno formale, il bisogno di adesione al reale si traduce spesso in bozzetto e in folklore, il dialetto e il gergo diventano vezzo o vizio, l’ ”impegno” tende a deformare la realtà secondo particolari schemi ideologici. La critica ha investito dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’60 circa (cioè negli anni della crisi delle sinistre) anche la politica culturale del P.C.I. , che partendo dall’equazione realismo/ progressismo (secondo i canoni del “realismo socialista”), aveva collaborato all’affermarsi del movimento. Nonostante i suoi limiti, reali e inoppugnabili, il Neorealismo riveste un rilevante significato storico: ha infatti proposto nuovi problemi: il problema del rapporto arte-cronaca (fino a che punto la cronaca, il documento, possa o non possa essere considerato arte); il problema del rapporto narrativa-cinema (in che modo ed entro quali limiti siano accettabili le interferenze della sequenza cinematografica –tagli, dialogati, flash –back  - nella pagina scritta); soprattutto il problema del rapporto cultura-politica (Vittorini); come è stato detto, lo scrittore fu, durante la stagione del neorealismo, “ un testimone e un formatore di speranze”

 

POESIA (alcuni autori rientrano nel N. solo per alcune opere) :
- reazione alle aristocratiche esperienze del ventennio
- problematica sociale o addirittura vicende della cronaca
- intonazione epica anziché lirica e corale anziché individuale (Quasimodo “Alle fronde dei salici” 1947: rinuncia all’Ermetismo per una più accorata e profonda adesione ai problemi di tutti)
Saba “Teatro degli artigianelli”; Solmi “Quaderno di M. Rossetti” 1950 e Fortini “Foglio di via” 1947 : esperienze partigiane;
Pasolini “Le ceneri di Gramsci” 1957 (ma già la produzione di P. porta i segni della crisi del N.)

PROSA  (alcuni autori rientrano nel N. solo per alcune opere) :

Il documento e la cronaca: “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”; Giacomo Debenedetti “16 ottobre 1943”; P.Levi “Se questo è un uomo”, “La tregua”; Mario Rigoni Stern “Il sergente nella neve” 1953 (campagna di Russia)
La narrativa saggistica  : (è al tempo stesso narrazione e meditazione storica e sociologica) Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli” 1945; “Le parole sono pietre” 1955; Sciascia “ Il giorno della civetta”1963, “A ciascuno il suo” 1966, “Todo modo” 1975 ecc
Il romanzo : è ispirato anch’esso ai temi del fascismo, della guerra, della resistenza, ed è volto a ricercare nel passato figure ed eventi che abbiano un richiamo con situazioni attuali. Formalmente, presenta caratteristiche  (fitto uso del dialogato, inserzioni gergali e dialettali) che testimoniano la faticosa ricerca di un rinnovamento degli istituti narrativi. Questi “comuni denominatori” non escludono però il differenziarsi, entro l’ambito del movimento, di divergenti e spiccate personalità: così il “realismo lirico” (di filiazione solariana” di Pavese e Vittorini, è remotissimo dall’ “obiettività” di Fenoglio o di Moravia, del secondo Pratolini o del secondo Jovine; per Pavese e Vittorini (considerati per anni i maestri del N.) si è parlato di “trasfigurazione della realtà”, di un neorealismo “ambiguo”, di “neorealismo o quasi”.
Elio Vittorini “Uomini e no” 1943; Cesare Pavese “La casa in collina” 1948, “La luna e i falò” 1950; Beppe Fenoglio “La malora”, “Un giorno di fuoco” “Il partigiano Johnny”; Vasco Pratolini “Cronache di poveri amanti”, “Metello”; Francesco Jovine “Le terre del sacramento”; Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno”; Alberto Moravia “La ciociara

 

In generale si è d'accordo sul fatto che l'esplosione del neorealismo sia propria dell'età che va dal 1943 al 1949, ma, anche se in modi diversi, il periodo terminale degli anni trenta viene considerato come fondamentale anticipatore di questo fenomeno culturale: c'è chi parla appunto di "nuovo realismo" (Luperini) e chi e chi vede in esso il periodo della semina: "il periodo della preparazione e della semina era cominciato pressappoco nel 1930 col consolidarsi delle prime reazioni degli intellettuali, in Italia e fuori, alla dittatura fascista ormai stabilizzata. E' giusto riconoscere che l'Italia, culla del fascismo, fu anche il primo paese che offrì un'attiva opposizione contro di esso, sul piano dell'azione come su quello delle idee. E questa precoce vaccinazione contro il fascismo fu di grande importanza per ciò che l'Italia fu poi in grado di dire all'Europa col movimento neorealista; intellettuali come Gobetti, Amendola, i Rosselli, Gramsci, Silone, Salvemini ecc. scrissero e agirono quando il fascismo governava l'Italia e ricattava l'Europa. Il neorealismo cominciò, oltre che con Fontamara (primo romanzo antifascista europeo), con le lettere e i quaderni scritti da Gramsci in carcere, con le considerazioni e le esperienze che Carlo Levi e Cesare Pavese venivano facendo al confino, con la critica della realtà italiana contenuta nei primi libri di Moravia e di Vittorini.
Il neorealismo italiano trova quindi le sue origini assai prima della guerra e della "resistenza" e va valutato sui tempi lunghi e che questa realtà sia stata messa sotto gli occhi di tutti dai primi film di Rossellini e di De Sica una quindicina d'anni dopo non è una ragione che possa autorizzarci a ignorare dove sono gli archetipi. Moravia nel '29 con Gli indifferenti e Silone nel '30 con Fontamara offrivano i primi fotogrammi senza paraocchi di una scena che proprio allora il cinema fascista cominciava a nascondere sotto l'anonimato dei "telefoni bianchi". Moravia ha più volte negato ogni intento sociale e politico al suo primo romanzo che tuttavia conserva ugualmente il suo valore documentario. Del tutto scoperta è invece la certezza di presentare una realtà inedita in Silone, che nella introduzione alla prima edizione di Fontamara scriveva: il libro "apparirà al lettore in stridente contrasto con l'immagine pittoresca che dell'Italia meridionale si trova frequentemente nella letteratura" e aggiungeva: "A Fontamara non c'è bosco: la montagna è arida e brulla, come la maggior parte dell'Appennino. Gli uccelli sono pochi. Non c'è usignolo; nel dialetto non c'è neppure la parola per designare l'usignolo".(liberamente tratto da A. Russi, Rivendicazione del Neorealismo italiano, Letteratura italiana, Marzorati, Milano 1982).
Un altro momento significativo nell'evoluzione storica del neorealismo è costituito dagli anni '48/49 in cui due fenomeni significativi, uno storico e l'altro culturale, imprimono una svolta a tutto il movimento. Il fatto storico rilevante è costituito dalle elezioni del 1948 in cui la Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza assoluta accentuando quello che Galli della Loggia chiama "peculiare tratto contraddittorio nella società italiana postbellica in quanto, mentre lo stato borghese moderno nasce spostato a sinistra, in Italia permane un sistema capitalistico che conserva un marcato carattere storico di "destra" (liberamente tratto da L'impegno "a sinistra" della cultura, E. Galli Della Loggia, Marzorati, Milano 1982).
Il secondo fenomeno, strettamente connesso al primo è di carattere culturale: se il PCI infatti aveva impegnato tutte le sue energie nella lotta per la Resistenza, consapevole di tutto il valore d'ideologia nazionale unificatrice che era contenuto nella lotta armata contro i fascisti e i tedeschi, il carattere nuovo del PCI fu subito palese nell'attenzione che esso dedicò agli intellettuali e, dal canto loro, questi ultimi sentirono "il PCI come un punto di riferimento obbligato. Almeno in parte il fenomeno si può ricondurre a qualcosa già avvenuto in passato, ossia alla crescente politicizzazione e socializzazione degli intellettuali che il fascismo promosse nel periodo tra le due guerre. Crollato il fascismo, tale socializzazione spingeva per sua natura verso una larga diffusione del marxismo. Questo infatti si presenta come una visione del mondo organica e compiuta, e gli intellettuali funzionari, sia per la superficialità istituzionale con cui si pone la loro elaborazione, sia per il maggiore bisogno che essi hanno di uno strumento con il quale orientarsi rapidamente, sentono appunto viva l'esigenza di una visione del mondo, all'occorrenza di semplice formulabilità, grazie alla quale procedere nell'attività quotidiana" (Galli Della Loggia, ibidem).

Il testo di Galli Della Loggia esprime con chiarezza la situazione culturale di quegli anni, anche se traspare una valutazione non positiva del rapporto tra gli intellettuali e il PCI, in quanto ne viene messa in evidenza una certa superficialità, un mancato approfondimento filosofico delle scelte culturali fatte. Continua infatti la sua esposizione dicendo: "Non per nulla - fatto salvo forse il caso di Pavese e Vittorini - quella scelta non suscitò in chi allora la compì alcun riesame radicale del proprio ruolo di intellettuale" (Galli Della Loggia,ibidem). Il fatto più importante, tuttavia, di questo momento culturale fu la pubblicazione dei Quaderni del carcere, di A. Gramsci, portata a termine tra il '47 e il '51.
Gramsci invitava gli intellettuali a "calarsi nella realtà del paese, dare vita ad una letteratura, ad un tessuto e ad una comunità culturali nazionalpopolari, promuovere insomma una riforma intellettuale e civile della società italiana schierandosi dalla parte delle classi subalterne. Perciò la cultura italiana doveva "rinnovarsi" e per rinnovarsi stabilire un rapporto di ispirazione e di destinazione con le masse popolari, riscattando con un impegno democratico nell'oggi "l'irresponsabilità" politica dimostrata in passato" (Galli Della Loggia,ibidem). Su questo piano furono inoltre rilevanti per la politica culturale del PCI sia la lettura delle opere critiche di G. Lukacs, che le pressioni provenienti dall'URSS.
Entrambi i fenomeni di cui si è parlato hanno contribuito dunque a trasformare l'iniziale realismo spontaneo in un neorealismo ideologicamente orientato e consapevole che troverà le sue espressioni più significative nelle Terre del Sacramento di Jovine e nel Metello di Pratolini. Non si vuol dire con questo che nel periodo precedente non ci fossero posizioni politicamente e ideologicamente orientate (basti pensare, per il primo realismo, che Silone era stato uno dei protagonisti della nascita del PCI), ma che il modo di creare e di raccontare aveva origini diverse e profondamente ancorate ad un sentire comune di cui il poeta si faceva interprete. E' interessante, per capire questo momento, rifarsi ad I. Calvino che nell'introduzione a Il sentiero dei nidi di ragno dice testualmente: "L'esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d'arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano - non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, "bruciati", ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d'una sua eredità.... Questo ci tocca oggi, soprattutto: la voce anonima dell'epoca, più forte delle nostre riflessioni individuali ancora incerte. L'essere usciti da un'esperienza -...- che non aveva risparmiato nessuno, ristabiliva un'immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d'olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse, e così ogni avventore ai tavoli delle "mense del popolo", ogni donna alle code ai negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d'altre epoche; ci muovevamo in un multicolore universo di storie.”
Chi cominciò a scrivere allora si trovò così a trattare la medesima materia dell'anonimo narratore orale: alle storie che avevamo vissuto di persona e delle quali eravamo stati spettatori si aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un'espressione mimica. Durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformavano e trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano già uno stile, un linguaggio, un umore come di bravata, una ricerca d'effetti angosciosi e truculenti" (Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Introduzione).
Si è parlato in precedenza del Metello di Pratolini e questo sposta i termini del discorso al 1955, superando il limite del 1949 precedentemente indicato. In effetti secondo alcuni autori, in particolare secondo coloro che pongono l'accento sulla valenza ideologica del neorealismo, il periodo più interessante di quest'ultimo giunge fino al 1955, anno della pubblicazione di Metello, dopo il quale si giunge ad una forma di sperimentalismo che non ha più nulla a che vedere con il movimento realista.

Il decennio 1955-65:
crisi del neorealismo, letteratura dell’industria, neoavanguardia

Intorno al 1955 il clima culturale italiano, il costume e i valori appaiono profondamente mutati per il concorso di vari fattori politici, economici, sociali.
Fatti caratterizzanti il decennio 1955-65:
1)   affermazione nel Nord del neocapitalismo industriale (“miracolo economico”), mentre disoccupazione    e sottoccupazione permangono nel Meridione . Nuove realtà e nuovi problemi
- l’industria riduce l’uomo a cosa, sempre più alienato, estraneo a se stesso
- l’intellettuale mette la cultura a servizio dell’industria, influenza la pubblica opinione, produce opere d’arte da immettere nel mercato come beni di consumo (“industria culturale”)
- si approfondisce il divario fra le generazioni a causa del rapidissimo cambiamento dei costumi e dei valori parallelo allo sviluppo della tecnologia
2)  cadono intanto i miti d’oltre cortina; il 1956 vede il processo di destalinizzazione (rivelazioni di Kruscev al XX congresso del P.C. dell’U.R.S.S. sul periodo staliniano) e la rivolta d’Ungheria (contro il regime democratico-popolare instaurato nel 1949) , stroncata dai carri armati sovietici.
- Si verifica la “crisi delle ideologie” e in particolare la crisi delle sinistre in Europa; ad essa è connessa la sfiducia nel progresso storico, che viene a coinvolgere ora una parte rilevante degli intellettuali: la storia non appare più interpretabile al di là dei semplici fatti, poiché si realizza al di fuori della volontà degli uomini, i quali non possono che assistere impotenti al fluire degli eventi di cui sono oscuri ed inconsapevoli attori: eventi che si perderanno comunque nella spirale del tempo e del nulla.
- Varie sono le reazioni, nel campo specificatamente letterario, a questa situazione:

A) Da una parte c’è la rinuncia all’impegno, lo spostarsi dell’indagine dal piano storico a quello esistenziale (inutile soffrire e lottare per i mali di oggi, il male è connaturato all’esistere): subentrano la rassegnazione come forma di saggezza, l’abbandono alla “morbida memoria”, il ritorno a moduli lirici, a toni grigi ed estenuati: è, questa, la crisi del neorealismo, rappresentata esemplarmente, se pur con mezzi diversissimi, da tre narratori: Cassola, Tomasi di Lampedusa e Bassani

 

CARLO CASSOLA (Roma, 1917‑1987), nelle sue opere: (Fausto e Anna, 1952; Il taglio del bosco, 1953; La casa di Via Valadier, 1955; La ragazza di Bube 1959; Un cuore arido, 1961; La storia di Ada, 1967; Ferrovia locale, 1968; Una relazione, 1970), si dimostra attento agli aspetti umili e giornalieri della vita, alle verità dei «cuori semplici» che accettano con dignità e senza  inutili drammi il monotono dipanarsi di giorni grigi e senza perché, le disgrazie e lutti che rientrano anch'essi nell'ordine normale delle cose. A questa diseroicizzazione a vita, espressa in una scrittura di estrema sobrietà, corrisponde la «poetica del subliminare»; per Cassola "la verità poetica non appartiene alla coscienza pratica, ma alla coscienza che sta sotto» (sub limen) ‑ e la si coglie quindi dall'interno, nelle situazioni più usuali, in gesti ed in eventi minimi, non già in fatti vistosi o in personaggi di elezione. Per questo i personaggi di Cassola (soldati, carbonai, taglialegna, ragazze di paese) sembrano presi a caso nella folla ‑ con un procedimento che, più che al neorealismo, è riconducibile  (ammette lo stesso Cassola), alla «narrativa del grigiore» dei Dublinesi di Joyce; alla luce di questa concezione di vita e di poesia si comprende la sostanza di romanzi come Fausto e Anna e La ragazza di Bube, dove un tema neorealistico (la Liberazione), è rivissuto nei suoi aspetti più dimessi, nei suoi strascichi contraddittori, talvolta banali o meschini.

Così il partigiano Bube, dopo un'effimera gloria, è coinvolto nell'immediato dopoguerra in un delitto «politico», trascinato nella estenuante «prosa» di un lungo processo, ridotto a contare i giorni e gli anni che gli rimangono da trascorrere in prigione; e la sua ragazza , Mara, dopo le fervide passioni dei primi tempi, condivide quel destino di inerte grigiore, in attesa che Bube esca dal carcere e ricominci con lei un'anonima vita. «Se un significato politico questo romanzo contiene, esso è il paradigma poetico di una generazione sconfitta, che subisce il giudizio della storia, anziché imporlo» (Pampaloni). Questa sfiducia nella storia, e insieme il venir meno della poetica dell'impegno, sono segni rivelatori della crisi neorealismo.

GIUSEPPE TOMASI Di LAMPEDUSA (Palermo 1896 ‑ Roma 1957), è noto, più che per i pur pregevoli Racconti (1961), per l'unico romanzo, Il Gattopardo (1958), che, pubblicato da Bassani,  ebbe un'enorme risonanza, e suscitò entusiasmi ma anche polemiche da parte di intellettuali come ad es. Vittorini e Sciascia, che non ne condividevano il motivo di fondo, la negazione della fiducia storicistica.

Narra la storia di una famiglia di grandi feudatari siciliani, i principi di Salina, tra lo sbarco dei garibaldini e i primi anni del Novecento. Una vicenda storicamente simile (il trapasso dai Borboni ai Savoia e i suoi contraccolpi sulla dinamica delle forze sociali, visti all'interno di una nobile casata), era già stata affrontata da uno scrittore verista, il De Roberto, nei Viceré); ma nel Gattopardo l'interesse si sposta dalla meditazione storica ad un'indagine esistenziale, per cui il trapasso dei regimi, il decadere di grandi famiglie, l'alternarsi al potere delle varie classi sociali sono sentiti come paradigma dell'umana vicenda, come corrompersi e vanificarsi nel tempo di ogni sforzo costruttivo dell'uomo. Il capo della casata, il principe Fabrizio, è sempre perfettamente consapevole, in ogni momento, di questa realtà e del destino di morte che ciascuno porta in sé e che non riguarda soltanto il singolo, ma coinvolge dinastie e regni (non a caso il romanzo si apre con la scena del macabro rinvenimento di un cadavere): per questo, impassibile e disincantato, assiste al decadere della sua casata, senza tentare minimamente di opporvisi. Diverso è l'atteggiamento del prediletto nipote Tancredi che, con l'irruenza talvolta cinica della giovinezza, cerca di salvare il salvabile: adattandosi alla nuova realtà storica, corre prima ad arruolarsi tra i garibaldini e sposa poi la bellissima Angelica, figlia di un arricchito ed espressione, con la sua prorompente salute e vitalità, della nuova classe sociale che sta avanzando. Anche Tancredi però è in fondo prigioniero di una sua immobilistica (e quindi pessimistica) concezione della storia: «Se vogliamo che tutto rimanga com'è ‑ afferma in procinto di arruolarsi ‑ bisogna che tutto cambi».

La «crisi della storia di cui si è detto trovava quindi voce ed espressione artistica nel Gattopardo ‑ col quale tornavano ad affiorare, resi attraverso preziose soluzioni formali, i grandi temi del tempo, della morte, del nulla: temi propri di quella sensibilità decadente che la stagione del neorealismo sembrava aver definitivamente dissolto.

GIORGIO BASSANI (Bologna, 1916). Le sue opere (Cinque storie ferraresi, 1956; Gli occhiali d'oro, 1958; Il giardino dei Finzi Contini, 1964; L'airone, 1968, ecc.) rispecchiano, come quelle di Cassola o di Tomasi, un giudizio negativo sulla storia che è vista, attraverso certi temi tipici (mentalità e costumi della borghesia israelitica e persecuzioni da parte dei nazifascisti), come realtà crudele da identificarsi con la vita stessa. L'uomo (che Bassani coglie  in una precisa situazione storica e ambientale) si muove in questa realtà chiuso nel guscio della sua solitudine, dalla quale solo fugacemente riesce ad evadere attraverso le consolazioni dell'infanzia, del sogno, del ricordo. Ritornano così anche in Bassani temi decadenti, espressi mediante la rievocazione memoriale, autobiografica e lirica che era stata propria dei «solariani», dai quali l'autore riprende anche l'incedere lento del racconto, il sogno d'interiorizzare i problemi attraverso un minuzioso scavo psicologico e la capacità di ricreare “aure poetiche” sfumate e lontane nel tempo. Fanno eccezione alcune delle Cinque storie ferraresi (ad es. Una notte del' 43) in cui la forte tensione civile non ha ancora ceduto all'elegia, al rapporto «segreto, dolente, privato» con la realtà.

B)  Dall’altra parte c’è la denuncia delle nuove, gravissime realtà:

 

- Alcuni autori incentrano la loro narrativa sul fenomeno della fagocitosi industriale e sulla civiltà dei consumi: è la cosiddetta letteratura dell’industria
ITALO CALVINO con “La nuvola di smog”, “La formica argentina” e altri «Racconti».

GOFFREDO PARISE con Il padrone (1965). Il protagonista accetta di diventare a poco a poco «cosa» nelle mani del padrone che lo libera da ogni responsabilità, dalla fatica di costruirsi una vita interiore e di essere se stesso.

LUCIO MASTRONARDI con "Il maestro di Vigevano" una spietata satira di costume che coinvolge sia la società del «miracolo economico” sia certa burocrazia scolastica, in un singolarissimo linguaggio italo‑pavese.

OTTIERO OTTIERI, con Tempi stretti (1957) e Donnarumma all'assalto (1959). il primo romanzo (che prende il titolo dai tempi serrati, dal ritmo di ossessiva e febbrile ripetitività della lavorazione a catena) è una vicenda di alienazione, di cui è protagonista un'operaia, Emma (“Emma lavorava in fabbrica, in mezzo agli altri, come da sola»); il secondo descrive l'«assalto» di un disoccupato, Donnarumma, ad un posto di lavoro in una fabbrica che la Olivetti ha impiantato nel Sud.

PAOLO VOLPONI, con Memoriale, 1962. [Altre opere: La macchina mondiale, 1965; Corporale, 1974; Il sipario ducale, 1975; Il  pianeta irritabile, 1978, ecc.).

Memoriale è un romanzo‑saggio in forma di diario. Protagonista è Albino Saluggia, un contadino che viene assunto in una fabbrica torinese. Egli in un primo tempo è stato un operaio separato dagli altri, ostile, quasi, ai compagni dei quali non capisce il disamore al lavoro. Soltanto dopo ha capito l'alienazione conseguente alla vita di fabbrica (“Il rumore mi rapiva… La gente non esisteva più”) e la vive in modo allucinante e ossessivo, fino a un complesso di persecuzione che gli rende nemico ogni aspetto del mondo.

- Altri mirano più genericamente alla demistificazione dei miti borghesi:
CARLO EMILIO GADDA  già aveva anticipato questa tematica, che alimenta tutta la sua opera, fin da La meccanica (1924) e dalle Novelle del ducato in fiamme (1935‑1953).

ALBERTO MORAVIA prosegue la sua analisi impietosa dei mali della borghesia ne “La noia” (1960), romanzo col quale l'autore s'inserisce nel dibattito sulla società neo‑capitalistica

- O sottolineano il venir meno dei miti populistici, della fiducia cioè nella funzione di energia liberatrice e progressista che il marxismo aveva assegnato al popolo:
PIER PAOLO PASOLINI con i suoi romanzi: Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), e con i suoi film, in parte sulla stessa tematica (Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962, ecc.) descrive la vita picaresca del sottoproletariato delle borgate romane, con un'ambigua adesione di matrice irrazionalistico‑decadente.

Si tratta di una letteratura anche questa realistica, nel senso che già precisato: cioè obiettiva, razionale, non risolta in canto. Questo realismo si diversifica però dal neorealismo del dopoguerra, per vari motivi:

1) per la disposizione con cui è affrontata la materia e che si contrappone nettamente alle fiduciose certezze post‑resistenziali;
2) per i contenuti: «questo realismo non può non insistere su certi contenuti, come per es. il sesso e il denaro, in quanto questi contenuti sono nella realtà strettamente connessi con l'alienazione (A. Moravia);
3) per la ricerca di nuovi istituti‑stilistici più adeguati alle nuove realtà che si vengono rappresentando (v. sperimentalismo linguistico di Gadda, Pasolini e, su un piano minore, Mastronardi).

C) in poesia il rifiuto della civiltà dei consumi presiede, attraverso tecniche espressive diversissime, all’opera di alcuni importanti poeti:
PIER PAOLO PASOLINI, che espresse la sua denuncia di una società consumistica e spietata in raccolte come La religione del mio tempo (1961) e Poesia in forma di rosa (1964);
VITTORIO SERENI (1913‑1983) che, dall'iniziale esordio ermetico, passò a forme via via più colloquiali fino ai più risentiti accenti di denuncia della nuova realtà sociale, degli spietati ingranaggi dell'industria neo‑capitalistica. Ricordiamo, per questa stagione poetica, Gli strumenti umani (1965) (in cui è compresa una lunga e significativa lirica, Una visita in fabbrica) e Stella variabile (1981);
FRANCO FORTINI (1917), poeta, traduttore, saggista: anch'esso ermetico nel suo esordio, poi approdato alla poesia corale d'intonazione epica, della stagione neorealista (Foglio di via, 1947), e infine giunto al disinganno: v. la raccolta Una volta per sempre (1963), dedicata prevalentemente al tempi della mercificazione dell'uomo, disumanamente appagato dai beni materiali e Paesaggio con serpente (1984): come è stato detto, il Serpente della storia: “più velenoso che tentatore»;
ANDREA ZANZOTTO (Pieve di Soligo Treviso 1921), la cui poesia parte fin dal primo tempo (Dietro il paesaggio, 1951; Vocativo, 1957) dalla scoperta del «labirinto», cioè della condizione di angoscia che è alle radici della indecifrabile esistenza umana: un'esistenza riducibile forse alla sola psiche, alla sola interiorità magmatica, in cui il reale sembra annullarsi (Esistere psichicamente, s'intitolauna lirica). Il tema della frattura esistente tra il soggetto e la realtà ritorna nelle altre raccolte (IX Ecloghe, 1961, La beltà, 1968, Pasque 1973) e si modula anche nel rimpianto dell'infanzia‑origine, di un mondo rurale arcaico e incontaminato, contrapposto ai disvalori della società tecnologica e industriale. Ma la disposizione elegiaca che presiede ai versi non esclude la volontà di uscire dal labirinto e dalla menzogna: di qui la necessità della creazione dì un linguaggio autentico, necessario a riconquistare la verità; un linguaggio concepito, sulla scorta della psicoanalisi, come modello dotato di senso autonomo, che non solo esprime l'inconscio ma lo costituisce (Pazzaglia); volto a demistificare l'idea comune del mondo, e anche l'idea dell'io come attore eroico della vita, per alludere invece «a ciò che è per noi altro, non conoscibile, alla zona insondabile della vita che dirama in noi" «Non di dei, non di prìncipi e di cose somme, /non di te né d'alcuno, ipotesi leggente, / nè certo di me stesso (chi crederebbe?) parlo" Si spiega così la disgregazione operata da Zanzotto sulla lingua convenzionale e standardizzata della civiltà dei consumi, attraverso un gioco arditissimo di combinazioni di suoni, di analogie e di simboli polivalenti, che collocano la sua poesia ‑ difficile e densissima di significati in ogni sillaba ‑ tra le esperienze culturali più incisive e drammatiche del nostro tempo.

D) In un’altra direzione ancora, la crisi del neorealismo porta ad uno sperimentalismo, che, in parte anticipato da Gadda, va sotto il nome di NEOAVANGUARDIA
Le tappe fondamentali della neoavanguardia sono:
1)la rivista “Il Verri" (1956) diretta dal Luciano Anceschi; fiancheggiata più tardi, nel 1962, dalla vittoriniana rivista «Menabò»;
2)l'antologia I novissimi (1961), curata da A. Giullani e con testi di Sanguineti, Forte, Pagliarani, Balestrini, Porta;
3)la pubblicazione, nel 1962, dell’”Opera aperta” di Umberto Eco, che teorizzava le posizioni del movimento       la pubblicazione, nel 1962, dell'Opera aperta di Umberto Eco, che teorizzavale posizioni dei movimento;
4)la costituzione, a Palermo, del “Gruppo ‘63” facente capo agli autori succitati                                                                                                                                     la cosfituzione, a Palermo, dei «Gruppo'63», facente capo agli autori succitati.

I canoni della neoavanguardia, che parte dal rifiuto dell'ideologia neo‑capitalistica e del linguaggio corrente che la esprime («tutta la lingua tende oggi a diventare una merce»), sono, in sintesi, questi:
a) data la crisi della storia e delle ideologie e la conseguente indecifrabilità del reale, unica arte attendibile è quella che trascrive la «disintegrazione dell'uomo storico» e della realtà storica ‑ registrando la realtà unicamente nella sua dimensione fenomenologica, nei suoi «oggetti», nelle sue «cose» nel suo «caos» ‑«allo stato brado, al grado zero... allo stadio di una teoria fisica» (Guglielmi) al di là di ogni giudizio storico e morale;
b) tale operazione di registrazione mimetica e neutra di quel «labirinto», che è la condizione umana, si rende possibile solo attraverso il linguaggio che, come al tempo dei simbolisti, viene così ad assumere un valore assoluto: «l'universo è considerato dalle avanguardie come un fatto essenzialmente linguistico». Ma poiché «ogni linguaggio già esistente è il prodotto di una realtà che viene contestata nell'atto stesso del suo farsi, il segno di una società con la quale i "novissimi" non vogliono avere nulla da spartire, ogni linguaggio corrente viene rifiutato, ogni parola riscattata dai significati già convenuti, e offerta allo stato «liquido». (Gianni): sigiustificano anche, alla luce di tali premesse, gli esperimenti di poesia e di musica elettronica.

Influiscono sulla neo‑avanguardia:
a) l’école du regard o del nouveau-roman o visivismo francese, il cui teorizzatore Alain Robe-Grillet sosteneva la necessità di registrare passivamente “le cose», il labirinto della realtà, senza tentare d'interpretarla (Nel labirinto, 1959);
b) il teatro di Samuel Beckett, volto a rappresentare l’assurdo, il nulla                                                                                                                                          il teatro di S. Beckett, volto a rappresentare l'assurdo, il nulla;
c) lo strutturalismo, una metodologia che studia la lingua nei suoi elementi interrelati e l'opera d'arte nel suoi elementi puramente tecnico‑linguistici, con esclusione di ogni valutazione storica ed ideologica.

In conclusione la neoavanguardia presenta alcune affinità con la cultura decadente, dalla quale però la separa una differenza sostanziale:
a) nasce come delusa reazione ad un precedente atteggiamento positivo di fronte alla realtà e alla storia, così come il decadentismo era stato in parte reazione all'ottimismo positivistico;
b) lo stato di crisi coinvolge alcuni valori fondamentali e la stessa realtà, che si presenta come enigma e caos;
c) al linguaggio, e non più alla ideologia, è assegnato il compito di prendere contatto con questa nuova realtà: la parola diventa così centro e chiave dell'esistenza.
d) una differenza sostanziale è il punto di vista da cui viene guardata questa realtà, che i decadenti (dai simbolisti agli espressionisti, agli ermetici) mettevano a fuoco, riplasmavano, riassorbivano nel crogiuolo dell'io e che le nuove avanguardie invece esprimono attraverso il naufragio dell'io: «nel mare dell'oggettività il punto di vista è quello del magma”.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20V_MATERIALI/MATERIALI_ITALIANO/LETTERATURA_PERCORSI/015_La_letteratura_fra_le_due_guerre_mondiali_fino_alla_neoavanguardia(Poesia_Neorealismo_oltre).doc

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