I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
IL NEOCLASSICISMO: il neoclassicismo ebbe luna vita in italia e in europa tra 700 e 800; il periodo di punta si colloca tra rivoluzione e impero. Esso volle essere recupero filologico del passato, affermazione di un canone estetico razionale fondato sul rigore e la purezza delle linee, ma anche ritorno all’incontaminato, all’eroico, alla semplicità della natura che l’arte classica aveva saputo esprimere. Il sommo teorico della prima stagione neoclassica fu il tedesco Winckelmann, a lui spetta il merito di aver applicato per primo il metodo storico scientifico allo studio dell’arte antica; l’antico è accolto come fatto nuovo, inedito, da assimilare e rivivere nel presente; c’è il sentimento di una perfezione antica cui ispirarsi per rinnovare l’estetica delle belle arti. Il neoclassicismo decretò il primato delle arti figurative. Letteratura e arte fanno eco spesso a gesta dell’eroe guerriero o a eventi della sua inarrestabile ascesa al potere; c’è un’ispirazione a modelli della letteratura greca e latina, letti e interpretati però in modo nuovo. Nell’ultima stagione neoclassica la classicità diviene sempre più scopertamente consolazione, conforto o riscatto di ideali traditi. La caduta di napoleone segna una cesura storica sostanzialmente invalicabile della cultura neoclassica, che cede il passo al romanticismo.
Gli esponenti principali di questo movimento sono Cuoco, Pindemonte, Monti, e per buona parte del suo percorso letterario anche Foscolo.
IL ROMANTICISMO: movimento artistico letterario che si diffuse nel primo 800 in europa; si costituì in opposizione ai principi dell’illuminismo, al primato della ragione i romantici sostituirono il valore del sentimento, della fantasia, dell’intuizione; l’esaltazione dell’identità nazionale, la rivalutazione della storia, delle tradizioni; la natura non + cm meccanismo governato da leggi fisiche, ma come un tutto vivente; il rapporto uomo natura costituisce uno dei grandi temi della riflessione romantica, una natura che non è più inerte materia offerta al dominio dell’uomo, ma che torna ad apparire infinitamente grande e misteriosa, seducente e terribile. Un alone di mistero circonda il poeta che cerca di interpretare i segni fuori di lui o di leggere quelli della propria realtà interiore. c’è inoltre un ritorno alla fede, la religione diviene anche uno straordinario propellente politico; tema dominante è quello della libertà nazionale e dei popoli.
Gli esponenti principali di questo movimento sono Manzoni, Porta, Leopardi, Giordani
LA SCAPIGLIATURA: va sotto il nome di scapigliatura un movimento letterario e artistico sorto a milano negli anni 60 dell’800; la scapigliatura si inserisce in una diffusa situazione di insofferenza culturale e politica nei confronti del governo, delle strutture sociali, della mentalità dell’italia postunitaria; in campo letterario si oppone a un manzonismo ormai depauperato e al sentimentalismo imperante nella poesia. Più che di scuola scapigliata si può parlare di un gruppo di giovani amici legati da un comune anticonformismo che li portava a rifiutare le convenzioni della borghesia contemporanea e a elaborare programmi rivoluzionari. L’insofferenza per la cultura e la società italiana contemporanea indusse gli scapigliati a cercare una patria ideale nella francia; essi avevano la tendenza a mescolare arte e vita, ad accompagnare la ricerca di moduli artistici non convenzionali con atteggiamenti biografici apertamente trasgressivi(abuso di alcool, ricorso alla droga). Gli scapigliati insistono sul contrasto ideale/reale e attingono senza risparmio ai temi macabri e orridi, decisi a scandalizzare il pubblico, mostrano interesse x qlle zone della letteratura insondate, come il sesso, la malattia, l’autodistruzione e la pazzia.
I principali autori scapigliati sono Praga, Boito, Dossi, Tarchetti
VERISMO: la narrativa verista si afferma in italia tra la fine degli anni 60 e gli anni 80 sulla base del naturalismo francese. Il verismo rispetto a quest’ultimo è accompagnato da uno sforzo teorico meno sistematico. Il verismo è intriso di pessimismo e diffidenza verso la nuova civiltà che avanza; inoltre se nel naturalismo l’ambientazione era metropolitana e proletaria, il verismo affronta vicende contadine che si svolgono nelle arretrate campagne meridionali; la lingua dei veristi è marcatamente connotata dalla dialettalità interna che sa rendere vivo e concreto il parlato dei protagonisti delle loro opere. È evidente il canone dell’impersonalità, che porta a non commentare i fatti ma ad essere osservatori neutrali e indifferenti; conseguenza immediata di tale scelta è l’eclissi dell’autore, che riproduce oggettivamente fatti, personaggi e vicende. L’osservazione dell’uomo e della società è effettuata con lo stesso atteggiamento dello scienziato di fronte ad un esperimento.
I principali autori veristi sono Verga, Capuana, De Roberto
DECADENTISMO: il decadentismo è una corrente culturale che si sviluppa nell’Europa del secondo 800; le caratteristiche che contraddistinguono i decadenti sono un individualismo, un ripiegamento contemplativo, un’opposizione antiborghese; dal punto di vista artistico si assiste ad un orientamento verso le zone oscure della nevrosi e dei comportamenti irregolari, oltre che verso malinconie, ossessioni, spinte autodistruttive, erotismo morboso, gusto dell’irrazionale; c’è un riconoscimento del supremo valore dell’arte al di là di finalità esterne. Nella concezione decadente troviamo temi come la coscienza della crisi dell’uomo, le intuizioni di una società mutata dopo le rivoluzione industriale, la difficoltà dell’uomo a riconoscersi un ruolo sociale, la disgregazione dell’individuo e l’emergere di profondità interiori.
I principali poeti decadenti sono Baudelaire, Verlaine, Mallarmè, Rimbaud, Huysmans, Pascoli e D’Annunzio.
CREPUSCOLARISMO: si sviluppa tra i primi anni del 900 ad opera di un gruppo di poeti legati dalla comune e acuta consapevolezza della crisi che la letteratura stava attraversando in quegli anni, dall’identico rifiuto della recente tradizione poetica che appariva ormai improponibile, dalla perduta fede nella capacità della poesia di incidere nella realtà. Il crepuscolarismo affonda le sue radici nello scetticismo con cui il poeta guarda alla realtà, una realtà contro cui la parola poetica non può nulla; il poeta sceglie allora di auto emarginarsi, di limitarsi ad osservare con sguardo distaccato e ironico; il poeta non è più fiducioso dei propri mezzi, non è più il poeta vate, non ha più nulla da insegnare. Tutto ciò dal punto di vista stilistico si traduce in un abbassamento del linguaggio; il lessico è comune, quotidiano, umile, e la sintassi è semplice, lineare.
I principali esponenti di questa corrente sono Gozzano, Corazzini e Moretti.
FUTURISMO: il futurismo proclama come elementi essenziali della sua poesia il coraggio, l’audacia, la ribellione, il movimento aggressivo; esalta la guerra, il militarismo, il patriottismo; propone la distruzione di musei, biblioteche e accademie; annuncia nuovi temi e soggetti di poesia, tutti legati alla modernità anche tecnologica. I futuristi assistono al processo di modernizzazione e industrializzazione che sta radicalmente modificando la società e i suoi valori, e tendono a incoraggiarlo e accelerarlo anche nei suoi aspetti distruttivi. Canone fondamentale dello stile futurista letterario e artistico è la simultaneità, cioè l’esigenza di esprimere artisticamente più fenomeni che avvengono in contemporanea; le parole vengono usate in libertà, senza legami logici o sintattici.
I principali esponenti del futurismo sono Marinetti, Buzzi, Depero, Govoni e Palazzeschi
LA VOCE E GLI AUTORI VOCIANI: la voce è una rivista che nasce nei primi anni nel 900 e affronta temi quali l’irredentismo, la questione meridionale, i conflitti del modernismo, l’educazione…una parte della rivista è inoltre dedicato al dibattito letterario. Il nuovo genere letterario condiviso da tutti i vociani è la letteratura di frammento e di introspezione soggettiva; si respinge il romanzo, rifiutando quindi l’eredità del naturalismo; si vuole esprimere il proprio disagio esistenziale e culturale e la propria esperienza moderna in uno stile drammatico, fatto di frammenti, c’è quindi una destrutturazione del reale. Un’altra parola d’ordine per i vociani è l’autobiografismo, in quanto l’unica realtà che pare percepibile e raccontabile è quella del soggetto; gli autori sono attenti non tanto a registrare eventi e e fatti concreti, ma ad analizzare problematiche intellettuali e morali
I principali autori vociani sono Rebora, Sbarbaro, Boine e Campana.
LA RONDA E I RONDISTI: a Roma tra il 1919 e il 1923 si colloca l’esperienza della ronda, la rivista fondata da un gruppo di 7 letterati accomunati da un programma culturale e letterario di ritorno all’ordine, rispetto al primo anteguerra dominato in tutta europa dall’esplosione delle avanguardie. La ronda raccoglie parecchi ex vociani ora in posizione critica verso la cultura trasgressiva e tumultuosa di quegli anni; la ronda eredita dalla voce la prosa lirico-frammentistica e il rifiuto del romanzo, ma ne riduce gli sperimentalismi linguistici e stilistici. Dalla rivista viene professato un neoclassicismo metaforico e a doppio senso, cioè non letterale e non conformista. Il leopardismo che domina la ronda segnala la nostalgia di una grande e irripetibile esperienza lirica del passato. La rivista favorisce la fortuna del frammento in prosa lirica di argomento morale o memoriale-evocativo.
I principali rondisti sono Cardarelli, Cecchi e Raimondi.
SOLARIA E I SOLARIANI: a Firenze tra il 1926 e il 1936 si colloca l’esperienza di solaria, la rivista che promosse la conoscenza di svevo e anche tozzi; ciò che caratterizza solaria e fa si che le si riconosca una responsabilità nel rilancio della narrativa è la diffusa attenzione al racconto e al romanzo, con lo sguardo rivolto verso la maggiore letteratura europea in particolare nella linea memoriale-evocativa. Solaria non propone un solo modello di letteratura e un solo genere di scrittura, ma offre un ventaglio di possibilità diverse; la narrativa costituisce l’asse di lavoro prediletto dei solariani, ma si sviluppa in modalità elastiche e varie, sempre comunque con particolare ricerca stilistico-formale. Solaria è un’officina della giovane narrativa italiana tra le due guerre, orientata soprattutto verso l’analisi e la rievocazione memoriale, in una prosa carica di effetti lirici e poetici e tendenzialmente aristocratica.
I principali solariani sono Manzini, Loria, Banti, Gadda e Bonsanti.
ERMETISMO: con il termine ermetismo si suole indicare un gruppo di poeti attivi negli anni 40 a firenze, segnalandone come fatto caratterizzante lo stile oscuro, arduo, ermetico; la poesia è vissuta con interesse anche conoscitivo ed etico, come esperienza che conduce potenzialmente all’assoluto e che ricerca purezza ed essenzialità. I presupposti culturali di questa poetica sono rintracciabili nella poesia pura e nel simbolismo metafisico; negli ermetici si ritrova una inquietante tensione verso il nulla, di cui sentono fortemente l’azzardo, così come l’azzardo verso ciò che non si può dire e verso l’assenza, essi lavorano vicino al limite di questo silenzio, ricercando nel linguaggio poetico l’assoluto e un potere salvifico e simbolico-evocativo. La poesia ermetica tende perciò a enfatizzare la parola e a caricarla di significato allusivo. L’ermetismo punta sullo sfruttamento delle capacità evocative della parola, a ciò mirano la frequente abolizione degli articoli, la scelta di termini astratti, lo scarso peso attribuito ai legami sintattici e alla struttura logica del discorso; ne deriva un clima volontariamente ambiguo e sospeso, di attesa e stupore. Ha grande rilievo l’analogia, la poesia ermetica è ricchissima di metafore fantastiche e di liberi giochi di immagine.
I principali esponenti dell’ermetismo sono Quasimodo, Gatto, Luzi e Sinisgalli.
LETTERATURA DAL SECONDO 900 AI GIORNI NOSTRI:
VINCENZO MONTI: nasce a Ravenna nel 1754 e viene subito avviato a frequentare un seminario dove acquisisce un’eccellente conoscenza dei classici latini; nel 1779 pubblica un saggio di poesie; si fece poi interprete di un componimento che decretò la sua fortuna, la prosopopea di Pericle. Monti si affaccia sulla complessa realtà politico-culturale dell’Europa con eclettismo e facilità di assimilazione; dopo la bellezza dell’universo del 1781 il poeta pubblica al principe don Sigismondo Chigi nel 1782 e i pensieri d’amore nel 1783, di registro drammatico, composto da frammenti con stretta adesione alla forma epistolare diaristica; si passa dal tono di disperazione dei primi frammenti, alle note dolenti, alle considerazioni filosofiche. Nel 1784 si colloca un altro clamoroso successo, l’ode al signor di Montgolfier; in questi anni Monti tenta anche la tragedia, nascono così l’Aristodemo, il galeotto Manfredi e il Caio Gracco. Nel 1789 la notizia della rivoluzione scuote la tranquilla atmosfera della corte romana; Monti compone un poema dalla feroce intenzione denigratoria, in morte di Ugo di Bassville. Nel 1797 si trasferisce a Milano, dove cresce l’attività di filologo e di traduttore, in particolare delle satire di persio e dell’iliade, con cui ci consegna una delle testimonianze più vitali di un’età innamorata dell’antico, un antico pieno di armonia, di forza e di grazia; è per questo che si può considerare Monti un poeta neoclassico; fu proprio la convinzione che la scuola classica non dovesse soccombere a ispirargli nel 1825 il sermone sulla mitologia, dove le belle favole antiche erano difese a spada tratta. Muore nel 1828.
UGO FOSCOLO: nasce nel 1778 e muore nel 1827. Profondamente coinvolto nelle vicende storiche e politiche del tempo, foscolo scrive due odi ai novelli repubblicani e soprattutto Bonaparte liberatore, che esprimono il risentimento e i fondati timori di Foscolo verso Napoleone. Nel 1798 esce la prima edizione del romanzo epistolare ultime lettere di Jacopo Ortis; nel primo ortis è assente il tema politico ed è centrale invece quello idillico amoroso e sentimentale; nell’ortis del 1802 alla figura del giovane sognante e innamorato si sovrappone quella assai più tragica dell’uomo deluso e tradito nelle sue speranze di rivoluzione e di libertà. Le novità maggiori stanno nello stile del nuovo ortis, drammatico, conciso, tacitiano, molto lontano e quasi opposto rispetto a quello letterario, elegante e prezioso della prima versione. Jacopo ortis, giovane veneziano di ideali giacobini, è perseguitato dalla polizia austriaca e rifugiatosi sui colli euganei conosce teresa e se ne innamora, pur sapendo che la ragazza è stata promessa dal padre a un possidente; teresa ricambia il sentimento di jacopo ma non vuole opporsi ai desideri del padre, il giovane decide quindi di partire; la seconda parte del romanzo contiene le lettere scritte da Jacopo durante le sue peregrinazioni; appresa in viaggio la notizia del matrimonio di teresa jacopo si suicida dopo un ultimo saluto alla donna amata. Foscolo trova nel capolavoro di Goethe i dolori del giovane Werther il modello principale per l’ortis. Con le poesie Foscolo tocca la maturità lirica, i 12 sonetti e le due odi lo consacrano immediatamente quale voce più alta e originale della poesia neoclassica, la raccolta è un’autobiografia eroica che culmina nella rinuncia alla poesia, una volta cadute le idealità giovanili cioè l’amore e l’impegno politico e civile. Nelle sue composizioni Foscolo si richiama ad Alfieri, a Petrarca e a Parini. Nel 1807 scrive i sepolcri, un’epistola in versi sciolti indirizzata all’amico Pindemonte; con questo carme foscolo dice che è purtroppo destino ineluttabile che il tempo distrugga ogni cosa nel suo fluire perenne, tuttavia perché l’uomo deve privarsi di una residua anche se illusoria apparenza di vita dopo la morte? Per il poeta il culto delle tombe mantiene in vita e alimenta gli affetti privati ma accende anche l’amore di patria e il desiderio di imprese valorose; l’esordio dei sepolcri ha un tono solennemente colloquiale, il discorso sembra ripiegarsi subito verso una necessaria e inevitabile conclusione negativa, ma ad essa se ne oppone una positiva. I motivi importanti del carme sono le ragioni degli affetti privati, che non si rassegnano alla morte e vedono nella tomba una garanzia di sopravvivenza, il motivo del sepolcro quale monumento nazionale, il tema della poesia che rianima ciò che è morto e riscatta le azioni eroiche della dimenticanza; è di capitale importanza la novità del linguaggio poetico, difficile e addirittura oscuro e la capacità di cambiare rapidamente tono e registro. Nel 1814 comincia la stesura delle grazie, 3 inni dedicati rispettivamente a Venere, Vesta e Pallade; nel primo si narra l’origine delle grazie e i primordi della civiltà umana, nel secondo si assiste al sacrificio del poeta alla grazie e a una ricostruzione fantastica della civiltà di Firenze, il terzo inno è riservato alla lavorazione del velo che dovrà preservare le grazie dalle insidie delle passioni umane. Foscolo fu anche traduttore, si ricorda il viaggio sentimentale, e critico, con il saggio sulla letteratura contemporanea in Italia e con i saggi su petrarca. Per quanto riguarda le tragedie scrisse Tieste, Ajace e Ricciarda. Per l’autore il rapporto vita-letteratura è sempre fortemente manipolato, foscolo altera i dati della realtà per costruire un suo alter ego in qualche modo suo portavoce ideale, si nota il proiettare costantemente nella letteratura un’ipotesi idealizzata di sé, del proprio credo.
ALESSANDRO MANZONI: nasce nel 1785 e muore nel 1873. La prima opera è del trionfo della libertà, che costituisce il primo approccio al tema della rivoluzione francese, qui l’atteggiamento del poeta è ancora positivo verso le fasi rivoluzionarie in francia; con il carme in morte di carlo imbonati manzoni avvia la consonanza tra ideale etico e storia che sarà base costante della ricerca manzoniana, la verifica nei fatti reali del proprio impegno morale. La conversione religiosa segna un punto di non ritorno per l’evoluzione ideologica, ma anche poetica e stilistica manzoniana e si riflette nel progetto degli inni sacri, che trasmettono il modello di una predicazione che comunichi per via razionale e senza appigli retorici e passionali il senso di comune fratellanza e coralità del messaggio evangelico. Con il conte di carmagnola manzoni si inserisce definitivamente nella sensibilità del romanticismo, infatti la scelta dell’impegno drammatico è perfettamente in linea con le riflessioni e gli apporti della teoria romantica; il dramma si concentra nella rappresentazione dello scontro di passioni primarie; l’ideologia dell’autore trova una sua precisa collocazione nel coro, che assume un puro ruolo di commento; sul piano lessicale si assiste ad una spinta verso la semplificazione, verso la riduzione degli espedienti retorici. Morale cattolica rappresenta l’esordio in prosa di manzoni, che analizza le ragioni dell’agire umano e i contrasti tra i diversi impulsi passionali dell’uomo; solo la lode e il rispetto della parola di dio possono imporre una regola di comportamento univoca. Gli anni 20 e 21 sono i più ricchi e vari, risalgono le 2 odi marzo 1821 e il cinque maggio, dedicato al momento della morte di napoleone, è una rivisitazione delle gesta dell’imperatore e della sua indubbia grandezza storica collocata in una prospettiva cristiana. Inoltre in questi anni è da ricordare la stesura dell’adelchi, una tragedia in cui è evidente l’impronta nazionalistica;il fatto che i protagonisti siano semplici interpreti di un disegno non determinato di cause umane, ma provvidenziali, permette a manzoni di concentrarsi più che sulle azioni, sull’analisi delle psicologie e sulla diversa reazione individuale di fronte a un destino già prestabilito. Importante è anche la storia della colonna infame, anche se l’opera più notevole di manzoni è i promessi sposi; lunga e complessa è la vicenda elaborativa del romanzo, che impegna manzoni per un ventennio circa; la scelta di prendere com protagonisti due popolani assume la funzione di chiave di accesso verso una nuova prospettiva storiografica più democratica, più cristiana e più morale; la raffigurazione del seicento lombardo permette all’autore di esaminare il ruolo civile della chiesa e del cattolicesimo. Fondamentale alla tenuta organica e unitaria del testo è l’intervento del narratore; alla scelta tradizionale del narratore onnisciente si collega anche un costante commento che provvede a orientare il giudizio del lettore; il problema della lingua viene inizialmente accantonato da manzoni, ma si impone poi la necessità di utilizzare una lingua di uso comune e non potendo reperire parole ed espressioni quotidiane nell’italiano letterario manzoni si trova costretto a giovarsi dell’apporto del francese, del latino e del dialetto milanese; ma rispetto al progetto di una lingua oggettiva e comune all’intera società destinataria dell’opera, fermo risulta una contraddizione inaccettabile; era necessario che tra le tante lingue se ne eleggesse una destinata a diventare la lingua di quella società, e tra le tante manzoni non esitava a scegliere la lingua toscana, ebbe così inizio il lavoro di riscrittura che termino nel 1840.
GIACOMO LEOPARDI: nasce nel 1798 e muore nel 1837. A partire dal 1817 leopardi cominciò ad annotare intuizioni poetiche, spunti di introspezione psicologica, riflessioni nate dalle più varie letture, brani di critica letteraria, accertamenti linguistici e filosofici e pensieri filosofici in un singolare quaderno di lavoro che egli intitolò zibaldone. I pensieri sono invece momenti di sintesi dove l dinamica della riflessione si condensa in alcune massime e assunti di ordine generale, ricorre il tema del rapporto individuo società. Leopardi scrisse anche un epistolario il cui filo conduttore era la corrispondenza con il padre. il discorso di un italiano intorno alla poesia romantica è il saggio in cui si manifesta un’idea di poesia nuova, c’è il ripensamento dell’antichità come età poetica per eccellenza, forse preclusa per sempre all’uomo moderno. Leopardi in questi anni mette a fuoco due tipi di poesia, una poesia immaginativa, quella antica, che nasce in uno stato di particolare grazia, dall’ignoranza del male e del dolore, e la poesia sentimentale che è propria di questo secolo ed è più che altro una filosofia; nell’ambito della poesia sentimentale si collocano sia la poesia delle canzoni che quella degli idilli, dove il poeta articola un discorso sulla condizione negativa in cui è confinato l’uomo moderno, dilaga quindi il suo pessimismo. Le operette morali costituiscono l’anello che congiunge le due stagioni della poesia di leopardi, esse disegnano uno scenario nuovo intorno al poeta, ormai conscio del suo malessere; c’è una dimensione nuova del pessimismo leopardiano, il pessimismo cosmico, che indica la vastità e l’assolutezza delle verità negative che coinvolgono l’uomo e la natura da sempre e necessariamente; la natura scagionata nella stagione delle canzoni da ogni responsabilità dell’infelicità umana e ora messa sotto accusa svela il suo volto terribile; le operette diventano il luogo dove leopardi può scendere in campo per esprimere la sua diagnosi della realtà e può farlo parlando con la natura, discutendo con i filosofi antichi, resuscitando i morti o usando l’invenzione fantastica per superare insormontabili ostacoli di luogo e di tempo; l’ironia di leopardi si serve di sempre diverse maschere per dar voce e volto alle sue riflessioni. Alla fine degli anni 20 assume un rilievo nuovo il tema del ricordo, il poeta non può tornare a illudersi dopo che si è rivelato il vero, può solo rivivere quelle illusioni per mezzo del ricordo e ritrovare attraverso di esso quell’io antico. Di leopardi notevoli sono anche i canti, in cui prevalgono riflessioni sulla coscienza drammatica della propria condizione di uomo moderno, della natura storica della propria infelicità, riconducibile al crollo di tutti quei valori per cui poteva essere in altri tempi utile e bella la vita. Possiamo scorgere nella storia spirituale del Leopardi una lucida e continua tendenza alla demolizione delle speranze umane, la vita gli appare avvolta dal mistero e dal dolore, che è l'unica certezza per l'uomo. Il piacere non esiste se non come pausa momentanea del male e un uscire dalla condizione di pena, mentre la vicenda umana gli appare come una inutile corsa verso il nulla, e la storia stessa è contrassegnata dal progressivo trionfo dell'infelicità. La natura, vista da lui in un primo momento come madre amorosa, gli appare in seguito come matrigna; essa, secondo il poeta, crea l'uomo ma non si preoccupa della sua felicità. L'unico conforto che può alleviare i mali della nostra esistenza è costituito dalle cosiddette illusioni, alimentate dal mostro sentimento e dalla nostra fantasia. La prima causa dell'infelicità umana è la ragione, che dissolve le illusioni e pone l'uomo di fronte alla realtà. Da questa presa di coscienza derivano la delusione ed il tedio. Si riscontrano tre momenti nello sviluppo del pensiero leopardiano rappresentati dal pessimismo individuale, storico e cosmico. A volte al poeta sembra che la sorte sia stata matrigna solo con lui, condannandolo all'infelicità nel fisico e nello spirito, alla solitudine ed all'incapacità di vivere come gli altri mentre agli altri uomini sono concesse le gioie della vita, la giovinezza felice, gli affetti, E' questa la fase del pessimismo individuale.
Altre volte, invece, appaiono in lui quelle riflessioni sulla felicità dei primi uomini che si meravigliavano e gioivano per cose semplici e furono poi resi infelici dal progresso oltre che da meditazioni personali e negative in rapporto alla storia, nelle cui conquiste il poeta non crede. In ciò consiste il pessimismo storico. Infine, a volte l'esame della condizione umana induce il poeta a concludere che a tutti è riservato lo stesso destino di dolore. A questa condizione si adeguano inoltre tutti gli elementi del creato (pessimismo cosmico). Leopardi celebra la giovinezza e la bellezza della natura e della vita, anche se con lo stato d'animo doloroso di colui che da tutto ciò si sente escluso. La sua opera si traduce perciò anche in una esortazione a non cedere al fato, ad opporre all'universo assurdo l'intatta nobiltà dello spirito.
GLI SCAPIGLIATI:
-Emilio Praga: nasce nel 1839, ebbe vita breve e sregolata, percorsa da due grandi passioni, la pittura e l’attività letteraria, morì di tisi nel 1875. La poesia di praga fu sensibilissima all’insegnamento di maestri stranieri come Baudelaire; due sono le linee dominanti del suo lavoro, realistico-idillica e realistico-scapigliata; la prima, caratterizzata da paesaggi e sentimenti delicati e stile altrettanto tenue, domina nelle poesie di tavolozza, dove l’attenzione del poeta privilegia la realtà quotidiana e la ritrae con affettuosa simpatia; ma già affiora in qualche testo una tematica inquietante o scandalosa, che diventa dominante in penombre; toni di stanchezza e inquietudine dominano invece l’ultima raccolta, trasparenze, dove la poesia si fa più frequentemente introspettiva; la lingua della poesia di praga è caratterizzata dal contrasto tra il lessico aulico e quello crudamente realistico e violento. Praga è anche autore del romanzo le memorie del presbiterio, dove raccoglie impressioni di scene e di fatti, sensazioni di luoghi e di persone; fra le commedie di praga la più nota è le madri galanti
-Arrigo Boito: nasce nel 1842 e muore nel 1918; affiancò passione musicale e letteraria; la sua poesia ha vistosi legami con la poetica scapigliata che l’autore cercò di definire nella lirica d’esordio dualismo, in cui rappresenta se stesso diviso fra luce e tenebra, dannazione e redenzione. Si può parlare di sperimentalismo metrico linguistico per re orso , una bizzarra fiaba medievale; intensa è l’attività di librettista (otello, gioconda, Falstaff), interessanti le novelle Iberia, il trapezio, il pugno chiuso, l’alfier nero.
-Carlo Dossi: nasce nel 1849 muore nel 1910. Ebbe una vita assolutamente estranea ai canoni dell’artista maledetto e invece improntata a grande riservatezza ma ricca di interessi. Le opere di Dossi sono degli scritti in prosa con una struttura eccentrica, prevale un elegante ed estroso frammentismo con vicende esili, fra i temi si può indicare una vivace disposizione memoriale dove si alternano toni lirico malinconici e ironia; la lingua dossiana accosta parole di varia provenienza quali forme italiane arcaiche o rare, lombardismi, dialettalismi, forme straniere, latinismi ma anche neologismi. L’umorismo è inteso come mezzo di ricerca e conoscenza nell’intento di cogliere ciò che sfugge. Il romanzo che lo impone all’attenzione del pubblico è l’altrieri, un libro diviso in 3 capitoli che raccoglie i ricordi dell’infanzia dell’autore; vita di Alberto Pisani si potrebbe definire il diario dell’adolescenza; c’è poi la raccolta di prosette goccie d’inchiostro, il libro la desinenza in A, e il libro amori dove alterna malinconia e umorismo
-Ugo Tarchetti: nasce nel 1839 e muore nel 1869. Si può individuare nel tema della morte il minimo comune denominatore della sua produzione, ciò vale anche per la poesia; tra la produzione in prosa si ricorda il romanzo paolina, una nobile follia. Tra i temi principali la morte, la pazzia, l’atmosfera allucinata da sogno incubo; il contrasto fra amore e morte trova la sua espressione più nota nel romanzo fosca, ci sono poi i racconti fantastici che esemplificano temi quali la reincarnazione delle anime e lo spiritismo
GIOSUÈ CARDUCCI: nasce nel 1835 e muore nel 1907. Vi è in certi comportamenti e atteggiamenti del poeta, sempre pronto a reagire con scontrosa passionalità alle vicende storiche ed esistenziali; in gioventù il suo classicismo patriottico assume colori estremistici nell’odio per il romanticismo e per l’infamissimo secolo, intedescato, infrancesato, inglesato, biblico, orientalista.
La politica ebbe il merito di schiudergli orizzonti nuovi, di fornire nuove occasioni allo sfogo di quel velleitarismo anarchico che è nel fondo del suo carattere; l’amore rivela altri aspetti della sua personalità.
Il suo stato d’animo, evasivo e sognante, costituisce il mito essenziale dell’arte carducciana . Accanto al mito ellenico, è sempre attiva nel Carducci l’adesione alla realtà in un’ottica essenzialmente naturalistica e positivistica, non estranea ai miti del tempo; L’anticlericalismo viscerale motiva la precoce e convinta adesione alla massoneria
Juvenilia; libro di iniziazione letteraria; questa prima raccolta rivela alcuni aspetti della moralità carducciana: il rigetto del molliccio e del tenerume che estenua l'ultimo romanticismo e la predilezione per le maschie forme della classicità; l'aspirazione a una vita eroica e libera, il dispregio della fiacca e corrotta società contemporanea, la nostalgia del mondo antico; il gusto polemico, ricco di humur e di pungenti staccate nello spirito della tradizione comico-realista toscana; l'interesse per la storia contemporanea; il sentimento della natura e gli affetti famigliari.
Il secondo libro, Levia Gravia mostra una varietà di temi e di toni. Toni intimistici si alternano con impennate polemiche di conclamati spiriti libertari. Nell’inno a satana è enunciata la tesi di un cristianesimo nemico delle innovazioni cui si contrappone satana come simbolo del progresso. Due raccolte centrali della sua produzione poetica sono rime nuove e odi barbare, articolate lungo la linea autobiografica e storica; in rime nuove spiccano le liriche maremmane, centrate sulla rivisitazione memoriale di luoghi, momenti ed emozioni dell’infanzia e della giovinezza; fra le odi barbare ricorrew invece il tema della fugacità del tempo e quello dell’opposizione vita-morte. L’ultima raccolta, rime e ritmi, sviluppa una poetica della malinconia, l’atteggiamento verso la morte è ora di pacata accettazione. L’etichetta di classicista propria di carducci non esclude però la presenza di spunti anticlassici, o di ascendenza romantica e decadente. Ben lontano da ogni rigidità e retorica è carducci nella scrittura privata delle lettere, in cui emerge una compresenza e una perfetta fusione di accenti personali, appassionati e persino irruenti, e di atteggiamenti e situazioni letterariamente consacrati. Per Carducci la poesia deve celebrare i più alti ideali umani, che concorrono allo sviluppo della civiltà e del progresso: la patria, la libertà, la giustizia, la bellezza, l’amore, la gloria, la fede e l’eroismo degli individui e dei popoli che combattono per questi ideali. Per questo immaginò il poeta come un grande artiere, che getta nella fiamma della fornace gli elementi dell’amore e del pensiero, e ne trae scudi per la libertà, serti per i vittoriosi e diademi per la bellezza. E la poesia non solo deve celebrare quegli ideali, ma deve esortarli e coltivarli, perché l’umanità possa ascendere sempre più in alto. Sul piano formale, inoltre, riteneva che la poesia deve avere un tono elevato, una eleganza, una purezza e un’armonia di linguaggio, che solo un lungo e severo tirocinio nello studio dei classici può fornire all’artista.
GIOVANNI VERGA: nasce nel 1840 e muore nel 1922. Cominciò a scrivere giovanissimo e l’esordio letterario avviene con i romanzi catanesi, amore e patria, i carbonari della montagna e sule lagune; dopo essere stato a lungo incerto fra teatro e romanzo verga sceglie quest’ultimo; la prima prova significativa è una peccatrice, ma il successo giunge improvviso con storia di una capinera, romanzo epistolare in cui è presente il legame con il romanzo rusticano. Verga si avvicina poi allo stimolante ambiente della scapigliatura democratica e prosegue a comporre romanzi mondani. Con la fine degli anni 70 verga ricava alcuni insegnamenti fondamentali dl naturalismo, infatti è significativo il passaggio da una visione ancora tradizionale del mondo rusticano alla definizione dei caratteri salienti del modulo veristico: la fedeltà al documento umano, presentato nudo e schietto senza che intervenga la lente dello scrittore, l’adesione al metodo scientifico e la comparsa del narratore regista tradizionale; la mano dell’artista deve rimanere assolutamente invisibile così che l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé. Notevole è anche la raccolta di novelle vita dei campi, in cui è delineato per la prima volta l’ideale dell’ostrica, cioè la riluttanza a staccarsi dal luogo natale e l’impossibilità di riattecchirvi, si delinea così anche il recupero dei valori semplici e incontaminati del mondo contadino, volutamente contrapposti ai falsi valori e alle frivolezze della società mondana; i temi vertono su personaggi del mondo contadino, non più osservati con occhio paternalistico, ma lasciati agire in prima persona e quindi in grado di esprimere la loro concezione della vita, i loro valori, le loro illusioni; altro tema fondamentale è quello del triangolo amoroso, che trova la drammatica soluzione nel duello rusticano, e quello della roba, valore sommo cui restano subordinati sentimenti e rapporti personali. Novità straordinaria è rappresentata dai malavoglia; gli aspetti chiave sono l’annullamento del narratore onnisciente a favore di un coro popolare che si incarica di presentare la vicenda, l’uso cospicuo del discorso indiretto libero; i temi ricorrenti si riassumono nella concezione dell’esistenza come lotta per la vita, che non sfocia nella vittoria bensì in un’inevitabile sconfitta, nel fallimento e nella solitudine, il permanere della tradizione e dei valori del passato, il tema della morte e del ripetersi immutabile degli eventi, in contrapposizione con il mutamento continuo che il progresso porta. l’ambivalenza della concezione verghiana della natura mostra il suo volto feroce ma compatibile con quello della spontaneità e dell’autenticità: l’utopia della pace nella serenità di una vita naturale si rovescia nell’antiutopia della guerra di tutti contro tutti. È il messaggio ultimo e decisivo del romanzo: non c’è forza umana o divina che possa contrastare il corso inflessibile della natura, modificarne in parte o totalmente il duro e pur giusto assettoà il povero, il piccolo, lo sprovveduto sono le vittime predestinate delle mene politiche dei potenti.
Degli anni 80 è la raccolta novelle rusticane, in cui la realtà rappresentata appare cupa e frammentata, un mondo in cui il progresso è illusorio e il cambiamento solo apparente, un mondo che vede gli umili soccombere non solo di fronte ai potenti ma anche di fronte a una natura sempre più maligna e implacabile. Mastro don gesualdo è il secondo grande romanzo verghiano, vi si registra una riduzione dell’indiretto libero; al centro sta la figura isolata e potente del protagonista, seguito nella sua ascesa sociale e poi nel suo fallimento; campeggia il tema grandioso e ossessivo della roba; verga rifiuta però il canone dell’impersonalità, perde centralità la narrazione affidata al coro popolare; nel romanzo domina la legge per cui ogni aspirazione al progresso si risolve inevitabilmente in fallimento radicale, mentre l’umanità ossessivamente condizionata dalla roba ne è travolta e sconvolta. Certamente il romanzo documenta il tramonto della vecchia aristocrazia agraria, sotto i colpi dei nuovi ricchi, spregiudicati imprenditori e affaristi. Nel componimento l’autore riprende e consolida questa attenta ricognizione della realtà finalizzandola alla credibilità sociale del protagonista, alla sua irresistibile ascesa di eroe della robaà la parabola di don Gesualdo ha un significato più allegorico che storico.
GIOVANNI PASCOLI: nasce nel 1855 e muore nel 1912. Le lettere ci danno l'immagine di un uomo molto solo e chiuso nella memoria indelebile della tragedia famigliare, avvertita come un enorme e invendicata giustizia; Il nido è la cifra centrale della psicologia e dell'opera poetica pascoliana; il Pascoli si piega sulla sua anima dolente ad ascoltarne la voce che parla dell'inesplicabile mistero della vita e del cosmo. Anche la natura, che egli rappresenta con puntigliosa precisione, è alla radice il correlativo simbolico di una visione sgorgante dalle zone profonde dell'io, dal magma rimosso di una psiche turbata; l'autore confida nel primordiale archetipo della natura materna costruendo attorno al mito della campagna una ben conosciuta ideologia di sostegno al rifiuto di una modernità tecnologica, utilitaristica e violenta.
per il Pascoli la poesia è nelle cose, nel vederle e scoprirle in modo sorgivo, svelandone l'essenza nascosta. Compito della poesia è di far intuire alle coscienze il tragico destino di solitudine della creatura, la sua piccolezza e miseria: di qui, verrà l'autentico amore, il perdono, la pace; la poesia è l'unico conforto dell'uomo perchè essa consente di attingere il mistero, vera fonte della conoscenza e della rigenerazione spirituale dell'umanità.
-->la sua poetica è affine a quella simbolista; l'intuizionismo mistico che ne è alla base sfonda la barriera della mera nazionalità positivistica e si sporge ormai sull'inconscio; soprattutto nel linguaggio poetico, si rivelano le sostanziali consonanze con la tradizione simbolista.
Esigenza di concretezza che motiva il sorprendente plurilinguismo del poeta il quale sperimenta non solo i termini settoriali d'ambito rurale, ma anche le forme vernacolari e popolari, la lingua aulica e addirittura il latino. Si tratta tuttavia di un simbolismo precario, soggetto ai limiti e agli equivoci della poetica stessa del fanciullino. La prima raccolta è myricae, il titolo è un’immediata dichiarazione di poetica e rivela la precisa scelta del basso, dell’umile, della quotidianità della vita bucolica; i temi che incontriamo in questa raccolta sono il tema della morte, del nido distrutto, di una natura benevola e rappacificatrice, dell’infanzia come momento sereno ma anche come rifugio. I canti di Castelvecchio sono invece più lunghi, si attenua il frammentismo; anche quest’opera è attraversata dal motivo del lutto; erano nel frattempo usciti i poemetti, con cui non si ha più una rappresentazione frammentaria del mondo contadino bensì quella epica e narrativa. Segue l’uscita dei poemi conviviali; il pascoli poeta vate che riconosce alla poesia una missione civile è invece rappresentato dal volume odi e inni. Per pascoli il poeta è colui che è capace di cogliere al di sotto delle apparenze la misteriosa realtà delle cose, colui che sa esprimere la parola che tutti avevano sulle labbra ma che nessuno avrebbe detto; questa sua concezione si fonda su una straordinaria fiducia nella parola e nella sua capacità di cogliere ed esprimere il vero. Importante è la prosa il fanciullino, in cui pascoli identifica la dimensione ingenua e autentica che sopravvive in ogni adulto; il fanciullino è colui che sa scoprire nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; il poeta, l’adulto che riesce a dare spazio al bambino, è chiamato a vedere nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose, più insolite con uno sguardo capace di illuminare la realtà di cui solo lui sa cogliere l’essenza; da una parte dunque egli ritiene che il fanciullino sia presente in ogni uomo, dall’altra finisce per riconoscere al solo poeta la capacità di dargli parola. Pascoli ricorre a una lingua inedita, sceglie il fonosimbolismo e l’onomatopea, che semantizza, vie è poi l’utilizzo del dialetto e di lingue speciali. Inserendosi in una linea di pensiero che dal romanticismo va al decadentismo
GABRIELE D’ANNUNZIO: nasce nel 1863 e muore nel 1938. Si è cimentato in tutte le forme e i generi, dalla lirica al romanzo, al teatro, alle novelle, dalla prosa di memoria e di introspezione alla prosa politica. Il riferimento culturale più utile per capire d’annunzio è l’estetismo, cioè la tendenza a separare l’arte dall’esistenza corrente dandole un valore superiore, e il desiderio che anche lo stile di vita dell’artista sia di squisita qualità; la sua scrittura procede secondo le più aggiornate esperienze europee; il suo stile è elevato e nobile, dominato anche in prosa da volontà di ritmo e musicalità, il lessico è aulico e arcaico, raramente si abbassa al quotidiano. Il suo primo romanzo è il piacere, di gusto simbolista decadente, con un intreccio erotico scandaloso e drammatico e lo stile è prezioso; si ricorda poi il romanzo l’innocente, la raccolta delle elegie romane, e il poema paradisiaco, con cui si ha il passaggio ai temi della bontà e della pietà, il ripiegamento introspettivo, le malinconie di amori prossimi a spegnersi o comunque dolorosi. Vi è poi il romanzo il trionfo della morte, il romanzo le vergini delle rocce. Insieme con la carriera politica l’autore avvia quella teatrale, sogno d’un mattino di primavera, la città morta ne sono un esempio; vanno infine ricordati il romanzo il fuoco e i tre libri delle laudi, maia, elettra e alcyone. L’ultimo romanzo è forse che si forse che no; con le prose narrative, di memoria e di diario intitolato le faville del maglio si apre una nuova fase nel lavoro dannunziano, l’affermarsi della prosa lirica, fase conosciuta con l’aggettivo di notturna perche l’indagine dell’ignoto si esprime in modi sottili favoriti dal mistero della notte; lo stile è privo di costruzione romanzesca ed è concentrato sul proprio io interiore e sui segeti nascosti sotto le cose
La poetica dannunziana è l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Del D’Annunzio in particolare si può dire che egli aderì soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico, si denota un rigetto della ragione come strumento primario di conoscenza e fondazione di valori spirituali, l’abbandono delle suggestioni del senso e dell’istinto come mezzo per porsi in diretto contatto con le forze primigenie della natura-vita. La poesia diviene per D’Annunzio scoperta dell’armonia del mondo; D’Annunzio assimilò le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo, come l’estetismo, il sensualismo, ma ignorò il dramma della solitudine umana e dell’angoscia esistenziale, ha un temperamento sensuale, e perciò ha una percezione egoistica, orgogliosa e arrogante della solitudine, derivata dalla consapevolezza della eccezionalità della propria persona, che lo spinge ad affermare la propria supremazia sugli altri, a conquistare il dominio del mondo. Gli aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono L’estetismo artistico cioè la concezione della poesia e dell’arte come creazione di bellezza, l’estetismo pratico ossia che anche la vita pratica deve essere realizzata in assoluta libertà, al di fuori e al di sopra di ogni legge e di ogni freno morale, il gusto della parola, scelta più per il suo valore evocativo e musicale che per il suo significato logico, il panismo, ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto, a dissolversi e ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura, astri, mare, fiumi, alberi.
GIAN PIETRO LUCINI: nasce nel 1867 e muore nel 1914. La parte più significativa della sua personalità si manifesta nella produzione saggistica contenuta nel volume che venne pubblicato nel 1908 Il verso libero. L'idea che egli ebbe del movimento simbolista fu alquanto generosa ma confusa. Egli infatti comprese le innovazioni formali che gli autori francesi avevano introdotto e cercò di separarle dai contenuti di gusto decadente opponendo a Gabriele D'Annunzio e al futurismo, i valori etico-formali di Giosuè Carducci e Ugo Foscolo senza però riuscirci completamente. Nel 1894 esce la sua prima raccolta poetica, Il libro delle figurazioni ideali e nel 1898 la sua seconda raccolta con il titolo Il libro delle immagini terrene, che risentono della letteratura parnassiana e simbolista francese.Lucini rifiuta la purezza linguistica e mescola l'eloquio alto e basso senza differenze. Nelle scelte linguistiche, come nella tematica, si avverte una certa eredità dalla Scapigliatura con il gusto di una certa macabra stranezza e con l'esasperazione di antichi modelli romantici. In Revolverate il poeta espone i principi della sua opera, come lo "sdegnoso rifiuto di prosodia" e il mito della "rivendicazione". nell 'opera, I canti d'angoscia, di sprezzo e di livore, sono rappresentati i vizi che Lucini considera i peggiori come l'"ipocrisia", la "falsa modestia", il "larvato corrompere", l'"impostura", l'"universale vigliaccheria", tipici della società borghese. La scrittura luciana fa ricorso a tutti i modi della satira per dichiarare il disprezzo, l'amarezza, il risentimento sociale per il militarismo e il filisteismo borghese. Lucini osserva la realtà popolata da "carogne sociali" e riprende un tema già trattato, quello della prostituzione interpretata come esempio della mercificazione dei rapporti umani nella società della Belle Èpoque e coglie l'occasione di una canzone, la Canzone delle prostitute, per accusare la borghesia di ipocrisia in fatto di sessualità. Tra i testi più riusciti vi è il lungo poemetto filosofico Per tutti gli Dei morti e aboliti dove Lucini propaganda il suo credo laico con le parole "Dio è in Noi".
ANTONIO FOGAZZARO: nato e morto a Vicenza (1842-1911), laureato in legge, frequentò a milano per qualche tempo gli ambienti letterari soprattutto quelli scapigliati. Esordì nel 1874 con il poemetto Miranda, seguito dai versi Valsolda, malombra, il mistero del poeta, piccolo mondo antico, piccolo mondo moderno, il santo e leila. Nella sua non facile ricerca di una mediazione tra istanze moderniste, posizioni di cattolicesimo liberale e ortodossia, fogazzaro non piacque né ai cattolici, né agli anticattolici, né ai conservatori né ai democratici; fu però gradito al pubblico colto e borghese che egli stesso ritraeva. Dietro il suo linguaggio sostanzialmente semplice e puritano sta un forte erotismo represso, capace di attirare lettori e lettrici. Si può notare che nel sistema narrativo di Fogazzaro è sempre presente il motivo della propaganda cattolica, anche se contrastato in ogni romanzo da forze varie; molto frequente è poi la rappresentazione delle contese ideologico-politiche; l’amore è spesso un sentimento casto e mistico che s’esalta nel sacrificio, oppure una forza fatale e delirante, o una passione prioibita. Altro tratto tipicamente fogazzariano è la vibrazione sentimentale del paesaggio, dove si proiettano esaltandosi gli stati d’animo dei personaggi
ITALO SVEVO: nasce a Trieste nel 1861 e muore nel 1928. Si deve a Svevo un forte rinnovamento che investe in particolare il romanzo, in quanto contribuisce a superare il naturalismo ormai in crisi; è fondamentale l’influenza di Darwin, da cui derivano il concetto di lotta per l’esistenza, l’interesse per l leggi della selezione naturale e l’idea centrale dell’inettitudine dell’uomo, che Svevo vede con radicale pessimismo, inevitabilmente costretto a una ricerca senza sbocchi e senza speranza. Svevo tende a oltrepassare l’eredità naturalistica, rifiuta alcuni dei principali canoni, come quello dell’impersonalità e del narratore onnisciente. Ci sono alcuni caratteri comuni un po’ a tutti i suoi testi: la figura centrale dell’inetto, l’uomo novecentesco incapace di ritagliarsi un ruolo adeguato all’interno di una società alienante; un secondo elemento portante di testi sveviani è la scrittura analitica e problematica, in primo piano balzano non gli avvenimenti reali ma la lettura che di essi fa la coscienza del protagonista, tale analisi non è mai priva i una finissima ironia che spesso sfocia nell’autoironia. Un segno ulteriore della modernità sveviana è rintracciabile nella concezione della malattia come carattere distintivo dell’intellettuale che non voglia piegarsi al buon senso comune. La prima prova narrativa importante è l’assassinio di via bel poggio, il primo romanzo è una vita, il secondo è senilità che sottolinea l’inerzia, la noia di sé, l’atteggiamento rinunciatario del protagonista; il terzo romanzo è la coscienza di Zeno, la storia di un trauma inconfessabile e inconfessato, ma allo stesso tempo la denuncia dei limiti della psicoanalisi, non come diagnosi ma come possibile terapia. Svevo si dedicò anche al teatro, in particolare si ricordano 3 commedie, le ire di Giuliano, un marito e la rigenerazione. Negli ultimi anni fra i testi pubblicati uno di più interessanti è il lungo racconto corto viaggio sentimentale
LUIGI PIRANDELLO: nasce nel 1867 muore nel 1936. Comincia a dedicarsi al romanzo quando sono ancora attivi gli autori veristi e apparentemente le sue prime opere sembrano inscriversi appunto in questo filone, ma ben presto è chiaro che la somiglianza è più esterna che sostanziale, è già in atto una rottura della linearità del racconto; i temi centrali sono probanti dell’antinaturalismo, la continua riflessione sull’identità in crisi, sullo sdoppiamento, sulla follia, sul contrasto realtà apparenza, l’irrimediabile solitudine, l’indagine continua dell’interiorità sdoppiata e ingannevole, l’illusorietà dei valori religiosi politici e dell’assetto sociale. L’esordio pirandelliano è duplice, in versi con varie raccolte, e in prosa con le prime novelle; si passa dai moduli veristici delle prime raccolte allo psicologismo amaro, all’umorismo lucido e disincantato, alla presenza del mito e dell’inconscio fino al limite del surrealismo; la struttura stilistica si modifica gradualmente, l’ordine delle novelle non è mai cronologico, deve riprodurre la casualità e la caoticità del reale; i protagonisti sono uomini e donne senza qualità che si aggirano in una sorta di labirinto da cui solo la pazzia o la diversità li può liberare. L’approdo al romanzo si ha con marta ajala, segue il turno, ma la consacrazione letteraria giunge con il terzo, il fu mattia pascal, con il quale pirandello chiude definitivamente con naturalismo e verismo. Nel saggio sull’umorismo vi si afferma che la nuova arte umoristica deve scaturire dalla percezione dell’insanabile contrasto tra la realtà e le affettuose illusioni di cui gli uomini l’ammantano,il saggio propone un radicale anticlassicismo; la stagione di pirandello romanziere continua con i vecchi e i giovani, un romanzo storico che sviluppa un’analisi sociologica della crisi; il quinto romanzo è suo marito, noto anche si gira, un’opera di straordinaria attualità che smitizzando il falso progresso della società industriale ne dimostra in pieno l’alienazione, la frenesia, la falsità; con questo romanzo si approda alla struttura diaristica e monologante. L’ultimo romanzo è uno nessuno centomila, il romanzo più amaro di tutti, profondamente umoristico e di scomposizione della vita. L’attività teatrale occupa in maniera sempre più esaustiva l’autore, il primo dramma è l’epilogo, si passa poi dal dramma naturalistico a quello umoristico, come così è se vi pare; il passo successivo è quello in cui viene messa in scena non più la vita ma il teatro stesso, è il teatro nel teatro di cui si ha un esempio in sei personaggi in cerca d’autore. L’ultima fase della produzione teatrale pirandelliana vede la novità di una trilogia del mito, che tende sempre più decisamente allo sperimentalismo; le tre opere che la compongono sono la nuova colonia, lazzaro e i giganti della montagna. Nel teatro di pirandello si ritrova la spietata analisi delle incongruenze e contraddizioni del mondo, la decisa conferma dell’impossibilità per l’uomo di strapparsi di dosso la maschera che gli altri gli impongono, la conseguente scelta della follia come ribellione al condizionamento sociale; per quanto riguarda la lingua si denota un’alternanza tra dialetto e lingua che testimonia la volontà di non rinunciare a aciò che è vivo nei vari dialetti, ma nello stesso tempo l’esigenza di ottenere un pubblico più vasto di quello unicamente dialettofono.
FEDERIGO TOZZI: nasce nel 1883 e muore nel 1920. È un autore difficile sia per l’inquietante intreccio dei contenuti sia per lo stile, originalissimo, spesso visionario ed espressionistico, ma anche secco e arido, ricco di termini toscani arcaici o popolari; a Tozzi spetta un posto di grande rilievo nella storia letteraria del primo 900 per la liquidazione del naturalismo e la collaborazione alla nascita del romanzo moderno, eppure Tozzi continua ad essere poco noto al grande pubblico. Tozzi si accostò con grande interesse alla psicologia sperimentale del secondo 800. Le opere principali sono il capolavoro con gli occhi chiusi, tre croci e il podere, l’intensa raccolta di poesie bestie, il romanzo diario ricordi di un impiegato e molte delle bellissime novelle; l’operetta bestie è un singolare raccolta di brevi prose, si era in periodo di pieno frammentismo legato alla cultura della rivista fiorentina la voce, e bestie sembra adeguarsi al gusto vigente, lirico e antinarrativo. I romanzi sono ambientati nella Siena natia e vedono in azione un’umanità frustrata e delusa nella quale predominano sentimenti negativi; Tozzi è di formazione cattolica ma la sua visione del mondo è disperatamente laica, i suo pessimismo non prevede conforto e riscatto; Tozzi ritrae un’umanità cupa e priva di luce paragonata spesso ad animali. Nelle descrizioni fisiche appartiene senz’altro alla moderna cultura espressionistica, l’autobiografismo è costante. In con gli occhi balza in primo piano la dimensione misteriosa e oscura dell’inconscio; il podere conserva forte fedeltà autobiografica, on lo si può definire di taglio naturalistico, presenta valenze simboliche, ma non è neppure governato strutturalmente e stilisticamente dalla logica deformante e diversa dell’inconscio; la narrazione propone il desolato quadro generale della solitudine e dell’orfanezza umana secondo quella tragica linea della crudeltà. Restano in tutta la produzione tozziana la forza minacciosa e oscura di nevrosi assillanti, la carica distruttiva e autodistruttiva di uno sguardo pessimistico e spietato gettato su una realtà universalmente nemica, il peso di sentimenti negativi, la folla di inetti, di vili, di deformi, di sopraffattori e sopraffatti, ritratti in uno spazio immobile e maligno
GIUSEPPE UNGARETTI: nasce nel 1888 e muore nel 1970. L’esordio poetico di Ungaretti risale al 1915quando pubblica le sue prime poesie sulla rivista lacerba; l’anno successivo con la pubblicazione del porto sepolto inizia la sua prima raccolta, l’allegria; la seconda raccolta, sentimento del tempo, esce nel 1933. La realizzazione poetica è favorita dall’incontro con una vicenda storica traumatica, la prima guerra mondiale, vissuta in prima persona dal poeta soldato; nella guerra l’uomo sente la presenza costante della morte; una condizione esistenziale così scarnificata trova espressione in una lingua altrettanto essenziale e in una metrica frantumata, fatta di versicoli che spesso coincidono con una sola parola spoglia e nuda, come nudo si scopre l’uomo nel dolore della guerra. Ungaretti abolisce quindi la rima, dà rilievo a parole prive di pregnanza semantica che isolate nel verso assumono un nuovo e insospettato significato, abolisce la punteggiatura e i nessi logici; lo spazio bianco diventa inoltre dominante nella pagina, quasi a sottolineare l’importanza delle pause e quindi il rilievo delle pochissime parole che interrompono il silenzio. Nella prima raccolta, allegria, il titolo vuole alludere alla volontà di superare il pesante senso di sconfitta ricominciando vitalmente da capo, con inesauribile determinazione; l’obbiettivo è conquistare il massimo di essenzialità e di assolutezza espressiva e semantica. Lo stile ungarettiano risulta per lo più evocativo e altamente suggestivo; luogo e data di composizione trasformano il volume in una sorta di diario della guerra e di biografia in versi del poeta soldato; in questo volume Ungaretti sembra voler coniugare poesia come assoluto, poesia come biografia e poesia come fatto tecnico; così la guerra si presta a cogliere nel frammento della vita individuale il legame di fratellanza tra gli uomini che partecipano della stessa realtà. Sentimento del tempo invece è stata spesso letta come un ritorno all’ordine, spiegabile con il nuovo clima culturale del dopoguerra; il recupero della tradizione si traduce anche sul piano formale nella scelta di una sintassi che si fa più complessa, in un lessico più ricco e prezioso; la riflessione del poeta si apre a temi universali e mitici quali l’innocenza e la colpa, il peccato, la morte e l’esilio. La terza raccolta, il dolore, comprende le accorate poesie scritte per la morte del figlio; la tematica religiosa prosegue nella raccolta la terra promessa.
RICCARDO BACCHELLI: nasce a Bologna nel 1891 da una famiglia alto borghese; collaborò alla voce e fu tra i fondatori della ronda; morì nel 1985. Notevole è già il primo romanzo, di formazione, il filo meraviglioso di Lodovico Clò, cui seguì lo sa il tonno, una sorta di narrazione satirico-allegorica. Esordisce come poeta con i poemi lirici, una singolare autobiografia lirica di stampo vociano e di taglio narrativo. Si trovano poi varie raccolte classicheggianti tra cui amore di poeti, o versi e rime; al romanzo storico approdò nel 1927 con il diavolo al Pontelungo, seguirono mal d’Africa, il mulino del Po. Un altro filone sperimentato fu quello del romanzo coniugale, degli esempi sono la città degli amanti, afrodite un romanzo d’amore; scrisse inoltre romanzi di soggetto biblico, romanzi satirici; le sperimentazioni dentro il romanzo sono molto vivaci, ma sempre nel rispetto della tradizione, con naturale propensione al realismo, al quadro storico, e sempre con un certo ironico distacco. Bacchelli si dedicò inoltre al teatro, alla saggistica, alla biografia; egli rivela un gusto sontuosamente classico ed erudito, con un linguaggio che si avvale di arcaismi e tecnicismi, dialettalismi e vocaboli dotti.
MASSIMO BONTEMPELLI: nasce a Como nel 1878 e morì a Roma nel 1960. Poeta in giovinezza, dopo un iniziale classicismo, nel 1916 con la raccolta di poesie il purosangue si avvicina ai modi futuristi; due sono i romanzi paradossali di ispirazione futurista, la vita intensa e la vita operosa. Tappa importante fu la fondazione della rivista 900; molto intensa è anche l’attività teatrale, di cui si ricorderanno in particolare le estrose commedie nostra dea e minnie la candida. Per Bontempelli si può parlare di un avanguardismo distruttivo, scettico, giocato sui registri di parodia e destrutturazione ludica, con l’intento di demistificare il romanzo naturalista; i romanzi dell’autore risultano leggeri, anti lirici, anti psicologici, e anti intimistici. Egli definisce il proprio lavoro come realismo magico; non mancano forti punti di contatto con la poetica del suo grande amico Pirandello, e in particolare con il tema chiave di apparenza/realtà e maschera/identità; bontempelli vuole raccontare il sogno come fosse realtà e la realtà come se fosse sogno.
GIANNA MANZINI: nasce a Pistoia nel 1896; si forma nell’ambiente di Solaria e muore nel 1974. Acutissima nella perlustrazione del mondo interiore e memoriale, si distingue per uno stile estremamente lavorato, spinto talora fino al virtuosismo; il primo romanzo, tempo innamorato, è un’indagine al rallentatore di un amore infelice; si ricordano poi il romanzo lettera all’editore, il romanzo lirico la sparviera, ritratto in piedi. Il modello dell’autrice è Virginia Woolf, prediletta per l’estrema sensibilità e acutezza dello sguardo che dà rilievo a particolari in apparenza insignificanti; la narrazione della Manzini è frammentata e procede attraverso la combinazione di eventi interiori e di soprassalti emotivi
ANNA BANTI: nasce a Firenze nel 1895 e dal 1937 si dedicò alla narrativa, si forma nell’ambiente di solaria e morì nel 1985. Esordì con un racconto autobiografico, itinerario di Paolina; le numerose opere succesive si dividono fra il racconto e il romanzo. Scrittrice sofisticata e raffinata la Banti è attenta al sondaggio della condizione femminile; due sono le suggestive biografie fantastiche, Artemisia e camicia bruciata. Nell’autrice si può ritrovare un intreccio tra il romanzo a sfondo storico, la biografia romanzata e la ricostruzione fantastica; indaga i minimi segnali occulti e in apparenza divaganti per reinventare il passato con la libera finzione narrativa.
EUGENIO MONTALE: nasce nel 1896 e muore nel 1981. La prima raccolta poetica è ossi di seppia, in cui la poesia non ha nessuna verità, ma si limita a registrare la profonda angoscia del poeta, la sua disarmonia con il mondo, il suo male di vivere, talvolta si intravede una possibilità di salvezza ma è una possibilità vaga; se la realtà osservata si rivela frantumata e sfuggente, il linguaggio poetico chiamato a rappresentarla deve essere al contrario preciso ed esatto. La seconda raccolta è le occasioni; se negli ossi il poeta dialogava solo con il mare o con un tu generico, or cerca interlocutori reali, concreti, l’interlocutrice prediletta è una figura femminile; nelle occasioni domina la ricerca di ciò che può costituire un’eccezione alla negatività, la ricerca del fantasma che ti salva. La terza raccolta è la bufera e altro, in cui la storia entra con tragica violenza nella poesia monta liana, la seconda guerra mondiale diventa cupo sottofondo; la guerra conferma e accentua il rapporto critico e disarmonico con la realtà, concepita come assurda irrazionale e in interpretabile. La seconda stagione poetica monta liana inizia con satura, del genere del diario poetico; il titolo satura allude alla vena satirica che percorre la raccolta e allude pure alla varietà di metri e di temi; in questa nuova stagione il lessico tende al basso, è un lessico quotidiano, antilirico.
ELIO VITTORINI: nasce a Siracusa nel 1908 e muore nel 1966. Vittorini e Pavese furono considerati nel dopoguerra i maestri e i profeti della letteratura impegnata e neorealistica; ma la qualità del loro realismo non è sociale, ma lirico-simbolica, con evidenti richiami alla cultura decadente, surrealistica e psicanalitica-->attivo in entrambi il mito dell'America come luogo della libera, vitalistica avventura esistenziale.
Vittorini vive a Firenze sia l'esperienza del fascismo populistico-rivoluzionario del “Selvaggio” e del “Bargello”, sia quella raffinata di “Solaria” e di “Letteratura”; le due componenti della cultura di Vittorini corrispondono alla duplice polarità della sua arte, oscillante fra istanze realistiche e simboliche, storiche e mitiche, ideologiche ed esistenziali: istanze che solo in Conversazioni in Sicilia trovano un perfetto equilibrio; nei racconti di Piccola borghesia emerge il motivo tipico del vitalismo e in particolare di quello avventuroso e euforico dell'adolescenza, caro alla letteratura solariana: motivo che è al centro del primo romanzo, Il garofano rosso, pubblicato a puntate su Solaria.
I due piani su cui si articola il romanzo, politico-ideologico e sentimentale-avventuroso, restano giustapposti; e lo squilibrio è accresciuto dalla costruzione sperimentale del racconto, con inserti di lettere e di pagine diaristiche. La tematica sociale si accentua in Erica e i suoi fratelli, romanzo incompiuto che s'incentra sulle penose vicissitudini di una bambina la quale, abbandonata dai genitori, deve provvedere ai fratellini e decide con grande dignità di prostituirsi.
Conversazione in Sicilia è il romanzo più bello di Vittorini, quello che meglio di ogni altro esprime il tema della condizione umana offesa. Il ritorno ai motivi impegnati della Resistenza mal si compone, nel realismo programmatico di Uomini e no, con un'artificiosa scrittura lirico-oratoria; i personaggi vorrebbero essere realistici e simbolici a un tempo, ma riescono alquanto sforzati.
Né più convincente risulta Il Sempione strizza l'occhio al Frejus che pur ritorna al modulo del realismo lirico del capolavoro, con intenti troppo scopertamente allegorici. In Le donne di Messina Vittorini tenta la strada del racconto utopico-messianico; negli ultimi due romanzi, Vittorini riprende la tematica siciliana e il viaggio iniziatico alla riconquista della dignità e della libertà. Ma oramai da tempo Vittorini è soprattutto impegnato, dopo l'esperienza del “politecnico”, nell'attività critica e manageriale come direttore del “Menabo” e di importanti collane; le sue riflessioni letterarie sono raccolte nel Diario in pubblico e in Le due tensioni.
CORRADO ALVARO: nasce nel 1895 e muore nel 1956. Stilisticamente vicino al raffinato ambiente di solaria; dopo un giovanile esordio poetico, iniziò a dedicarsi alla prosa con il romanzo sperimentale l’uomo nel labirinto e con i racconti l’amata alla finestra, ma l’opera più nota è gente in aspromonte, racconto lungo che fonde la descrizione realistica delle condizioni di vita contadina nelle aspre lande calabresi con la rievocazione nostalgica di un favoloro mondo arcaico. Il tono predominante è magico-lirico, e i modi naturalistici sono riletti alla luce delle esperienze novecentesche europee. Seguiranno poi altre prove narrative di vario genere, materiali di diario intellettuale e privato, una trilogia narrativa, un romanzo fantastico, novelle e opere teatrali.
CESARE PAVESE: nasce nel 1908 e muore suicida nel 1950. Realismo e simbolismo sono i due nuclei su cui pavese lavora sempre nel corso della sua carriera, se da un lato si conserva fedele all’impianto della realtà, non arriva mai però a una lettura documento, tutt’altro, infatti in lui è molto attiva l’interpretazione metaforica e simbolica della realtà. Il suicidio è il tragico suggello di una vita e di una vocazione artistica poste sotto il segno angoscioso di un esistenziale essere per la morte che accompagna Pavese nel suo breve tragitto terreno. Tutti i sintomi di una logorante malattia psichica, l’inadeguatezza al reale, l’incapacità di comunicare con gli altri, l’impossibilità di un rapporto normale con la donna, la ricerca frustrata della felicità, la solitudine, sembrano riproporre per Pavese la sveviana figura dell’ “inetto” alle prese con nuovi e impossibili doveri. Pavese proiettò il proprio lacerante conflitto interiore su un immaginario mitico incentrato su due archetipi contrapposti, la città e la campagna.
Dalle riflessioni sul mito Pavese ricava e propria poetica fondamentalmente antistoricistica e irrazionalistica che caratterizza tutta la sua opera; i miti sono universali fantastici radicati nell’inconscio e risalenti all’infanzia e ai suoi luoghi unici assolutizzati dal ricordo e trasfigurati in simboli dell’esistenza; la città rappresenta lo spazio della mancanza, della solitudine e dell’alienazione, dell’emarginazione. La campagna esprime a un tempo la pienezza esistenziale, sia come luogo del selvaggio, dell’istintivo e del dionisiaco, sia come archetipo materno. Il carcere traspone narrativamente l’esperienza del confino a Calabro nella vicenda di un intellettuale che in realtà è travagliato da problemi non politici ma esistenziali, sullo sfondo di un paesaggio meridionale ferino, selvaggio, dal quale a stento il protagonista si libera in uno stoico esercizio di isolamento. La tematica esistenziale è ben altrimenti approfondita nei romanzi brevi La bella estate e La spiaggia. Le opere più mature dell’ultimo Pavese sono: La casa in collina e La luna e i falò. La conclusione riconferma il messaggio di tutta l’opera di Pavese: l’irrisarcibile solitudine della condizione umana. Le ultime poesie, identificando gli archetipi ancestrali dell’amore e della morte nella terra, non potranno che ribadire questo approdo pessimistico.
Pavese ha una forte consapevolezza del valore tecnico-espressivo della narrazione; si ha la concentrazione del racconto su pochi temi. Ciò corrisponde a quella poetica del simbolo che nei testi di più alta suggestione poetica e in particolare in La luna e i falò, valorizza il senso in una trama di corrispondenze nascoste sotto la superficie del discorso narrativo. L’arte di Pavese è simbolica, attenta a ricreare una rete sottile di metafore un particolare ritmo lirico.
IGNAZIO SILONE: nasce nel 1900 e muore nel 1978. La sua produzione prende avvio dal romanzo fontamara che con pane e vino e il seme sotto la neve, costituisce una sorta di trilogia di denuncia dello sfruttamento e delle ingiustizie perpetrate ai danni delle classi popolari. Lo stile lineare e concreto rimanda a vecchie narrazioni orali e popolari; è evidente l’evangelismo socialista perseguito sa Silone in forme fin troppo esibite e proclamate; la prova migliore è forse l’avventura di un povero cristiano
ALBERTO MORAVIA: nasce a roma nel 1907 e vi muore nel 1990. La sua abbondante produzione narrativa incontrò attenzione e successo in italia e all’estero; rappresentò per il grnde pubblico una figura di riferimento culturale. L’esordio avvine nel 1929 con gli indifferenti, un romanzo compatto, dall’intreccio fosco e complicato, dallo stile opaco e grigio; il testo rivela la presa di coscienza della crisi della classe borghese, lo svelamento della corruzione profonda e della crisi di valori del mondo borghese, che risultano antitetiche ai valori proposti dal cristianesimo e divulgati dalla propaganda fascista. L’inganno, il tradimento e la falsità tipici delle istituzioni sociali e familiari sono rispecchiati in strutture romanzesche meccaniche. Nella sua vasta produzione ricordiamo romanzi come le ambizioni sbagliate, la mascherata e la disubbedienza; alla fase romana appartengono la romana e la ciociara, in cui i protagonisti sono spesso gli emrginati. Moravia ha sempre amato definirsi un esponente del realismo critico, capace di assumere come tematiche dominanti il carattere osceno, misterioso, indecifrabile, assurdo della realtà, l’alienazione, di perlustrarne con lucida obbiettività il groviglio e le contraddizioni.
MARIO SOLDATI: nasce a torino nel 1906, si laurea in lettere; è tra i primi intellettuali a farsi coinvolgere dalla produzione televisiva; muore nel 1999. Nel 1929 l’esordio con le novelle salmace, tra i primi scritti ricordiamo inoltre america primo amore, la verità sul caso motta, lettere da capri, le due città; notevoli i due volumi di diari, un prato di papaveri e lo specchio inclinato. La narrativa di soldati è caratterizzata da grande limpidezza e sobrietà formali, spiccata vitalità ed estroversione; in realtà la chiarezza formale e la trascinante passione di vivere racchiudono una materia di sottile indagine psicologica esercitata in particolare sull’ambiguità dell’io e sul difficile e conflittuale gioco delle relazioni umane; spesso la vicenda non arriva a una soluzione portando a una suggestiva sospensione del giudizio; la possibilità ha sempre la meglio sulla verità. Soldati si conserva agilmente legato alla tradizione realistica del romanzo borghese, con uno stile sicuro, sciolto e cristallino, eccellendo nella misura del romanzo breve.
TOMMASO LANDOLFI: È lo scrittore di maggior rilievo del genere fantastico surreale che affianca, negli anni Trenta, le tendenze diversamente realistiche del nostro panorama artistico. Nelle prime opere significative, da Dialogo dei massimi sistemi ai racconti di Il mar delle blatte, al romanzo La pietra lunare, Landolfi crea situazioni e personaggi puramente immaginari, enigmatici e vagamente inquietanti, come la donna-capra, gli animali orribili, angosciamente kafkiani. Le due zitelle e Il racconto d'autunno adottano i modi della narrativa d'incubo. In Cancroregina la soluzione è in chiave grottesca. Successivamente, l'arte di Landolfi si abbandona sempre più alla pura suggestione fantastica nei racconti e nei libri diaristici. Il miglior Landolfi gioca attorno a situazioni labirintiche e ambigue.
Landolfi non conosce le grazie dell'ironia romantica; le sue beffe sono tetre: rivelano un'amara austera incapacità di gioco; si fa giustizia di un Landolfi che maschera con il virtuosismo la sua insufficienza e lo si rinvia alla più propria dimensione di un rischio tragico. Piovene individua nell'autore uno scrittore che esercita nel cuore del suo lavoro letterario una ultimativa scelta esistenziale; la bravura di Landolfi tenta un inganno molto più radicale contro la stessa vita. Debenedetti vede in lui “uno che riesce a spaccare al sua voce naturale per un falsetto”.
=> Possiamo concluderne che l'artificio del poeta è l'altra faccia, il prezzo obbligatorio della sua autenticità; la sua vera passione confessò una volta è ”non vivere”. Ma proprio quella passione in negativo feconda o fermenta positivamente la sua arte. In essa c'è una parte di desolazione, di abbandono e di disfacimento; è la parte di suggerimento informale che apparenta il nostro scrittore ai maestri del neodecadentismo europeo e americano.
E c'è in essa una parte invece di volontà di rispecchiamento , di vocazione figurativa, affermativa. Egli è un informale con figure e l'artificio media i due momenti, li costringe a convivenza se non ad unità.
DINO BUZZATI: nasce nel 1906 e muore nel 1972. Sin dal suo esordio con Barnabo delle montagne e Il segreto del bosco interpreta il fantastico come lievitazione favolosa di una realtà apparentemente naturalistica. Anche il suo capolavoro, il romanzo Il deserto dei tartari, ha una struttura narrativa del tutto tradizionale. Evidente il significato esistenziale del racconto, incentrato sui temi del tempo e della morte, dell'insensatezza della vita e della diaspora delle illusioni giovanili; temi che creano un rarefatto clima d'angoscia.
Il tenente Drogo, protagonista simbolico del libro, cerca in ogni modo di contrastare il passaggio dei giorni inventando valori cui assicurare la vita: la disciplina militare come tentativo di razionalizzazione dell'esistenza; un vagheggiato momento di gloria come traguardo meno illusorio possibile nella generale illusione del vivere; l'arcano richiamo del mistero e qualche momento panico-religioso dei sensi; la morte come retrospettiva misura di dignità della vita; la trascendente interrogazione sulla oscura realtà della fine, sia pure senza risposta sicura. I personaggi di Buzzati vivono in una totale sospensione cronologica; sono i titolari di un'assenza, di un'esistenza sempre scontata e sempre ipotetica.
Non trovando nella vita un senso alla vita, Buzzati -Drogo lo cercano nella dimensione dell'inverosimile: allora il mezzo creerà il fine, l'effetto la causa, l'assurdo il senso. Dinanzi alla morte come uscita di massima sicurezza l'uomo tenta di addomesticare l'incredibile.
CARLO EMILIO GADDA: nasce nel 1893 e muore nel 1973. Il suo primo avvicinamento alla scrittura si realizza nel folto diario steso durante gli anni di guerra, vi annota le traversie quotidiane dell’esperienza bellica e poi dell’umiliante prigionia tedesca e soprattutto registra gli orrori e le irresponsabilità di superiori e compagni; si denota una continua autoanalisi, l’osservazione attenta e amara della propria timidezza, nevrastenia, angoscia, desolazione, una prima lucida avvisaglia della diagnosi del male oscuro che sarà sviluppata in tutto il suo futuro lavoro. I punti chiave del lavoro di Gadda sono la percezione della realtà come caos, l’attenzione acuta alla società italiana, che pur deformata e alterata resta al centro di tutta la produzione gaddiana, l’autobiografismo anche se spesso mascherato, la traumatica esperienza della guerra, i ricordi infantili e adolescenziali. La meccanica e dejanira classis rappresentano un importante momento nella progettazione romanzesca di Gadda, raffigurano l’amara realtà sociale della guerra e del primo dopoguerra; pubblica poi su solaria il racconto lungo la madonna dei filosofi; stampato nelle edizioni di solaria è anche il castello di udine, dove sono presenti note esplicative puntigliose e ironiche. Va poi ricordata l’adalgisa e il romanzo incompiuto la cognizione del dolore, che mescola generi diversi, satirici, lirici e tragici; al centro dell’opera è la consapevolezza e ricognizione di uno stato di sofferenza e disagio psichico affettivo; dividendosi tra comicità e sarcasmo, tra tirate contro moralismo, ipocrisia, conformismi e una profonda e personale eticità gadda esplora però costantemente autocompiacimenti, narcisismi e il culto dell’identità. Quel pasticciaccio brutto de via merulana è il romanzo forse più noto che resterà però sempre incompiuto; l’incompiutezza è un dato intrinseco al lavoro gaddiano e rispecchia la prospettiva mentale e conoscitiva di gadda, incline a perlustrare l’universo umano nei più segreti recessi, ma restio dall’additare semplicemente una soluzione e una causa. Restano da menzionare i volumi di racconti e alcuni saggi critici
GIORGIO BASSANI: nasce a Bologna nel 1916 e muore nel 2000. Per formazione, Bassani è vicino alla generazione ermetica e solariana, come mostrano le sue prime prove poetiche e narrativa. Ma solo con Cinque storie ferraresi il suo mondo artistico trova una prima importante definizione; il motivo di fondo di questi racconti e poi di tutta l'opera di Bassani è la condizione ebraica nella tragedia della storia e non solo durante la guerra e l'Olocausto: il sentimento ebraico della vita come incombente e oscura minaccia, violenza assurda, esilio e sradicamento è calato dallo scrittore nel contesto ferrarese, descritto con severo senso critico che non tace la responsabilità di chi ha permesso la vittoria del male. Dai racconti ritorna la cronaca di quei tempi terribili; è ben chiaro come Bassani sia del tutto estraneo all'ottimismo programmatico dell'ideologia dell'impegno.
Si delinea, in questi racconti, l'intimismo dello scrittore; è l'attenzione per i segni che la violenza della vita e della storia lascia nelle anime di persone semplici, perseguitate e emarginate. Tanto più evidente, questa pietà memoriale dell'autore, se messa a confronto col coro dell'ambiente cittadino in cui confluiscono i giudizi superficiali o indifferenti della gente, sempre pronta a minimizzare, a crearsi degli alibi o a dimenticare le responsabilità morali di fronte al fascismo.
La tecnica del discorso indiretto libero scioglie l'oggettività dei fatti in un anonimo coro di pareri, di illusioni,di pregiudizi. Il coro serve anche a fissare l'opinione pubblica, il placabile nel colpire e giudicare i diversi, i sospetti, coloro che infrangono le leggi sociali e morali della comunità; un capro espiatorio è il professor Fatigati in Gli occhiali d'oro, forse il capolavoro di Bassani; è la storia di un medico veneziano trasferito a Ferrara e bene accolto dalle gente sino a che il suo segreto non viene scoperto e la sua vita distrutta dell'ipocrita perbenismo dei normali. L'emarginazione, la solitudine, il penoso degradarsi dell'uomo, la disperazione infine e il suicidio sono le stazioni di un calvario che Bassani segue attraverso la pietà dell'io narrante.
Allegorie della condizione esistenziale dell'uomo succube delle infinite forme del male che si annidano nella vita sono Dietro alla porta e L'airone.
Prima di giungere a questi esiti estremi di rarefazione lirica e simbolica, grazie all'uso intenso delle epifanie di oggetti o di eventi connotati di valori esistenziali e metafisici, Bassani scrive il suo romanzo più noto e discusso, Il giardino dei Finzi-Contini, la cui epigrafe manzoniana ne scandisce il Leitmotiv: l'affettuosa memoria che ritorna sul passato a cogliere i segni e i presentimenti di una tragedia incombente.
ITALO CALVINO: nasce nel 1923 e muore nel 1985. Carattere tipico è il suo tendenziale illuminismo; costante della sua attività sono l’osservazione e la descrizione puntigliosa del mondo circostante, il rifiuto dell’analisi psicologica e la tendenza invece a definire i personaggi dall’esterno perché quello che lo interessa è il gioco dei rapporti oltre che il gusto dell’evasione fantastica, del fiabesco e del fantascientifico. L’opera di esordio di calvino è il romanzo breve il sentiero dei nidi di ragno, scritto sull’onda dell’esperienza partigiana; sulla linea neorealista si pongono oltre alla prima opera i 30 racconti riuniti in ultimo viene il corvo, in parte di argomento resistenziale, in parte incentrati sul mondo infantile e adolescenziale, o d’ispirazione apertamente realistica o comico picaresca. Per quanto riguarda la linea fantastico-allegorica il primo prodotto è il visconte dimezzato, il barone rampante e il cavaliere inesistente, ambientati in paesi immaginari e ispirati alla formula del divertimento, sono anche e soprattutto allegorie della condizione umana e come tali aggiungono al piacere giocoso della favola un fondo di sottile e continua riflessione esistenziale e intellettuale. Una vena fiabesco surreale percorre il ciclo di racconti intitolati a marcovaldo ovvero le stagioni in città; dalla favola amara alla fantascienza con le prose di le cosmicomiche e ti con zero; la sua fantascienza non è lanciata verso il futuro ma proiettata all’indietro, alle origini della vita e dell’universo. Dalla metà degli anni sessanta calvino inaugura una diversa fase narrativa basata sull’interesse verso le discipline allora egemoni dello strutturalismo e della semiologia; astrazione spaziale e temporale, esattezza geometrica, densità concettuale unita a trasparenza di scrittura connotano le città invisibili, un’opera priva di un vero e proprio intreccio e con un’atmosfera di atemporalità che investe cornice e città. Ritorna sul tema dell’indagine scientifica l’ultima opera, palomar, in cui il centro di ogni prosa è un’esperienza del protagonista, che punta la sua attenzione su un aspetto singolo del mondo naturale. Ciò che contraddistingue calvino è una sostanziale continuità stilistica, che consiste in un italiano che sia il più possibile concreto e il più possibile preciso; esattezza, essenzialità, linearità sintattica sono infatti le note dominanti della prosa dell’autore; memorabili in proposito si possono considerare le lezioni americane.
CARLO BETOCCHI: nasce nel 1899 e muore nel 1986. Fra i poeti ermetici è considerato una sorta di guida morale. Tuttavia, contrariamente a loro, fondava le sue poesie non su procedimenti analogici che evocano significati, ma su un linguaggio diretto, sul realismo e sulla tensione morale. nel Novecento il suo percorso risulta originale, fuori dalle correnti letterarie. sono numerose le raccolte poetiche di Carlo Betocchi, da Realtà vince il sogno fino all' Estate di San Martino del 1961 e Un passo. Dopo la seconda guerra mondiale Betocchi aveva pubblicato Notizie di prosa e poesia. Nelle sue poesie, situazioni quotidiane sono impregnate e rivestite di significati religiosi. Il titolo della sua prima raccolta Realtà vince sogno evoca un tema fondamentale della sua poesia, la realtà della vita contrapposta all'ingannevole sogno. Altro tema ricorrente è il senso di fratellanza verso tutti gli esseri viventi, nei quali il poeta sente manifestarsi la presenza divina. L'esperienza religiosa di Betocchi si fonda sul sentirsi felicemente parte della Creazione, felicemente in attesa di una Salvezza che porti alla vittoria completa della "realtà" sul vano "sogno". Il linguaggio di Betocchi è semplice e si serve spesso della ripetizione di parole, non ha bisogno di una lingua complessa perché vuole rispecchiare semplicemente la verità delle cose. Ricorrono parole del campo semantico della felicità; solo le poesie della vecchiaia insistono sul lessico del dolore. Il dolore dell'esistenza fu duramente provato dal poeta per la lunga malattia della compagna. Questo tragico evento mutò profondamente la visione religiosa del poeta: questo dramma esistenziale è testimoniato dalle ultime raccolte poetiche, le più alte della carriera di Betocchi.
MARIO LUZI: nasce nel 1914 e muore nel 2005. La sua prima raccolta poetica, la barca, si situa nel clima dell’ermetismo fiorentino, segue avvento notturno, densa di pressanti interrogativi esistenziali; l’abbandono dei modi ermetici giunge con le poesie di un brindisi e con quaderno gotico, dal manierismo simbolico; con primizie del deserto e onore del vero si registra un’accettazione piena della realtà quotidiana; queste raccolte costituiscono la prima fase poetica di Luzi denominata il gusto della vita. La seconda fase, nell’opera del mondo, Luzi approfondisce l’indagine sul senso della vita e del dolore, alla ricerca di un difficile punto fermo, di una stabilità cui ancorare l’esistenza; questa fase comprende nel magma, dal fondo delle campagne, su fondamenti invisibili e al fuoco della controversia. L’ultima fase della produzione di Luzi comprende per il battesimo dei nostri frammenti, frasi e incisi di un canto salutare, il viaggio terrestre e celeste di simone martini, sotto specie umana; si avverte qui l’affermazione di una visione sapienziale dell’esistenza, al fondo della vita Luzi riconosce un groviglio di mistero, dolore insanabile e contraddizioni; si sono infittite presenze e immagini simboliche, il tutto è dominato da un tono alto, profetico e austero. Non si può passare sotto silenzio il lavoro drammaturgico di Mario Luzi, da ipazia a hystrio, a io paola la commediante; né quello saggistico con l’inferno e il limbo, vicissitudine e forma, naturalezza del poeta; Luzi ha perseguito una costante ricerca delle ragioni ultime dell’esistenza, aprendosi verso un conflittuale contatto con il mondo e gli uomini.
GIORGIO CAPRONI: nasce a Livorno nel 1912 e muore nel 1990. Le poesie giovanili confluiscono nel passaggio di Enea, una raccolta pubblicata nel 1956; nella raccolta successiva, il seme del piangere, domina il recupero della figura della madre morta; ricorrono i temi del vuoto e della solitudine, dell’assenza, del rimpianto e della vana ricerca di valori. Nelle ultime raccolte si avverte una rassegnata consapevolezza dell’impossibilità di un saldo punto di riferimento. La poesia di caproni, partito da modelli pre-ermetici, ha recepito soprattutto la prosaicità di Saba e l’influsso della linea ligure, approfondisce temi autobiografici e tocca toni anche satirici e raziocinanti. Lo stile personalissimo di caproni parte da un’accurata ricostruzione della metrica tradizionale, rinnovata e trasfigurata dall’interno; i temi della sua poesia sono riducibili sostanzialmente a 3: la città (genova e livorno), la madre e il viaggio, un viaggio allegorico.
VITTORIO SERENI: nasce nel 1913; nel 1941 esce la prima raccolta poetica, frontiera; dall’esperienza vissuta nel campi di prigionia in Algeria e Marocco nasce la seconda raccolta, diario d’Algeria; nel 1965 esce la terza raccolta, gli strumenti umani e nel 1982 la quarta, stella variabile. Traduttore eccellente sereni è anche autore di interessanti prose al confine tra narrazione ed evocazione memoriale, come gli immediati dintorni. In frontiera è ancora vicino alla lezione ermetica; nella seconda raccolta la scrittura diventa più limpida, abbandonando certi caratteri ermetici, ma la svolta decisiva avviene nella terza raccolta, dove combina inventivamente istanze narrative e istanze liriche, tensioni private e riflessioni storiche. I tipici temi si sereni quali la sistematica perplessità esistenziale e l’inquieta interrogazione sull’identità, si esprimono in uno stile originale e straordinariamente ricco di sfumature, all’incrocio tra lirismo, realismo e narrazione. Attraverso l’iterazione sereni imprime un ritmo snodato e mobile al verso e al testo; altri motivi tematici ricorrenti sono l’amicizia, il rapporto continuo con i propri morti, l’ideale progressista di un rinnovamento sociale; percorre questi temi l’ansia centrale dell’identità minacciata, il non possesso dell’io, il senso della dispersione, la crisi.
SALVATORE QUASIMODO: nasce nel 1901 e muore nel 1968. La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre è incentrata sul tema della sua terra natale, la Sicilia: l'isola diviene l'emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere. Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pena. Questa condizione di dolore insopprimibile assume particolare rilievo quando il ricordo è legato ad una figura femminile, come nella poesia Antico inverno. Se in questa prima raccolta Quasimodo appare legato a modelli abbastanza riconoscibili (soprattutto D'Annunzio), in Oboe sommerso il poeta raggiunge la piena e personale maturità espressiva. La ricerca della pace interiore è affidata ad un rapporto col divino che è, e resterà successivamente, tormentato, mentre la Sicilia si configura come terra del mito, terra depositaria della cultura greca: non a caso Quasimodo pubblicherà, nel 1940, una notissima traduzione dei Lirici greci. In particolare, nel libro del 1936 vengono celebrati Apollo ed Ulisse, l’esule per eccellenza. È in queste raccolte che si può cogliere appieno la suggestione dell’ermetismo, di un linguaggio che ricorre spesso all’analogia e tende ad abolire i nessi logici tra le parole. Nelle Nuove poesie si avverte nel poeta un'inquietudine nuova, la voglia di uscire dalla sua solitudine e confrontarsi con i luoghi e le persone della sua vita attuale. nelle raccolte successive le vicende belliche costituiscono il tema dominante. La voce del poeta, annichilita di fronte alla barbarie non può che contemplare la miseria della città bombardata, o soffermarsi sul dolore dei soldati impegnati al fronte. Altre opere sono La terra impareggiabile e L'ultima raccolta, Dare e avere, che costituisce una sorta di bilancio della propria esperienza poetica ed umana: accanto ad impressioni di viaggio e riflessioni esistenziali molti testi affrontano, in modo più o meno esplicito, il tema della morte, con accenti di notevole intensità lirica.
UMBERTO SABA: nasce nel 1883 e muore nel 1957. Il canzoniere raccoglie tutta la sua produzione poetica di vent'anni. La sua raccolta di poesie è molto vasta, molto spesso descrive aspetti aspetti di vita quotidiana, come in "Città vecchia". Saba ha sempre dichiarato di aver cercato nella propria opera la verità , quella più profonda e nascosta, di cui noi stessi non abbiamo chiara consapevolezza e che solo l'esperienza del dolore è capace di rivelarci. La poesie diventa quindi strumento per la ricerca della verità interiore e si serve di versi chiari e trasparenti (antiermetismo) che fa apparire un mondo e lo rischiara.
Il colloquio confidenziale con la realtà si arricchisce in seguito di toni lirici e si volge ai temi della gioia, del dolore, della morte e gradatamente la poesia diviene riflessione esistenziale ed accettazione rassegnata del tempo che fugge. Nelle ultime raccolte, accanto alla contemplazione assorta della vita si insinuano il ricordo e la nostalgia del passato. Restano immutabili i temi originari: i fanciulli di Trieste, le vie solitarie, i caffè fumosi del porto, le donne amate. Sono temi immobili, poiché Saba concepisce la vita come immutabile: l'uomo spera sempre un domani migliore, anche se sa che il nuovo giorno porterà le stesse sofferenze di quello trascorso. Di Saba esistono due documenti critici di altissimo valore: Quello che resta da fare ai poeti e la Storia e cronistoria del Canzoniere. Saba mira al giusto equilibrio tra sentimento ed arte, tra contenuto e forma, seguendo l'ispirazione, senza timore di ripetere se stesso o gli altri. Saba rifiuta la ricerca esasperata dell'originalità e la sperimentazione eccessiva e gratuita, mirando, invece, ad una equilibrata opera di revisione, di selezione e di rifacimento
Fonte: http://it-it.abctribe.com/download/appunti/Estratti_appunti/32822-YSGPLAIXFA_20131212124041.docx
Sito web da visitare: http://it-it.abctribe.com
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve