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Italo Calvino narratore : la letteratura come mezzo di introdurre ordine nel caos
“La vita di Calvino è quella di un uomo che con la sua immaginazione e il suo lavoro ha voluto contribuire all’autocostruzione continua dell’universo”.
Pur accettando questa definizione, penso piuttosto che Calvino abbia cercato, come esempio, l’armonia dell’universo in costante evoluzione, di fare della letteratura, ed in particolare della narrativa, un elemento atto a mettere dell’ordine nel caos del mondo.
L’inquieta intelligenza dello scrittore ha sempre teso, nei molteplici aspetti della sua opera, a restare fedele a quella che egli stesso definì la “sfida al labirinto”, alla ricerca cioé di soluzioni razionali ai problemi dell’uomo o almeno alla formazione di “un ordine mentale abbastanza solido per contenere il disordine”.
L’immagine del labirinto, del disordine, del caos, dell’impossibilità quindi di ritrovare all’interno di sé e in quanto ci circonda un ordine, appare in un articolo pubblicato sulla rivista Menabò 5 (1962), “La sfida al labirinto”, saggio che esprime l’idea calviniana della letteratura nella quale lo scrittore vede la matrice dell’ordine che, sopprimendo il caos, permette di comprendere il mondo.
Intravediamo, nel titolo di questo saggio, un duplice aspetto : l’uomo deve accettare la sfida del labirinto per poterne trovare l’uscita, cercare cioé d’affrontare la complessità del reale nel rifiuto delle soluzioni troppo semplicistiche che alla fin fine non fanno che confermare l’ambiguità dell’essere di fronte alla vita ed al mondo. Ma l’uomo deve avere anche e soprattutto la volontà di resistere alla tentazione di perdersi nel labirinto, persuaso che sia questa la sua sola possibilità e condizione.
La stessa idea di smarrimento si evidenzia in un altro scritto pubblicato precedentemente nel numero 2 della stessa rivista Menabò, “Il mare dell’oggettività”. In questo caso si tratta della “perdita dell’io, la calata nel mare dell’oggettività indifferenziata, senza che ci sia più alcuno spazio per la soggettività”. Parte infatti dall’idea che l’arte sommerge il pubblico, annullando l’apprezzamento individuale, sopprimendo quindi l’individualità, l’io. Il suo intento è quindi di passare dalla letteratura dell’oggettività alla letteratura della coscienza individuale. Ma in questo tortuoso itinerario interiore, Calvino giunge alla certezza che l’io non è il soggetto unico della conoscenza del mondo. Scrive : “Di solito si pensa che l’io sia uno che sta affacciato ai propri occhi come al davanzale di una finestra e guarda il mondo che si estende in tutta la sua vastità, lì davanti a lui. Ebbene, c’è una finestra che si affaccia sul mondo. Di là c’è il mondo, e di qua? Sempre il mondo, cosa altro volete che ci sia?...forse
Scrive : “Di solito si pensa che l’io sia uno che sta affacciato ai propri occhi come al davanzale di una finestra e guarda il mondo che si estende in tutta la sua vastità, lì davanti a lui. Ebbene, c’è una finestra che si affaccia sul mondo. Di là c’è il mondo, e di qua? Sempre il mondo, cosa altro volete che ci sia?...forse l’io non è altro che la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo”.
Questi due saggi mi paiono essenziali per introdurre l’idea enunciata nel titolo di questo studio, poiché Calvino vi introduce una poetica etico-conoscitiva capace forse di definire la situazione esistenziale dell’uomo contemporaneo in un mondo sempre più difficile da decifrare, suggerendo la via della conoscenza come mezzo per introdurre ordine nel caos.
Calvino narratore
Il titolo infatti prende in conto il Calvino “narratore”, differenziandolo così dal giornalista e dal saggista. Calvino è un brillante “narratore”, un vivacissimo “conteur”, e questa caratteristica è determinante nel suo rapporto con la letteratura e nel rapporto tra scrittore e lettore.
La necessità di una mappa che permetta l’uscita dal labirinto al quale abbiamo accennato, la creazione di regole per una definizione coerente dell’uomo e del mondo, sono state la linea conduttrice (“il filo d’Arianna”) che ha, fin dall’esordio, motivato Italo Calvino. Infatti, nonostante l’evoluzione della sua forma espressiva che passa dal neorealismo alla fiaba, dal romanzo cavalleresco d’impronta ariostesca, alla fantascienza ed infine alla struttura combinatoria adottata a contatto degli scrittori dell’avanguardia parigina, la sua ricerca è restata fedele a se stessa : riuscire cioé, tramite la letteratura, a meglio comprendere il mondo. Il ruolo che assegna all’intellettuale è quello d’individuare i modelli teorici conoscitivi che consentano di differenziare il caos dalla realtà, per potere dare un senso all’esistenza.
Calvino espone i criteri che presiedono alla sua narativa e che, specialmente nel periodo della scrittura combinatoria, fanno appello a scienze esatte come la matematica e la geometria.
Da Lezioni americane :
“Esattezza vuol dire per me doprattutto tre cose :
L’opera di Calvino può essere letta a molteplici livelli. Il lettore diviene il portavoce, il collaboratore indispensabile dell’autore, che gli affida il compito d’interpretare.
Quello che mi seduce in Calvino è la sua “modestia”, che istintivamente risento sincera, la volontà di non prendersi sul serio, di servirsi talora della fiaba, del fantastico, del favoloso, talora dell’ironia e del comico, talora della geometria e di nozioni scientifiche, talora del gioco delle carte, talora infine semplicemente del “giocare”, per “divertire” se stesso e chi legge.
L’intelligenza di Calvino imbroglia le carte, trova il mezzo di sdoppiarsi e risdoppiarsi facendosi divenire da autore a narratore, da io parlante a lettore.
Chiunque di diverte assaporando le sue narrazioni e il più attento e perspicace lettore riesce a penetrare nel sorriso e nel riso dello scrittore, per scoprivi obbiettivi che, sotto l’apparenza del ludico, penetrano nel cuore delle angosce più o meno coscienti dell’uomo : le molteplici “vierità” che si contraddicono, le singolarità di ciascuno e quindi le svariatissime interpretazioni del mondo.
Calvino scorge nella letteratura la capacità d’individuare modelli teorici, etici e conoscitivi, che permettono d’intuire la realtà nel suo apparente disordine e sembrano dare un senso al fatto di “esistere”.
La fiaba
Calvino dunque, nella sua opera poliforme ma sostanzialmente univoca, si serve a volte della “fiaba”, riportandoci così alla nostra infanzia della quale ha risvegliato sensazioni di emozione, tenerezza, stupore, sorpresa, ma anche paura, stati d’animo che hanno provocato in noi ancora fanciulli, le più svariate e sorprendenti interrogazioni.
Se lo scopo delle favole calviniane, gradevoli, inattese, comiche o semplicemente pervase da una sottile ironia, è al loro primo livello quello di “divertire”, molteplici, secondo l’età, la sensibilità, la cultura di colui che le percorre, ne sono le risonanze e interpretazioni.
Ricordiamo che Bruno Bettelheim, analizzando le favole in
Psychanalyse des contes de fées, dimostra che quesrte, per
innocenti ed infantili che paiano, su apparentano al sogjno e che, come il sogno, sono uina proiezzione dell’inconscio
La trilogia : I nostri antenati
Potrei in effetti raccontare ai miei nipotini, limitandomi all’aspetto fantastico, le avventure del Visconte dimezzato che finirà per riunirsi all’altra metà di se stesso ; le peripezie di Cosimo, Il barone rampante, che decide un bel giorno di vivere sugli alberi, o la storia del Cavaliere inesistente, armatura bianca e rilucente che racchiude un nobile fantasma che parla, ragiona e combatte coraggiosamente. Ne sarebbero divertoto e affascinati, mi farebbero mille domande sul “come” e sul “perché, e per finire si addormenterebbero per forse prolungare e sviluppare nel sogno queste storie straordinarie.
La “fiaba” resta un “pretesto” privilegiato. Già nel racconto neorealista Il sentiero dei nidi di ragno, narrando la realtà del dopoguerra e la lotta partigiana, Calvino introduce il lettore in un universo fiabesco, affidando al giovanissimo Pio il ruolo di narratore. È attraverso i suoi occhi infantili che lo scrittore intende far conoscere la sua esperienza di partigiano. Lo sguardo di Pim riempie la funzione di uno schermo che permette di osservare e distinguere con un certo distacco, e quindi con maggiore “verità”, la realtà adulta della guerra.
Il tema dello smarrimanto dell’io nel caos, trattato in particolare nel saggio citato nell’introduzione, Il mare dell’oggettività, e che è la materia del nostro studio, riappare nel racconto Il visconte dimezzato(il primo della trilogia I nostri antenati divertente e gustosa immagine del nostro “io” diviso in due metà, destra e sinistra, dotate di vita propria.
È la storia di Medardo di Terralba che, in guerra contro i Turchi, è scinto in due metà da una palla di cannone : “gli mancava un braccio e una gamba, non solo... del capo restavano solo un occhio, un orecchio, una guancia e mezzo naso, mezza bocca, mezzo mento e mezza fronte : dall’altra metà del corpo niente [...] adesso era vivo e dimezzato.”
La metà sinistra, tornata in paese, vi semina il terrore e perseguita la pastorella Pamela di cui “decise d’innamorarsi”. Un giorno arriva in paese anche la metà buona di Medardo, la destra, che s’innamora di Pamela e sfida a duello il Medardo cattivo. I due rivali si feriscono a vicenda per finire ricuciti insieme e ricomporre l’uomo completo.
Dice la voce narrante del nipote : “Così mio zio Medardo tornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà [...] ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà fuse insieme, perciò doveva essere ben saggio.”
Che ci dice Calvino ? Che l’esperienza della scissione lacerante dell’Io non si può risolvere se non attraverso il ritorno ad una unità che, benché fittizia perché ben lungi dal poter mettere “ordine nel caos” esprime una presa di coscienza : “capire d’ogni persona o cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza.” Dice a Pamela il riunificato Medardo : “Ecco io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo : quella con tutte le mutilazioni e le mancnaze del mondo.”
Cosimo, il protagonista del secondo romanzo della trilogia, Il barone rampante, decide, fin da ragazzo, di trascorrere la sua vita sugli alberi Racconto accattivante per il carismo e la simpatia che suscita il barone, l’ironia affettuosa di Biagio, la “vocente parlante”, fratello del protagonista principale, la tenera e sorprendente storia d’amore che attraversa le pagine, in cui la natura partecipa nella sua lussureggiante bellezza.
Ancora una volta Calvino si serve della letteratura per lasciare al lettore avveduto un messaggio : per cercare di mettere un po’ d’ordine nel caos in cui si dibatte forse senza troppo rendersene conto, l’uomo deve per prima cosa distruggere l’ordine apparente e fittizio al quale si è conformato, per svincolarsi dai condizionamenti ideologici e politici, dalle idee preconcette e dalle imposizioni intellettuali, per reperire ed assumere fino alla fine il proprio impegno personale in uno spirito di apertura sui problemi esistenziali e di comprensione nei confronti degli altri.
Nel Cavaliere inesistente, il pessimismo iniziale dell’autore poco alla volta s’attenua, per divenire un inno alla “volontà di esistere”, nonostante tutte le dfficoltà incontrate dal prode Agilufo che lascerà infine la sua armatura, eredità simbolica, ad un giovane e valoroso condottiero.
In questa trilogia il romanziere, pur ambientando i racconti nel passato ed introducendoci nel fiabesco, non perde di vista la realtà contemporanea. In questo periodo Calvino riesamina il ruolo dell’intellettuale nella società ed interviene con una letteratura narrativa che solo un lettore accorto percepisce al suo giusto livello.
La scienza
Wassily Kandisky
Aspetto che in apparenza contrasta con la tendenza di Calvino al fiabesco, è il suo interesse per la scienza, ed in particolare per la cosmologia, che gli proviene molto probabilmene dalla formazione agraria del padre e botanica della madre. Lo scrittore introduce queste conoscenze nella sua opera letteraria. Il critico Roscioni scrive però : “Non credo che Calvino si sia molto interessato alla scienza in sé [...]. Il suo problema era come utilizzare i metodi e i linguaggi della scienza, come tradurli in letteratura.”
Cosmicomiche
Nel 1964 scrive Cosmicomiche. Nota Geno Pampaloni : “Si trovò proiettato nel crocevia tra scienza e letteratura, e in quel paesaggio inestricabile e infinito sembrò ritrovare una seconda patria nella sua fantasia”.
In Cosmicomiche ci troviamo in un universo che oltrepassa la nostra capacità di comprensione. Siamo all’epoca che precede il “big bang”, la creazione cioé dell’universo quale la conosciamo ora, benché tanto sommariamente.
Mi domando se in questo scritto Calvino faccia ancora e sempre della letteratura “un mezzo per introdurre ordine nel caos”. Ne è forse un tentativo particolare. L’introduzione di ogni breve capitolo, ve ne sono dodici, consiste in una succinta teoria fiica, astronomia o geologia (più o meno esatta secondo gli specialisti), che descrive, per esempio, come il sistema solare si sia formato a partire da una nebulosa, come l’universo sia nato da un punto più piccolo di un atomo, come le galassie si allontanino e la rarefazione dell’universo sia compensata da nuove galassie.
Dopo queste brevi teorie, l’ironia di Calvino si sprigiona. Ironia suscitata dallo scontro tra la regola scientifica e la sua esilarante e paradossale illustrazione da parte di Qfwfq, nostro antichissimo antenato ma anche nostro contemporaneo, che ci racconta in La distanza dalla luna, come milioni di anni fa la luna fosse vicinissima alla terra, raggiungibile con una scala a pioli, come poi vi si allontanò a causa delle maree, portandosi via la donna da lui amata :
“[...] m’immagino di vederla, lei o qualcosa di lei ma nient’altro che lei, in cento in mille viste divese, lei m’immagino di vederla, lei o qualcosa di lei ma ninet’altro che lei, in cento in mille viste diverse, lei che rende Luna la Luna...”
Suppongo, ma è un’interpretazione del tutto personale, che se le visioni della donna amata paiono innumerevoli a Qfwfq, finiscono poi per riunirsi in una sola realtà, la Luna.
Paul Klee
Nelle Cosmicomiche penso che Calvino voglia dimostrare che è dalla ragione e dalla scienza che possiamo attenderci delle risposte significative atte a produrre una prospettiva nel labirinto dell’esistenza. Ma, nonostante queste interpretazioni intellettuali, Calvino lascia libero corso alla sua fantasia, offrendoci un titolo ossimorico tra “scienza” e “fantasia”.
Un’altra prova dell’idea calviniana che la scienza può in parte aiutare l’uomo ad introdurre un certo ordine nel caos, ci viene da due immagini chel’autore cita nelle Lezioni americane : il cristallo e la fiamma :
“Cistallo e fiamma, due forme di bellezza perfetta da cui lo sguardo non sa staccarsi, due modi di crescita nel tempo, di spesa della materia circostante, due simboli morali, due assoluti, due categorie per classificare fatti e idee e stili e sentimenti.”
Ma la scienza lo può solo in parte, poiché solo la letteratura include il fattore umano che è parte integrante del caos e dell’ordine che se ne vuole stabilire. Applica così l’immagine del cristallo all’opera letteraria :
“L’opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’esistente si cristallizza in una forma, acquista un senso, non fisso, non definito, non irrigidito in una immobilità minerale, ma vivente come un organismo.”
Rivenendo al testo Cosmicomiche, ed in particolare al capitolo I cristalli, Calvinoaccomuna ancora letteratura e scienza, alludendo alla successione di equivalenze “immaginarie” che hanno in comune un elemento strutturale : l’aspetto “sfaccettato” di una forma nello spazio e nel tempo.
Vug e Qfwfq assistono infatti al passaggio da un universo uinforme ad un universo ove appare un’organizzazione solida della materia fino ad allora in fusione :
“Vug disse : - Là!
Indicava in mezzo a una colata di lava, qualcosa che stava prendendo forma. Era un solido di facce regolari e lisce e spigoli taglienti : e queste facce e spigoli s’andavano lentamente ingrandendo, come a spese della materia intorno, e anche la forma del solido cambiava, ma sempre mantenendo proporzioni simmetriche...”
Rapidamente i poliedri cristallini invadono la superficie del globo facendo sorgere delle pareti verticali dai riflessi di fiamma, muri di luce dietro ai quali Vug sparisce :
“Dove sei?”
- Nel bosco ! I cristalli dell’argento erano alberi filiformi, con ramificazioni ad angolo retto. Scheletriche fronde di stagno e di piombo infittivano d’une vegetazione geometrica la foresta.”
Metamorfosi strutturale : il cristallo è divenuto albero e foresta ! Ed il grande sogno di Qfwfq, quello di un Ordine geometrico assoluto, sembra prendere forma : “Un cristallo totale, io sognavo, un topazio-mondo, che non lasciasse fuori niente : ero impaziente che la nostra terra si separasse dalla ruota di gas e polvere in cui vorticano tutti i corpi celesti, fosse la prima a sfuggire a quel disperdimento inutile dell’universo.”
Benché sempre nella stessa vena, T con 0, che significa Tutto in un punto e nei cui primi testi troviamo ancora il bizzarro ed impronunciabile Qfqfq, presenta un nuovo personaggio : la morte. Ricorrendo a procedimenti di astrazione con il rigore di problemi matematici, Clavino tenta in queste pagine di risolvere situazioni umane e drammatiche. Si serve qui chiaramente della letteratura nell’intento, ancora una volta, di mettere un po’ d’ordine nel “guazzabuglio” in cui l’uomo si dibatte più o meno coscientemente.
Inizia qui una ricerca che svilupperà negli anni seguenti nei confronti della costruzione dell’opera letteraria e, situando i vari racconti in un sistema rigoroso, costruisce un “modello” d’universo da cui potere dedurre delle possibili soluzioni.
Scrive : “Nel racconto, ogni secondo, ogni frazione di tempo è un universo. Ho abolito tutto il prima e tutto il dopo fissandomi così sull’istante per scoprirne l’infinita bellezza.
Paul Klee
La ricerca di cui abbiamo parlato continua in margine a Ti con zero, nel Conte di Montecristo. Edmond Dantès e l’abate Faria studiano un piano d’evasione e ne cercano tutte le possibili varianti.
Si tratta, ne riparleremo tra poco ricordando il soggiorno di Calvino a Parigi, di un’operazione di scrittura combinatoria con duplice struttura concentrica, su cui si modellano le vigure sovrapposte dell’organizzazione topica e narrativa.
Dantès effettua una ricerca di libertà dai canoni classici della narrazione, con rapporti infratestuali tra livelli narrativi, ed allo stesso tempo rottura della loro organizzazione gerarchica. È evidente il rapporto tra testo e supertesto contenente tutte le varianti possibili scartate dall’autore. Il piano della forterezza non è che un quaderno dei tentativi per uscirne. Faria, il pragmatico, vuole nel romanzo liberarsi dalla prigionia dei capitoli, menre Dantes, deduttivo, passa dalla forterezza reale a quella teorica e sublima il valore della conoscenza.
Il racconto rimanda alla tensione costante tra i poli dell’invenzione calviniana : la pratica empirica, il progetto, la creazione della regola, i rapporti e la sovrapposizione delle figure, la rottura della regola. I modelli e le azioni dei due protagonisti si dilatano e si concentrano sotto l’azione o la sottrazione delle varianti, ma questo chiamiamolo “gioco intellettuale” non è fine a se stesso. Lo scopo finale non cambia : come trovare delle regole che partecipino a mettere un po’ d’ordine nel caos?
Scrive Dantès : “Se riuscirò col pensiero a costruire una forterezza da cui è impossibile fuggire, questa forterezza pensata o sarà uguale a quella vera [...] o sarà una forterezza dalla quale la fuga è ancora più impossibile che di qui – e allora è segno che qui una possibilità di fuga esiste : basterà individuare il punto in cui la forterezza pensata non coincide con quella vera per trovarla.”
Scrittura combinatoria
È a Parigi ove si reca nel 1964 e ove soggiornerà a lungo, che una svolta importante s’effettua nell’opera di Calvino. Grazie all’incontro con intellettuali dell’avanguardia francese quali Raymond Queneau, Georges Bataille, Georges Perec, Jacques Roubeau, i poeti dell’Oulipo, grazie anche all’influenza di Roland Barthes e di Claude Levi-Strauss, s’impregna di strutturaliso, semiotica ed antropologia.
Calvino adotta allora una nuova forma di scrittura, detta “combinatoria”.
Mi soffermo un attimo su questo termine, per clarificarne i significati nei diversi campi in cui il “metodo combinatorio” viene applicato. Se la prima definizione del dizionario dell’aggettivo “combinatorio” è “fondato sulla combinazione di più elementi affini”, in filologia il termine indica il metodo d’interpretazione per il quale si determina il valore di un elemento mediante il confronto sistematico di tutti i luoghi in cui tale elemento ricorre. In algebra, si tratta della parte dell’analisi algebrica che studia le varie combinazioni, permutazioni e disposizioni di un insieme finito di elementi. In topologia, la parte della topologia fondata sulla suddivisione di figure continue (curve, cerchi, solidi) in un numero finito di elementi (archi, triangoli, tetraedri). In filosofia, riduzione dei concetti a simboli, in modo che ne sia possibile la combinazione reciproca. Nella linguistica strutturale, infine, metodo diretto a indviduare i rapporti che sussistono, nella catena parlata, tra le unità dello stesso livello (fonemi, morfemi, lessemi).
“Il corpus dell'opera calviniana si presenta alla critica come una griglia dalla quale dedurre numerosi percorsi interpretativi; dai pochi tratti obbligati si dipartono sentieri tanto più suggestivi quanto più incrociano trasversalmente le piste già battute: questa singolare prospettiva è aperta dall'attitudine combinatoria di Calvino, dall'inesausta iterazione e permutazione di elementi e motivi topici, tra i quali la stessa struttura reticolare. La critica non sembra aver recepito appieno finora l'elementare necessità di ricostruire in modo combinatorio l'opera di Calvino, ovverossia trasversalmente, per singoli temi, o strutture, o stratagemmi narrativi: caratteristica di una griglia è di non poter essere ricalcata interamente con una linea continua.”
Calvino vede nel metodo “combinatorio”, un elemento irrimpiazzabile nel suo tentativo di fare della letteratura un mezzo per introdurre ordine nel caos. S’inserisce perfettamente nella linea drettrice della sua ricerca : utilizzazione di nuove piste, sperimentazione di altri procedimenti letterari e narrativi.
Il Castello dei destini incrociati
Da questa intuizione nasce Il castello dei destini incrociati(1973), in cui lo scrittore si serve dei tarocchi come di “una maccina narrativa combinatoria”. .Partendo da un mazzo di tarocchi, Calvino cerca le possibili combinazioni tra le carte-personaggi che divengono un numero elevato ma finito di storie.
La “cornice” è ambientata in un contesto medievale. Dei viaggiatori, sorpresi dalla notte, trovano rifiugio in un Castello e si riuniscono in un salone, ove vorrebbero, a turno, raccontare la propria storia, ma sono colti da un improvviso mutismo. Un mazzo di tarocchi li soccorre nella loro inattesa afasia. Il “gioco” incomincia. Uno dei passanti, a partire dalla una prima carta, riproduce la propria storia che viene interpretata dai commensali. Man mano che il gioco avanza, il Castello dei tarocchi prende forma.
Due storie ricamate nel tessuto reticolare del Castello sono identificabili come riscritture di due principali linee d’intreccio dell’Orlando furioso : la Storia dell’Orlando pazzo per amore e la Storia di Astolfo sulla Luna si ritagliano uno spazio d’onore nell’atmosfera ariostesca. “Era dunque l’immagine della Ragione quella bionda giustiziera con spada e bilancia con cui lui doveva in ogni caso finire per fare i conti? Era la Ragione del raccoto che cova sotto il Caso combinatorio dei tarocchi sparpagliati? Voleva dire che comunque giri poi viene il momento che lo acchiappano e lo legano, Orlando, e gli ricacciano in gola l’intelletto rifiutato?”
La riscrttura offre un doppio vantaggio rispetto alla elaborazione ex-novo d’intrecci, poiché si presenta come una costrizione supplementare al semplice ritmo di storie e ne accresce il valore degli esiti. L’uso della riscrittura si accorda all’esigenza calviniana di muoversi secondo il doppio registro dell’elaborazione artistica e della verifica teorico-critica. Consideriamo le unità minime che costituiscono gli intrecci delle storie incrociate. Le sette carte del mazzo visconteo sono divise in trentotto figure e quaranta carte numerali, queste ultime più facili da inserirsi in una storia. Il significato di una carta è condizionato dall’informazione della carta precedente e la sequenza di segni diventa un intreccio riconoscibile tramite il collegamento logico tra due di essi. La loro connotazione è raggiunta attaverso la loro dilatazione semantica fino ad un punto di giunzione. Nella presentazione del testo, l’autore spiega le difficoltà incontrate nello sforzo di riuscire a dimostrare che tutte le storie, come tutti i fenomeni, siano il prodotto di un numero di combinazioni di dati e di fatti, e che dunque esistono delle strutture profonde, capaci di fornire il modello del mondo e della realtà. Si deve però tenere presente il fatto che il romazo combinatorio di Calvino rimane un testo aperto, come ne esplicita la conclusione : “[...] e spiace ogni muovere di fronda in questo bosco, ogni tirar di carte in questo mazzo di tarocchi, ogni colpo di scena in questo incastro di racconti, finché non si arriva alla fine del gioco. Allora le sue mani sparpagliano le carte mescolando il mazzo, ricominciano da capo”.
Ci si può interrogare sulla simbolica del castello. Penso che innanzi tutto sia legata al genere di tarocchi utilizzato che, come detto, risaliva alla famiglia Visconti della nobiltà milanese medievale. D’altra parte, penso che Calvino sia rimasto fedele alla struttura fiabesca, nell’apparizione al viandante, perso durante la notte in un bosco, di un magnifico principesco Castello. Mi pare anche che il castello evochi un grande maniero dai lunghi corridoi che s’intrecciano, dalle scalinate o ritorte scalette che ne congiungono i piani, dalle ampie sale e dai bugigattoli oscuri. Un vero labirinto, del quale, grazie ai tarocchi, s iriuscirà, a trovare l’uscita.
Questa simbolica del Castello legata alla qualità dei tarocchi, ci pare validata dal racconto seguente, La taverna dei destini incrociati,ove ci si serve di tarocchi di Marsiglia, più popolari, e meglio appropriati al termine di taverna .Siamo sempre nella narrazione fiabesca, ove, accanto al principesco Castello, s’incontra nel fondo del bosco la tetra taverna, ove penetrano loschi individui dal cappello calato sugli occhi. Nella scrittura di questo secondo romanzo, Calvino afferma avere incontrato maggiori difficoltà, non riuscendo a disporre le carte in modo tale da contenere la pluralità dei racconti : “Sentivo che il gioco aveva senso solo se impostato secondo certe ferree regole ; ci voleva una necessità generale di costruzione che condizionasse l’incastro di una storia nelle altre, se no tutto era gratuito”. Trovo più avvincente La taverna dei destini incrociati, forse perché ne preferisco lo stile popolare, che fa scaturire con più forza il “fantastico” nell’immaginario del lettore. Benchè Calvino tenga sempre presente in tutte le sue opere colui che legge, nel modello combinatorio, in particolare, il suo ruolo finisce per integrarsi al lavoro letterario, e ol lettore vi si muove in piena libertà. Infatti l’ipertesto si basa su un’organizzazione di tipo reticolare, costituito da un insieme di unità formative e di collegamenti, che permettono di passare da un blocco ad un altro. Non più vincolato alla sequenza lineare può costruirsi il proprio percorso di lettura.
Il “lettore” è dunque imortante per il narratore Calvino : con lui pare giocare, a lui pare volere tendere tranelli, alla sua intelligenza si rivolge perché scopra le intenzioni sottogiacenti al racconto, ma lo rispetta, lasciandogli la più grande latitudine d’interpretazione, di scelta e di libertà. Scrive : “Smontato e rimontato il processo della composizione letteraria, il momneto decisivo della vita letteraria sarà la lettura. In questo senso, anche se affidata alla macchina, la letteratura continuerà a essere un luogo privilegiato della coscienza umana, un’esplicitazione delle potenzialità contenute nel sistema dei segni d’ogni società e d’ogni epoca... Ciò che sparirà sarà la figura dell’ “autore”, questo personaggio a cui si continuano ad attribuire funzioni che non gli competono.”
Le città invisibili
Il sistema « combinatorio » appare dunque a Calvino come il mezzo letterario più efficace nel tentativo di “introdurre ordine nel caos”. Lo applica anche al romanzo Le città invisibili(1972), che mi è parso un vero piccolo gioiello di struttura e di stile : la ricerca della città ideale ove l’uomo potrebbe trovare la vera ragione del suo “esistere”.
Scrive nella presentazione : “Le città dono un insieme di tante cose : di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio ; le città sono un luogo di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono solo scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si schiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici”.
Il romanzo si basa sulla scrittura combinatoria, segmentandolo in brevi testi che si susseguono dentro ad una cornice. Cinquantadue città dal nome di donne, riunite in nove capitoli secondo varie tematiche. Ogni capitolo è introdotto da un dialogo tra Marco Polo, e l’imperatore dei Tartari Kublai Kan, al quale il famoso viaggiatore parla delle città del suo vasto impero.
Marco Polo e Kublai Kan
Non ancora padrone della lingua di Kan, Marco dispone gli oggetti rapportati da lontane contrade su una scacchiera : spostandoli con mosse studiate, inizia un silenzioso, muto racconto, che obbliga Kan ad un’ardua decifrazione dei segni. Anche l’immagine reticolare di molte città descritte ne riproduce l’ordinamento combinatorio.
. Zora “è come un’armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare”.
Paul Klé
Ottavia “è una città ragnatela sospesa nel vuoto”. Ersilia “città che si rifonda di continuo, costituita di ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.”
Olinda “chi ci va con una lente... trova un punto non più grande di una capocchia di spillo e a guardarlo ingrandito ci si vede dentro i tetti le antenne i lucenari i giardini le vasche, gli striscioni attraverso le vie, i chiostri nelle piazze, il campo per le corse dei cavalli.”
Paul Klé
Laudonia è affiancata da due città specchio : quella dei morti e quella dei non-nati. Alternanza “concentrazione-dilatazione” attraverso la metafora della clessidra : la Laudomia dei non-nati, attraverso il breve passaggio della vita, è transvasata in quella dei morti.
Nelle Città invisibiliCalvino inserisce vari modelli del procedimento combinatorio, che appaiono nella rielaborazione del topos del viaggio e la ricerca delle chiavi interpretative dell’impero per deduzione. Abbiamo già visto le strutture reticolari e i modelli deduttivi.
Paul Klee
I rapporti tra gli abitanti di Cloésono ipotetici, immaginati “combinatoriamente” fino all’estinzione delle possibilità. A Clarice gli oggetti cambiano le proprie funzioni in base alle nuove esigenze. Ma la struttura formale, a dire il vero, mi ha lasciata un po’ indifferente. Penso infatti che si possano leggere questi brevi capitoli senza ordine preciso, che ci si possa soffermare a Zaira, città che s’imbeve dei ricordi dilatandosi come una spugna.
Poi raggiungere Despina dai pennacoli e fumaioli, la città del qui-pro-quo tra il cammelliere che pensa sia una nave ed il marinaio che, distinguendo due gobbe, crede che si tratti di un cammello. O ancora arrivare a Valdradache si sdoppia e s’inversa riflettendosi nell’acqua, per poi scoprire Smeraldina dal reticolo di canali che si sovrappongono e s’intersecano ad un reticolo di strade. Ed infine Venezia, l’inconfondibile città lagunare, sempre presente, mai citata. Paul Klee
Bauci, la città preferita da Calvino,sostenuta da sottili trampoli che si perdono sopra le nubi : “Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci : che odino la Terra ; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto ; che la amino come era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.”
Il viaggio di Marco Polo non è terminato, tutte le città non sono state incontrate, ne esistono ancora innumerevoli possibilità e Polo “deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato : rami secchi”.
Mirò
Mi sono soffermata a lungo su questo racconto fantastico, simbolico e filosofico, che solo l’immaginario calviniano poteva creare. Città allegoriche dalle molteplici interpretazioni, città utopiche o infernali, che testimoniano della complessità del mondo. Qualsiasi ne siano le interpretazioni da parte del lettore, supponiamo che lo scopo ultimo di queste descrizioni sia enunciato dal viaggiatore stesso al termine del viaggio, nell’affermazione che l’inferno sia quanto viviamo : “Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti : accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimenti continui : cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio”.
Mi ricordo avere ascoltato, su France Culture, un’emissione alla quale partecipava Jean Baudrillard, che sottolineava a che punto la nostra società, bombardata dai “media” che fanno di ogni avvenimento, di qualsiasi natura esso sia, uno spettacolo, vive in una specie di pseudo-realtà, che ha poco a che vedere col reale. Affermava che siamo in qualche senso vittime del progresso tecnico che, senza dimenticane i vantaggi, permette tuttavia, tramite la radio e la televisione in particolare, una versione ed una drammatizzazione degli avvenimenti che toglie all’ascoltatore o allo spettatore ogni possibilità di analisi critica ed obbiettiva. Baudrillard stigmatizzava anche internet che, secondo lui, offriva gratuitamente e senza verifica alcuna ogni sorta d’informazione. Vivremmo così in un mondo virtuale, in cui non si riuscirebbe più a distinguere il vero dalla pura invenzione. Non dimentichiamo però che questa emissione risale agli anni 2005-2006, e personalmente ritengo che la sua condanna, in particolare d’internet, non sia più oggigiorno valida.
Ma le sue affermazioni mi hanno naturalmente fatto pensare a Calvino ed a quanto scrive Kerstin Plitz sugli “ipertesti” del nostro narratore : “L’autore osserva che, benché la complessità dei racconti sia cambiata, i modelli organizzatori della comunicazione sono rimasti fondamentalmente gli stessi : il concetto di base è che un mondo di una complessità infinita e apparentemente impadroneggiabile può essere ricondotto a un numero finito di unità discrete o mattoni fondamentali che si possono combinare in infinite variazioni ; questo concetto risale a Lucrezio e alla sua teoria dell’atomismo, che a sua volta coincide con il principio dell’alfabeto, come ha dimostrato Galileo”.
Eccolo infine l’esempio che mi pare evidente : dalle ventun lettere dell’alfabeto italiano, per esempio, è scaturita una lingua, composta di parole, di frasi, che, secondo la loro localizzazione, la loro successione, la loro combinazione, assumono un’enorme varietà di significati. Senza alfabeto non ci sarebbe grammatica, né sintassi, né lingua, né semplicemente “parola”. Mi pare questo l’esempio “combinatorio” per eccellenza.
Pensiamo, per analogia, a quanto scrive Calvino nel 1969, nella rivista Lettura : “Descrivere vuol dire tentare delle approssimazioni che ci portano sempre un po’ più vicino a quello che vogliamo dire, e nello tempo ci lasciano un po’ insoddisfatti, per cui dobbiamo continuamente rimetterci ad osservare e cercare come esprimere meglio quel che abbiamo osservato”. Ancora qui chiaramente espessa, per analogia, l’idea calviniana che tramite la letteratura si può giungere ad una migliore percezione d’ordine nella confusione in cui ci sentiamo sperduti.
L’iper-testo
Qualche osservazione sul romanzo “iper-testo” Se una notte d’inverno un viaggiatore, in cui risentiamo l’influenza del Raymond Queneau di Exercices de style. Il testo è composto da dieci incipit di romanzi scritti ciascuno in uno stile paticolare. Si presenta dunque come un’encicopledia di diversi generi letterari. L’elemento centrale è “il principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile”. Il lettore diviene qui collaboratore attivo della composizione del testo, attraverso la lettura dei dieci romanzi interrotti, apocrifi, senza alcun apparente legame tra di loro. Calvino si nasconde dietro al Lettore che diviene “l’Io narrante”. Accanto a lui, vi è una Lettrice e la loro storia d’amore si articola nella contemporanea scoperta di questi dieci romanzi troncati per molteplici ragioni. Il capitolo-chiave è forse l’ottavo, Dal diario di Sila Flannery, romanzo sull’atto di scrivere e sul ruolo dello scrittore : “Come scriverei bene se non ci fossi! [...] Potrò mai dire : “oggi scrive”, così come “oggi piove”, “oggi fa vento?” Solo quando mi verrà naturale d’usare il verbo scrivere all’impersonale potrò sperare che attraverso di me s’esprima qualcosa di meno limitato chel’individuazlità del singolo.”
Secondo Calvino un testo non esiste senza un contesto di altri libri che lo condizionano. Esplicita questa concezone di iper-testo in un intervento, Il libro, i libri, durante la “Fiera del libro” di Buenos Aire, paragonando il libro al computer che “non ha senso senza i programmi, senza il suo software”. Scrive a questo proposito Kerstin Pilz : “È interessante che Calvino abbia scelto il computer come termine di confronto, perché è appunto la tecnologia dell’ipertesto che rende possibile il collegamento di un testo della biblioteca universale ai molti altri libri che lo precedono, gli stanno accanto e lo seguono ; è una testualità del continuo, resa possibile attaverso la combinatoria del discreto, che rende la biblioteca universale uno spazio sincronico.”
Nell’ultimo capitolo di Se una notte d’inverno un viaggiatore, assistiamo all’incontro in una biblioteca dei dieci lettori dei dieci romanzi. Uno di loro si fa il portavoce di quanto Calvino dirà più tardi alla fine delle Lezioni romane : “Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria di esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, ove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”.
Questo libro, che ricordal’opera di Queneau, è tutto pervaso d’ironia e pare ancora una volta volere prima di tutto “divertire” il lettore.Ma, a ben guardare, questo sapiente “esercizio di stile” indica gli stilemi del romanzo moderno: “Un romanzo tutto sospetti e sensazioni confuse ; uno tutto sensazioni corpose e sanguigne ; uno introspettivo e simbolico ; uno rivoluzionario esistenziale ; uno cinico-brutale ; uno di manie ossessive ; uno logico e geometrico ; uno erotico-perverso ; uno tellurico-primordiale ; uno apocallittico-allegorico.”
Si tratta di un “romanzo della teoria del romanzo”, procedimento già impiegato da Pirandello nelle sue opere teatrali con i personaggi-attori. Il Lettore diviene il protagonista di una storia continuamente interrotta e che rinvia da un autore sconosciuto ad un altro. Sottile, elaborato, ricercato gioco letterario combinatorio che mette in opera gli artifici, gli ingranaggi, le trappole dello scrivere e del leggere. Questo romanzo intellettuale nel suo gioco di specchi, tematica legata alla “decostruzione” del testo, mi ha messa a disagio.
Apparentemente ossimorico al racconto precedente per la sua semplicità testuale, Palomar riunisce brevi racconti pubblicati sul “Corriere della Sera” agli inizi degli anni ’80, poi raccolti in un volume dall’unico protagonista, Palomar.
Uomo comune, senza competenze particolari, ma grande osservatore di tutto quanto lo circonda, come se l’attenzione al dettaglio potesse fornirgli una chuave di lettura dell’universo. Calvino si serve forse di quest’uomo modesto, filosofo a sua insaputa, scienziato senza formazione, per costruire uno schema interpretativo della realtà, punto di partenza d’inesauribili problemi, che avanzano, passo dopo passo, verso una migliore conoscenza del mondo.
Calvino pare provare dell’affetto per quest’uomo senza pretese, che osserva un’onda del mare : “ Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non è che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa : vuole guardare un’onda e la guarda. [...] Infine non sono le onde che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta : volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni atto un oggetto limitato e preciso [...] ma non si pò osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo”.
Con la stessa apparente ingenuità, con lo stesso apparente candore, Palomar osserverà il prato infinito, contemplerà le stelle, quasi volesse schematizzare una natura estremamente complessa. Scrive Calvino : “Rileggendo il tutto, m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi : Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”.
La quête di Calvino
Abbiamo cercato di percepire, atttraverso queste qualche opere, la tentazione calviniana d’affidare alla letteratura delle modalità per mettere un po’ d’ordine nel caos.Vi si impiega con tutta l’intelligenza e il rigore che gli sono propri. Ma il risultato non può essere che relativo, impreciso, soggetto a cauzione. Perchè il caos, visto dai filosofi antichi come il disordine universale della materia precedente al cosmos, dai fisici (teorie del caos) lo studio del comportamento sistemi dinamici che mostrano un’elevata sensibilità alle condizioni iniziali rendendone sostanzialmente imprevedibile l’evoluzione temporale, non può, a parer mio, che oltrepassare di lungi l’uomo e la sua microscopica Terra, incomprensibile nel suo vero significato (perché ce ne deve bene essere uno), inconcepibile dal cervello umano, che non ha potuto infine definirlo che come “disordine e disorientamento tumultuoso, confusione senza eguali”.
Scrive Calvino in Lezioni americane”, relativizzando naturalmente la sua ricerca “en quête” di un’impossibile soluzione umana : “In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due tipi diversi di conoscenza : una che si muove nello spazio mentale d’una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze ; l’altra che si muove in uno spazio gremito d’oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempindo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile.”
Il che significa che, almeno nel campo della letteratura, se ne possono tessere insieme i diversi codici, non più abbandonati al caos, ma riuniti in una visione sfaccettata del mondo. Enorme è già il suo contributo, quando giunge alla conclusione che gli permette di definire il romanzo contemporaneo “come enciclopedia, come metodo di conoscenza e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo”, suggerendo che il mondo debba essere letto come una “enciclopedia aperta”.
Proposito tratto dalla recensione di Il Conte dimezzato, redatta da F. Brancato, S.Galeano, D.Graziano, A. e D. Oddio, in rete
Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, « Il dizionario della lingua italiana », Le Monnie, 2002
Claudio Milanini, « L’Utopia discontinua », Milano, Garzanti, 1990
Fonte: http://www.tesionline.it/tesiteca_docs/23183/calvino_1.doc
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