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Canto I
Domande n° 1-2-3-15-16 pag. 3
L'azione del canto si svolge in una <<selva oscura>> e ai piedi del monte della salvezza.
Dante non può salire al monte della salvezza perché, sul suo cammino, incontra tre fiere: una lonza, un leone e una lupa.
La fiera più temibile è la lupa.
Livello letterale:
Dante si smarrisce in un bosco selvaggio e minaccioso. Dopo una notte di smarrimento e paura, la luce del sole che sorge dietro un colle gli indica finalmente una via di salvezza. Giunto al limite della selva, si accinge alla salita, ma lungo il pendio gli si fanno incontro tre fiere, una lonza, un leone ed una lupa, che lo ricacciano terrorizzato nel fitto della selva. Qui incontra un personaggio, il poeta Virgilio; questi gli annuncia che per salvarsi dovrà fare un altro viaggio, attraverso i regni dell'oltretomba. Lui stesso si propone come guida, e i due si avviano.
Livello allegorico:
Dante smarrisce la retta via e si ritrova nel peccato e, per non rischiare una punizione eterna, cerca di riavvicinarsi a Dio. In questo cammino interiore, però, subisce la tentazione della lussuria, della superbia e della cupidigia, ritornando, così, nel mondo del peccato. Allora, guidato dalla ragione, decide di percorrere idealmente l'Inferno e il Purgatorio per poi arrivare al Paradiso, al fine di vedere le punizioni alle quali sarà condannato se non si conformerà ai valori cristiani.
Livello morale:
l'uomo, per essere perdonato dopo il peccato, non deve percorrere la strada più breve per arrivare a Dio, perché sarebbe facile preda delle tentazioni, ma, guidato dalla ragione, deve inevitabilmente passare, prima di arrivare al Paradiso, attraverso l'Inferno e il Purgatorio. In caso contrario, la sua redenzione non avrebbe buon esito, facendogli così subire quelle pene eterne che si è rifiutato di vedere.
Livello anagogico:
per avvicinarsi a Dio è necessario un percorso spirituale attraverso l'Inferno e il Purgatorio per ben comprendere la grazia della beatitudine e, soprattutto, la disgrazia della <<morte spirituale>>, cioè della condanna eterna. Senza questo percorso, invece, i peccatori, non impressionati dalla crudeltà delle pene, ricadranno in tentazione e finiranno con l'essere puniti alle stesse pene che si sono rifiutati di vedere.
Le tre fiere incontrate da Dante, e cioè la lonza, il leone e la lupa, simboleggiano rispettivamente la lussuria, la superbia e la cupidigia. Quest'ultimo, però, è il peccato più grave perché, al tempo di Dante, ha seriamente compromesso non solo la vita cristiana ma anche le istituzioni ecclesiastiche e civili. È evidente, quindi, un riferimento del poeta alle vicende storiche a lui contemporanee, cioè lo scontro tra Celestino V e Bonifacio VIII (Chiesa contro Chiesa), tra lo stesso Bonifacio VIII e l'imperatore Enrico VII (Chiesa contro Impero) e gli influssi che questi scontri hanno avuto nei confronti dei singoli comuni (a Firenze era in atto la guerra tra i Guelfi Bianchi e i Guelfi Neri).
Genova, 9 dicembre 1999
Canto I
Domande n° 4-5-7-9-12-18 pag. 3
Dante incontra l'anima di Virgilio che, per farsi riconoscere, dice che i genitori erano originari dell'Italia Settentrionale, che nacque al tempo di Giulio Cesare ma visse al tempo di Ottaviano Augusto e nell'epoca della religione pagana, cioè prima di Cristo, e, infine, che era poeta e che ha narrato le gesta di Enea dopo la distruzione di Troia.
Dante dice di essere nel mezzo della sua vita e, poiché nell'antichità la vita media era di circa settant'anni e dal momento che il poeta nacque nel 1265, siamo nel 1300, il primo anno giubilare.
Dante dovrà passare attraverso l'Inferno, dove sentirà le <<disperate strida>> dei condannati eterni, attraverso il Purgatorio, dove vedrà le anime in via di purificazione che, allo stesso tempo, sono felici perché <<speran di venire quando che sia a le beate genti>>, e, infine, potrà arrivare al Paradiso.
In questo canto Dio è designato come <<quello imperador che là sù regna>>, cioè come quell'imperatore che regna nei cieli.
In questo canto c'è un rapporto di rispetto e di gratitudine tra l'autore e Virgilio. Infatti, Dante gli risponde <<con vergognosa fronte>> e da lui ha imparato <<lo bello stilo che [...]>> gli <<[...] ha fatto onore>>.
Genova, 16 dicembre 1999
Canto III
Domande n° 1-2-3-9-10-16-17-18 pag. 9
Dante e Virgilio si trovano davanti ad una epigrafe posta sulla porta dell'Inferno che preannuncia ai due l'essenza terribile e sconvolgente del luogo.
L'ambiente infernale viene descritto tramite i sospiri, i pianti, i lamenti in ogni lingua e in ogni dialetto che si sentono, i rumori come di battere di mani e il buio.
Il luogo è chiamato Antinferno perché sta prima dell'Inferno. In questo luogo sono presenti due gruppi di anime: quelle che devono essere traghettate da Caronte verso l'Inferno vero e proprio attraverso il fiume infernale Acheronte e quella degli ignavi, le quali sono rifiutate dall'Inferno stesso.
L'epigrafe è formata da tre terzine di endecasillabi con rima incatenata nelle quali vi è la predominanza di suoni duri come t, p, e z che accentuano la drammaticità della situazione. Inoltre l'anafora per me ribadisce l'inesorabilità della condanna di chi entra per l'eternità nell'Inferno.
Dante, a causa del buio, non vede come è fatto l'Antinferno ma percepisce con l'udito gli orribili lamenti provenienti dalle anime. Si viene a creare, di conseguenza, quell'atmosfera cupa che è tipica dell'Inferno.
Le caratteristiche della Trinità sono la potenza creatrice e ordinatrice di Dio, la sapienza del Figlio e l'amore dello Spirito Santo.
Dante è contro gli ignavi perché, per causa di Celestino V, che era tale, è stato esiliato.
Essi sono nudi e sono costretti ad inseguire di corsa per l'eternità una miserabile insegna. Nel frattempo, però, sono fastidiosamente punti da mosconi e vespe.
L'insegna rappresenta quell'ideale che in vita non hanno mai seguito mentre le punture di insetti rappresentano gli stimoli che non hanno mai avuto.
Genova, 23 dicembre 1999
Canto III
Domande n° 4-5-6-13-23 pag. 9
Il fiume è l'Acheronte e Dante lo riprende dalla tradizione pagana.
La traversata all'altra sponda avviene tramite la barca di Caronte, il nocchiero infernale.
Le anime dei dannati hanno fretta di essere trasportate da Caronte perché, ormai rassegnate alla loro dannazione eterna, vogliono conoscere al più presto la loro pena.
Caronte si rifiuta di trasportare Dante perché è vivo e Virgilio lo convince dicendo che questo è ciò che vuole Dio, testimoniando, così, come la potenza divina sia capace di vincere anche il volere delle creature infernali.
Confrontate quindi la descrizione di Caronte (vv. 82-84; 97-99; 109-111) con quella di Catone in Purgatorio, riportata qui di seguito:
Com'io da loro sguardo fui partito, / un poco me volgendo a l'altro polo, / là onde 'l Carro già era sparito,
vidi presso di me un veglio solo, / degno di tanta reverenza in vista, / che più non dee a padre alcun figliolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista / portava, a' suoi capelli simigliante, / de' quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante / fregiavan sì la sua faccia di lume, / ch'i 'l vedea come 'l sol fosse davante.
canto I, vv. 28-39
Caronte si presenta come una figura infernale e demoniaca mentre quella di Catone è una descrizione molto più pacata. In questo senso basti confrontare i versi <<bianco per antico pelo>> riferito a Caronte e <<lunga la barba e di pel bianco mista>> riferito, invece, a Catone.
Traghettatore orrendo, quest'acque correnti guarda / Caronte, di paurosa magrezza, dal cui mento lunga / e canuta scende l'incolta barba, fiammeggiando dagli occhi sbarrati, / sordido dalle spalle annodato scende il mantello. / Lui solo sospinge la barca col palo e le vele governa, / e col livido scafo trasporta i corpi, / già vecchio ma di cruda e giovane vecchiaia da dio.
[...]
Il nocchiero, che già li vide dall'onda stigia / venire dal bosco silente e dirigere il passo alla riva, / così per primo li aggredisce a parole e li minaccia: / Chiunque tu sia, che armato vieni alle nostre acque / parla subito da lì, e dì perché vieni, e ferma il passo. / Questo è il luogo delle Ombre del Sonno e della soporifera Notte, / corpi vivi è vietato portare sullo stigio traghetto.
da Eneide, libro VI, vv. 298-304; 385-391
La differenza fondamentale tra il Caronte virgiliano e quello dantesco è che Virgilio si sofferma sulle caratteristiche fisiche mentre in Dante queste sono ben poche (<<un vecchio, bianco per antico pelo>>; <<lanose gote>>; <<'ntorno a li occhi avea di fiamme rote>>; <<occhi di bragia>>) e viene messo in risalto l'aspetto psicologico del demone, soprattutto la sua innata cattiveria.
Genova, 13 gennaio 2000
Canto V
Domande n° 1-2-3 pag. 15
Questo canto ci presenta in apertura la struttura dell'Inferno, in cui i cerchi diventano sempre più piccoli, e Minosse, che è il giudice infernale. Egli, infatti, a seconda della colpa dei dannati, assegna loro le pene circondandoli con la coda tante volte quanti sono i cerchi in cui decide che debbano essere precipitati.
Nei vv. 37-39 Dante ci informa che in questo cerchio sono puniti i lussuriosi, esposti per l'eternità ad una terribile bufera. Questo perché, in vita, si sono abbandonati alla tempesta dei sentimenti e alla passione dei sensi.
Virgilio mostra a Dante le anime di Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano e altre mille, accennando alle loro colpe.
Genova, 20 gennaio 2000
Canto V
Domande n° 4-5-6-7-22-23 pag. 15
Dante è colpito dal fatto che le due anime sono insieme. Queste, per dialogare con il poeta, si muovono dalla schiera dei lussuriosi.
Da questi versi si apprende che è nata in una città bagnata dalla foce del Po e che, innamoratasi di un altro uomo, venne brutalmente uccisa dal marito.
Un giorno, mentre stanno leggendo insieme le vicende di Ginevra e Lancillotto e del loro amore, improvvisamente, quando i due protagonisti del libro si baciano, fanno anch'essi ugualmente, commettendo, in questo modo, l'adulterio.
Dante è commosso a tal punto da questa vicenda che sviene.
<<Parlerei a quei due che 'nsieme vanno>>; <<nostro mal perverso>>; <<noi udiremo e parleremo a voi>>; <<Amor [...] prese costui de la bella persona che mi fu tolta>>; <<Amor [...] mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona>>; <<Amor condusse noi ad una morte>>; <<Quand'io intesi quell'anime offense>>; <<Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea>>.
In questi versi viene espressa la teoria dell'amor cortese, secondo il quale l'amore può esistere solo nelle persone gentili e nobili non per stirpe ma di sentimenti.
I più importanti testi sull'amor cortese sono tutti i componimenti del dolce stil novo, cioè le poesie soprattutto di Cavalcanti, di Dante stesso in una prima fase e Guinizzelli (Al cor gentil rempaira sempre amore).
Commento critico (di Angelo Jacomuzzi)
da L'imago al cerchio
Anche nel quinto canto Dante inventa un episodio nella vita dei suoi interlocutori ma, in questo caso, egli fa girare la vicenda attorno ad un libro, dandogli addirittura il nome di Galeotto e, quindi, ponendolo indirettamente al centro della situazione. In questo senso, l'Amore viene messo in secondo piano e la vicenda di Paolo e Francesca si svolge parallelamente a quella di Lancillotto e Ginevra, concludendosi con un bacio non volontario ma come imitazione di quello fittizio.
In generale, il vero tema di questo canto non è l'amore tra Paolo e Francesca ma è il rapporto tra letteratura e realtà: infatti, il discorso di Francesca è un continuo riferimento alla vita reale e a quella letteraria senza alcuna distinzione. Di conseguenza, il verso che fa <<quel giorno più non vi leggemmo avante>> non è da interpretare come un voluto silenzio per nascondere pudicamente la passione dei due amanti ma come una constatazione: da quel momento alla vicenda letteraria si sostituisce la tragica realtà dell'adulterio che li porterà alla morte.
Genova, 3 febbraio 2000
Canto VI
Domande n° 1-2-3-9-10 pag. 18
A guardia del terzo girone dell'Inferno c'è Cerbero, descritto da Dante come un cane a tre teste, con gli occhi rossi, la barba sudicia e nera, il ventre esageratamente grosso e le mani unghiate.
Il poeta e Virgilio riescono a superarlo lanciandogli della terra dentro le bocche.
In questo girone sono puniti i golosi, costretti a giacere nel fango puzzolente e bagnati da acqua e grandine. Inoltre, sono squartate da Cerbero.
La regola del contrappasso si realizza, in quanto i golosi, abituati ai profumi e ai sapori dei cibi prelibati, giacciono ora nel fango putrido e Cerbero, con le sue tre bocche e il suo ventre largo, rappresenta quello che loro sono stati in vita.
Dante fa fatica a riconoscere Ciacco perché quest'ultimo ha il viso dilaniato da Cerbero e, di conseguenza, è irriconoscibile.
Dante non descrive il passaggio dal secondo al terzo girone, ma sviene nel primo per la pietà suscitata dal racconto di Paolo e Francesca e si risveglia nell'altro.
Questo artificio era già stato usato alla fine del canto III, durante il viaggio sulla barca di Caronte dall'Antinferno al primo girone.
In questa terzina ci sono due anafore: <<novi tormenti e novi tormentati>> e <<come ch'io mi mova e ch'io mi volga, e come che io guati>>.
Genova, 10 febbraio 2000
Canto VI
Domande n° 4-5-22-23-24 pag. 18
I due parlano della situazione politica di Firenze.
Ciacco rivela al poeta il destino di Firenze e l'esilio dei bianchi, quindi anche quello di Dante stesso.
In questo canto si parla della situazione politica di Firenze.
Dante ama la sua patria ma allo stesso tempo la odia, perché i fiorentini, oltre ad averlo esiliato, hanno ridotto la città come le bibliche Sodoma e Gomorra, facendo regnare la lussuria, l'avarizia e la superbia e violando, di conseguenza, le leggi di Dio.
Ciacco gli predice il suo esilio, al contrario di Caronte che, nel canto II, gli annuncia che non andrà nell'Inferno ma, almeno, nel Purgatorio.
Genova, 17 febbraio 2000
Canto X
Domande n° 2-3-12 pag. 27
Dopo il giudizio universale, gli eretici, riuniti al loro corpo, saranno costretti a vivere eternamente in queste tombe che, però, verranno chiuse. Questa valle, di conseguenza, diventerà un vastissimo cimitero.
Farinata riconosce Dante dal suo dialetto, che è quello fiorentino.
Questo verso è costruito come una serie di coordinate e con una struttura anaforica con la funzione di ampliare il concetto espresso, cioè l'avversità politica degli Alighieri nei confronti degli Uberti.
Genova, 24 febbraio 2000
Canto X
Domande n° 5-6-7-21-24 pag. 27
Dante lo identifica per le sue parole e per la sua pena. L'uomo chiede al poeta notizie di suo figlio, Guido Cavalcanti, e, siccome esita nella risposta, crede che sia morto.
I dannati possono predire il futuro ma non sanno niente del presente. Questa condanna era stata in origine inflitta solo agli epicurei, perché in vita erano saldamente attaccati al presente senza curarsi del futuro, e in seguito venne estesa a tutto l'Inferno.
Farinata aveva in precedenza predetto a Dante il suo esilio, e il poeta ne rimase turbato.
Secondo i critici antichi, il cui sarebbe da riferire a Virgilio ma l'interpretazione non è plausibile; più probabilmente è da riferire a Beatrice, cioè l'allegoria di quella religione che Cavalcanti, in quanto ateo, ha trascurato, e io opterei per quest'ultima scelta.
Cavalcanti, quando viene erroneamente a sapere della morte del figlio, è talmente addolorato che ricade nella tomba e non appare più.
Genova, 2 marzo 2000
Canto XIII
Domande n° 1-6-12-19 pag. 34
Lo scenario si presenta come un bosco impenetrabile, tetro, arido e aspro. In questo luogo sono puniti i suicidi, i quali sono trasformati in alberi.
Le tre terzine cominciano con <<non>> e, inoltre, la seconda ha una costruzione ad anafora del tipo <<non... ma...>>, la quale mette in contrapposizione le condizioni di un bosco reale con quello infernale, contribuendo a formare un'ambientazione tetra e ostile.
La selva oscura è sulla terra e Dante vi si trova per una propria mancanza, mentre il bosco dei suicidi è un luogo infernale, e quindi è privo di vita, e il poeta è solo di passaggio.
Nell'Eneide Polidoro non è un condannato, come Pier delle Vigne, ma è una vittima dell'avidità di Polimestore e, per questo, diviene quasi un eroe per i Troiani.
Nell'Orlando Furioso, invece, il bosco non è un luogo tetro ma, al contrario, è idillico.
Genova, 16 marzo 2000
Canto XIII
Domande n° 3-4-5-7-13-14-15 pag. 34
Dante, che si trova in mezzo al bosco, è spaventato da alcune voci che pensa che provengano da persone nascoste. Virgilio, però, lo incoraggia facendogli rompere un ramo e rivelandogli che quelle voci provengono dagli uomini trasformati in alberi.
Pier della Vigna era un cortigiano di Federico II che era riuscito a conquistare la massima fiducia da parte dell'imperatore. Gli altri, però, invidiosi della sua condizione, riuscirono a farlo allontanare dalle grazie del sovrano ed egli si suicidò. Inoltre, dopo la condanna di Minosse, le anime dei suicidi precipitano in questo bosco e piantano le radici dove cadono, cioè casualmente e senza possibilità di scelta.
Una struttura simile a quella riscontrata, si è vista anche, ad esempio, nel canto X, nel quale Farinata, dopo aver parlato degli eventi storici di Firenze, dice a Dante che i condannati non sanno nulla del presente anche se possono conoscere il futuro.
Nel finale del canto entrano in scena due scialacquatori, condannati ad essere rincorsi attraverso questo bosco da animali feroci. Uno dei due, però, si nasconde dentro un arbusto e le bestie, quando lo sbranano, non possono far altro che dilaniare anche l'arbusto stesso, nel quale è stato intrappolata l'anima di un fiorentino suicida.
Questo episodio, nell'economia del romanzo, simboleggia il fatto che nell'Inferno, e nel mondo ultraterreno in generale, non vi sono solo personaggi illustri, come quelli trovati sino ad ora, ma anche gente del popolo.
<<Rami schietti - stecchi - aspri sterpi - fraschetta - perché mi schiante - perché mi scerpi - serpi - stizzo verde - scheggia rotta - rostra - rotture sanguinenti>>.
In queste espressioni prevalgono i suoni r ed s impura che, insieme ai frequenti raddoppi di consonanti, contribuiscono in maniera notevole a creare quell'atmosfera tetra tipica del bosco infernale.
Dante allude al fatto che Pier delle Vigne era il maggior confidente e consigliere di Federico II.
Poeticamente Dante riprende lo stile ricercato della Scuola Siciliana, con le tipiche simmetrie, la pianificata ripetizione della stessa parola, stilemi di gusto biblico, ecc.
Ai vv. 52-54 Virgilio invita Pier delle Vigne a narrare la sua storia per poter poi ricordarlo nel mondo terreno.
Genova, 13 aprile 2000
Canto XVI
Domande n° 2-3-4-8-11-12-13 pag. 44
Dante dialoga con Iacopo Rusticucci, Tegghiaio Aldobrandi e Guido Guerra, appartenenti alla schiera dei sodomiti. Questi tre peccatori, costretti a correre per l'eternità, per non fermarsi formano una ruota e Dante, per il piacere di aver incontrato degli uomini illustri dell'età cortese precedente a lui, avrebbe voluto abbracciarli.
Dante compie una critica ai Fiorentini perché quando i tre peccatori gli chiedono se la cortesia e il valore sono ancora presenti a Firenze egli risponde che sono stati sostituiti dall'avarizia.
Dante ammira i tre personaggi, che sono i rappresentanti dell'età cortese precedente a lui, a tal punto che vorrebbe andare in mezzo a loro, ma ne è impedito dalla paura per le fiamme.
Le arnie sono gli alveari e Dante parla del contenitore (appunto gli alveari) riferendosi, però, al contenuto (le api).
<<Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri, ricenti e vecchie, da le fiamme incese!>>; <<tinto aspetto e brollo>>; <<dipelato>>; <<mi sarei brusciato e cotto>>.
L'hysteron proteron è presente nei verbi ritrassi (ripetei) e ascoltai, il cui ordine logico è invertito.
vv. 22-27: Dante paragona i tre peccatori ai lottatori che prima del combattimento girano intorno all'avversario e studiano le mosse migliori.
vv. 94-105: per indicare un affluente del Po, il poeta usa una lunga perifrasi nella quale indica le località nelle quali passa questo fiume e come è chiamato.
vv. 103-136: Dante paragona l'arrivo di Gerione al marinaio che, immersosi per disincagliare l'ancora, sta risalendo in superficie.
Genova, 27 aprile 2000
Canto XVI
Commento critico (di Aldo Vallone)
da Studi su Dante medievale
Il critico Aldo Vallone osserva che il tema centrale del canto XVI dell'Inferno, come anche quelli delle altre cantiche, è il vagheggiamento della nobiltà e della cortesia, che Dante assimila dalla cultura provenzale e stilnovistica. Per lui la nobiltà, che non è quella di nascita, è virtù e dà come frutto le virtù morali e intellettuali. Ma già nel Boccaccio il termine cortesia è solo negli atti civili e il valore è solo negli esercizi militari. In Dante questi termini abbracciano ogni virtù umana e si contrappongono alla villania, sinonimo di male, di avarizia, di dismisura e pone in evidenza l'urto tra l'uso antico e l'uso che se ne faceva nel presente, tra nobiltà antica e turpezza dei contemporanei. Alla luce di questi fatti si capisce bene la richiesta di Rusticucci che dà rilievo a ciò che era consuetudine nel passato a Firenze, a quelle virtù ereditate ed acquisite. Gli uomini che avevano fatto grande Firenze e che l'avevano lasciata sobria e pudica, che speravano di avere insegnato qualcosa ai giovani, si sentono falliti come educatori e come padri, accortisi che i giovani sono su un'altra strada.
Per la seconda volta, dopo che Ciacco li aveva definiti superbi, invidiosi ed avari, Dante parla in modo duro dei cittadini di Firenze, dando la colpa della decadenza della città, oltre che ai giovani, anche ai nuovi ricchi che volevano costituire anche una nuova nobiltà.
Genova, 11 maggio 2000
Canto XXVI
Domande n° 3-4-5-9-10-18 pag. 70
I due peccatori sono Ulisse e il compagno Diomede, i quali attirano l'attenzione di Dante perché sono puniti, come consiglieri fraudolenti, in un'unica fiamma a due punte.
Ulisse narra la sua storia dopo il ritorno ad Itaca.
Il canto si chiude con la narrazione della morte di Ulisse e dei compagni, i quali, oltrepassate le Colonne d'Ercole, dopo circa cinque mesi di navigazione arrivano in vista del monte del Purgatorio dal quale, però, si genera un turbine che fa affondare la nave.
Virgilio, per aver narrato le loro gesta nell'Eneide, invoca i suoi meriti nei confronti di Ulisse e Diomede per farsi raccontare ciò che vuole.
Il discorso di Ulisse può essere diviso nelle seguenti sequenze narrative: partenza da Circe; inizio del viaggio, dal quale non lo possono trattenere neanche il figlio, il padre e la moglie; arrivo alle Colonne d'Ercole; discorso di incitamento; ripresa del viaggio e arrivo al monte del Purgatorio; generazione del turbine a partire dal monte; affondo della nave; morte.
L'uomo deve seguire la virtù e la conoscenza perché proprio in questo si contraddistingue dagli animali.
Genova, 18 maggio 2000
Canto XXVI
Commento critico (di Jurij M. Lotman)
da Testo e contesto, semiotica dell'arte e della cultura
In questo brano, il critico Lotman mette in relazione la figura di Dante con quella di Ulisse.
Entrambi i personaggi sono mossi dalla voglia di conoscere ma con una importante differenza: mentre per il poeta la scienza deve essere accompagnata dai valori morali e religiosi, per Ulisse non vi è questa identità (per lui il Purgatorio non era importante per la sua valenza cristiana ma solo perché era un territorio sino ad allora sconosciuto). Dante, quindi, mettendo l'eroe greco nell'Inferno, avverte i pericoli che la divisione tra scienza e moralità comporteranno nel Rinascimento e nelle epoche successive.
Inoltre, entrambi vanno in cerca di nuove conoscenze ma mentre Ulisse è un esploratore ed è guidato solo dalla sua intelligenza, Dante è un pellegrino perché va in cerca della salvezza ed è guidato sì dalla ragione (Virgilio) ma anche dalla fede (Beatrice).
Fonte: http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2012/04/Linferno-di-Dante-Alighieri2.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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