Letteratura secondo ottocento

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Letteratura secondo ottocento

LA LETTERATURA DEL SECONDO OTTOCENTO

Nella storia italiana il periodo compreso tra la costituzione del regno unitario (1860) e l’ingresso nella prima guerra mondiale (1915) fu caratterizzato da novità significative in campo letterario e artistico.
Tra la guerra franco-prussiana (1870) e la prima guerra mondiale, l’Europa attraversò il più lungo periodo di pace e stabilità. Le rivalità internazionali si trasferirono sul piano delle lotte per l’influenza nei Balcani e per la spartizione coloniale dell’Africa. Fu  un periodo di grande sviluppo produttivo, favorito dalla pace, dallo sfruttamento dei popoli coloniali e da straordinari progressi tecnici e scientifici che misero in campo nuove risorse energetiche, come l’elettricità. La rivoluzione industriale si estese ai paesi che erano restati ai suoi margini, come la Germania e l’Italia. Nacquero inoltre giganteschi trust o monopoli, crebbe ovunque l’urbanesimo e si accelerò la trasformazione dell’ambiente umano.
Fu questo il periodo in cui il movimento operaio si organizzò in partito socialista e in sindacati che cominciano a contare nella vita politica, ottenendo i primi successi nel campo delle riforme delle masse proletarie (la classe proletaria: ‘che possiede solo la prole) organizzate. Per la prima volta nella storia europea si poté parlare di una società di massa. Nessun governo poté permettersi di ignorare un’opinione pubblica estesa a tutti gli strati sociali. La pace, la prosperità, il progresso tecnico diffusero, sul piano della mentalità collettiva, negli strati alti della società un certo ottimismo e un senso gaudente della vita che fece, poi, parlare di una belle époque. Contemporaneamente però si moltiplicavano i motivi di inquietudine.

LA SCIENZA E L’EVOLUZIONISMO
Tutto il pensiero della seconda metà dell’Ottocento è dominato dagli straordinari progressi della ricerca scientifica. La scienza, che nella cultura romantica era stata emarginata, tornò al centro della riflessione filosofica e del dibattito culturale. Tra le acquisizioni scientifiche dell’epoca, quella che ebbe le maggiori conseguenze culturali fu la teoria dell’evoluzione formulata da Charles Darwin.
Le ipotesi evoluzionistiche erano già state avanzate, ma Darwin ne forniva per la prima volta una spiegazione sistematica attraverso il concetto della selezione naturale. L’enorme impatto culturale del darwinismo, si può paragonare solo a quello che aveva avuto il passaggio dalla concezione tolemaica del sistema solare a quella copernicana.
Nel tempo così vi furono varie implicazioni: alla visione della natura immutabile, si sostituisce il concetto di una storicità della natura; viene affermata la piena naturalità dell’uomo, “animale tra gli animali” anche se più evoluto.
Tutto questo portò a uno scontro con le concezioni religiose tradizionali: non solo perché contrastava col racconto biblico della creazione ma perché allontanava l’idea della Provvidenza divina, così il conflitto tra la scienza e la fede fu uno dei tanti temi del tardo Ottocento.
Dal darwinismo si ricavarono anche conseguenza ideologiche più o meno legittime; da un lato l’idea dall’evoluzione fu trasferita sul piano sociale in una versione ottimistica del progresso della società, mentre da un altro verso fu applicato alle società e alle nazioni il concetto di selezione naturale: secondo la teoria evoluzionistica, in ogni generazione, di ogni specie sopravvivono gli individui che hanno i caratteri più adatti all’ambiente. Questo concetto fu usato per giustificare il diritto del più forte nei rapporti tra le classi o tra gli stati: fu questo il cosiddetto “Darwinismo Sociale”.

IL POSITIVISMO
Dopo il 1860 il Positivismo (il termine si riferisce alla supremazia dei dati di fatto sui ragionamenti astratti) acquista il predominio nelle università e nella cultura e trova la massima diffusione con l'opera dell'inglese Herbert Spencer. L'idea chiave del Positivismo è che l'unica vera conoscenza è quella ottenuta con il metodo scientifico basato sull’osservazione sperimentale dei fenomeni e sulla scoperta delle leggi.
Queste conclusioni per Spencer si riassumono nella legge dell’evoluzione, che consiste nel passaggio dall’incoerente al coerente in tutti gli ordini della realtà. L’egemonia positivista si estese anche agli ambiti tradizionalmente umanistici basti pensare agli studi sull’origine del cristianesimo raccontato da Renan che con “La vita di Gesù” sollevò uno scandalo, proponendo un’interpretazione puramente storica e umana di Cristo.
In campo estetico e letterario ebbero grande influenza le idee dello storico francese Hippolyte Taine che nella filosofia dell’arte sostenne che i fatti artistici possono essere spiegati sulla base delle condizioni materiali in cui si producano, riassunti nelle triade “razza” “ambiente” e “momento” .
IL MATERIALISMO STORICO
Karl Marx e Friedrich Engels, poi,  nel Manifesto del partito comunista, pubblicato a Londra nel 1848, formularono le premesse teoriche del comunismo, inquadrando l'evoluzione dell'umanità in una prospettiva socioeconomica. Le teorie marxiste diedero impulso alle lotte sociali che si moltiplicarono nella seconda metà del XIX secolo e che influenzarono profondamente ideologie e movimenti rivoluzionari nel XX secolo. Esse partirono dalla concezione materialistica che ha come base il principio secondo cui la materia esiste indipendentemente dall'esistenza o meno di un ente soprannaturale. Il materialismo storico, perciò,  parte dal presupposto che l'uomo, evoluzione della materia, materia organica e pensante, prima di essere tale (cioè pensante) è materia organica, e quindi deve nutrirsi, ovvero è la produzione e la riproduzione della vita materiale che permette all'uomo di progredire intellettualmente e socialmente. Secondo questa concezione le varie forme della coscienza degli uomini (come la morale, la religione, le sovrastrutture ideologiche in generale) sarebbero dipendenti dal processo della loro vita materiale, vale a dire dalle forze produttive, dai rapporti di produzione e dalle forme di divisione del lavoro attraverso cui essi soddisfano i loro bisogni primari.

LA CRISI DELLA RAGIONE: FRIEDRICH NIETZSCHE E IL “SUPERUOMO”
Positivismo e marxismo hanno in comune la fiducia in una spiegazione razionale della realtà, ottenuta con un metodo scientifico.
La scienza, però, affermano alcuni pensatori, non potrà mai risolvere l’essenza della materia, l'origine della vita e l'origine del pensiero, in quanto può conoscere solo fenomeni e connessioni di fenomeni. Essa , affermano altri, è insensibile alle esigenze più profonde dell'uomo come sentimenti, ideali, morale, fede. Queste correnti  di pensiero acquistano forza lungo i decenni, fino a configurare alla fine del secolo una  rivolta antipositivista.
Il tedesco Friedrich Nietzsche, non critica semplicemente il positivismo, prende di petto l'intera tradizione del pensiero occidentale basata sull'idea di ragione. Egli  parte dall’affermazione della crisi definitiva di tutti i valori tradizionali, di tutte le fedi,perciò afferma “Dio è morto”. L'uomo moderno vede la caduta dei punti di riferimento tradizionali e crea una specie di deserto morale.
L’uomo moderno non vede più nulla al di sopra della propria naturalità. Questa crisi non deve però essere vissuta come una perdita,ma come un’occasione di liberazione, di gioiosa espansione delle energie naturali dell’uomo, della sua <<volontà di potenza>>: sarà questo il compito del <<superuomo>>. E’ un compito riservato a pochi individui eletti che sappiano liberarsi dai vincoli della morale tradizionale: i valori cristiani di solidarietà e di amore del prossimo non sono altro che una”morale degli schiavi”, inventata dagli uomini inferiori per proteggere la propria mediocrità.
Il pensiero di Nietzsche, sul finire dell’Ottocento fu distorto e le idee di sopraffazione,che ebbero la maggiore diffusione, servirono di base a tendenze di nazionalismo autoritario ed aggressivo.
Lo scenario della fine del secolo può essere riassunto nello scontro fra due tendenze ideologiche: una in declino di carattere razionalista, umanitario, l’altra aggressivamente emergente, che si richiama a filosofia dell’azione, della vita, del superuomo, e afferma la supremazia della forza sul diritto e sulla solidarietà.

LA LETTERATURA: PRODUZIONE E FUNZIONE DEL POETA
La diffusione dell’istituzione e il miglioramento delle condizioni di vita aumentarono il numero dei lettori in Europa. Nei paesi più evoluti si venne a formare un pubblico di massa che comprendeva la maggioranza della popolazione senza diversità sociale. Per far fronte ad un mercato allargato l’industria si ampliò e si consolidò: alla libreria o alla stampa subentrò la casa editrice.
Aumentarono il numero degli scrittori che vivevano esclusivamente di questa attività, Un'altra professione la trovarono per lo più nell'insegnamento superiore o nel giornalismo. Del resto l'attività letteraria e quella giornalistica coincidevano quando gli scrittori pubblicavano a puntate i loro romanzi su quotidiani e periodici. Con gli scrittori professionisti o scrittori giornalisti, i letterati videro ridursi l’ambito di loro competenza.
Nel primo 800, la letteratura faceva ancora parte di un campo ampio e poco differenziato. Nella seconda parte del secolo la filosofia, la scienza e le scienze umane invece furono riservate agli specialisti; la politica diventò un’attività professionale e la letteratura diventò un settore separato della cultura che si differenziò in letteratura “alta”, destinata ad un pubblico di intenditori,e in letteratura “bassa” ad un pubblico di massa.
La cultura della seconda metà dell'Ottocento, insomma, è caratterizzata da un'attenzione diffusa verso lo studio della realtà.  Il realismo, ossia la tendenza, l'aspirazione generale e generica al vero, al reale, al parlare della vita come è veramente anche nei suoi aspetti molto nobili, in Francia, diede origine a opere come i Miserabili di Victor Hugo;  mentre in Italia sentirono questa tendenza generica al vero gli Scapigliati con il loro amore dell'orrido, del lugubre, degli aspetti più malsani della società reale e i veristi in cui, questa tendenza generica al vero, ebbe leggi poetiche e precise. Non è solo una questione di gusto letterario che allontanava gli scrittori dal grande pubblico. La borghesia sempre più ricca, potente, potente, numerosa, che dava il tono alla vita sociale, appariva a  loro utilitarista e affarista, moralmente meschina, intellettualmente stupida. La questione del ruolo che possono avere i letterati in una società tanto degradata diventa drammatica. La figura del vate ispirato, che celebra  i valori di una comunità e si erge a sua vita morale, decade. Gli scrittori reagiscono variamente a questa dissacrazione del loro ruolo: le alternative più tipiche si trovano nell’area dei naturalisti. I romanzieri naturalisti francesi e i veristi italiani, infatti, si definiscono scienziati sociali con il compito di analizzare i problemi cruciali della società e  proporli al pubblico attraverso le rappresentazioni artistiche. Lo scrittore si guadagna da vivere solo col proprio lavoro e non è soggetto più al mecenatismo. Gli atteggiamenti di disprezzo per il pubblico sono più frequenti e tipici fra i poeti “decadenti”Il grande poeta è necessariamente un incompreso, un “maledetto” , come Paul Verlaine definì se stesso, Rimbaud e Mallarmè in una raccolta di articoli de 1883. Lo stato d’animo più caratteristico fu quello raffigurato da Charles Baudelaire nell’apologo del poeta che ha perduto la sua aureola caduta nel fango: dove l’aureola rappresenta una superiorità spirituale e una funzione educatrice che la società non riconosce più al poeta.
Il protagonista dell’apologo baudelariano dell’aureola racconta la sua disavventura in un bordello: il poeta, maledetto della società, reagisce accentuando provocatoriamente in sé i tratti dell’emarginato e del reietto, si proclama amico delle prostitute e dei vagabondi, si consuma negli stravizi, vive da bohèmien tra la strada la bettola e l’ospedale; contemporaneamente coltiva in sé un “ideale” sublime quanto indefinito.

LA LETTERATURA IN ITALIA
I letterati  italiani del primo Ottocento erano stati protagonisti delle lotte risorgimentali, quelli delle nuove generazioni si trovarono invece fuori dalla politica attiva e in posizione di severa critica verso la classe dirigente, che giudicavano mediocre, priva di ideali;solo verso la fine dell’Ottocento la polemica dei letterati assunse per lo più toni nazionalisti: invocazione di una politica estera, militare e coloniale più intraprendente che facesse dell’Italia una grande potenza.
Il problema più grave del nuovo stato, la miseria delle plebi contadine ed urbane, non poteva non essere tra gli interessi del mondo letterario. I veristi contribuirono a portare all’attenzione del pubblico colto la questione meridionale, anche se non avevano intenzioni esplicite di denuncie e di proposte. Il fenomeno sociale più importante dell’epoca, la grande migrazione verso l’Europa e l’America, che dalla fine del secolo assunse in alcune regioni le dimensioni di un esodo di massa, ebbe invece un’eco letterario molto limitata: tra gli scrittori più noti se ne occupò solo Pascoli, che ne fece la base del suo nazionalismo “proletario”.
La nota frase di Massimo d’Azeglio: “Il primo bisogno dell’Italia è che si formino gli Italiani”, esprime bene la percezione che si ebbe delle differenze sociali e culturali che attraversarono l’Italia. Queste diversità erano innanzitutto linguistiche e il 75%  della popolazione o era analfabeta  o aveva frequentato per due o tre anni la scuola elementare per cui non riusciva ad adoperare l’italiano. Si discusse molto anche intorno all’unità della lingua e ai mezzi per diffonderla.
Molti letterati aderirono alla tesi manzoniana dell’assunzione del fiorentino parlato come rigido modello. Contro questo fiorentinismo di maniera si schierarono coloro che vedevano il fondamento dell’italiano nella tradizione della lingua colta e scritta. Indipendentemente da questi dibattiti il processo effettivo di diffusione dell’italiano passò per canali più spontanei, dovuti alle trasformazioni sociali conseguenti all’unità: la diffusione dell’istruzione e la formazione di una burocrazia nazionale. In conseguenza di tutto ciò una quota crescente della popolazione fu in grado di usare nella vita quotidiana, accanto al proprio dialetto, una qualche forma di italiano.  
Un altro elemento politico-culturale importante dell’epoca fu  l’isolamento della chiesa cattolica, chiusasi nella scomunica a tutto il pensiero moderno. Molti intellettuali cattolici sentirono i conflitti tra scienze e fede, tra appartenenza religiosa e doveri di cittadinanza. I tentativi di rinnovare la cultura cattolica sul piano del pensiero o su quello politico-sociale, andarono sotto il nome di “modernismo”      
In Italia l’editoria si consolidò e cominciò ad assumere, con più ritardo, dimensioni industriali, i grandi successi editoriali si cominciarono ad imporre lentamente: primo tra tutti  il libro Cuore di De Amicis.
Fu notevole anche lo sviluppo della stampa quotidiana, però la diffusione di un quotidiano era ancora limitato all’ambito della città.
Milano fu il centro dell’industria editoriale e della letteratura più avanzata, attorno ai suoi periodici si raccolsero scrittori-giornalisti impegnati nelle forme letterarie più vicine al pubblico . Un segno della vitalità di Milano fu che i maggiori esponenti del verismo ne fecero per lunghi periodi il centro delle proprie attività.Verso la fine del secolo anche Roma diventò un centro letterario importante .  Le università diventarono dopo l’Unità centri importanti di cultura, anche grazie alle nomine conferite dai primi governi del nuovo stato ai personaggi più illustri tra cui De Sanctis  e il giovane Carducci.

LA POETICA DELLA LIRICA: IL DECADENTISMO
La corrente letteraria, che si sviluppò in Europa tra gli anni Ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, si chiama Decadentismo, essa ebbe origine in Francia. Il termine "decadentismo" nacque con l'accezione negativa di "decadenza", sentita come il declino non soltanto sociale ma anche letterario di un'intera civiltà, ancora prima di diventare il titolo di una rivista letteraria francese ("Le Décadent", fondata nel 1886) era stato utilizzato dalla critica per definire l'opera di quegli scrittori, i “poeti maledetti”, che con la loro vita disordinata apparivano alla gente dei decadenti, cioè dissoluti e corrotti. L’espressione “poeti maledetti” derivava dal titolo di un’antologia, curata da Verlaine, in cui c’era una poesia che trattava di una madre che, esasperata dal tipo di vita che conduceva il figlio, malediceva il giorno in cui l’aveva messo al mondo! Due opere, in particolare, avevano suscitato grande scandalo in Francia a metà Ottocento: I fiori del male di Charles Baudelaire, definito il padre del Decadentismo, e Madame Bovary di Gustave Flaubert, entrambe del 1857.
Il Decadentismo sorse per vari motivi:

  • Reazione alla crisi del Positivismo
  • Nascita della Psicanalisi ad opera di  Freud
  • Crisi dei valori tradizionali che portava o alla “fuga dalla realtà” o all’accettazione virile di questa
  • Cambiamento della società che era tutta tesa al guadagno e alla produzione

Il termine originariamente indicava quindi un determinato movimento letterario nato nella Parigi di fine Ottocento. Siccome all'interno di questo movimento vi erano altre correnti che poi si sarebbero sviluppate autonomamente, la storiografia letteraria italiana, nel Novecento, ha assunto il termine a designare un intero movimento letterario di portata europea. L'uso del termine con questo suo secondo significato è prevalentemente diffuso in Italia mentre in altri paesi, come ad esempio la Francia  sono preferite diverse denominazioni, quali ad esempio il "simbolismo".
La critica ufficiale, per descrivere questi atteggiamenti assunti da alcuni intellettuali, usò il termine decadentismo proprio per sottolineare la sensazione di crollo di una civiltà. La critica usò questo termine con una accezione negativa ma gli intellettuali che facevano parte di quel gruppo, definito come “decadente”, ribaltarono il significato, arrivando ad indicare un privilegio spirituale e ne fecero una sorta di bandiera da esibire con orgoglio e dedizione.
 In Italia, dove la trasformazione economica in senso capitalistico avvenne in ritardo e in modo repentino, il Decadentismo non assunse il carattere radicale e dirompente che ebbe nella vicina Francia. Diversa era soprattutto la concezione della figura del poeta, il quale mantenne una funzione di guida culturale della società, al contrario di quanto avveniva in Francia, dove Mallarmé riconosceva nell'isolamento la condizione dell’artista, costretto ai margini di una "società che non gli permetteva di vivere". Esemplare fu la figura di Gabriele d'Annunzio che voleva fare della vita un’opera d’arte. In D’Annunzio l’estetismo si incontrò con la suggestioni della dottrina  di Nietzsche del superuomo compresi gli aspetti di sopraffazione sociale. Il disprezzo aristocratico per  la massa non escluse, nel letterato dandy o superuomo, il desiderio di imporsi all’attenzione del pubblico soggiogandolo con l’esibizione della propria superiorità; per questa via l’esperienza dannunziana sfociò, poi, nell’attivismo militare e politico (volo su Vienna, con il lancio di volantini tricolori, beffa di Buccari, occupazione di Fiume).

  • LA POESIA IN FRANCIA

In Francia a partire dall’opera di Charles Baudelairesi compie una vera rivoluzione poetica da cui nasce quella che chiamano la poesia moderna. Questa poesia è essenzialmente lirica: scompaiono i vasti poemi narrativi e filosofici ancora coltivati nell’età romantica, scompaiono gli intenti pedagogici, gli slanci oratori e sentimentali; la poesia da Baudelaire in poi vuole essere “pura”, chiudere in breve giro di versi un messaggio di bellezza valido in sé, staccato da qualsiasi intento pratico. Una componente di questo gusto fu teorizzata da un gruppo di poeti francesi che si presentò in tre raccolte di versi intitolate al Parnaso. I parnassiani miravano a una poesia di pure immagini di evidenza scultorea, priva di espressività sentimentale anzi impassibile: il loro poeta ideale era un artefice squisito della parola, perfettamente padrone dei propri mezzi. Tematiche proprie anche dei simbolisti.
Di simbolismo si incomincia a parlare in Francia intorno al 1880 includendovi Baudelaire come precursore e i tre maggiori poeti dell’epoca: Verlaine, Mallarme e Rimbaund. Il termine designa oggi non solo una scuola, ma una tendenza fondamentale,su scala europea, fra il tardo 800 e il primo 900.
Esso nasce come una corrente letteraria opposta al naturalismo ed al realismo, che tendevano ad una oggettiva descrizione del reale. Il nuovo movimento è legato al concetto di simbolo,inteso come un oggetto o un’immagine che non valgono in se stessi ma che servono a rappresentare un’idea o un’altra cosa con cui sono legati da qualche analogia.
I simbolisti operarono un profondo rinnovamento del linguaggio poetico, con accostamenti inconsueti di parole e idee, con l’accumulo di metafore sorprendenti,con la sinestesia (intreccio di ordini diversi di sensazioni),la lingua della poesia volta le spalle alla comunicazione ordinaria,si fa allusiva. Ciò che la poesia simbolista vuole evocare è una realtà “altra”che sta al di là dell’esperienza comune.
Per Rimbaud, adolescente geniale e ribelle il poeta deve farsi “veggente”,attraverso un <luogo,immenso e ragionato regolamento di tutti i sensi>>, per <giungere all’ignoto>>. La tensione verso una oscura realtà superiore è propria solo dei momenti più impegnativi dei simbolisti, perché ciò che si diffonde come gusto simbolista è soprattutto l’evocazione musicale, l’indefinito, il linguaggio raffinato e allusivo. A questo livello il simbolismo può incontrarsi con una tendenza che si può definire “impressionista”, mutuando il termine della pittura contemporanea.
Baudelaire fu il precursore del Simbolismo. Nato da una famiglia borghese e tradizionalista, verso i vent’anni si diede a una vita sregolata. Frequentò ambienti equivoci e contemporaneamente ambienti artistici e intellettuali che spesso tendevano a confondersi con quelli di una comune marginalità sociale. Dopo aver consumato parte del patrimonio familiare, fu fatto interdire dalla famiglia e morì in miseria ancora giovane. La scelta di vita di bohèmienne nacque da una precisa consapevolezza della crisi del ruolo del poeta nella società borghese.  Esso fu il primo poeta metropolitano, capace di cantare i ritmi sovreccitati e le sensazioni forti della vita. In questo contesto il sentimento dominante era quello dello spleen , termine che indica un senso di disadattamento e depressione.
Anche Arthur Rimbaud fu un adolescente geniale e ribelle che a sedici anni fuggì da una famiglia borghese e si diede a un’esistenza errabonda per le capitali europee, Paul Verlaine,col quale ebbe una relazione amorosa. Disperse i suoi manoscritti delle sue poesie e prose poetiche tra i conoscenti,che furono pubblicate dopo pochi anni che il giovanissimo poeta aveva improvvisamente abbandonato l’attività letteraria e si era dato a traffici commerciali e ad avventure coloniali. La poesia di Rimbaud è un seguito di immagini allucinate, sospese fuori dello spazio e del tempo,che si evocano le une le altre senza coerenza logica. Le prose poetiche sono brevi frammenti lirici che si presentano come rivelazioni improvvise di una realtà “altra”,una “surrealtà”. Il titolo della raccolta principale, Illuminazioni,dà bene il senso di questa aspirazione a fare del poeta un “veggente mediante un lungo,immenso e ragionato regolarsi di tutti i sensi”.
L’amico più anziano di Rimbaud, Paul Verlaine, ebbe una carriera poetica più lunga, anche se la sua condotta disordinata lo portò a morire in miseria. La sua formazione poetica avvenne nell’orbita della scuola parnassiana,dalla quale ereditò la sapiente rifinitura dei versi.
A differenza degli altri, Stéphane Mallarmè condusse una vita tranquilla da professore di liceo e la  sua casa divenne il luogo di ritrovo di una schiera eletta di letterati. Assieme a Rimbaud, Mallarmé fu autore di una radicale rivoluzione del linguaggio poetico. La sua poesia è ricerca di una Parola assoluta,libera da ogni valore di comunicazione pratica,capace di racchiudere in sé l’assenza dell’universo. L’opera di Mallarmé fu un lavoro di raffinamento dello stile,che si riduce a un numero limitato di componimenti.    

  • LA POESIA IN ITALIA

La poesia italiana fu una poesia lirica: scomparvero i poemi narrativi, la novella in versi e prevalsero forme compositive più brevi e concluse. Nella tematica, un carattere nuovo fu il realismo. La poesia rifletté la concreta esperienza del poeta con un’attenzione ad aspetti della vita quotidiana. Anche nel linguaggio si manifestò il realismo, nel senso di un abbassamento del tono, un’apertura al lessico comune, un accostamento ai modi della prosa.
Nei poeti che esordirono dopo il 1860 fu evidente il bisogno di rompere con la maniera romantica. Questa esigenza si manifestò in due direzioni opposte: da un lato Carducci reagì in nome di un ritorno alla tradizione classica italiana, dall’altro gli scapigliati si richiamarono alle tendenze nuove della lirica europea.
La scapigliatura fu la prima manifestazione italiana del disagio del letterato nella società borghese. Il termine apparve nel titolo di un romanzo del giornalista Cletto Arrighi. Il centro degli scapigliati fu Milano, la città italiana più moderna in pieno sviluppo capitalistico dopo il 1860. L’attività degli scapigliati alternava poesia, giornalismo, narrativa d’appendice; alcuni furono anche pittori e musicisti, con un accostamento tra le arti. La loro sfida si fece apertamente provocatoria: gettarono in faccia al pubblico borghese un repertorio di temi macabri o scabrosi.
Il ruolo di iniziatore fu Igino Ugo Tarchetti, piemontese che visse a Milano gli ultimi anni della sua breve vita consunta dalla tisi. Ci furono, poi, Praga, esponente tipico di questa generazione per la sua vita maledetta, infatti, fu distrutto ancora giovane dall’alcolismo; Arrigo Boito, nominato senatore, critico musicale e musicista, autore di testo e musica di due melodrammi, fu anche librettista delle ultime opere di Verdi.
Dal 1880 nella poesia italiana si diffusero i motivi del clima europeo, ed in questo periodo ebbe un suo rilievo Arturo Graf, professore dell’università di Torino. La sua poesia s’ispirò ad un pessimismo di stampo leopardiano che nei versi giovanili si espresse attraverso paesaggi desolati.  Al di là del gruppo originario milanese, il clima scapigliato influenzò molti altri scrittori di vario livello. Il primo fu Giovanni Verga per la produzione anteriore alla sua scoperta del verismo.    

LE POETICHE DELLA NARRATIVA: IL REALISMO
La cultura della seconda metà dell'Ottocento è caratterizzata da un'attenzione diffusa verso lo studio della realtà. Gli scienziati ottennero straordinari successi in campo medico, fisico, matematico; si impose il metodo sperimentale; la tecnica cominciò a modificare sia il paesaggio rurale sia quello urbano: anche in Italia si svilupparono le ferrovie, come pure l'illuminazione a gas. C'è una parola che esprime il dinamico ottimismo dell'epoca: progresso. Le città attiravano manodopera proveniente dalla campagna, si sviluppò l'industria e nacque la cosiddetta "questione sociale": ben presto la diffusione del socialismo cominciò a preoccupare capitalisti e borghesi. Queste trasformazioni, sempre più accelerate, portarono dei cambiamenti anche tra le abitudini familiari: molta letteratura dell'epoca racconta proprio il riflesso di queste trasformazioni nel mondo della vita privata, del lavoro, dei rapporti fra i sessi. Il realismo è la tendenza, l'aspirazione generale e generica al vero, al reale in modo diverso, parlando spesso della vita come è veramente anche nei suoi aspetti molto nobili che in Francia diede origine a opere come i Miserabili  di Victor Hugo; sentirono questa tendenza generica al vero gli Scapigliati con il loro amore dell'orrido, del lugubre, degli aspetti più malsani della società reale e i veristi in cui, questa tendenza generica al vero, ebbe leggi poetiche e precise. Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’affermazione del Positivismo, la vocazione realistica del romanzo è sostenuta da una nuova fiducia nella possibilità dello scrittore di rappresentare scientificamente la società e le sue leggi, come lo scienziato studia e analizza le leggi naturali: nascono così il Naturalismo in Francia con Emile Zola e il Verismo in Italia con Giovanni Verga.

  • NATURALISMO IN FRANCIA

Il termine “naturalismo” fu adottato verso il 1880 da Émile Zola, che raccolse intorno a sé una scuola di narratori;  per certi aspetti essi trovarono un precedente nell’opera di Gustave Flaubert. il cui romanzo d’esordio fu Madame Bovary che narra la storia di una donna piccola borghese la quale è incapace di accettare il grigiore della quotidianità della vita della provincia francese. La storia di Bovary è raccontata da un narratore imparziale e oggettivo. Il testo narrativo subì un processo di oscenità.
La poetica di Flaubert si imperniava sull’idea della impersonalità dell’opera d’arte, che ricorda da vicino l’impassibilità predicata dai poeti parnassiani e muove da una simile intenzione di reagire alle effusioni sentimentali e romantici. L’autore non doveva intervenire direttamente nella narrazione. L’autore nella sua opera doveva essere come Dio nell’universo: presente dovunque e  non visibile in nessun luogo.
Il romanzo diventa una sorta di esperimento in cui l’autore si chiede come può reagire un dato personaggio di fronte a una data situazione. Lo scopo è fornire elementi di analisi sulle cause delle deviazioni individuali e sociali, che permettono di intervenire per porvi rimedio.
Il naturalismo improntò fortemente la narrativa della seconda metà dell’Ottocento e si diffuse dalla Francia in Italia e in altri paesi europei. Ma la sua affermazione non fu mai incontrastata. I naturalisti, che rappresentavano i ceti proletari, erano accusati di essere materialisti, addirittura immorali.
A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, in concomitanza con le profonde trasformazioni portate dalla rivoluzione industriale, si diffuse così, in tutta Europa, il romanzo realistico. Esso si propose come specchio della realtà contemporanea, descrivendo le dinamiche e i conflitti che si sviluppavano nel mondo della borghesia e delle classi meno agiate.
Elementi che accomunarono questa produzione letteraria furono la capacità di rappresentare tutti gli strati sociali, l’intesse verso l’intera realtà contemporanea, senza escludere alcun ambiente, e la convinzione che esista uno stretto rapporto tra il modo d’essere, di pensare e agire dei personaggi e l’ambiente sociale e storico in cui si sono formati e vivono.
L'attenzione dei naturalisti era principalmente per la realtà urbana (soprattutto parigina) contemporanea e per i suoi aspetti patologici, che risultavano più vistosi nella grande città che non nei piccoli centri della provincia. Nell'intento di offrire un'immagine fedele della realtà, gli scrittori naturalisti concentrarono l'interesse sulla materia della narrazione più che sulle forme impiegate e predilissero un linguaggio diretto, senza artifici retorici, quasi documentario e lo fecero seguendo il canone dell’impersonalità dell’opera.

  • VERISMO IN ITALIA

Il bisogno di realismo trovò l’espressione più compiuta nella scuola verista e produsse i risultati di maggior valore soprattutto nell’opera di Verga. Il termine “verismo” fu fatto proprio verso il 1880 da un gruppo di narratori che si ispiravano al naturalismo francese. Il teorico Luigi Capuana nei suoi scritti critici propugnò il canone naturalista dell’impersonalità : “Un’opera d’arte è perfetta quando la mano dell’artista rimane invisibile e l’opera d’arte prende l’aria d’un avvenimento reale, quasi fosse fatta da sé”. Gli autori veristi, infatti, si prefiggevano  di riprodurre la realtà, astenendosi da ogni indagine psicologica, sociologica o idealistica, così come da ogni mediazione o intervento da parte della personalità dell'autore, essi però, a differenza dei naturalisti  analizzarono la società povera e in via di sviluppo del meridione d’Italia, introducendo l'uso del dialetto nei testi letterari
In Italia, a differenza della Francia, poi,  non esisteva un costume nazionale, così le opere maggiori dei veristi, perciò, sono impregnate di caratteri regionali in ogni aspetto, dalle situazioni sociali ai caratteri e comportamenti dei personaggi, fino al loro modo di parlare.
Teorico del verismo è considerato il siciliano Luigi Capuana: la sua opera nell'insieme è un vasto interrogativo sul ruolo determinante giocato dai luoghi, dall'epoca e dalle condizioni sociali e professionali sul carattere dell'individuo, secondo il procedimento del romanzo sperimentale francese. Il principale rappresentante del verismo fu Giovanni Verga, anch'egli siciliano, la cui opera verte sulle passioni e le miserie delle classi svantaggiate della popolazione siciliana.
Il terzo rappresentante della “sicilianità” verista fu Federico De Roberto, anche lui alternò realismo psicologico e realismo sociale. Il suo capolavoro fu I Vicerè. Nel periodo più felice della sua attività, anche Matilde Serao fu iscritta al gruppo dei veristi. Uno dei suoi libri più noti, Il ventre di Napoli, nacque appunto da un’inchiesta giornalistica, in cui descrisse la vita popolare nei vicoli napoletani.

  • NARRATIVA IN RUSSIA

Nell’epoca in cui la narrativa dell’Europa era dominata dal Naturalismo, in Russia emergevano due grandi figure di narratori Dostoevskij e Tolstoj, e in seguito sono stati riconosciuti tra i massimi scrittori di ogni tempo.
Dostoevskij era un nobile decaduto ed ebbe una vita tormentata e scrisse sotto l’assillo dei debiti. Le sue  maggiori  opere sono Delitto e castigo, L’idiota, I demoni e I fratelli Koramazov e danno un’immagine squallida e agitata della società contemporanea. I temi dominanti delle sue opere sono la negazione di Dio.
Tolstoj, invece, con i suoi capolavori Guerra e Pace e Anna Karenina, penetra con grande finezza nella psicologia dei personaggi, in essi domina una tensione etica e religiosa. La sua ricerca spirituale, infatti, approdò a una religione razionalista centrata sulla morale della non violenza e su un miglioramento della vita sociale. Nella parte finale della sua vita si dedicò all’ educazione e al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini della sua patria..
Anton Cechov, nelle sue opere ci presenta personaggi irrisoluti,falliti che tentano di riscattarsi da un’esistenza priva di valore ai loro stessi occhi e finiscono col naufragare in una rassegnazione disperata, quanto meschina.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/secondoottocento.doc

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