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L’esperienza naturalistica francese ebbe vasto eco in Italia, costituendo un punto di riferimento essenziale per la narrativa italiana.
Intorno agli anni Sessanta si cominciò a usare il termine “Verismo” per indicare una nuova letteratura, capace di rappresentare il “vero” nella sua concretezza e semplicità.
Fu proprio dopo una recensione fatta da Luigi Capuana al romanzo “L’ammazzatoio” del francese Emile Zola, padre del Naturalismo, che cominciò a prendere piede l’intenzione, fra alcuni letterati italiani, di progettare la nascita, anche nel nostro paese, del romanzo verista.
Per far questo, bisognava ovviamente prendere spunto dal Naturalismo francese. Vi furono però alcune differenze sostanziali tra le due correnti e che caratterizzarono il Verismo:
Il Verismo italiano si caratterizza per essere un movimento regionalistico, cioè affronta attraverso le opere degli scrittori le problematiche politico-sociali ed economiche in un periodo storico che è quello dell’Italia unita (1861, Proclamazione dell’unità d’Italia), e principalmente i problemi dell’Italia meridionale.
Le opere più significative della narrativa italiana del secondo Ottocento sono quelle di alcuni scrittori siciliani come Luigi Capuana, Giovanni Verga e Federico De Roberto (nato a Napoli ma vissuto fin da piccolo a Catania). Essi risultano particolarmente sensibili alle contraddizioni tra la nuova realtà dello Stato unitario italiano e il fondo arcaico della vita della Sicilia, arretrata e resistente ad ogni integrazione nazionale. Proprio per questo essi vivono, in modo molto più acuto degli intellettuali di altre aree regionali italiane, la delusione per gli ideali risorgimentali, per il loro impoverimento nella pratica e nell’amministrazione quotidiana, per la loro incapacità di trasformare una realtà dura e violenta come quella siciliana. Questa delusione li induce a guardare con sfiducia a ogni possibile modificazione, ad accettare in sostanza le gerarchie e il sistema sociale presente.
Capuana e Verga giungono agli esiti più alti della narrativa verista, capace di guardare impassibilmente il “vero”, e ci offrono l’immagine più concreta della realtà siciliana, di un mondo contadino rimasto fuori della storia. La loro narrativa sa esprimere tutti i risentimenti, i rancori individuali, le sofferenze collettive, tutto l’intollerabile malessere e l’intreccio di passione e violenza che hanno bruciato le esistenze di tanti uomini e donne che hanno vissuto in questo mondo senza tempo e senza possibilità di riscatto. Capuana e Verga, per la prima volta, raccontano di tutto ciò con una lingua nazionale, che si rivolge a tutta l’Italia.
Il pessimismo radicale di Capuana e Verga fa sì che essi non propongano modelli e ideali di comportamento, esistenze esemplari da imitare o da contemplare con ammirazione: essi negano al lettore la possibilità di identificarsi con la materia narrata, di compiacersi del mondo che descrivono. Non ci sono eroi da ammirare, nessuno da emulare, ma solo la visione dei personaggi immersi in ambienti violentemente concreti.
Le loro pagine sono dominate da un senso di solitudine e di costrizione, lontanissimo dallo spirito aperto e costruttivo che anima il naturalismo. Ma il rapporto con la narrativa francese resta comunque essenziale, soprattutto per quanto concerne il canone dell’impersonalità. Esso consiste nel far vivere e parlare direttamente i personaggi, rappresentando direttamente la loro realtà mentale e sociale senza che l’autore proietti su di loro le proprie idee e i propri sentimenti.
Fonte: http://www.itctorrente.it/public/uploadfabiano/[5%20C]%20-%20Il%20Verismo%20e%20i%20nuovi%20narratori%20siciliani.doc
Sito web da visitare: http://www.itctorrente.it
Autore del testo: F.Giuseppe
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