I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
LEZIONI DI ECOLOGIA GENERALE
La biologia dell’ambiente dovrebbe essere un tema di per sé affascinante, visto il gran parlare negli ultimi decenni, anche quando non offre immediatamente applicazioni pratiche: fanno parte dell’indole umana la curiosità e l’interesse per la vita, i comportamenti e la varietà degli esseri che ci circondano quotidianamente, senza andare in ambienti esotici. Molti di noi si mostrano interessati ai temi dell’ecologia, ma poi si fanno prendere dal corso degli eventi e dimenticano di mettere in pratica ciò che la sensibilità dovrebe spingere a fare, cioè avere cura dell’ambiente in cui si vive. Ci sono anche, per fortuna dell’umanità, interessi che per alcuni diventano passatempi e vocazioni che nel tempo si trasformano in fonti di soddisfazioni estetiche e intellettuali per tutta la vita, traducendo l’insegnamento e l’educazione ambientale, ricevuti durante l’età scolastica, in buone pratiche di comportamento sociale anche in età adulta. Di solito i corsi scolastici di biologia sono incredibilmente noiosi tali da creare una certa antipatia verso la disciplina. Spero invece che, grazie alla vostra indispensabile collaborazione, il nostro corso sia per voi interessante e anche divertente. Buon lavoro!
Le prospettive dell’attuale modello di sviluppo e la minaccia del progressivo incremento demografico della nostra specie hanno posto i problemi ambientali in primo piano. Ritengo che sia indispensabile che ogni individuo assennato sia messo a conoscenza dei processi e delle condizioni generali dell’ambiente che rendono possibile la sopravvivenza non solo della nostra specie, ma anche quella di migliaia di altri organismi. In una convivenza civile, regolata da comportamenti democratici, non è sufficiente la presenza di un piccolo gruppo preparato che comprende quello che accade alla natura, ma occorre che tutti i cittadini siano preparati affinché la conoscenza, la ricerca e l’azione siano integrate per far maturare stili di vita rispettosi di tutto l’ambiente. (Squilibrio nell'uso delle risorse: acqua, minerali, legname...)
La preparazione dei cittadini verso i temi dell’ambiente la si può considerare una necessità vitale, per il semplice motivo che la presenza di homo sapiens, e della sua formidabile capacità culturale di produrre frequenti e repentini cambiamenti negli ambienti in cui interviene, sta modificando la biosfera fino ad un punto di non ritorno.
Dopo questo preambolo possiamo iniziare a fissare alcuni punti di riferimento della disciplina, definendone i termini fondamentali. Per procedere con tranquillità abbiamo bisogno di stabilire alcuni concetti specifici e, per chiarire alcune relazioni tra la biologia ambientale e altre discipline, per nostra fortuna, è richiesto solo un bagaglio minimo di termini tecnici.
Ecologia – deriva dalla radice greca òikos, che significa casa (posto in cui vivere) e lògos, che significa discorso, letteralmente è lo studio delle case; in senso generale è lo studio degli ambienti. Si occupa della biologia di gruppi di organismi e dei processi funzionali nelle terre, negli oceani, nei corsi d’acqua. Il termine è stato utilizzato la 1ª volta dal biologo tedesco Ernest Haeckel nel 1866 nella sua opera “Morfologia generale degli organismi”. È una scienza interdisciplinare e di sintesi per trarre leggi e principi generali sul funzionamento dell’ambiente; si occupa dei fondamenti comuni a tutte le forme di vita; studia i rapporti degli organismi fra loro e con l’ambiente in cui vivono. È sottointeso che la specie homo sapiens è una parte della natura.
Ambiente – rappresenta un concetto fondamentale per l’ecologia ed è definito come l’insieme delle condizioni fisiche (luce, pressione, temperatura, struttura del terreno, ecc…), chimiche (presenza o meno di sostanze organiche ed inorganiche, pH,..), biologiche (presenza di determinate specie di organismi) dove è possibile la vita di un organismo animale o vegetale.
Le proprietà della vita. Si ha un’idea abbastanza intuitiva di ciò che significa essere vivo: per esempio affermiamo che un gatto è vivo, mentre una pietra non lo è. Eppure risulta molto difficile definire la vita, perché gli esseri viventi si presentano con forme e strutture molto diversificate fra loro e qualche volta non è facile separare nettamente alcuni organismi (virus) dal mondo inanimato. Per fortuna nostra i biologici, a seguito di studi ed esperimenti, hanno individuato alcune proprietà comuni a tutti gli esseri viventi per distinguerli con certezza dalla materia non vivente:
Altre proprietà prese in considerazione:
Un essere vivente per essere considerato tale deve possedere contemporaneamente queste proprietà.
Ora iniziamo a delimitare il campo di studio dell’ecologia, esaminando il concetto di livelli di organizzazione presenti nel mondo vivente. Rispetto a qualsiasi oggetto inanimato gli esseri viventi sono altamente complessi e organizzati. Nel mondo naturale è possibile individuare lo spettro biologico della progressiva complessità di organizzazione secondo una struttura a piramide dal più semplice, l’atomo al più complesso, la biosfera:
La sezione che segue deve essere considerata come approfondimento. Gli otto tipi di biomi:
Il tipo di organizzazione della vita per livelli crescenti di complessità è caratterizzato dalla seguente caratteristica: via via che si passa da un livello a quello superiore subentrano nuove proprietà che non è possibile prevedere osservando una per una le singole componenti del livello più basso. Le nuove proprietà del sistema non sono il risultato della semplice somma dei componenti ma hanno origine dalla collaborazione e stretta interazione di tutte le componenti a quel dato livello.
La biosfera attuale è il risultato di una lunga interazione tra materia vivente e materia inorganica che ha avuto inizio circa 3,5 miliardi di anni fa. La sua struttura, il suo funzionamento e il suo carattere di entità funzionale possono essere compresi solo alla luce del suo processo di genesi. Non sappiamo con certezza come si siano formate le diverse forme di vita sulla Terra, ma sicuramente possiamo affermare che le prime manifestazioni di vita furono legate all’acquisizione, tramite molecole complesse, di una struttura che consentisse loro, da una parte di prelevare ed incanalare l’energia, secondo un certo modello (capace cioè di costituire un centro di attività metabolica), e dall’altra di conservare, in forma trasmissibile, delle informazioni sul modo di costruire tale struttura funzionale a partire dagli elementi forniti dall’ambiente. Gli esseri viventi grazie al loro potere di diversificazione strutturale hanno potuto adattarsi, nel corso della storia della vita (filogenesi) alle condizioni sempre diverse imposte da ambienti in continuo cambiamento. La biosfera è molto varia e possiede dei limiti. Se comprendiamo bene la sua struttura e le dinamiche funzionali possiamo in qualche maniera intervenire per affrontare i problemi ambientali che la stanno affliggendo. Innanzitutto è bene conoscere quali sono i fattori fisici e chimici che influiscono sullo sviluppo degli organismi viventi. Tutti gli individui viventi sono obbligati ad adattarsi al contorno che li circonda per sopravvivere e riprodursi. La selezione naturale fornisce agli organismi una serie di stratagemmi per utilizzare le risorse disponibili. Tutte le manifestazioni della vita implicano variazioni di energia: le comunità vegetali sono collegate al loro ambiente tramite i flussi di energia e i maggiori input ambientali che guidano la biosfera includono la radiazione solare, il fotoperiodismo, la temperatura, l’acqua, l’ossigeno, il suolo e il vento.
Per chiudere questa parte generale, prima di affrontare lo studio della struttura e funzionamento di un ecosistema, diamo uno sguardo all’evoluzione, concetto unificante di tutti gli esseri viventi. Ogni individuo durante l’arco della sua vita cerca di mantenere l’omeostasi. Ma un gruppo di individui col passare del tempo e nel corso di successive generazioni, ha la capacità di cambiare, modificarsi, cioè di evolvere. L’idea fondante della biologia è l’evoluzione: teoria secondo la quale gli organismi attualmente viventi sono gradualmente derivati da forme più semplici nel corso di un processo continuo durato centinaia di milioni di anni e tuttora in corso. Concettualmente il termine evoluzione vuol dire sviluppo lento e graduale, svolgimento da una forma ad un’altra più completa e più perfetta (compiuta in tutte le sue parti; non manca di alcuna qualità propria della sua natura). L’evoluzione comunque non deve essere intesa come miglioramento o progresso verso un mondo sempre migliore: non esistono specifiche tendenze ad evolversi verso particolari direzioni. La teoria dell’evoluzione ha posto due tipi di problemi: individuazione delle prove, che in questa sede trascureremo; e la comprensione dei meccanismi. L’evoluzione è possibile grazie a tre processi naturali:
Gli ecologi studiano le interazioni ambientali a diversi livelli. L’ecosistema rappresenta il quarto livello d’interazione considerato dall’ecologia a partire dall’organismo, popolazione e comunità. In questa sezione riprendiamo il temine “ecosistema”, già definito precedentemente, per arricchirlo di altri aspetti, quali i limiti spaziali e la struttura e il funzionamento.
L’ecosistema rappresenta un’entità complessa, cioè l’insieme di tutte le forme di vita e di tutti i fattori non viventi presenti in una determinata area. Le componenti non viventi, detti abiotici (non vivente), comprendono tutti quelli già visti: temperatura, forme di energia, presenza di gas (CO2, O2, …), acqua, sostanze nutritive ed altri composti chimici. Mentre tutti gli organismi , che costituiscono la comunità di specie presenti nell’area data, sono chiamate componenti biotici (vivente).
L’aspetto e la struttura di un ecosistema sono il prodotto delle relazioni tra le componenti biotica e abiotica. Gli organismi e l’ambiente fisico-chimico si influenzano vicendevolmente. Senza andare molto lontano, basti pensare a tutte le attività dell’uomo (essere vivente particolare) sull’ambiente: agricoltura, allevamento, estrazione minerali, trasformazione materie prime…
Nel campo delle scienze è pratica consolidata quella di isolare il campo, la parte del tutto, che risulta oggetto di studio, ciò al fine di rendere più agevole il compito di osservazione e analisi. Nel caso degli ecosistemi, sul piano pratico, non sempre è facile delimitarne con precisione i limiti. In natura, per nostra fortuna, ci sono confini, barriere fisiche che permettono un’adeguata individuazione: rive di un fiume, di un lago; base di una formazione rocciosa; alberi perimetrali di una foresta. Moltissime altre volte non esistono confini netti, gli ambienti sembrano sfumare l’un verso l’altro: passaggio graduale fra bosco e prato; zona paludosa in una foce fluviale in cui è incerto il confine tra acqua e terra emersa. L’ecosistema è per gli ecologi l’unità di studio che ha confini convenzionali, individuato da modelli di riferimento che aiutano il lavoro di indagine.
Dopo aver delimitato il nostro ecosistema, anche se in maniera convenzionale, bisogna considerare che esso rappresenta un sistema aperto: lo stretto rapporto con l’intorno si traduce in un continuo ingresso/uscita di energia e di materia. Tutti gli ecosistemi ricevono energia solare che è alla base della vita e perdono calore nell’ambiente; ricevono materia in ingresso e cedono materia in uscita.
La ricerca ecologica a qualsiasi livello viene condotta è basata sulle modalità necessarie per svolgere qualsiasi processo scientifico: osservazione, formulazione d’ipotesi, previsione e verifica. L’osservazione di un ecosistema evidenzia solitamente due tipi di problemi fondamentali:
Per procedere finalmente allo studio di un ecosistema rimane da fare l’ultima precisazione: occorre distinguere la descrizione della struttura da quella del funzionamento.
Nell’analisi della struttura di un ecosistema si individuano
Il funzionamento di un sistema ecologico si svolge:
D’ora in poi esamineremo argomenti relativi soprattutto al funzionamento di un ecosistema. Si procederà quindi a definire tutti i termini evidenziati.
Tutti gli organismi viventi per vivere e riprodursi hanno bisogno di un flusso continuo di energia. L’esperienza ci insegna che per svolgere qualsiasi tipo di attività impieghiamo dell’energia, che può derivare dal nostro interno o dall’esterno. Gli animali ricavano l’energia dal cibo di cui si nutrono, quindi il cibo possiede energia. Ciò è abbastanza intuitivo, ma che cos’è l’energia? Non si conosce l’intima essenza dell’energia, pertanto se ne dà una definizione operativa: essa viene genericamente intesa come l’attitudine a compiere un lavoro. L’energia obbedisce alle leggi classiche della termodinamica:
L’energia della biosfera proviene originariamente dalle radiazioni luminose, che dal Sole giungono sulla superficie terrestre; viene catturata dagli organismi fotosintetici e trasformata in energia chimica e passa da una forma vivente all’altra attraverso le catene alimentari.
Il Sole è un astro incandescente con temperature altissime, causate da reazioni termonucleari, capace di emettere spontaneamente radiazioni. Lo spettro della radiazione solare contiene energia con lunghezza d’onda nell’ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. La radiazione nell’attraversare l’atmosfera subisce delle modificazioni: generale attenuazione e assorbimento selettivo di alcune bande dello spettro da parte dei gasi atmosferici. Lo spettro di radiazioni, che giungono in superficie, varierà con l’ora del giorno, specialmente in vicinanza dell’alba e del tramonto, a causa dell’angolo d’inclinazione dei raggi solari, perché diverso sarà lo spessore di gas atmosferici da attraversare. L’atmosfera attenua quindi la luce attraverso l’assorbimento (parte dell’energia incidente passa nelle sostanze che colpisce) e la diffusione (processo per cui l’energia incidente viene diffusa in tutte le direzioni da parte dei gas atmosferici e delle particelle solide sospese). L’attenuazione delle radiazioni dipende dalla quantità e dalle caratteristiche dei materiali assorbenti e diffusivi: gas, acqua e polveri. La radiazione solare è attenuata dall’atmosfera terrestre in modo altamente selettivo: CO2, O3 (ozono), H2O rimuovono dall’atmosfera una discreta quantità di energia a lunghezze d’onda dell’infrarosso (tra 850 e 1030 nm), mentre l’assorbimento nell’ultravioletto subisce una brusca interruzione, grazie soprattutto alla presenza di ozono, e l’energia che raggiunge la superficie terrestre non ha lunghezze d’onda dell’ultravioletto minori di 300 nm, che sarebbero fortemente nocive per la vita. La nostra atmosfera in pratica fornisce una finestra attraverso la quale passano le lunghezze d’onda del visibile. Una conseguenza diretta dell’assorbimento selettivo sono le forme di vita della biosfera.
Tutto il mondo biologico ricava energia potenziale dalle sostanze organiche prodotte dagli organismi fotosintetici: l’energia luminosa del sole viene captata dalla clorofilla (pigmento verde) e immagazzinata nei carboidrati (molecole ricche di energia chimica) mediante un processo chiamato fotosintesi (fare cose con la luce). I due processi fondamentali (flusso di energia e riciclaggio delle sostanze) che sono alla base di ciascun ecosistema, sono messi in moto dalla fotosintesi (meccanismo costruttivo di sostanza organica attraverso la trasformazione di energia da la forma luminosa a quella chimica) e dalla respirazione (meccanismo di distruzione di sostanza organica con dissipazione di energia sotto forma di calore).
La fotosintesi, la luminosa strada che mette a nostra disposizione grandi quantità di cibo, di fibre e di energia, è un processo fotochimico svolto da organismi definiti fototrofi, autotrofi e, dagli ecologi, produttori primari. Gli organismi capaci di svolgere la fotosintesi sono piante verdi, alghe azzurre e verdi, e alcune specie di batteri), grazie alla presenza di un particolare pigmento verde chiamato clorofilla. Durante questo processo gli organismi autotrofi sono in grado di captare l’energia luminosa delle radiazioni solari e di convertire reagenti a basso contenuto energetico come l’H2O e la CO2 in prodotti ad alto contenuto energetico come il glucosio (carboidrato con formula = C2H12O6). La molecola della clorofilla utilizzando l’energia luminosa opera la scissione della molecola di H2O dalla quale si ottiene H2 necessario per la riduzione della CO2. La fotosintesi avviene in organuli particolari delle cellule vegetali chiamati cloroplasti (strutture a forma di lente); essa ha un posto di 1° piano nel ciclo del carbonio (come vedremo in seguito). I boschi, le foreste, la vegetazione marina e l’agricoltura continuano da millenni di anni a catturare l’energia luminosa e a trasformare grossi quantitativi di CO2 dell’atmosfera (ogni anno si stima una quantità pari a circa 75 milioni di tonnellate), in composti organici. I carboidrati vengono utilizzati dagli stessi produttori per formare altri composti organici necessari sia alla loro crescita sia come sorgente di energia in assenza di luce solare. L’importanza della fotosintesi clorofilliana per tutti gli esseri viventi è data dal fatto che questo processo costituisce la sorgente di tutta l’energia chimica utilizzata per il mantenimento e lo sviluppo della vita sul nostro pianeta e perché rappresenta il meccanismo fondamentale in grado di trasformare il carbonio inorganico, inutilizzabile dagli organismi viventi, in carbonio organico assimilabile. Sinteticamente il processo fotosintetico è rappresentato dalla seguente reazione:
6CO2 + 6H2O + energia solare → C2H12O6 (glucosio) + 6O2 (endoergonica)
La fotosintesi è il processo che serve a catturare l’energia del sole e a trasformarla in vita biologica e in complessità. Le piante lavorano per noi, perché il processo fotosintetico, non solo è utile per produrre l’indispensabile sostanza organica da elementi inorganici, ma in più libera l’O2, gas irrinunciabile per la respirazione cellulare di quasi tutti gli esseri viventi (eccetto microrganismi anaerobi, cioè capaci di vivere anche senza ossigeno).
Contrapposto alla fotosintesi c’è la respirazione, processo catabolico di demolizione del glucosio in anidride carbonica e acqua, con produzione di energia sotto forma di molecole organiche di un composto con tre atomi di fosforo, detto Adenosin-Tri-Fosfato (in sigla ATP), che ha la funzione di immagazzinare temporaneamente l’energia provenente dalla degradazione dei combustibili organici (grassi, carboidrati…) e di renderla immediatamente disponibile per quei processi metabolici che richiedono energia per la sintesi di altre molecole organiche. Le cellule in presenza di ossigeno ottengono l’energia tramite l’ossidazione delle sostanze organiche, con produzione di CO2 e H2O. La CO2 così prodotta torna in atmosfera pronta per un nuovo ciclo. Anche per la respirazione in sintesi proponiamo una reazione:
C2H12O6 (glucosio) + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + ATP (energia) (esoergonica)
Il biologo Elton nel 1927 affermò che “la principale forza guida di tutti gli esseri viventi è la necessità di trovare il giusto cibo ed una giusta quantità di esso. L’intera struttura e le attività di un ecosistema dipendono dalla questione del rifornimento alimentare”. In ogni tipo di ecosistema la comunità ha una propria struttura trofica, cioè un modello di interrelazioni alimentari tra autotrofi ed eterotrofi costituito da più livelli. Negli ecosistemi l’energia fluisce, si ha cioè un passaggio continuo e unidirezionale che passa attraverso diverse fasi: l’energia del sole viene catturata dagli organismi fotosintetici e trasformata in energia chimica che passa ai consumatori come nutrimento e successivamente, attraverso i diversi passaggi lungo la catena alimentare, viene dispersa mediante la respirazione cellulare, sotto forma di energia termica. La materia, invece, circola, cioè atomi e molecole inorganiche vengono assorbite dagli organismi autotrofi, danno origine a composti organici, grazie all’intervento dell’energia solare, passano nei diversi livelli trofici (gli anelli della catena) attraverso i consumatori (eterotrofi), e infine la materia organica viene mineralizzata con l’intervento dei decompositori. Si dice che gli organismi appartengono allo stesso livello trofico, quando sono separati dai vegetali clorofilliani, nella catena alimentare, dallo stesso numero di tappe. Il meccanismo di trasferimento di energia e di materia da un organismo ad un altro è mosso dall’esigenza di assicurare a ogni membro della catena il necessario nutrimento
Per catena alimentare s’intende lo spostamento di sostanza organica, e con essa di energia, dagli organismi autotrofi (dal greco autos = stesso e da trophe’ = nutrimento, cioè capaci di fabbricare da sé il nutrimento di cui hanno bisogno), chiamati anche produttori dagli ecologici, a tutti gli organismi di livelli trofici superiori definiti eterotrofi (dal greco eteros = diverso e da trophe’ = nutrimento, cioè non capaci di fabbricare da sé il nutrimento di cui hanno bisogno), consumatori secondo gli ecologi. I consumatori sono, direttamente o indirettamente dipendenti dalla produttività dei produttori. A prescindere dal tipo di ecosistema, terrestre o marino, qualsiasi catena alimentare parte dal livello trofico più basso, cioè quello costituito dagli autotrofi, chiamati produttori dagli ecologici, che sostiene tutti gli altri livelli. Il livello trofico immediatamente sopra quello degli autotrofi è quello degli erbivori o consumatori primari (insetti, lumache vertebrati come i mammiferi erbivori e gli uccelli che mangiano semi e frutti), che si nutrono di piante, di alghe o di batteri autotrofi. Negli ambienti acquatici i consumatori primari comprendono moti organismi dello zooplancton che si nutrono del fitoplancton. Seguendo la catena troviamo i consumatori secondari, per lo più carnivori che si nutrono degli organismi del livello inferiore. Sulla terraferma a questa categoria appartengono molti piccoli mammiferi (topi, talpe..), grande varietà di piccoli uccelli, rane, ragni, e anche leoni, e altri felini carnivori. Negli ecosistemi acquatici ci sono i piccoli pesci che si cibano di zooplancton e piccoli crostacei che vivono sul fondo del mare. In alto della catena ci possiamo trovare consumatori terziari e consumatori quaternari, che rappresentano organismi carnivori che si cibano di altri carnivori (es. falco che si nutre di un serpente, che a sua volta si è nutrito di un topo, il quale ha mangiato un insetto).
Il termine finale della catena trofica è costituito dai decompositori o bioriduttori, vi appartengono tutti gli organismi che si nutrono di sostanza organica morta: questi esseri viventi vengono chiamati anche “spazzini” perché ripuliscono alcuni ambienti dai resti di organismi morti come le carogne o gli escrementi. All’interno di quest’ultimo gruppo occorre fare un’ulteriore distinzione fra: detritivori, che traggono il loro nutrimento dai materiali morti (detriti), prodotti da tutti gli altri livelli trofici: i rifiuti degli animali, le lettiere di foglie secche e ogni genere di organismi morti; per quanto i detritivori provino a sminuzzare i resti organici rimarranno sempre piccole porzioni non utilizzabili. Ebbene a questo punto intervengono i veri e propri decompositori, cioè una varietà di microrganismi tra cui funghi e batteri che provvedono a trasformare (riciclare) gran parte della sostanza organica in materiale inorganico con un processo di mineralizzazione, che vedremo meglio quando affronteremo il ciclo della materia.
Ci sono diversi tipi di catene alimentari in funzione dell’ambiente e della struttura trofica ne consideriamo due tipi appartenenti rispettivamente all’ambiente acquatico e all’ambiente marino:
Ci sono diversi tipi di catene alimentare a secondo di qual è il primo livello trofico: quella dei predatori dai vegetali ad animali sempre più grossi; dei parassiti da animali più grossi a d animali più piccoli; e dei saprofiti da sostanze organiche morte ai microrganismi.
Il modello della catena alimentare è molto semplificato, pertanto per studiare la struttura di un ecosistema è più corretto parlare di rete alimentare (food web, secondo la definizione di Elton), in quanto le catene alimentari non esistono isolate, ma risultano essere interconnesse da un insieme di interazioni trofiche che si intersecano fra loro. Molti organismi si potrebbero collocare in più livelli trofici in funzione delle loro abitudini alimentari: un esempio classico è rappresentato dall’uomo che si nutre sia di vegetali che di carne. La rete alimentare quindi rappresenta uno schema di relazioni trofiche complesso che comprende più catene alimentari: rapporti alimentari molteplici che un singolo individuo può instaurare con altri collocati in più livelli trofici.
Quando la sostanza organica passa attraverso i diversi livelli trofici si assiste ad una riduzione della quantità di energia da un anello al successivo, a causa della respirazione, del calore irraggiato, dei materiali di escrezione, ecc… Al termine della catena alimentare tutta l’energia chimica risulta degradata a energia termica non riutilizzabile. Perciò occorre un continuo apporto di nuova energia, cioè luce solare. Le perdite di energia che si verificano ad ogni passaggio di livello comportano che le popolazioni numerose si possono trovare solo ai livelli più bassi (p.e. erbivori > carnivori). Ciò ha importanti implicazioni anche per quanto riguarda l’alimentazione umana: più è breve la catena alimentare minore è la dispersione di energia. Dal punto di vista economico è strettamente più conveniente adottare una dieta a base di cereali e legumi, che utilizzare questi per allevare gli erbivori di cui ci cibiamo (lettura fotocopia: La piramide dell’energia spiega perché la carne è un bene di lusso per l’uomo). Il giovane ecologo Charles Elton, studiando le forme di vita nelle isole Spitzberger nel Circolo polare artico, fece una semplice e geniale osservazione: “i grandi animali sono sempre meno numerosi dei piccoli animali”Come si spiega ciò? Attraverso le considerazioni circa il flusso di energia e le leggi della termodinamica citate a pag. 10. Passando da un livello trofico a quello successivo il numero di individui diminuisce perché parte dell’energia disponibile ad un dato livello viene consumata, per cui non è più disponibile per il livello successivo. L’energia si disperde in calore che è una forma che non è più in grado di compiere lavoro utile per gli organismi. La dispersione avviene in accordo al secondo principio della termodinamica e perché gli esseri viventi consumano energia nel processo di respirazione per mantenere organizzate ed efficienti le loro strutture (omeostasi) e per svolgere tutte le attività vitali. L’energia in ingresso ad un certo livello non potrà mai essere interamente trasferita l livello successivo.
La struttura trofica di un ecosistema o di una catena alimentare può essere descritta in termini di individui, in termini biomassa e in termini di energia. Le piramide ecologiche rappresentano raffigurazioni grafiche della struttura trofica:
Le piante sono in grado di convertire, mediamente, in biomassa vegetale solo l’1-2% della radiazione solare disponibile. Nei successivi passaggi lungo la catena trofica la produttività si riduce al 10% di energie in ingresso nel livello trofico, cioè se i produttori primari di un ecosistema generano con la fotosintesi 100 Kcal/ora sotto forma di biomassa, gli erbivori convertono in biomassa animale solo 10 Kcal/ora di energia, mentre 90 Kcal/ora si disperde in parte trasformata in calore e in parte espulsa come rifiuto organico che sarà poi utilizzata dai decompositori. Serve quindi una grande quantità di biomassa di vegetali per sostenere un piccolo numero di superpredatori. Con questi calcoli molto approssimati è facile capire come mai il numero dei grandi predatori è sempre più piccolo del numero delle piccole prede.
Prima di parlare di produttività è bene fare riferimento ad altri organismi produttori. Esistono dei batteri capaci di svolgere la fotosintesi utilizzando l’acido solfidrico (H2S), anziché l’acqua per ottenere H2 necessario per la riduzione della CO2. Questi organismi si chiamano solfobaterri e vivono in prevalenza in ambienti acquatici, marini o d’acqua dolce, in assoluta assenza di ossigeno: si stima siano responsabili del 3-5 % della fotosintesi nei laghi. Questi batteri, come vedremo nella sezione cicli biogeochimici, svolgono un ruolo importante nel ciclo dello zolfo. Altri batteri detti chemiobatteri sono in grado di utilizzare l’energia che deriva da reazioni chimiche che liberano energia, per trasformare la CO2 in glucosio. I chemiobatteri vivono nei profondi fondali degli oceani dove non arriva la luce; qui si pongono alla base della catena alimentare. Si definisce:
In un ecosistema il rapporto tra il valore dell’assimilazione ad un livello trofico di rango n e l’assimilazione ad un livello trofico di rango n - 1 viene chiamata efficienza ecologica. A1: PPL * 100
dove A1 = assimilazione a livello trofico degli erbivori; PPL = Produzione Primaria Lorda
L’efficienza con cui l’energia luminosa è convertita in glucosio tramite il processo di fotosintesi ci suggerisce in che misura la pianta si è adattata all’ambiente. Come abbiamo già detto, di tutta l’energia solare incidente sui tessuti di una pianta, mediamente, solo il 2% di essa viene trasformata in energia chimica nelle molecole di glucosio. Le piante nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato un sistema di utilizzazione della luce non ad alto rendimento ma in grado di operare in condizioni ambientali molto variabili: il sistema funziona in fasi di sviluppo differenti, con condizioni di illuminazione che vanno dal crepuscolo all’assolato mezzogiorno, con risorse come l’acqua e i sali minerali che possono scarseggiare e in presenza di contenuti di CO2 nell’atmosfera pari allo 0,03%. Il sistema anche se non ha alti rendimenti ha il vantaggio di funzionare in un vasto range di condizioni.
L’efficienza dei consumatori nell’utilizzare l’energia in ingresso al livello trofico può essere considerato in tre diversi tipi:
Il passaggio delle sostanze organiche attraverso gli esseri viventi segue un movimento ciclico: gli elementi chimici come il carbonio, l’azoto, lo zolfo, il fosforo e tanti che costituiscono la materia vivente, passano dall’ambiente abiotico (aria, suolo e acqua) alla componente biotica del sistema ecologico. Le piante e altri organismi produttori prelevano questi elementi in forma inorganica dall’aria e dal suolo e li fissano in molecole organiche. A partire da questo momento la produttività primaria è in parte utilizzata dai consumatori primari (erbivori), detti anche “pascolatori”, mentre il resto andrà a costituire la sostanza organica morta che verrà abbandonata sul suolo: foglie, rami, frutti, tronchi. Questa massa di materiale organico morto rappresenterà la dieta degli organismi decompositori. In pratica la produttività primaria diventa fondamento alimentare per due catene: quella del pascolo e quella del detrito. Queste due catene che si basano sui produttori coesistono e sono connesse fra loro nello stesso ecosistema, anche se operano in tempi, spazi e modi diversi. La materia organica morta in uscita dalla catena del pascolo entra a far parte della catena del detrito, al quale partecipano, naturalmente, anche i rifiuti organici e i resti dei corpi morti degli organismi della catena del detrito stesso. I microrganismi che decompongono i rifiuti organici e i detriti di altri organismi morti restituiscono al suolo e all’aria la maggior parte degli elementi in forma minerale. Il riciclaggio della materia implicano quindi il passaggio di sostanza attraverso i diversi livelli trofici di una catena alimentare. Come già sappiamo dai principi della termodinamica, ad ogni passaggio, nel suo movimento ciclico, la sostanza organica perde parte dell’energia chimica di cui è costituita sotto forma di calore.
La materia organica morta depositata sul suolo richiede un certo lasso di tempo prima di essere mineralizzata mediante l’intervento dei decompositori. Succede anche che non tutta la materia organica morta venga mineralizzata, soprattutto per due motivi:
Quindi una certa quantità degli elementi vengono momentaneamente sottratti al ciclo, andando a costituire depositi di materiale organico che segue un processo molto lento di mineralizzazione. La velocità di decomposizione della sostanza organica è strettamente correlata al suo contenuto d’azoto. I microrganismi decompositori contengono all’interno delle loro cellule materiale organico con una quantità di carbonio, mediamente, dieci volte superiore a quella di azoto. Quindi il rapporto carbonio/azoto è pari a 10. Il materiale vegetale è invece caratterizzato da un rapporto C/N di molto superiore che va da 40 a 100. Il materiale che ha un rapporto < 25 si ossida con una discreta velocità, mentre con un rapporto C/N > 25 il processo è più lento. Più è alto il contenuto di azoto del materiale vegetale in decomposizione, maggiore è lo sviluppo dei microrganismi e quindi più veloce è il processo di decomposizione. I microrganismi con la loro attività di decomposizione spostano il rapporto C/N della materia organica vegetale verso i valori tra 10 e 25 (corrispondenti al rapporto C/N dell’humus).
La mineralizzazione della sostanza organica, cioè la sua completa ossidazione, può avvenire quindi a due velocità:
L’humus (dal latino humus che significa suolo, terreno) risulta quindi il prodotto di una parziale decomposizione del materiale organico presente sulla superficie del terreno (lettiera), è sempre di natura organica, ed è molto stabile. La sua completa decomposizione dipende da alcuni fattori climatici e anche dalla concentrazione di O2. L’humus rappresenta un tipo di suolo ricco di sostanza organica: presenza di numerose sostanze molto diverse fra loro; alcune risultano forme di passaggio nel processo di demolizione in corso (lignine, cere, grassi, proteine e carboidrati) altre variamente note o di difficile identificazione, da considerare forme di arrivo, dette genericamente sostanze umiche (acidi umici, acidi fulvici, umina) Si presenta come una massa bruna omogenea di natura colloidale. Svolge un ruolo molto importante nei suoli sui processi biologici e sull’assorbimento radicale. L’humus infatti non è assorbito dalle radici delle piante, in quanto per lo più insolubile, ma ne favorisce l’alimentazione minerale, attraverso la formazione di sali umominerali con i cationi delle soluzioni circolanti. Altro ruolo importante è quello di conferire al terreno diversi caratteri fisico-chimici:
La mancanza di humus che si verifica quando alla coltivazione intensiva del terreno non corrispondono adeguate restituzioni organiche, deprime la fertilità (caso di orientamenti produttivi a monocolture vegetali).
Se si pensa ad un bosco siamo abituati ad immaginarcelo come un qualcosa statico, o tutt’al più variabile con il ritmo delle stagioni, mentre ad osservarlo bene risulta essere un ecosistema estremamente dinamico. Il dinamismo del bosco non risulta a prima vista perché i flussi di energia e il ciclo della materia (costantemente presenti) sono mantenuti in equilibrio da meccanismi assai complessi e delicati. Un primo assunto da considerare è che tutta la materia organica elaborata dagli organismi viventi transita obbligatoriamente attraverso il suolo.
La superficie del suolo viene continuamente arricchita di foglie morte e frammenti vegetali vari; vertebrati e invertebrati partecipano anch’essi al fenomeno di accumulo di sostanza organica con le loro deiezioni e i loro resti. Anche in profondità le radici dei vegetali, alla loro morte, producono una discreta quantità di materiale organico. Tutto questo detrito, prodotto dalle attività vitali degli organismi viventi (vegetali e animali), se non ci fosse l’intervento di organismi “spazzini”, che hanno la funzione di decomporre, si accumulerebbe senza sosta, finendo così per ostacolare il ciclo della materia, ristagnando elementi nutritivi indispensabili allo sviluppo dei vegetali superiori. Cerchiamo di capire quindi il ruolo dei piccoli organismi presenti nel suolo. La mineralizzazione della sostanza organica morta costruita dai produttori (essenzialmente vegetali) e dai consumatori (animali erbivori e carnivori) è svolta essenzialmente dai funghi e dai batteri presenti nel suolo. In condizioni ottimali, cioè quando l’ecosistema è in “buona salute”, tutta la sostanza organica morta viene smaltita, mineralizzata, senza dare origine a fenomeni di accumulo.
Questo avviene grazie alla presenza di popolazioni di organismi presenti negli strati superficiali del terreno, rappresentati da differenti specie la cui azione combinata porta alla frammentazione e spezzettamento minuto della sostanza organica prodotta in quell’ambiente. La decomposizione completa di un detrito è sempre il risultato di azioni combinate di specie diverse di organismi.
I decompositori si suddividono in
Grazie all’indispensabile compito dei decompositori la materia può circolare.
Il movimento dei materiali nell’ecosistema ha un percorso più o meno circolare: gli elementi chimici presenti in natura vanno avanti e indietro dagli organismi all’ambiente: questi percorsi ciclici si ripetono infinite volte. Ogni elemento è caratterizzato da un ciclo detto biogeochimico: “bio” si riferisce agli organismi viventi, “geo” alle rocce e al suolo (litosfera), l’acqua (idrosfera) e l’aria (atmosfera) del pianeta, e “chimico” alle trasformazioni chimiche cui sono soggetti gli elementi nel continuo passaggio dagli organismi all’ambiente e viceversa. Un ciclo biogeochimico solitamente viene rappresentato sovrapposto ad uno schema semplificato di flusso energetico per mettere in evidenza le relazioni che intercorrono tra questi due processi fondamentali. Gli elementi chimici più diffusi negli esseri viventi non sono mai, o quasi mai., distribuiti in modo omogeneo, né sono presenti nella stessa forma chimica, in tutte le parti dell’ecosistema. I materiali esistono in compartimenti, o pool, con diverse intensità di scambio fra loro. Il pool di una sostanza in un sistema (cellula, organismo, popolazione o ecosistema) è la quantità di questa sostanza potenzialmente disponibile e utilizzabile (immediatamente o no) per tutti i componenti del sistema stesso. In ecologia si distinguono:
Bisogna comprendere che fra i due tipi di pool non c’è una separazione netta e le assegnazioni (disponibile e non disponibile) hanno un significato relativo. Infatti un atomo nel pool di riserva non è necessariamente sempre inutilizzabile da parte degli organismi viventi. Quasi sempre si verifica un lento movimento di atomi tra pool non disponibile e quello disponibile.
Gli elementi e i sali indispensabili alla vita vengono indicati come elementi o sali biogeni e sono divisi in due gruppi:
I microelementi rivestono una notevole importanza, perché essi si possono trovare nell’ambiente in quantità ancora più piccole di quelle necessarie per un organismo, quindi la loro scarsezza può limitare la produttività come accade per un macroelemento.
La composizione chimica della biosfera è diversa da quella dell’atmosfera, della litosfera e dell’idrosfera, pertanto gli organismi devono usare dei particolari meccanismi per prendere dall’ambiente gli elementi di cui hanno bisogno e per far sì che la circolazione dei materiali tra componente biotica e quella abiotica sia il più efficiente possibile.
I cicli biogeochimici sono di due tipi:
Il carbonio è un macroelemento particolare, grazie alla sua spiccata capacità di combinarsi con se stesso per formare catene più o meno lunghe ne fa l’elemento fondamentale di tutti i composti organici. La circolazione di questo elemento negli ecosistemi è data dalla contrapposizione dei due più importanti processi biologici: fotosintesi e respirazione. Il ciclo del carbonio rappresenta una serie di reazioni chimiche le quali si svolgono in parte ad opera degli organismi viventi e in parte senza il loro intervento diretto, che portano alla trasformazione del carbonio inorganico a basso contenuto energetico (CO2) in composti organici con alto contenuto energetico (glucosio) e alla successiva demolizione dei prodotti di sintesi della fotosintesi fino alla formazione di nuovo in CO2. contemporaneamente al ciclo del carbonio avviene anche il ciclo dell’ossigeno che con la fotosintesi passa da H2O a O2; durante la respirazione invece si ha il passaggio da O2 a H2O. La 1ª fase quindi consiste nella trasformazione della CO2 in composti organici (carboidrati). La è CO2 presente nell’atmosfera (0,03%), nell’acqua dei fiumi o dei mari (acido carbonio, bicarbonato o carbonati). La trasformazione avviene nelle piante, nelle alghe e in tutti gli organismi autotrofi, richiedendo una rande quantità di energia che viene fornita, nella maggior parte dei casi, dalle radiazioni solari captati da pigmenti contenuti in tali organismi (clorofilla). La fotosintesi avviene sia sulle terre emerse (Circa 35 miliardi di ton di C/anno), sia negli strati superficiali dei mari (40 miliardi di ton di C/anno). I carboidrati vengono in parte utilizzati direttamente dagli organismi produttori per le loro esigenze (trasformati in lipidi, protidi..) e soprattutto demoliti (respirazione) per ricavare l’energia per tutte le funzioni vitali. Una seconda parte è utilizzata dai consumatori primari (eterotrofi). Anche questa porzione di energia chimica contenuta nei materiali vegetali, che costituiscono l’alimento degli erbivori, viene utilizzata soprattutto attraverso la respirazione per ricavare l’energia per le esigenze vitali; mentre una minima parte è impiegata per la crescita e lo sviluppo degli organismi.
Sia gli organismi vegetali che gli organismi animali danno origine a materiale organico morto che attraverso lenti processi di demolizione (svolta soprattutto da microrganismi) viene trasformata in CO2. La velocità del processo è più alta nelle acque (ricche di microrganismi) che nelle terre emerse. Ci sono delle connessioni fra quanto succede nei mari e ciò che succede nelle terre emerse, perché il contenuto di CO2 nell’atmosfera è regolato dal contenuto della CO2 dei mari e viceversa. Gli oceani assorbono l’ CO2 dall’aria, trasformandola in bicarbonato e carbonati, mantenendone bassa la concentrazione in atmosfera. Gli oceani svolgono un ruolo di equilibrio. Negli oceani gli ioni carbonati si possono legare agli ioni calcio e danno origine a dei sali insolubili che precipitano sul fondo e si accumulano dando origine ai depositi di calcare. Nei depositi di calcare il carbonio è in una forma non disponibile per la fotosintesi. Questa riserva di carbonio può diventare disponibile a seguito dell’erosione e solubilizzazione delle rocce calcaree che permettono quindi la formazione di CO2.
A questo ciclo si inserisce un altro che dura molto più a lungo grazie alla presenza nei materiali organici morti di particolari composti organici che risultano più resistenti alla decomposizione. La lignina e la cellulosa abbandonata non vengono prontamente mineralizzate ma si trasformano in humus. L’humus rappresenta in questo caso un deposito di carbonio organico non prontamente disponibile per la biosfera. Se la quantità di humus diventa eccessiva essa col tempo da origine alla torba. Nel corso di tempi molto lunghi (ere geologiche) i materiali organici non decomposti che si accumulano seguono un processo di lenta fossilizzazione e carbonizzazione, cioè aumento del contenuto di carbonio, che attraverso passaggi successivi vengono trasformati prima in
Anche il petrolio ha origine dal carbonio organico che si è depositato insieme ad altri detriti in proporzioni di circa l’1% del totale originario. Il carbonio così depositato si conserva nei bacini sedimentari e nel corso di tempi geologici viene sottoposto a un ciclo di trasformazioni che in funzione della durata e intensità dà origine al carbone, petrolio o grafite. Negli ambienti marini la sostanza organica fornita dal plancton si deposita sul fondo insieme a minute particelle di minerali dando origine ad argille o marne al alto contenuto organico. Il fondo può abbassarsi per subsidenza (abbassamento) e le rocce sedimentarie ricche di materiale organico vengono spinte in profondità verso temperature sempre crescenti dove si verificano i diversi processi di trasformazione. Il processo di formazione del petrolio dipende dal valore del gradiente geotermico del bacino e dalla velocità di subsidenza della roccia madre.
Nel corso di ere geologiche (di durata di centinaia di milioni di anni) si sono accumulati circa 10 milioni di miliardi di tonnellate di C. Però a partire dalla riduzione industriale ad oggi l’industria nella sua continua ricerca di fonti di energia , per lo svolgimento delle attività produttive, si è introdotta in maniera molto forte in questo processo, estraendo e bruciando quantità sempre maggiori di carbone e idrocarburi (petrolio). Tutto ciò comporta un aumento della CO2 nell’atmosfera, che viene compensata solo parzialmente dall’assorbimento attraverso la fotosintesi da parte dei produttori. Negli ultimi decenni l’immissione nell’atmosfera di CO2 è fortemente aumentata a causa delle maggiori richieste di energia per lo sviluppo demografico. Se il comportamento della specie umana, che continua a credere che le risorse siano illimitate, continuerà si avrà una profonda modificazione della composizione dell’atmosfera, provocando un effetto serra con surriscaldamento della Terra.
L’azoto allo stato gassoso, in forma di molecola biatomica (N2), costituisce circa l’80% dell’atmosfera. L’origine del gas è attribuibile alle attività vulcaniche che, in ere geologiche passate, ne hanno emesso piccole quantità. Siccome è poco solubile in acqua l’azoto si è progressivamente accumulato nell’atmosfera, pertanto il ciclo dell’elemento è di tipo gassoso, perché il pool di riserva è rappresentato dall’atmosfera. Questo macroelemento si trova allo stato combinato come costituente fondamentale nelle proteine animali e vegetali e in un grandissimo numero di molecole organiche. Nel mondo inanimato invece il principale minerale contenente azoto è il nitrato di sodio (NaNO3). La maggior parte degli esseri viventi non è in grado di assimilare l’azoto atmosferico, ma solo se esso è sotto forma combinata.
Il ciclo dell’azoto è l’insieme di tutte le trasformazioni che l’elemento subisce negli ecosistemi, in modo da risultare assimilabile da parte di tutti gli esseri viventi; successivamente l’azoto una volta entrato a costituire la materia vivente, non vi rimane indefinitamente: gli organismi viventi muoiono subiscono processi putrefattivi ad opera di microrganismi che lentamente liberano l’azoto, trasformandolo in sali inorganici e in azoto molecolare. Nel mondo vivente si è osservato che, mentre i vegetali possono assumere l’azoto dal suolo,ivi presente allo stato inorganico sotto forma di ioni nitrato (NO3-) o ioni ammonio (NH4+), i consumatori e i decompositori (eterotrofi), invece, possono utilizzare solo azoto organico, cioè sotto forma di proteine e altre molecole organiche. Infine solo pochi organismi (batteri e alghe azzurre-cianobatteri) specie più primitive nella scala evolutiva con cellula di tipo procariotico, sono in grado di fissare azoto atmosferico.
La prima tappa del ciclo riguarda le fasi attraverso cui l’azoto atmosferico o i suoi sali contenuti nel terreno sono trasformati in ammoniaca:
Da poco più di mezzo secolo, accanto ai processi naturali descritti prima si è affiancato in misura crescente l’intervento dell’uomo, sotto forma di immissione nei terreni di concimi azotati (prevalentemente sali d’ammonio e nitrati). Per tale ragione i batteri denitrificanti erano considerati come dei veri e propri nemici dal punto di vista economico, poiché la loro funzione è di trasformare i nitrati; invece i batteri azotofissatori erano considerati amici degli agricoltori perché capaci di assimilare l’azoto atmosferico, quindi forme utili per l’agricoltura. Venivano trascurata con un atteggiamento esclusivamente antropocentrico, l’importanza ecologica dell’attività di tutti i microrganismi, focalizzando l’attenzione solo sul mero interesse economico a breve periodo. I rischi dell’eliminazione di batteri denitrificanti dall’ecosistema agrario sarebbero alti, cioè di stravolgimento stesso del ciclo dell’azoto, comportando un accumulo di sali nitrici e l’azoto non potrebbe chiudere il suo ciclo con liberazione verso l’atmosfera. Inoltre durante l’ossidazione dell’ammoniaca a nitrati l’ossigeno atmosferico verrebbe in qualche maniera bloccato in questi composti, alterando la composizione gassosa dell’atmosfera e impedendo la vita a numerose specie viventi.
Ciclo del fosforo (dipende dall’erosione delle rocce)
Il fosforo è un macroelemento che non si trova libero in natura, ma sempre combinato, principalmente come fosforite e apatite, costituisce lo 0,11% della crosta terrestre. Il ciclo di questo elemento è molto semplice, è di tipo sedimentario. A differenza dell’azoto, l’elemento fosforo (così come il calcio e il potassio) ha il suo principale serbatoio abiotico nelle rocce, invece che nell’atmosfera. L’erosione delle rocce porta ad un graduale accumulo di fosfati (composti contenenti ione PO43-) nel suolo. Le piante assorbono gli ioni fosfato in soluzione nel terreno e li trasformano in composti organici. La forma principale di assorbimento è il fosfato biacido (H2PO4-), mentre la forma monoacida (HPO4-) è assorbita molto lentamente. Il fosforo assorbito dalle piante entra a far parte di importanti molecole biologiche come il DNA, l’RNA e l’ATP. Le prime due molecole assumono un ruolo nella trasmissione dei caratteri e nella funzionalità generale dell’organismo, rappresentano l’informazione genetica; mentre la terza rappresenta una molecola energetica. I consumatori ricavano dalle piante il fosforo sotto forma organica e i decompositori restituiscono i fosfati al terreno. Il fosforo presente nel suolo è in generale scarsamente solubile e viene in parte asportato dalle precipitazioni con il terreno eroso e trasportato, attraverso i corsi d’acqua, fino ai mari dove può entrare nella catena alimentare o depositarsi. Alcuni fosfati sotto forma di precipitati si depositano sul fondo dei laghi profondi e degli oceani, dopo un percorso avvenuto in parte nei corsi d’acqua che confluiscono nei bacini acquatici più vasti. Sul fondo di laghi e mari si sedimentano e in alcuni casi col tempo danno origine a nuove rocce, quindi una quota di fosforo sarà sottratta al riciclo all’interno della biosfera, fino a quando specifici processi geologici non riporteranno le rocce in superficie esponendole all’erosione. Di solito però l’erosione è un processo lento e negli ecosistemi naturali la quantità di fosfati disponibile per le piante è piuttosto bassa, pertanto la loro crescita può essere limitata dalla scarsa quantità presente nel suolo. Dal mare il fosforo può rientrare nel ciclo attraverso due vie:
Questo tipo di ritorno alla terra ferma rappresenta una modalità estremamente importante in termini quantitativi e qualitativi, lasciando enormi depositi di guano in alcune regioni del nostro pianeta (coste del Perù). Nelle acque dei laghi che non sono state inquinate dall’attività umana, essendovi un basso contenuto di fosfati in soluzione vi è anche un ridotto sviluppo delle alghe: le acque risultano pulite e limpide. Purtroppo grazie all’intervento umano (responsabile della caratterizzazione del ciclo verso una sempre più marcata aciclicità, accelerando le perdite delle terre emerse) in alcune aree non è la carenza, ma l’eccesso di fosfati a porre seri problemi agli ecosistemi. Fenomeno analogo è costituito dall’eccesso di nitrati. Sia i nitrati che i fosfati sono tra le sostanze più abbondanti nei liquami; inoltre essi vengono usati in grandi quantità nei fertilizzanti chimici agricoli, risultano essere anche importanti componenti di molti insetticidi. L’aumento della concentrazione di nitrati e fosfati in fiumi e laghi determinano uno sviluppo abnorme di alghe (eutrofizzazione), che abbassano il contenuto di O2 nelle acque con la conseguente moria della fauna (pesci, molluschi, piccoli crostacei).
Eutrofizzazione
Da eutrofia (eu = bene e trofia = nutrimento) rappresenta il fenomeno di inquinamento cronico cui sono coinvolti soprattutto i bacini lacustri, causati dall’afflusso di determinate sostanze nutritive (per lo più sostanze azotate e fosfate) in quantità superore a quella che può essere normalmente metabolizzata dalla flora lacustre. Conseguenza è l’abnorme accrescimento della flora stessa, le quali decomponendosi innescano un consumo elevato di ossigeno; scompare dunque la fauna acquatica più sensibile a scarsi contenuti di ossigeno (ipossia) e prevalgono i fenomeni di decomposizione anaerobica delle sostanze organiche con formazione di CH4 (metano), NH3 (ammoniaca), PH3 (fosfina) e H2S (idrogeno solforato). L’idrogeno solforato è un gas tossico, incolore con odore caratteristico di uova marce; la fosfina (cui si attribuisce il fenomeno di fuochi fatui) invece, anch’essa incolore ha un caratteristico odore di pesce marcio.
Ciclo dello zolfo
Lo zolfo è presente in natura sia allo stato elementare che combinato in minerali. Questo macroelemento entra a far parte della biosfera a partire dall’idrosfera, litosfera e atmosfera; riveste grande importanza biologica, in quanto è essenziale per la vita, poiché entra a far parte delle molecole di alcuni amminoacidi (metionina e cisteina): contribuisce a mantenere la struttura tridimensionale delle proteine, indispensabile per la loro funzionalità.
Lo zolfo viene assorbito dalle radici delle piante nella forma si solfato (SO4- -), ione solubile in acqua. Le piante riducono prontamente lo ione solfato e lo incorporano negli amminoacidi solforati che vengono utilizzati per la sintesi delle proteine. Le rocce contengono pochi quantitativi di S che non giustificano l’alto tasso di concentrazione di SO4- - nelle acque. I ¾ dello zolfo derivano dall’atmosfera dove è presente sotto forma di acido solfidrico (H2S) e SO2 (anidride solforosa), composti volatili che passano nell’idrosfera e nella litosfera attraverso le precipitazioni (H2S e SO2 combinandosi con H2O formano H2SO4). Dello zolfo presente in atmosfera circa 1/3 è dovuto all’attività industriale fortemente inquinante che produce SO2 dalla combustione di materiali ricchi di S. Come si è detto le piante, dopo aver assorbito lo Zolfo sotto forma di solfati lo incorpora in composti organici: l’assunzione da parte delle piante non è mai superiore alle necessità (non avvengono escrezioni a base di zolfo) Dopo la morte degli organismi viventi la sostanza organica di cui sono costituiti viene gradualmente demolita con l’intervento di una serie di altri organismi (detritivori e decompositori) e come prodotto finale si ottiene la liberazione di solfo sot6to forma H2S, attraverso un processo simile a quello che porta alla produzione di ione ammonio nel ciclo dell’azoto. Ci sono alcuni microrganismi, solfobatteri fotosintetici, che utilizzano l’acido solfidrico al posto dell’acqua:
6CO2 + 12H2S + energia luminosa → C2H12O6 (glucosio) + 6H2O +12S
I solfobatteri producono oltre al glucosio anche lo S elementare. Inoltre sempre i solfobatteri sono in grado di ossidare completamente lo S elementare in ione solfato (SO4- -), nuovamente disponibile per le piante. Ma lo ione solfato con l’intervento di un altro tipo di batteri, solfato-riduttori (anaerobi obbligati), può essere di nuovo ridotto ad H2S. I solfato-riduttori sono attivi soprattutto nei sedimenti fangosi e in assenza di ossigeno, fenomeno che si verifica in alcuni ecosistemi acquatici (paludi, stagni…) con una produzione di acido solfidrico che ha un caratteristico odore di uova marce. Inoltre l’acido solfidrico si lega con il ferro presente nei sedimenti fangosi e da origine al FeS (solfuro di ferro) che conferisce una colorazione nerastra ai sedimenti. I solfuri ferrosi nei sedimenti provocano il passaggio da una forma insolubile ad una forma solubile dei fosfati presenti, influenzando in questa maniera il ciclo del fosforo.
Fattori limitanti
A questo punto è necessario prendere in considerazione altri due aspetti importanti:
L’energia, materiali, condizioni e comunità sono aspetti che in natura interagiscono in maniera molto complicata. Per provare a spiegare in parte le modalità di interelazione è opportuno introdurre i principi generali dei fattori limitanti.
Qualsiasi fattore che tenda a rallentare la crescita potenziale in un ecosistema è detto limitante. Se il freno mette addirittura in gioco la sopravvivenza, allora è più appropriata l’espressione fattore regolatore. La legge dei fattori limitanti è stata enunciata dall’agronomo Justus Liebig, nel 1840, che è stato il pioniere nello studio delle applicazioni di fertilizzanti chimici inorganici in agricoltura. Liebig nelle sue sperimentazioni rimase colpito dal fatto che spesso il raccolto veniva limitato dalla carenza di un qualsiasi elemento essenziale, indipendentemente dal fatto che la quantità totale richiesta fosse piccola o grande. Liebig enunciò la legge del minimo che afferma che la velocità di crescita di una pianta dipende da quell’elemento biogeno, o altro fattore, che è presente nella quantità minima in rapporto alla richiesta e alla disponibilità. Lo sviluppo di un organismo o di una popolazione è quindi determinato dal fattore più scarso.
Limiti di tolleranza
Possiamo estendere il concetto di fattore limitante includendovi anche l’effetto limitante del massimo, cioè anche l’eccesso può essere un fattore di limitazione. Possiamo ampliare ulteriormente il concetto, considerando che i fattori interagiscono, cioè la carenza di una sostanza può influire sul fabbisogno di altre di per sé non limitanti. Il range dei fattori, all’interno dei quali è possibile lo sviluppo per una determinata popolazione, viene detto limite di tolleranza con il quale si vuole intendere che per la vita di un organismo o di una popolazione è determinante non solo il fattore presente in quantità minimale, ma anche quello presente in quantità massimale. Oltre un certo livello di temperatura, luce, acqua, fosforo,etc..le condizioni risultano proibitive per determinati organismi. Per qualsiasi fattore chimico o fisico esiste un certo optimum. Un organismo può avere un ampio campo di tolleranza per un certo fattore e un ristretto campo per altri fattori. Gli stadi precoci di sviluppo generalmente hanno campi di tolleranza più ristretti rispetto alle forme adulte. Si usano i prefissi “euri” e “steno” per indicare rispettivamente ampi limiti di tolleranza e stretti limiti di tolleranza. Organismi con ampi limiti di tolleranza hanno ovviamente maggiori probabilità di presentare una vasta distribuzione, ma grande tolleranza per un fattore non vuol dire necessariamente ampi campi per tutti i fattori.
Ora possiamo affermare che il successo biologico di una popolazione o di una comunità dipende da un complesso di condizioni; qualsiasi condizione si avvicini o superi il limite di tolleranza dell’organismo o gruppo in questione può essere considerata un fattore limitante.
DINAMICA DI POPOLAZIONI
Gli ecologi definiscono una popolazione il numero di individui di una data specie che si incrociano tra loro e che sono più o meno isolati da altri gruppi simili. Gli individui di una popolazione utilizzano le stesse risorse e sono soggetti agli stessi fenomeni naturali (temperatura, rifornimento idrico e alimentare, predazione..)
La dinamica di popolazioni è legata ai cambiamenti delle dimensioni delle popolazioni e ai fattori che le regolano nel corso del tempo. All’interno di ciascuna popolazione gli individui interagiscono fra loro nel tempo e nello spazio. Quando si vuole studiare la dimensione e i cambiamenti nel tempo di una popolazione vuol dire prenderne in esame la struttura e le relazioni con l’ambiente.
Per operare un’analisi numerica di una popolazione occorre prenderne in esame alcuni parametri:
Riassumendo l’ingresso di nuovi individui nella popolazione avviene per nascite o immigrazione, mentre l’uscita avviene per morte o per emigrazione. La popolazione
Se si trascura il fenomeno migratorio, la consistenza finale di una popolazione è il risultato di un equilibrio tra due parametri contrapposti:
MODELLI TEORICI DI FORME DI ACCRESCIMENTO DELLE POPOLAZIONI
Nessuna altra specie di organismi si riproduce tanto velocemente come i batteri. In condizioni ottimali di laboratorio alcuni batteri riescono a dividersi (e moltiplicarsi) ogni 20 minuti: da un solo organismo dopo 20’ 2 batteri, dopo 40’ 4 batteri, dopo 60’ 8 batteri; dopo 36 ore i batteri sarebbero così tanti da ricoprire tutto il pianeta con uno strato di circa trenta centimetri di spessore.
Modello di crescita esponenziale
In condizioni ideale il tasso di crescita di una popolazione è detta esponenziale, quando l’intera popolazione si moltiplica in base a un fattore costante per intervalli di tempo costanti. La popolazione cresce secondo un esponente matematico (una potenza). La curva che rappresenta la crescita esponenziale ha la forma di una “J” . Nel caso del batterio abbiamo 2 come base e l’esponente aumenta di una unità ad ogni intervallo di tempo: 2n = 21, 22, …
In formula il tasso di crescita è espresso dalla seguente relazione:
G = r N dove G tasso di crescita ; N numero di individui e
r tasso intrinseco di accrescimento o capacità innata
dell’organismo di riprodursi
Un valore approssimato di “r” si ottiene sottraendo al tasso di natalità il tasso di mortalità. “r” corrisponde al potenziale biotico (influenzato da: età alla quale l’organismo si riproduce per la prima volta; frequenza delle riproduzioni; consistenza media di ogni nidiata; longevità riproduttiva dell’organismo e tasso di mortalità individuale in condizioni ideali) che, se non intervengono limitazioni ambientali, è costante. La relazione di prima se “r” è costante vuol dire che la velocità con cui cresce una popolazione dipende dal numero iniziale degli individui, cioè da “N”: quanto più è grande “N” tanto più velocemente la popolazione aumenta e col passare del tempo “N” cresce sempre più velocemente.
Le popolazioni naturali hanno la possibilità di una crescita esponenziale solo per brevi periodi di tempo, cioè finché:
Strategia di sviluppo in condizioni naturali
Nel momento in cui iniziano a manifestarsi le condizioni sfavorevoli si osservano bruschi arresti nella curva di accrescimento: diminuisce il tasso di natalità e aumenta il tasso di mortalità. I bruschi scalini sono intervallati da periodi di crescita esponenziale |
Tempo
Alcune popolazioni, di solito costituite da specie di piccole dimensioni, con individui che si riproducono precocemente, danno origine a molti discendenti non appena le condizioni ambientali risultano favorevoli. Queste specie sono caratterizzate da cicli di accrescimento e di rapida diminuzione. Gli individui appartenenti a queste specie hanno vita breve e si disperdono velocemente sul territorio e colonizzano ambienti sfavorevoli ad altre forme di vita. Queste specie mostrano di avere una strategia riproduttiva opportunista: alcune di esse assumono i carattere di pioniere, cioè organismi viventi che contribuiscono a colonizzare habitat privi di vita.
Modello di crescita logistica o strategia riproduttiva prudente
I fattori ambientali che rallentano la crescita di una popolazione, come abbiamo visto prima, sono detti fattori limitanti. I fattori limitanti determinano un andamento della crescita delle popolazioni in maniera diversa a quello descritto precedentemente. La curva nel grafico ha un andamento detto sigmoide (a forma di S allungata) N
L’equazione di una curva logistica è complicata dagli effetti dei fattori limitanti. La capacità portante è detta anche capacità biologica specifica o di sostentamento, cioè il numero di individui di una popolazione che l’ambiente può mantenere senza alcun aumento o decremento netto (in condizioni stabili).
Analizziamo come varia il rapporto (K - N)/K all’interno della curva. Quando la popolazione inizia a crescere N è vicino a 0, un valore molto piccolo, quindi il rapporto (K - N)/K si può approssimare a 1. In questa maniera il tasso di crescita G = rN(1), nella prima parte corrisponde alla crescita esponenziale. Mentre quando la popolazione aumenta N si avvicina sempre più alla capacità portante N → K e influisce sul rapporto (K – N)/K, questa frazione diventa sempre più piccola fino ad annullare il tasso di crescita G. Quando G = N la frazione si annulla e anche il tasso di crescita G = 0. Il tasso di crescita di una popolazione è piccolo quando la popolazione è piccola o grande, mentre quando la popolazione si trova a livello intermedio in rapporto alla sua capacità portante il tasso di crescita è maggiore. In pratica in natura se la popolazione è piccola le risorse nutritive sono abbondanti e quindi la popolazione è capace di crescere quasi in maniera esponenziale; mentre se N è grande i fattori limitanti contrastano fortemente la sua tendenza a crescere. I fattori limitanti fanno diminuire il tasso di natalità o aumentare il tasso di mortalità (o insieme). Quando il tasso di natalità = al tasso di mortalità la popolazio0ne si stabilizza al valore della capacità portante K.
Alcune popolazioni formate per lo più da individui di dimensioni maggiori, mostrano una strategia riproduttiva di equilibrio o prudente. Gli individui in genere maturano più tardi e producono pochi discendenti, cui dedicano intense cure parentali per tempi relativamente lunghi. Le dimensioni delle popolazioni possono assestarsi su valori pressoché stabili, intorno alla capacità portante.
Resistenza ambientale
La capacità biologica specifica è legata alla disponibilità di 2 tipi di risorse:
Se lo spazio è insufficiente si avrà un’influenza negativa sulla riproduzione. Gli animali migrano. Se la pressione delle risorse rinnovabili è eccessiva si profila la morte per inedia e l’ecosistema riduce la sua capacità di sostentamento.
I fattori di resistenza ambientale classificabili in 2 categorie:
Le specie longeve hanno perfezionato vari meccanismi per compensare i mutamenti stagionali e superare indenni le condizioni sfavorevoli. Fra i fattori limitanti si hanno la predazione, parassitismo, e la competizione tra individui della stessa specie o di specie diverse.
La predazione è legata alla densità, perché aumentano le possibilità di incontrare predatori: alcuni predatori adeguano la dieta al variare delle prede. I parassiti sono poco mobili e si diffondono più rapidamente in condizioni di sovraffollamento.
Poiché le risorse che determinano la capacità portante sono limitate, lo sfruttamento da parte di un individuo riduce la possibilità di utilizzazione da parte di un altro. La competizione sia interspecifica che intraspecifica costituisce, perciò, un fattore limitante di una popolazione. Di seguito affronteremo i rapporti tra gli individui.
RAPPORTI TRA INDIVIDUI
Rapporti intraspecifici
Ciascun organismo vivente durante la propria vita, in modo più o meno intenso, è obbligato ad avere rapporti diretti e/o indiretti con altri organismi della stessa specie: esempio della riproduzione sessuale. La socialità può limitarsi ad un periodo molto breve o estendersi lungo tutto l’arco della vita (branco negli animali in gruppo).
Società animale – costituita da un gruppo di individui della stessa specie organizzati in modo cooperativo. Le società possono essere:
In una società di individui si scambiano continuamente stimoli di diverso tipo (sonori, olfattivi, tattili, gestuali) che servono a mantenere coeso il gruppo secondo schemi comportamentali. Ma fra individui della stessa specie esiste anche un altro tipo di relazione, questa volta negativa, rappresentata dalla competizione, che consiste nell’ostacolarsi a vicenda nella disponibilità di spazio vitale, nel contendersi il cibo o nel ricercare condizioni per soddisfare altre esigenze primarie per la sopravvivenza, o per il territorio riproduttivo. Due individui si contrappongono in una contesa molto forte e prevarrà chi sarà in grado di utilizzare meglio le risorse alimentari, insediarsi meglio in uno spazio vuoto, sfuggire ai predatori. In pratica avrà maggiore successo chi sarà in possesso di una migliore fitness (rappresenta l’insieme di caratteristiche genotipiche – patrimonio genetico - e fenotipiche – manifestazione dei caratteri in funzione dell’ambiente – che lo rendono idoneo a sopravvivere e a riprodursi nell’ambiente in cui vive) misurabile con la stima del suo valore riproduttivo. La fitness di un individuo si traduce in una maggiore capacità di trasmettere le proprie caratteristiche alla progenie.
Rapporti interspecifici
Quando due popolazioni sfruttano entrambe le stesse risorse presenti in quantità limitate, gli individui delle due specie entrano in competizione, detta interspecifica. Questo tipo di competizione può inibire lo sviluppo di entrambe le specie. A volte la competizione può addirittura giungere alla completa eliminazione dalla comunità di una delle popolazioni. Nel 1934 Gause, ecologo russo, studiò gli effetti della competizione interspecifica, utilizzando, negli esperimenti di laboratorio, due specie di protozoi1, strettamente imparentate: paramecius aurelia e paramecius caudata
In un primo momento l’ecologo tenne queste due specie separate in condizioni stabili, alimentandole ogni giorno con una quantità costante di batteri. Il terreno di coltura consiste in una provetta contenente un liquido con dentro batteri di cui si nutrono i protozoi. Le curve di accrescimento messe a confronto nel primo grafico hanno assunto un andamento sigmoide. Ogni popolazione si sviluppò in modo rapido agli inizi fino a diventare stabile, quando raggiunsero la capacità portante della propria coltura. In un secondo momento Gause coltivò le due specie nello stesso terreno di coltura. In queste condizioni il p. aurelia mostrò di essere in grado di sfruttare meglio le risorse disponibili fino a provocare l’estinzione di p. caudata. Da questa esperienza si può concludere che due specie molto simili che si trovano a competere per le stesse risorse limitate non possono coesistere nella medesima area. Una delle due utilizzerà le risorse in maniera più efficiente e si riprodurrà più rapidamente: questo vantaggio riproduttivo condurrà infine all’estinzione a livello locale del competitore più labile. Ciò si esprime con il principio dell’esclusione competitiva (causata da una carenza di risorse alimentari), fondamentale in ecologia e si applica a ciò che viene chiamata nicchia ecologica, cioè il ruolo che una popolazione ha nella sua comunità, o anche l’utilizzo complessivo da parte della popolazione, delle risorse biotiche e a biotiche dell’habitat.
Una specie → una nicchia vuol dire che due popolazioni di specie diverse non possono coesistere in una stessa comunità se le loro nicchie sono identiche.
Gause fece in seguito un altro esperimento in cui utilizzò nella stessa coltura due specie diverse di paramecius (p. aurelia e p. bursaria), notando che riuscirono a coesistere e a raggiungere un equilibrio stabile. In un primo momento questo esperimento sembrava mettere in discussione quello precedente, ma ben presto si osservò che le due specie avevano occupato zone diverse del mezzo di coltura, cioè occuparono due differenti nicchie spaziali e perciò fu possibile la coesistenza. Ciò ci permette di affermare che in un ambiente naturale non esistono mai condizioni uniformemente distribuite e se coesistono specie diverse anche molto simili che si cibano delle stesse risorse, vuol dire che nell’ambiente dato esistono habitat2 e nicchie differenti.
In una comunità esistono diverse specie che possono instaurare fra loro altri tipi di relazione differenti dalla competitività. Le altre modalità di interazione fra specie diverse di una comunità sono:
DIVERSITÀ BIOLOGICA O BIODIVERSITÀ
Se vogliamo studiare un livello più alto della scala gerarchica della natura, in termini di organizzazione, cioè, superando la popolazione, dobbiamo prendere in esame la comunità biologica (insieme di tutti gli organismi che vivono e che potrebbero interagire in un determinato territorio). Scopriamo che anche la biocenosi ha le sue caratteristiche e le sue proprietà: aspetto prevalente della vegetazione (bioma), struttura trofica (catene alimentari e reti alimentari) e diversità biologica. Sui primi due ci siamo soffermati abbondantemente prima, ora invece affronteremo l’analisi della terza caratteristica.
Con diversità biologica si intende la varietà di organismi che costituiscono una comunità, formata essenzialmente da 2 componenti:
Non sappiamo con certezza quante specie sono presenti sulla Terra: ne sono state classificate circa 2 milioni, ma alcuni elementi fanno supporre che si debbano considerare da 5 a 50 milioni di specie. I mammiferi, gli uccelli e tanti altri esseri viventi di grossa taglia sono già classificati, ma rimangono ignoti diversi insetti e tante altre specie di organismi di piccole dimensioni. Oggi ogni specie presente sul pianeta è il risultato di un percorso lungo di adattamento all’ambiente, attraverso il meccanismo della selezione naturale.
Per ogni specie c’è da considerare anche l’estrema varietà degli individui, dovuta alla diversità genetica, pertanto alcuni individui della specie possono risultare più o meno adatti alle condizioni ambientali, del momento, del loro habitat. Sopravvivranno solo quelli che hanno una migliore fitness (individui più adatti e prolifici, cioè dotati di una maggiore capacità di trasmettere le proprie caratteristiche alla progenie). L’ambiente cambia continuamente e le specie si evolvono con esso, modificando le loro abitudini alimentari e comportamentali. Ogni specie ha una propria nicchia ecologica ed occupa un determinato habitat. La diversità biologica del nostro pianeta è data anche dall’eterogeneità degli habitat, grazie anche a divisioni, confini naturali presenti sulla superficie terrestre.
La diversità biologica la si può riscontrare benissimo anche in un ecosistema agricolo (agroecosistema). Per esempio in una monocoltura ci si aspetterebbe la presenza di una sola specie, quella scelta dall’agricoltore, ma ad un esame più attento risulta anche la presenza di altre specie vegetali, non desiderate, dette infestanti; ci sono sicuramente anche parassiti delle piante e nel suolo altre specie di organismi tra cui detritivori e decompositori. Comunque in un agroecosistema, che prevede un forte intervento umano, il numero di specie presenti è sempre più basso di un ecosistema naturale.
Per stabilire l’importanza relativa fra specie diverse di una comunità si possono considerare il numero di individui, la biomassa o la produttività. In base a questi criteri ci sono specie dominanti, poche e comuni di quel determinato ecosistema, e specie rare più numerose ma con minor numero di individui. Se una comunità è sottoposta ad un forte stress per cause naturali (prolungata siccità, alluvioni, incendi…) o per l’intervento dell’uomo (deforestazione, inquinamenti acuti), la struttura della comunità si modifica: aumentano le specie comuni e diminuiscono quelle rare, perché mostrano più difficoltà a superare le stress.
Abbiamo già detto che anche all’interno di una stessa specie c’è un certo grado di diversità biologica, data dalla diversità genetica, cioè dalla ricchezza e dalla varietà del materiale genetico in dotazione ai singoli individui della specie di appartenenza. La diversità genetica è essenziale per la specie, perché rappresenta un patrimonio di caratteristiche vitali: ogni individuo possiede una sua potenzialità e plasticità utilizzabile per adeguarsi ai mutamenti delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche dell’ambiente. Esistono due modalità di cambiamenti
La capacità di adattamento ai cambiamenti, cioè la plasticità di una specie, è strettamente correlata con la sua diversità genetica.
Con l’agricoltura e l’allevamento è l’uomo che sceglie quali specie utilizzare per fini produttivi. Fra le svariate specie presenti in natura l’agricoltore e l’allevatore sceglie quelle ritenute più utili; opera una selezione delle caratteristiche migliori espresse da alcuni individui. Per garantirsi una certa standardizzazione delle caratteristiche l’uomo punta ad avere organismi molto simili fra loro; ciò si ottiene se il patrimonio genetico degli individui è il più possibile uguale. Ma tutto ciò va contro la diversità biologica. In pratica l’uomo cerca di diminuire la diversità biologica naturale per avere maggiore controllo sulle specie viventi utilizzate. L’idea di selezionare organismi con patrimonio genetico uguale si sta dimostrando fallimentare, perché la diversità genetica che si perde oggi è difficilmente recuperabile in futuro. Inoltre sta diventando più oneroso economicamente gestire le diverse produzioni, in quanto organismi molto simili fra loro reagiscono più o meno alla stessa maniera nei confronti delle insidie dell’ambiente, pertanto se c’è una malattia, questa potrebbe eliminare tutti gli organismi attaccati. Infine altro aspetto negativo è la continua e sempre più estesa sostituzione di varietà locali con un piccolo numero di specie coltivate che riduce ulteriormente la diversità genetica. Le specie selezionate dall’uomo sono molto rigide, non in grado di reagire alla plasticità dei parassiti naturali.
Occorre porre freno alla continua perdita di diversità biologica e di habitat adatti alle specie naturali. L’importanza della conservazione della biodiversità a tutti i livelli in cui si esprime è stata riconosciuta nella conferenza mondiale dell’ONU su “ambiente e sviluppo”, tenutasi a Rio de Janeiro (giugno 1992). In quella occasione è stata sottoscritta la Convenzione sulla diversità biologica che considera la biodiversità come opzione primaria per tutta l’umanità, cioè essa assume valore ecologico, genetico, culturale, educativo scientifico e economico. Biodiversità significa:
La biodiversità si conserva:
EVOLUZIONE DEGLI ECOSISTEMI
Un’altra proprietà di una comunità, e dell’ambiente in cui vive, è rappresentata dalla stabilità, cioè la capacità di resistere alle perturbazioni esterne e di ritornare alla sua originaria composizione di specie, dopo essere cessata la causa che ha determinato il cambiamento. Per stabilità si intende anche la capacità di un ecosistema di conservare un certo stato per un periodo più o meno lungo. In base ad un certo modello, un’idea dettata dall’osservazione di ecosistemi simili, tendiamo a riconoscere ecosistemi naturali come sempre uguali a se stessi e ci accorgiamo di qualche anomalia solo in particolari momenti, quando le perturbazioni esterne sono tali da alterare radicalmente la struttura della comunità. Perché un ecosistema possa mantenere a lungo la propria stabilità deve essere in possesso di meccanismi di regolazione e di controllo capaci di contrastare le perturbazioni. Questi meccanismi sono diversi sia in funzione del tipo e della struttura della comunità sia della natura delle perturbazioni stesse. Per comprendere meglio le modalità di regolazione è bene partire dal concetto di sistema: sia esso naturale o artificiale (automobile e qualsiasi macchina) è costituito da un insieme di componenti, parti, elementi che interagiscono fra loro in maniera organizzata, regolare e interdipendente, secondo precisi schemi, tali da formare un’unità funzionale. Un organismo vivente ha un suo livello di organizzazione costituito da organi, apparati che interagiscono fra loro dando origine ad un complesso funzionante. Stesso discorso si può fare con l’ecosistema formato da componenti (biotica e abiotica) che interagiscono dando origine ad una struttura funzionante. L’importante proprietà degli ecosistemi è che tendono a raggiungere, in funzione di propri meccanismi di regolazione, uno stato di equilibrio dinamico; questi meccanismi sono chiamati feedback (retroazione) e sono di due tipi:
Questi meccanismi non partecipano al mantenimento dell’omeostasi ma sono comunque presenti in natura. Un classico esempio di questo tipo è l’effetto serra determinato dal variare del ciclo del carbonio a seguito delle attività produttive dell’uomo. Se aumenta la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è possibile un aumento della temperatura media la quale può provocare un incremento dell’attività degli organismi decompositori i quali a loro volta accelerano i processi di mineralizzazione dell’humus favorendo così un ulteriore aumento del tasso di anidride carbonica nell’aria. L’incremento del tenore di anidride carbonica comporta una variazione del clima che come sappiamo influisce sull’attività degli esseri viventi.
A questo punto facciamo una precisazione: i meccanismi omeostatici hanno una capacità di regolazione limitata, perciò il punto di equilibrio che viene ripristinato con feedback negativi non è detto che sia uguale a quello di prima, anzi spesso risulta spostato.
SUCCESSIONE ECOLOGICA
Le perturbazioni esterne possono alterare la struttura delle comunità. Inondazioni, incendi, scorrimenti di ghiacciai o eruzioni vulcaniche possono provocare la scomparsa di alcune forme di vita, per cui le comunità ecologiche possono cambiare radicalmente. Le biocenosi sono raggruppamenti di esseri viventi che interagiscono fra loro in modo dinamico e in rapporto ai fattori ambientali. I mutamenti graduali della struttura e della composizione in specie della comunità, dovuti al rapporto dinamico con l’ambiente che le condiziona, prendono il nome di successione ecologica, che risulta essere una diretta conseguenza della regolazione biologica della comunità nel suo complesso. Gli ecosistemi si evolvono in rapporto alle perturbazioni esterne e ai meccanismi di regolazione interna e seguono uno sviluppo che li porta, attraverso diverse fasi dette sere (intero gradiente di comunità caratteristico di una data area), a raggiungere una condizione terminale stabile con una comunità biotica tipica di una determinata regione e della situazione climatica ivi presente. La successione continua fino a che il numero delle specie presenti e la densità della popolazione non raggiungono valori relativamente stabili di equilibrio all’interno di quella definita come comunità climax3 o vegetazione climax, in quanto è il tipo di vegetazione l’aspetto che caratterizza una comunità biotica. La colonizzazione di un’area di nuova formazione (area sterile, in cui le condizioni di esistenza non erano state fino a quel momento favorevoli - duna di sabbia formatasi da poco tempo, torrente di lava di origine recente…) avviene secondo un processo chiamato successione primaria. Alcuni esempi sono: isole da poco emerse dal mare per attività vulcanica; cave abbandonate; morene glaciali appena formatesi. Le prime forme di vita che si insediano su queste aree sterili spesso sono i batteri autotrofi, seguiti dai primi organismi eucarioti che colonizzano le rocce, quali licheni e muschi4, che si sviluppano a partire da spore portate dal vento. Il suolo si forma gradualmente con l’accumularsi di sostanze organiche da attività biologica e con la disgregazione della roccia grazie ai fattori chimici e fisici, quindi inizia a formarsi un ambiente più adatto all’insediamento di organismi vegetali come le piante erbacee seguono poi arbusti ed infine alberi, che germoglieranno dai semi trasportati dal vento o dagli animali. Alla fine l’area verrà colonizzata dalle piante che diverranno la forma prevalente di vegetazione della comunità. Un’associazione ecologica primaria che dal terreno arido porta alla formazione di un bioma può richiedere anche centinaia o migliaia di anni. Se in un’area precedentemente occupata da una comunità stabile (in una situazione di climax) avvengono fenomeni che sconvolgono l’equilibrio, come alcune perturbazioni che distruggono la struttura della comunità lasciando intatto il suolo, si avrà una successione secondaria. Esempi di questo tipo sono: campi coltivati abbandonati, prati arati, foreste abbattute o stagni di recente formazione. In una successione secondaria la velocità di cambiamento è più grande e il tempo necessario per il completamento delle sere è di gran lunga più breve. Le prime piante che colonizzano un terreno agricolo abbandonato sono molte specie erbacee, che si sviluppano dai semi trasportati dal vento o dagli animali e prosperano perché non c’è competizione con altre piante. Se l’area non subisce incendi e non viene adibita a pascolo in breve tempo iniziano a svilupparsi arbusti che gradualmente sostituiscono le piante erbacee. Infine si assiste all’affermazione di alberi che via via sostituiranno gli arbusti dando origine ad una foresta.
Possiamo definire una successione ecologica in funzione dei seguenti tre parametri:
È bene ribadire che la successione ecologica è regolata dalla comunità. Infatti ogni complesso di organismi altera il substrato fisico e il microclima ( condizioni locali di temperatura, luce, …), rendendo in tal modo le condizioni favorevoli per un’altra serie di organismi. Se un’area viene modificata da un processo biologico si sviluppa un equilibrio dinamico. Le condizioni geografiche, il clima, il substrato e altri fattori fisici determinano il tipo di specie che entrano a far parte dell’equilibrio dinamico, il tempo necessario per raggiungere l’equilibrio stesso e il grado di stabilità raggiunto. Il processo di successione in se stesso è biologico, non fisico. In pratica l’ambiente fisico determina il tipo di successione, ma non ne è la causa.
Elementi del clima: temperatura, umidità e pressione. Definizione: insieme delle caratteristiche meteorologiche, relative ad uno stato medio dell'atmosfera riconoscibile per tempi che riguardano una determinata regione geografica. Fattori. latitudine, morfologia, natura delle rocce, presenza vegetazione, marittimità....
1 protozoi organismi animali unicellulari
2 Habitat ambiente naturale (spazio fisico) in cui una specie animale o vegetale si trova a vivere. È formato da tutti i biotopi in cui l’organismo è riuscito a stabilire la propria nicchia ecologica
3 Climax stadio di maturità raggiunto dalla vegetazione di una determinata zona. Le condizioni climatiche, biologiche e fisico-geografiche influiscono sulla comunità vegetale, determinando continue modificazioni fino a raggiungere uno stadio di equilibrio, cioè il massimo di staticità consentito dalle condizioni ecologiche.
4 Piante briofite che crescono in terreni umidi, su alberi o rocce in colonie numerose. Piante piuttosto piccole prive di sistema vascolare.
Fonte: http://comunicazioneambientale.altervista.org/alterpages/files/ECOLOGIA.docx
Sito web da visitare: http://comunicazioneambientale.altervista.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve