I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
in base al manuale di Armando Petrucci (Breve storia della scrittura latina) e al corso tenuto da Paola Supino all’Università la Sapienza di Roma/
Il termine paleografia deriva dal greco ’palaiós’ (antico) + ’graphìa’ (scrittura) e indica la scienza che studia la storia della scrittura a mano, l'evoluzione che la scrittura ha avuto nel corso della storia. La paleografia studia anche le tecniche adoperate per scrivere: i prodotti della scrittura (graffiti, iscrizioni, documenti, libri di ogni genere, lettere), i supporti materiali (lapidi, marmo, pareti, monete, papiri, codici pergamenacei e cartacei) e gli strumenti per scrivere (stilo, penna d'oca, matita, carboncino, ecc.). Esistono ovviamente tante paleografie quante scritture (una cinese, una ebraica, ecc.). La paleografia latina, di cui ci occuperemo qui, studia la storia della scrittura latina (cioè la scrittura basata sull’alfabeto latino, ancora oggi in uso, indipendentemente dalla lingua per cui è stata usata → testimonianze nelle lingue volgari) dalle sue origini, cioè dal 7. sec a. Cr. (prime testimonianze della scrittura latina) fino all’inizio del sec. 16, l’epoca della diffusione generalizzata della stampa a caratteri mobili nell’Europa occidentale. La paleorafia infine non è soltanto una disciplina storica, ma anche pratica: bisogna infatti saper leggere e pure decifrare le fonti antiche o medievali che si presentano come oggetti di studio.
Di fronte alla massa enorme di materiale di vario genere (librario, documentario, pubblico, letterario, privato, ecc.) che la scrittura latina ha prodotto, il paleografo si pone in generale 6 domande:
che lo contiene.
La conoscenza paleografica quindi è necessaria inanzitutto per interpretare, datare e localizzare i testi presi in esame. Come finalità di base, cioè, il codice va collocato cronologicamente, poi va definito l’ambiente della sua nascita.
- due tipologie principali: testimonianze su materie dure (1) / ~ su materie morbide (2)
Mentre nelle edizioni si studia il contenuto dei manoscritti, con la codicologia si analizzano materialmente i codici, dei quali si esamina il materiale (pergamena, carta), la rilegatura (assi, cuoio, cartone, tela), il formato dei fascicoli (duerni, trierni, quaterni, quinterni), le misure dei fogli, le rifilature, l'impaginazione, la forma della grafia, le varie mani di copisti;,ed ancora, se si tratta di un codice composito, misto, palinsesto, ecc.
Anche il materiale scrittorio distingue le specializzazioni:
L’alfabeto latino, quello più diffuso nel mondo, ha approssimativamente 2500 anni, risale infatti al sec. 6 av. Cr.
Sulle origini dell’alfabeto latino si svolge un dibattito di lungo tempo tra scienziati, una polemica che tuttora non si è conclusa. Roma, un ambiente culturale vivace e produttivo nell’epoca delle prime testimonianze scritte, era sicuramente aperto al contatto con le due grandi civiltà circostanti: quella greca della Magna Grecia e quella etrusca, ambedue in possesso di sviluppate scritture alfabetiche.
Infatti la tesi generalmente accettata dice che l’alfabeto latino deriva da una variante occidentale di quello greco (che deriva da quello dei fenici), portato nell’Italia del Sud (nella Magna Grecia) dalle colonie greche nel 8. sec., ed assunto poi - con la probabile mediazione degli etruschi - dai romani per segnare i suoni della lingua latina.
Un’altra tesi che oggi forse trova più consenso presuppone una derivazione diretta dall’alfabeo dagli etruschi.
- in particolare Raymond Bloch (un archeologo, etruscologo, studioso delle origini italiche) sostiene l’importanza degli etruschi nella storia romana (Le origini di Roma).
L' alfabeto modello (1) che si vede sul reperto archeologico (dal 650 a. Cr.) è scritto da destra a sinistra. Il reperto è una tavoletta d'avorio (cm 8.8 x cm 5) proveniente da Marsiliana d'Albegna (Grosseto, Italia) ed attualmente è esposto nel Museo Archeologico di Firenze.
Quello che è sicuro, è che il latini nel sec. 7 a.Cr. svilupparono il loro alfabeto.
Caratteristiche delle lettere dell’alfabeto latino nella sua fase più antica (fino alla metà del 3. sec. a. Cr.) (2):
Prime testimonianze in alfabeto latino (si tratta esclusivamente di scritture maiuscole (cioè lettere comprese in un sistema bilineare ↔ caretteri minuscoli al contrario si inseriscono in un sistema quadrilineare con aste ascendenti e discendenti):
MANIOS MED FHE FHAKED NUMASIOI
Cui corrisponde, in latino classico: MANIUS ME FECIT NUMASIO, quindi “Manio mi fece per Numerio”.
-os per il nominativo – Manios avrebbe fatto l’oggetto
-oi per il dativo – per un altro: Numasioi
L’andamento bustrofedico (in senso verticale (ökörszántás módra váltakozóan), cioè va letta una colonna dal basso in alto e la successiva dall'alto in basso) e l’antichità dei caratteri aguzzi – vicini a quelli calcidesi (da cui derivano appunto) - incisi (direttamente sulla pietra) sulle quattro facce del cippo, fanno presumere una datazione del sec. 6 a. Cr. (fine).
L’iscrizione lacunosa, che è quindi di difficile traduzione, si riferisce alla sacralità del luogo (testo mutilo di una legge sepolcrale?) → l’inizio sembra essere una formula di maledizione scagliata contro chi avesse violato il luogo sacro. Si ricorda inoltre un „rex” identificato come re-monarca di Roma a cui sembra essere dedicato il santuario.
IEI STETERAI POPLIOSIO UALESIOSIO (-osio → ant. genitivo di der. indoeurop.) SUODALES MAMRTEI (forma raddoppiata per Marte)
(II STETERUNT PUBLII VALERII SODALES MARTI → i compagni di Publio Valerio donarono a Marte)
Nel 3. sec. a. Cr. la scrittura epigrafica latina – sotto l’influenza diretta di quella greca contemporanea – entrò in un vero e proprio processo di normalizzazione grafica, che porterà regolarità di allineamento, uniformità di modulo (grandezza della lettera: ~ medio, ~ piccolo,
~ grande) e di disegno, geometrizzazione delle forme (aspetto figurale delle singole lettere: angolo retto, sezione di cerchio).
Il momento della svolta grafica non risulta del tutto accidentale: l’espansione imperiale di Roma, la sempre più complessa amministrazione pubblica che la nuova realtà portava con sé, la formazione di una nuova classe consistente di commercianti e di imprenditori, la necessità crescente di communicazione fra i vari centri politici e militari favorizzarono la diffusione della scrittura a livello privato. Questo fenomeno a sua volta provocò, per naturale contrasto, la canonizzazione della scrittura ufficiale che seguirà precise regole modellate sugli esempi greci. Uno degli primi esempi di una capitale romana in via di canonizzazione sono le
iscrizioni funeralie di una delle maggiori famiglie nell’epoca repubblicana, le cosiddette
„Elogi degli Scipioni”, trovate nel 18. sec. in un sepolcro situato fuori Porta Capena a Roma ed ora conservate nel Museo Vaticano.
- „Elogi degli Scipioni” (iscrizioni funeralie) → capitale romana in via di normalizzazione → Sarcofago di Scipione Barbato (6)
( Lucio Cornelio Scipione Barbato, figlio di Gneo, uomo forte e sapiente, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, fu console, censore, edile presso di voi. Prese Taurasia e Cisauna nel Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò via ostaggi) o (Cornelio Lucio Scipione Barbato, generato da Gnaeus suo padre, uomo forte e saggio, la cui apparenza era in armonia con la sua virtù, che fu console, censore , e edile fra voi - Catturò Taurasia, Cisauna, il Sannio
Tra l’altro testimonia la capitale epigrafica romana (la denominazione capitale risale al fatto che nell’Alto Medioevo venivano disegnate con essa i titoli, le iniziali nei codici) ormai canonizzata (1. sec. a. Cr.), che fornirà i suoi migliori esempi nell’epoca augustea:
→ in genere questa scrittura viene usata su un materiale più resistente di supporto, il marmo, con strumenti simili al compasso
Abbiamo già detto che la scrittura capitale (con la tecnica a sgraffio) era usata a livello privato in modo diffuso già intorno al 3. sec. a. Cr. In questa scrittura di uso corrente alcune lettere hanno subito una netta evoluzione in senso corsivo, che ne ha trasformato l’aspetto in confronto al modello ideale della capitale contemporanea:
-
-
Si tratta in tutti e cinque i casi di forme dettate dalla tecnica della scrittura a sgraffio che rendeva difficile di eseguire sia tratti orizzontali, sia tratti curvi.
La progressiva diffusione dell’uso della scrittura nei secoli più recenti (2-1 sec. a.C.) portò come conseguenza un’ulteriore modificazione del tratteggio dettata dalla rapidità dell’andamento corsivo (necessità di scrivere rapidamente e di diminuire al massimo il numero dei tratti).
La capitale corsiva acquistò un aspetto tipizzato fra il 1. sec. a. C. ed il 1. sec. d. C. grazie soprattutto ai nuovi supporti di scrittura che si diffusero nell’Impero: questo tipo di scrittura infatti veniva usato piuttosto su materie morbide, flessibili, come la tavoletta cerata1 e il papiro2. Le caratteristiche principali della capitale corsiva romana sono la tendenza alla quadrilinearità, cioè alle forme „preminuscole” e l’assenza di legature. Si notano infine due elementi nuovi:
→ tratteggio dettato dalla rapidità del ductus (diminuzione del num. dei tratti)
La corsiva eseguita a calamo su papiro si diffuse sempre più nell’uso fino a diventare fra il 2- 3 sec. d. C. la scrittura esclusiva dell’amministrazione civile e militare dell’Impero in ogni sua regione, diventando così addirittura uno dei simboli del potere: col tempo le sue caratteristiche di corsività e di scorrevolezza si accentuarono.
Almeno dal 2. sec. d. C. il papiro fu adoperato per produrrre libri non più in forma del rotolo, ma anche in forma di codice, cioè di un insieme di fascicoli di misura più o meno quadrata, cuciti e rilegati insieme. La fortuna di questa nuova forma di libro, molto più maneggevole e pratica – sia per la lettura che per la scrittura – fu sempre crescente nei secoli seguenti. Ma già secoli prima, nella Roma antica (cioè nell’epoca di Cesare e Cicerone), all’epoca della nascita di una vera e propria letteratura latina, esistevano libri scritti su diverse materie. La produzione del libro (su pelli, tessuti) era organizzata in botteghe artigiane con dipendenti che immettevano sul mercato le edizioni „manoscritte” dei testi letterari più diversi.
1 Supporto di scrittura più usuale nell’Antichità. Le tavole che prima si forano e si riuniscono in polittici, vengono adoperate soprattutto per scrivervi appunti scolastici, conti, lettere. Siccome la cera inserita nella parte scavata delle tavolette poteva essere raschiata, l’uso dei singoli pezzi non era praticamente limitato.
2 Materia scrittoria di origine vegetale: pianta di notevole altezza (3-4 m) originaria in Egitto, lungo il Nilo. Tagliata la pianta, il tronco viene levato per ottenere le fibbre interne, poi le striscioline vengono accostate e incollate l’una all’altra → formano una scheda quadrangolare, dopo gli strati di striscie si sovrappongono, il foglio così ottenuto viene poi battuto e seccato al sole. Una ventina di fogli incollati formano infine un rotolo.
Il modello della capitale libraria romana (detta anche rustica) usata almeno dal 1. sec. d. C fino al 6. sec. (dal 4. sec. si assiste alla progressiva diffusione di altre scritture librarie, come l’onciale, la minuscola) è vicino a quello della capitale epigrafica, ma con alcune caratteristiche dovute alla flessibilità dello strumento scrittorio (calamo) e alla morbidezza del supporto di scrittura (papiro, più tardi pergamena), cioè alla relativa tecnica di esecuzione.
→ si tratta di una scittura posata, che mantiene la rigida separazione delle lettere fra loro, l’assoluta uniformità del modulo, la sicura bilinearità e l’assenza di elementi corsivi
→ ulteriori caratteristiche della capitale libraria: chiaroscuro molto accentuato, l’arrotondamento degli angoli, l’aggiunta al termine delle aste di trattini di coronamento, in genere la morbidezza e la vivacità dell’esecuzione
Soprattutto dagli ultimi secoli del suo uso ci sono rimaste numerose testimonianze, fra cui alcuni codici integri o frammentari di lusso che contengono testi dell’antico patrimonio letterario latino (in opposizione alla nuova letteratura cristiana), e prima di tutti Virgilio.
Il processo di minuscolizzazione (scrittura minuscola: cioè inserita in uno schema quadrilineare con forme molto differenti da quelle capitali) è senza dubbi un momento fondamentale nella storia della scrittura latina, in quanto essa ha determinato il modo di scrivere a mano e a stampa di tutti i secoli successivi. Questa metamorfosi – si affaccia infatti un tipo di scritttura completamente diverso dalla capitale precedentemente adoperata a tutti i livelli - avviene naturalmente non in un momento preciso, ma in un arco di tempo abbastanza lungo, dal 1. al 3. sec. I primi segni - detti „pre-minuscoli” - appaiono già nel 1. sec. soprattutto in scritture di uso privato, documentario e scolastico, presumibilmente per ragioni di economia di esecuzione e attraverso la semplificazione del tratteggio delle singole lettere.
- De bellis macedonis (1. sec. d. C.): frammento membranaceo (su pergamena) piccolissimo (10 righe), ma di fondamentale importanza (il più antico frammento di codice) → non si riesce a decifrare esattamente il contenuto: due personaggi
(fenomeno presumibilmente molto presente nell’ambito dell’insegnamento elementare fra il 2. e 3. sec.)
Nei primi decenni del 3. sec., conseguentemente alla grande crisi che sconvolse l’Impero e portò al potere nuove classi dirigenti militari e provinciali, le tendenze minuscoleggianti si tipizzarono in esempi epigrafici e librari → minuscola primitiva.
Nei secoli 3-5, la produzione di libri in minuscola primitiva (in forma di rotolo, poi anche di codice), contenenti testi giuridici, autori di scuola come Virgilio, glossari e testi cristiani, sarebbe diventata sempre più diffusa (molti esempi). Questa minuscola rimase invece priva di una propria tipizzazione.
Comunque relativo a domande come? e quando? esattamente il fenomeno della minuscolizzazione si è verificata, le diverse scuole paleografiche (inanzittutto quella francese (Jean Mallon) e quella italiana (Cencetti) non sono finora d’accordo.
Secondo Mallon il terreno del cambio è la scrittura libraria, e la causa sarebbe stato il mutamento dell’angolo di scrittura, da acuto ad aperto (è dato dalla posizione in cui si trova lo strumento scrittorio rispetto alla riga). Conterebbe infatti la forma del supporto scrittorio, cioè la differenza fondamentale che si verifica tra rotolo e codice (lo scriba nel caso del codice riesce più ad orientare il supporto secondo la comodità).
Alla tesi della „scuola francese” si oppongono alcuni paleografi italiani - tra cui G. Cencetti3 e A. Petrucci) -, affermando che l’ambiente del mutamento sarebbe stato la scrittura usuale, il campo della scrittura più sottoposto alle diverse esperienze della realtà quotidiana (si tratta infatti di una scrittura in continua evoluzione), e di cui si vedono numerosi esempi dal 3. sec. (↔ scrittura libraria è molto più fissa, canonizzata) Sembrano confermare questa tesi:
- i graffiti incisi su pezzi di terra sigillata (su terracotta non ancora cotta, ma nemmeno umidissima) dagli artigiani (persone di livello culturale limitato → diffusione sociale ampia della scrittura) della località di Condatomagos (1) (Francia) dalla metà del 1. sec.4
→ sono pezzi molto importanti (stoviglie di uso quotidiano): la scrittura risulta ancora capitale, in cui si ritrovano forme in minuscolo (B→b: per ragioni di economia si esecuzione si elimina un occhiello)
3 G. Cencetti, Note paleografiche sulla scrittura del papiri
4 A. Petrucci, Per la storia della scrittura romana: i graffiti di Condatomagos
(tendenze semplificatrici dovute alla rapidità di esecuzione). Quindi Casamassima propone come sede del cambiamento in accordo con Petrucci la scrittura usuale, ma quella eseguita da persone che utilizzavano la scrittura per professione.
Alla metà del 3. sec. si assiste poi alla conquista della minuscola anche nel campo della scrittura corsiva: la maiuscola corsiva infatti cede il passo quasi d’un tratto alla corsiva
„nuova” (ossia minuscola corsiva) in tutti gli uffici dell’Impero (→ scritture documentarie), tranne la Cancelleria Imperiale, dove la maiuscola corsiva (definito anche „litterae caelestes”) prosegue una vita separata, come elemento identificativo, fino al 5. sec.
La struttura fondamentale delle singole lettere della minuscola corsiva (nuova) corrisponde a quella della minuscola primitiva nell’uso librario, acquistando però anche delle caratteristiche proprie:
Con il 4-5 sec. la diffusione della corsiva nuova si generalizza e con il 5. sec. essa diventa – anche a livello usuale e scolastico – l’unica scrittura corsiva di tutto il mondo romano (→ papiri degli uffici dell’amministrazione imperiale, ma anche graffiti e documenti privati).
→ scrittura matura (legature particolari: 3 lettere legate)
Nel corso del 5. secolo la corsiva nuova è ormai diffusa in tutto il mondo romano e a tutti i livelli della cultura scrittoria (dalle lettere private fino ai documenti ufficiali), acquistando però caratteristiche leggermente differenti rispetto a quelle del periodo precedente: essa si fa più alta e stretta e si inclina decisamente a destra (si accentua il ductus corsivo).
- Gesta municipalia del prefetto del pretorio di Ravenna: il protocollo sull’apertura giuridica del suo proprio testamento. Questo documento è stato scritto a Ravenna e poi custodito negli archivi della stessa città
La diffusione del Cristianesimo (riconosciuto ufficialmente nel 313 da Costantino) e di un nuovo pubblico di lettori – quelli cristiani, portò con sé che la capitale libraria si trovò d’un
tratto a non rispondere più alle nuove esigenze ed al nuovo gusto. Non a caso: la nuova religione poneva in più stretto contatto i centri culturali latini dell’Impero con quelli dei territori di lingua greca, dove si adoperava dalla prima metà del 3. sec. una scrittura libraria con forme elegantemente rotonde (in questo periodo si traducono in latino numerosissimi codici religiosi dal greco, in lettere greche). Inoltre l’adozione della penna d’oca, come nuovo strumento scrittorio, che permetteva con grande facilità l’esecuzione delle curve, e il cambiamento del supporto alla pergamena con una superfice molto più liscia, contribuirono senz’altro alle tendenze arrotondanti. Piano piano quindi nacque una nuova scrittura latina che corrispondeva alla necessità imminente di rendere più elegante e solenne la scrittura libraria ed insomma alla necessità di contrapporre una scrittura da parte dei cristiani a quella della nobiltà colta non religiosa.
L’onciale, la scrittura di cui la denominazione „falsa” risale ai paleografi del Settecento (si tratta di un errore di interpretazione del „litterae unciales” presente in un passo di San Girolamo: fa riferimento ad una misura (misura romana corrispondente alla dodicesima parte del piede (29,6 cm) → codici di bell’aspetto con il modulo grande nella scrittura – certamente si tratta di codici scritti in capitale), sarà la seconda scrittura canonizzata del mondo romano.
Esistono varie opinioni sull’origine di questa scrittura adoperata dal 4. sec. nei codici contenenti soprattutto testi di autori cristiani: secondo la tradizione paleografica l’onciale sarebbe la stilizzazione arrotondata della capitale libraria (con alcune lettere minuscole (h, l, p, q, v) → scrittura mista).
La nuova scrittura può essere considerata essenzialmente maiuscola, cioè inserita in uno schema bilineare, pur accettando alcuni segni minuscoli. L’onciale si caratterizza inoltre dalla scrittura continua e dalla fluidità del tratteggio, che non creano interruzioni di ritmo nella riga e dal susseguirsi continuo di elementi circolari ( → stile proprio di questa scrittura).
→ definiranno l’onciale anche quando non ci sarà più questa scrittura: p.es. „d onciale” in una scrittura umanistica
L’onciale fu adoperata in tutto l’Occidente latino come la scrittura libraria di maggiore dignità dal 4. fino al 8-9 sec., cioè fino alla cosiddetta „rinascita carolingia”. Conosce due periodi: il primo – definito onciale „old-style”- va dal 4. al 5. sec. e presenta il maggior numero di codici provenienti da centri di produzione in Africa e in Italia. Tra la fine del 5. sec. e l’inizio del secolo seguente si verifica in questa scrittura un mutamento di stile: si contrappone quindi al tipo „old style”, l’onciale new-style” (usando le espressioni di Lowe). La scrittura si
irrigidò: il tratteggio perse infatti ogni fluidità, si rinforzò e si spezzò, il disegno delle lettere assunse forme sempre più rigidamente geometrizzate; le aste cominciarono ad uscire dall’originario modulo bilineare; la l diventò maiuscola e si innalzò sul rigo; infine si presentarono sempre più elementi ornamentali, accentuati e visibili.
- due esempi di onciale a confronto:
Fra il 6. e 8. sec. il maggiore centro di produzione di codici in onciale fu senz’altro Roma, dove grazie a Gregorio Magno si sviluppò un centro scrittorio molto attivo al Laterano (residenza del pontefice), che produsse una quantità notevole di manoscritti (di elevatissima qualità da ogni punto di vista) contenenti testi liturgici e patristici ed opere dello stesso pontefice (3). La concentrazione di produzione non avvenne a caso: siamo infatti di fronte ad un notevole cambiamento nel panorama grafico del mondo occidentale. In Italia in questo periodo le botteghe basate sull’attività artigianale che producevano i codici su committenza scompariscono, sempre meno persone sanno scrivere, mentre gli unici centri scrittori saranno quelli ecclesiastici con scribi esclusivamente religiosi o al massimo quelli per professione. La stilizzazione romana dell’onciale prende la denominazione di onciale romana e si caratterizza prima di tutto dallo schiacciamento delle forme; dai trattini ricurvi al termine delle aste orizzontali; dalla d con asta quasi orizzontale; dalla u angolare e dai frequenti nessi.
Da Roma poi di diffondono molti evangelizzatori e con loro molti codici in onciale romana che arrivano tra l’altro in Inghilterra, dove si stilizza ulteriormente l’onciale inglese di cui il massimo prodotto fu la già presentata monumentale Bibbia Amiatina. L’Amiatina5 è un codice di grande formato e con un numero delle carte altissimo (secondo la leggenda ci volevano più di 1500 pecore per confezionarlo).
Nel 8. sec. l’onciale scompare dall’uso anche in Inghilterra, ma la sua storia non finisce ancora: riappare in Francia, più precisamente nella corte carolingia di Carlo Magno (considerato sostenitore della Chiesa → arrivano molti codici prodotti a Roma in omaggio a lui). Lì fino ai primi decenni del 9. sec. vengono prodotti codici estremamente lussuosi ed eleganti soprattutto per diretta committenza imperiale, che vanno considerati gli ultimi esemplari vergati in questa scrittura che durò molti secoli e a cui è legata grande parte della cultura altomedievale.
5 Il codice doveva essere consegnata al papa Gregorio II dall’abate Ceolfrid; ma l’abate morì durante il viaggio e il codice non arrivò mai a Roma. La Bibbia scomparve, per riapparire circa un secolo dopo nell'Abbazia di San Salvatore, dove rimase custodita per quasi mille anni ed acquisì il nome di Codex Amiatinus. Soppressa l'abbazia di San Salvatore per volontà del Granduca Leopoldo, nel 1786 il Codex Amiatinus fu trasferito presso la biblioteca Laurenziana in Firenze. E' conservato tutt'oggi presso la Biblioteca Laurenziana, cui costituisce uno dei più importanti tesori.
Alla fine del 5. sec. si elabora presumibilmente negli scrittori ecclesiastici delle provincie romane in Africa („litterae africanae” → Medioevo: si riferisce alla località dove si sarebbe elaborata) una nuova scrittura libraria che rappresenta l’ultima fase della già menzionata minuscola antica-primitiva.
In Afirca infatti, grazie al Regno Vandalo (attuale Marocco, Algeria, Tunisia), si può osservare un cosiddetto „rinascimento vandalo” per cui molte scuole si riaprono e si avviano delle attività culturali molto vivaci. (Cassiodoro che fonda la scuola in Calabria richiede libri, codici all’Africa!).
→ Cipriano: tanti testi
→ Fulgentio
Avevano quindi bisogno di una nuova scrittura libraria per i tanti codici d’uso, che tramandavano testi liturgici e patristici. Rispetto alla minuscola libraria dell’epoca precedente le caratteristiche di questa nuova tipizzazione erano:
Per distinguere questa minuscola del 6. sec. da quella dell’epoca precedente (3-4. sec.), i paleografi adoperano per essa il termine di „semionciale”, tenendo conto che si tratta soltanto di un termine convenzionale e potenzialmente equivoco, in quanto questa tipizzazione libraria della minuscola non ha diretto rapporto con l’onciale.
Le lettere caratteristiche della semionciale sono:
scriptorium doveva essere di modeste possibilità: la pergamena usata di solito non era di ottima qualità, tanto che sulla superficie si vedeva l’ombra dei peli.
Altri importanti codici in semionciale furono prodotti a Napoli, a Roma e nel monastero di Vivarium (Calabria, fondato da Cassiodoro) nella seconda metà del 6. sec.
La semionciale – che non raggiunse mai una vera e propria canonizzazione - si adoperava in questi secoli paralellamente con l’onciale canonizzata (riservata per i testi biblici e liturgici) soprattutto per copiare testi di studio e di lettura in uso nelle scuole religiose e nelle communità (testi patristici, autori cristiani,...). Venne largamente usata fino alla fine del 7. sec. in tutta l’Europa e infine rinacque nello scrittorio carolingio di San Martino di Tours in pochi, ma elegantissimi esemplari fra il 8-9 sec.
A questo punto finisce il primo periodo della scrittura romana (1-6 sec.), che fu caratterizzata da una certa unità della scrittura in un territorio molto vasto (si scriveva allo stesso modo dappertutto).
L’inizio dell’Alto Medioevo segna senz’altro una svolta nella storia della scrittura romana: mentre la tradizione grafica del mondo romano (tanto in Britannia quanto in Mesopotamia) era, come abbiamo già detto, in gran parte unitaria (piuttosto diversificata in un sistema ordinato di scritture diverse fra loro: dalla capitale all’onciale, dalla epigrafica alla corsiva prima maiuscola poi minuscola), nei secoli 5-6. questo quadro unitario venne distrutto per vari motivi:
Qualche filo di continuità con la cultura romana comunque rimase: sopravivenza di alcune tradizioni romane, gran parte dei funzionari nell’amministrazione rimane, mantenimento di rapporti con nobili intellettuali romani (Simmaco, Boezio). Ma questo metodo di Teodorico (454 – Ravenna, 526, secondo dei re barbari di Roma), secondo cui il sovrano aveva rispetto per la romanità (fece anche restaurare molti edifici romani destrutti durante le guerre), era destinato a fallire: Giustiniano, l’imperatore bizantino, volle riconquistare le provincie italiane → conseguenze disastrose: guerra lunga e sanguinosa tra 535-553 → l’Italia si trovò in assoluta povertà, gli gruppi intellettuali si trovarono allontanati, i centri culturali si spostarono in Oriente, p.es. a Costantinopoli).
Il centro ideale della produzione del libro manoscritto nelle communità religiose in questo periodo è lo scriptorium (~ di Montecassino, ~ di Bobbio, ~ di Corbie: segna allo stesso tempo il luogo fisico dell’attività di copiare e l’istituzione stessa, in quanto produttrice di libri), che erano a volte anche scuole calligrafiche, dove sotto la direzione di un maestro si seguiva un determinato tipo di scrittura, o si trattava di semplici luoghi di copia, dove ognuno copiava come poteva o come sapeva.
Nel nuovo ambiente, tanto per fare un esempio concreto, il laico alfabeta della Penisola Appeninica o della Gallia non sapeva di regola scrivere, copiare o leggere libri (non conosceva infatti le scritture di uso librario), ma solo documenti (conosceva la corsiva nuova insegnatagli dal maestro) e viceversa l’ecclesiatico – copista dei libri – conosceva non di rado solo l’attuale libraria e non la corsiva documentaria. Questo processo di diversificazione e frammentazione alto-medievale nel campo delle storia della scrittura fu chiamato dal paleografo romano, G. Cencetti, il particolarismo grafico altomedievale, che caratterizzò la cultura grafica europea (occidentale) fino all’apparizione della carolingia, nuova scrittura unitaria.
Il processo della diversificazione avvenne in generale in due sensi: in quello geografico (sviluppi particolari a seconda delle varie regioni o „nazioni”), e in quello sociale (scritture diverse a seconda dei diversi gruppi, che facevano parte della ristretta comunità alfabeta nella società feudale altomedievale). Per quanto riguarda gli usi della scrittura, la produzione libraria seguiva tendenze sia tradizionalistiche, nel senso che le scritture tradizionali, come l’onciale e la semionciale, si continuavano ad usare nella produzione libraria (nelle antiche scritture si inseriscono caratteri della corsiva), e allo stesso tempo progressisti, cioè la corsiva nuova veniva canonizzata in modi diversi nei diversi ambiti geografici (minuscole posate e calligrafiche) dando vita alle cosiddette „scritture nazionali” nella produzione documentaria.
La Penisola Italica presenta comunque una situazione difficile di per sé, in quanto due aree geografiche – l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale – mostravano tendenze fortemente diversificate.
L’arrivo dei longobardi nel 568 segnò l’inizio del „vero” Medioevo in Italia. Questo popolo infatti non aveva praticamente tradizione scritta, solo orale e quindi fino al 7. sec. il loro rapporto con la scrittura, a parte di qualche modesta manifestazione epigrafica, va giudicato abbastanza basso. Dopo, in seguito a notevoli cambiamenti nell’attitudine del „gruppo” longobardo (conversione al cattolicesimo ← Teodolinda, che era in rapporti epistolari con lo
stesso papa Gregorio Magno e stimola la loro conversione), il primo vero contatto dei longobardi con la scrittura latina fu la compilazione di una raccolta di leggi nel 643. Tutto sommato l’Italia del Nord fu nei sec. 7-9. una delle regioni dove il cosiddetto particolarismo grafico ebbe massima influenza: ai tradizionali centri di produzione libraria, come Verona e Lucca (città legate a vescovadi di grande prestigio), si affiancarono monasteri di recente fondazione: Bobbio (primo manoscritto longobardo nacque lì, in ambiente religioso) e Nonantola. In tutti questi centri si adoperavano infatti diversi tipi di scrittura: alcuni di tipo onciale, semionciale (di tradizione) con elementi corsivi e altri derivati dalle corsive locali, diventati più accurati e posati. Questi ultimi, in cui si possono trovare alcuni elementi comuni, vengono designati col termine pre-caroline italiane. Le caratteristiche comuni risultano:
Il massimo centro scrittorio fu senz’altro il Monastero di Bobbio, fondato dal monaco irlandese san Colombano nel 613 (cioè pochi anni dopo la prima distruzione del monastero- simbolo di Montecassino): lì, dal 7. fino al 9. sec., si creò una notevole biblioteca (700 codici tra cui molti palinsesti7 all’inizio) di testi religiosi, ma anche di quelli classici, in diversi tipi di scrittura: alcuni in insulare (scrittura importata dai seguaci di Colombano dalle Isole Britanniche), altri in onciale e semionciale, ma la maggior parte in una minuscola ricca di elementi corsivi, molto calligrafica con molti elementi prestati dall’insulare.
L’unico centro scrittorio che nei 8-9. sec. ha potuto dare vita ad una tipizzazione precisamente individuata della minuscola libraria a base corsiva è stata Nonantola, monastero benedettino fondato alla metà dell’8. sec. da Anselmo (ex-duca longobardo → monaco), vicino a Modena. Da lì provengono una ventina di manoscritti caratterizzati da una minuscola larga, tondeggiante, col tratteggio contrastato, ma privo di spezzature. Le lettere caratteristiche sono:
Rispetto alle altre regioni d’Europa, e alla stessa Penisola, l’Italia meridionale presenta un notevole vuoto di testimonianze fino all’8 sec.: (Esperienza di Cassiodoro, membro dell’aristocrazia romana colta. Come molti altri, di fronte all'avanzata bizantina, Cassiodoro nel 538 lasciò Italia per Costantinopoli. Dopo la guerra tornò in Italia, si ritirò dalla scena politica e sognò di aprire una biblioteca-scuola. Fondò il monastero di Vivario in Calabria, dove trascorse il resto dei suoi anni dedicandosi allo studio e alla scrittura. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la riproduzione di manoscritti, che fu il modello a cui
7 pergamena riutilizzata: vedi A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, op.cit., p.31.: „Si immergevano per una notte nel latte i fogli che si volevano riutilizzare, strofinandoli con una spugna, per toglierne via l’inchiostro, quindi li si ricopriva di farina per non farli seccare e li si spianava sotto un peso, infine li si raschiava e li si lisciava con pietra pomice, e li si riduceva, tagliandoli al nuovo formato (naturalmente più piccolo) che si voleva realizzare.”
successivamente si ispirarono i monasteri medievali. La sua idea, secondo cui il libro è un semplice strumento di lettura (testi sacri, ma anche profani), si rivelò però non adeguata al suo tempo. Di conseguenza la sua esperienza fallì, la sua biblioteca nel futuro si disperse, tanto che oggi non si ha nessun codice proveniente di là.) i più antichi documenti risalgono infatti ai primi decenni del 9. sec., provenienti in maggioranza da Montecassino (A Cassino, su un vecchio tempio romano, san Benedetto nel 529 fondò la sua struttura, il monastero di Montecassino, con cui propose un nuovo tipo di vita cristiana e di monachesimo: l’attività di copia era considerato un lavoro manuale, in cui si osservava un inesistente spazio per la lettura stessa). Questi codici possono essere attribuiti ad una determinata tipizzazione della minuscola libraria, ricca di elementi corsivi, con parole senza divisione, con aste alte e con un irregolare tratteggio ed allineamento, segni comunemente appartenenti alla fase iniziale di una scrittura giudicata quasi „nazionale” (dell’Italia del Sud), la cosiddetta beneventana. Il centro scrittorio situato nel monastero benedettino di Montecassino sarebbe stata la culla della nuova scrittura e in questo centro avrebbe poi trovato successivamente il suo sviluppo ulteriore e la sua canonizzazione nel corso dei sec. 9-11. Da qui la beneventana si diffuse in altri centri benedettini (in monasteri benedettini campani, pugliesi, sulla costa dalmata) per decadere infine nel 12-13. sec.
Per quanto riguarda la storia di questa regione vediamo che le vicende coincidono esattamente con la biografia della scrittura presentata: quando nel 8 sec. si compie il destino del Regno Longobardo del Nord ed il potere si restringe al Meridione (Ducato di Benevento), nasce una nuova sctrittura, la beneventana. In seguito alla prima distruzione del monastero di Montecassino da parte dei longobardi, e dopo un lungo periodo di silenzio, inizia (rinasce) con Paolo Diacono (figlio di una famiglia longobarda del Nord!) la storia della cultura scritta della regione: sotto la sua guida il monastero diventa „scuola” (raccolte grammaticali, Enciclopedia di Isidoro), allo stesso tempo avviene la formazione della beneventana. Col tempo si modifica il concetto stesso della cultura, la nuova classe dirigente si rivela consapevole della necessità di collegare politica e cultura (la cultura beneventana diventa quasi cultura nazionale longobarda ( ↔ cultura bizantina e cultura carolingia al Nord) per cui sarà anche necessaria la perfezione della beneventana, in quanto scrittura nazionale. Dopo la seconda distruzione del monastero questa volta da parte dei saraceni, nella seconda metà del
La scrittura ha il suo culmine nel corso del 11. sec., quando il monastero è guidato da grandi abati, come Teobaldo (1022-1035) (si riprende in modo ricco l’attività di copia, comincia il cumulo della biblioteca) e Desiderio (1058-1087, diventa papa (Vittore III)), che ha arricchito la biblioteca di codici famosissimi. Questa stilizzazione della beneventana caratterizzata dal manierismo calligrafico e dalle lettere di modulo grande si definirà beneventana cassinese.
Infine nel momento in cui in Italia meridionale arrivarono i Normanni, e allo stesso tempo arrivarono la scrittura carolingia e quella gotica che portavano con loro, cominciò il perido di decadenza della beneventana (vi si incontrano elementi desunti dalla tarda minuscola carolina). Nel corso del 13. sec., proprio quando i Cistercensi si sostituirono ai Benedettini in molti monasteri meridionali, la beneventana venne rimpiazzata definitivamente dalla minuscola gotica, adoperata sempre più largamente nella regione (e in Sicilia) dai Normanni, poi dalla corte sveva. Scoparì infine totalmente dall’uso anche nell’ultima isola di resistenza, cioè da Montecassino nel corso del 14. sec. Per quanto riguarda l’ultimo periodo di vita della beneventana, resta da dire che esso coincide con le prime testimonianze volgari nell’Italia meridionale, i cui codici provengono proprio da Montecassino. Fra il 12-13. sec. si può già osservare che nella maggioranza dei casi (famosa eccezione è testimoniata dal Ritmo Cassinese), quando nel medesimo codice si trovano sia testi latini che quelli volgari, essi sono rispettivamente scritti in beneventana e in minuscola tardo carolina o in gotica. Quando si scriveva in volgare, si passava infatti alla nuova grafia: il carattere sempre più artificioso ed il rispettivo isolamento della beneventana, in un periodo quando il cerchio degli scriventi a tutti i livelli e in volgare diventò sempre maggiore, l’uso di questa scrittura era definitivamente ostacolata.
Nel grembo della cosiddetta riforma carolingia si assistò alla nascita di una nuova scrittura destinata a fare una carriera (usata anche oggi in libri a stampa nei caratteri tipografici „romani”) da molto tempo impensabile.
Nella seconda metà dell’8. sec. il processo di frantumazione delle forme grafiche era ormai giunto al suo punto culminante, rispecchiando fedelmente il quadro europeo altomedievale, in cui si dividevano fra loro regioni, culture ed aree politiche. A questo momento alla scrittura latina sarebbe potuto avvenire, quello che avvenne alla lingua: le varietà del latino volgare continuavano la loro via verso la formazione di lingue distinte per la Francia, per la Spagna, per l’Italia e così via. Se la stessa cosa fosse succcesso alla grafia, questo fatto avrebbe avuto conseguenze imprevedibili sulla diffusione e la circolazione dei libri e cioè delle idee, del sapere e insomma della civiltà stessa. Ma era diversamente: la nascita e la progressiva diffusione di una nuova scrittura (una minuscola con forme rotonde e con un disegno semplice, equilibrato ed arioso, netta separazione delle lettere e anche delle parole → facilmente leggibile) molto simile alla minuscola primitiva romana dei 4-5. sec. ed alla semionciale del 6. sec., fermò la diversificazione, creando un’espressione grafica unitaria del mondo romano-cristiano dell’Impero carolingio. Il cardine della svolta, direttamente almeno di quella politica e culturale, fu senz’altro Carlo Magno, l’imperatore molto sensibile anche al mondo della cultura scritta (Alcuino, che incontra a Parma, diventa il suo consiliere spirituale personale) e che personalmente cercava a tutti gli sforzi ad imparare a scrivere
(secondo la leggenda si è fatto portare delle tavolette per abituare la sua mano all’attività di scrivere) senza però notevoli successi. Comunque dopo lunghi secoli di disinteresse quasi totale, questo sovrano avviò molte iniziative culturali (apertura di molte scuole → Admonitio Generalis indirizzato ai vescovi perché venissero organizzate delle scuole di lettura in ogni monastero per i monaci, canonici; ma anche fondazione di piccole scuole rurali). Parallelamente alla crescita dell’Impero poi (con la sua classe dirigente avente anche una cultura laica) aumentava anche il bisogno dell’attività di scrittura.
I primi esempi che annunciano già la nuova scrittura - la cosiddetta carolina - caratterizzata da un tracciato armonioso e regolare risalgono ai 8-9. sec. Dopo nel corso del 9. sec., la carolina - sempre più ricca di elementi corsivi - comincia a canonizzarsi:
La storia comunque non è così semplice: da una parte si svolge un lungo dibattito sul luogo e l’ambiente della nascita della nuova scrittura, dall’altra – come vedremo - non risulta tanto facile la definizione delle caratteristiche della carolina.
cioè più che nuova creazione si tratta di un ritorno all’antico, analogamente al rapporto in cui l’Impero cristiano carolingio sta con l’impero di Costantino e di Teodosio
Tutto sommato si delinea a questo punto della „storia della cultura” un complesso movimento di allargamento dell’istruzione a tutti i livelli, accompagnato da una crescente produzione libraria e uso sociale della scrittura, verificatosi nell’Europa carolingia fra 8-9 sec. Questo fenomeno è senz’altro collegato ad una determinata iniziativa ed esigenza di natura politica, amministrativa ed ideologica riconducibile al rinnovato ed unitario Impero carolingio e in parte allo stesso Carlo Magno e alla sua corte. Un effetto notevole dal punto di vista della storia della scrittura era che diventò d’un tratto importante una migliore organizzazione dei centri scrittori (carolingi) spesso diretti da maestri abili e colti e una più accurata preparazione grafica degli scribi a cui lo stesso Alcuino dedicò molta attenzione.
Definire le caratteristiche della carolina – come ci abbiamo già accennato – è abbastanza difficile. Quello che è sicuro è che si tratta di una scrittura armoniosa con disegno accurato e modulo regolare, con tratteggio non contrastato, di una scrittura insomma facilmente leggibile (parole separate, poche abbreviazioni).
- la Bibbia di Alcuino dell’inizio del 9. sec. (1) → capitale, onciale e minuscola carolina insieme: rispecchia il fenomeno di rinascita grafica per consapevole imitazione di tipi tardo-antichi della scrittura libraria (ogni tipo di scrittura assume un ruolo particolare: explicit in capitale, inizio in onciale, testo in carolina).
In ogni caso la carolina, che piano piano diventò scrittura comune, anzi universale (soppiantando le scritture locali: p.es la beneventana → si scrive nei centri scrittori della Francia (Lione, Reims, Corbie,...), della Germania (Salisburgo, Colonia,...), dell’Italia (Verona, Bobbio, Nonantola,...)), ebbe una vita lunga: dal 8. fino al 11. sec. in senso stretto. In ciascun centro scrittorio la carolina veniva usata secondo modelli formali vicini a quelli costituenti la norma ideale proveniente dai massimi centri scrittori carolingi.
Particolare interesse presenta la varietà della carolina usata a Roma (poi da qui si diffonde verso il centro della Penisola): i primi manoscritti, vergati nella cosiddetta minuscola romanesca, risalgono alla fine del 9. sec (3). Le caretteristiche principali di questa tipizzazione della carolina sono (4):
Con il 10. e 11. sec. la carolina, oltre all’uso librario si diffuse nella documentazione prima pubblica poi privata in tutte le regioni d’Europa. Le prime modifiche notevoli, proprio nel
momento in cui la carolina divenne linguaggio scrittorio comune in tutt’Europa, ricreando un’unità espressiva sul piano grafico, avvennero in area francese (comincia a comparire la nota tironiana per la congiunzione et, la e cedigliata, aumenta il chiaro-scuro, il numero delle abbreviazioni) trasformando questa scrittura attraverso una profonda modificazione stilistica in quell’altro tipo di minuscola libraria che si chiama gotica.
L’11. sec. appare essere da vari punti di vista un secolo decisivo per la storia italiana: in quel periodo apparvero le prime consistenti testimonianze in lingua volgare (testi autonomi, testualmente complessi e consapevolmente volgari), nacquero nuove figure di intellettuali e nuovi centri culturali laici (insegnamento di diritto a Bologna, di medicina a Salerno,...), il notariato si organizzò in forme più moderne e funzionali di documentazione, e si assistò infine ad una notevole crescita della produzione libraria e dell’alfabetismo fra i laici. Dal punto di vista grafico si configurarono ancora nettamente le tradizionali divisioni grafiche dell’Italia altomedievale (Sud ↔ Nord).
→ numerosi codici in alfabeto greco. Soltanto nel 12-13. sec. i cistercensi diedero vita ad una vivace produzione di manoscritti e documenti in lingua latina (e in scrittura gotica)
„nuova” di vecchia tradizione, e poi alla fine del 10. sec. la minuscola si affermò anche nell’uso documentario, nei grande centri di Nonantola e di Bobbio si affermò molto presto la carolina in campo librario (ne abbiamo diretta testimonianza in molti codici)
Con la seconda metà del secolo cominciò ad affermarsi una stilizzazione della minuscola carolina soprattutto nell’Europa Occidentale, riconducibile all’adozione di un nuovo strumento scrittorio, la penna d’animale con taglio obliquo (non più simmetrico). Questo strumento mutò infatti radicalmente il tratteggio, per cui ciascuna lettera risultava costituita da
una serie di brevi tratti giustapposti (le forme quindi prima di tutto perdevano il rotondeggiamento → lettere più angolose, le curve si spezzano), molto contrastati (grossi ↔ sottili) → tendenza delle curve a diminuirsi radicalmente di spessore (diventano quasi angoli acuti). Secondo L. Schiaparelli il nuovo stile grafico nacque in Gran Bretagna, dove il particolare strumento scrittorio era stato adoperato per prima negli scriptori insulari. Ma alla nascita di una nuova scrittura non bastò evidentemente l’apparizione di un fatto puramente tecnico: in questo periodo si assistò ugualmente ad un nuovo modo di leggere e di studiare, ad un nuovo tipo di produzione libraria insomma (dal 13. sec. in poi le biblioteche diventano molto più ricche rispetto a quelle di un secolo prima: non si trovano più solamente la Bibbia e le opere dei Padri della Chiesa, ma anche il Corpus iuris civilis, i primi documenti della scolastica, opere di storia, di poesia, di filosofia e di altre scienze, anzi opere della produzione epica francese, della lirica provenzale, ecc.). Diventò infatti di primaria importanza la facilità di lettura per cui era necessaria una più precisa separazione delle singole parole e il conseguente accostamento delle lettere tra loro. Un elemento notevole fu l’affermarsi del libro di tipo scolastico usato nelle grandi Università appena nate (libro si riapre: ritorna ad essere un mezzo di cultura, del sapere → grande bisogno di libri, anzi di copie di libri di testi da leggere e da commentare: metà 13. sec – metà 14. sec → età massima della gotica), le cui caratteristiche, oltre a quelle menzionate, erano la distribuzione del testo su due colonne e una più precisa individuazione delle singole parti di esso, un maggior numero di abbreviazioni, infine la scrittura messa sotto il primo rigo della rigatura, che offriva uno spazio marginale ben distinto destinato al commento. Tutti questi fattori rendevano chiaramente più rapida tanto la lettura, quanto la scrittura.
La denominazione della nuova scrittura deriva da un’intenzione dispregiativa (scrittura di barbari, come appunto i Goti): veniva prima (nel 15. sec.) designata con gotica l’insieme delle scritture altomedievali (la beneventana, la merovingica, ecc.) poi, nel 16. sec., il nome fu estesa a questa stilizzazione della minuscola carolina (chiamata allora „littera moderna”) il cui uso continuò fino ai nostri giorni.
Le caratteristiche generali della gotica sono:
Alla fine del 19.sec. W. Meyer – filologo - ha identificato inoltre tre regole che vengono massimamente rispettate negli esempi più rigorosi della gotica:
a forma di 2 (↔ r diritta)
o piuttosto
In Italia, dobbiamo dire, che nel corso del 12. sec. si era appena formata una carolina tarda, larga e rotonda, priva di spezzature, che influì molto anche sulle prime forme di gotica italiana, causando il mantenimento di un gusto caratterizzato dalle forme larghe e piuttosto tonde anche in questa tipizzaione della scrittura, che è in chiaro contrasto con le stilizzazioni d’Oltralpe (soltanto regioni come Piemonte, Lombardia e Veneto risentivano più profondamente delle influenze franco-tedesche anche in campo grafico).
Nella prima metà del 13. sec. nell’Italia centrale fu elaborata un tipo di gotica molto addolcito, che ebbe poi grande fortuna: la cosiddetta rotunda. Questa stilizzazione della gotica, nonostante che mantenesse le caratteristiche generali del suo „antenato”, è pittosto larga con lettere schiacciate e rotonde, è spaziosa, ma accostata, con poche spezzature ( ↔ gotica fr., ign. → spazio interlineare limitatissimo, estrema riduzione delle aste discendenti).
Il sistema abbreviativo del mondo romano classico e del Medioevo ha tratto la sua origine da quello delle sigle, cioè lettere isolate che rappresentano un’intera parola, molto di moda fin dai tempi romani, e dalle cosiddette note tironiane, una specie di stenografia (tecnica di scrittura manuale veloce che usa segni e abbreviazioni convenzionali della parola), che serviva nei tempi antichi principalmente per raccogliere i discorsi pronunciati in pubblico. In tutti e due i sistemi possiamo ricavare le tracce di quello nuovo, che nel Medioevo, dal X al XV sec., si diffuse tanto e si perfezionò specialmente in Italia. Tutte le abbreviature sia di vocaboli latini che di quelli italiani possono essere ragruppate in cinque categorie, cioè:
= no(n)
= huo(mo)
Parole contratte pure sono:
= gl(ori)a
= m(isericord)ia
Parole contratte miste sono:
= p(e)cc(at)ori
= p(ro)ph(et)i
Possiamo notare che più spesso è la parte indeclinabile della parola - quindi l’inizio - che viene contratta, mentre la desinenza - cioè la parte declinabile - viene conservata, al massimo viene limitata all’ultima lettera (ma questa tendenza aveva maggior rilievo nel caso
dell’abbreviazione di parole in cui la sola ultima lettera poteva rendere evidente la declinazione, per.es. sbe = substantiae, quindi nel caso delle parole latine).
= dice(n)do
= torm(en)ti
= t(em)po
Un altro segno diffuso è la lineetta ondulata, che si poneva al di sopra delle lettere per indicare la mancanza della lettera r o di una sillaba contenente una r, per.es.: re, ra, ri, ar.
= ph(ar)yseo
= p(ri)ma
= p(er)
= p(re)dichi
= q(ue)sto;
= obs(er)uino
= lib(er)ato
a posta sulla r, che significa una parola intera, regula. Inoltre se troviamo una o posta sulla q, con la desinenza ne, ci possiamo trovare di fronte alla parola questione. La n che si trova sulla q può indicare quando, e così via.
Dopo un lungo periodo nella storia della grafia latina privo di scritture corsive (10-12. sec. soprattutto, nell’11-12. sec. anche a livello documentario: la penna mozza si diffonde anche fra i notai ed i cancellieri → rende difficile l’esecuzione di legamenti fra le lettere, cioè l’andamento corsivo della grafia), quando i notai avevano scritto gli atti nella medesima scrittura che gli scribi adoperavano per i codici (gotica testuale), fra il 12-14. sec. si affermarono le condizioni e le esigenze (sviluppo mercantile ed artigianale, rinascenza intellettuale promossa dalle Università, l’affermarsi della produzione poetica e narrativa nei diversi volgari) per la formazione di una nuova scrittura corsiva, che si sviluppò dalla minuscola carolina, scrittura alla sua epoca internazionalmente europea. Prima a livello cancelleresco, poi a quello notarile (cioè di uso privato: conti, epistole, ecc.) si formò quindi un nuovo tipo di corsiva, la cosiddetta gotica corsiva, caratterizzata da un grande numero di legamenti tra le lettere, eseguiti per il basso, da prolungamenti, code, svolazzi aggiunti alle aste alte, dal chiaro-scuro poco accentuato ( ← diverso strumento scrittorio: penna tagliata centralmente, che produceva un tratteggio fluido e non contrastato).
In Italia nel corso del 13-14. sec. l’alfabetizzazione e l’uso sociale della scrittura era ormai assai diffusa nelle regioni centro-settentrionali (erano le regioni più colte ed anche quelle economicamente più fiorenti all’epoca: società comunali dirette dalla borghesia). A Firenze per esempio (la maggior documentazione storica si riferisce a questa città: p.es. il cronista Giovanni Villani) l’apprendimento della scrittura divenne comune, anche ai livelli più bassi della società grazie ad un sistema di istruzione elementare esteso, che coinvolgeva artigiani, bottegai ed anche donne.
Accanto alla scrittura libraria (gotica testuale) e allo stesso tempo scolastica che serviva rispettivamente alla trascrizione dei testi della letteratura nobile (Bibbie, testi liturgici, ecc.) e di quelli di lettura e di commento, l’età gotica in Italia conosceva anche altre tipologie (corsive) che si adoperavano in ambienti particolari: nelle cancellerie comunali, signorili (allora si trattava di scrittura professionale) e nel cerchio della borghesia laica alfabetizzata (codici contenenti testi piuttosto di consumo → testi destinati non ad un pubblico interessato alla forma, ma al contenuto, anche di uso privato → lettere, ecc.).
Le tipologie principali furono la minuscola cancelleresca (adoperata nelle cancellerie, da quella pontifica a quelle signorili, e delle Comuni → da qui la sua denominazione, ma va tenuto presente che fu anche scrittura d’uso, e di un certo tipo di produzione libraria) e la mercantesca.
Le caratteristiche della tipizzazione italiana della nuova corsiva – cioè della cancelleresca - (relativamente uniformi su tutto il territorio italiano), contrariamente alla textualis (gotica libraria) sono (anche dovute alla penna a taglio centrale):
Le lettere caratteristiche sono tra l’altro:
(d è elemento di datazione: occhiello aperto → più antica)
-
La minuscola cancelleresca conobbe la sua massima espansione nel corso del 14. sec: non solo fu scrittura della documentazione privata e pubblica (1), scrittura usuale di notai, giuristi, politici, ecclesiastici e letterati (di Coluccio Salutati, di Francesco Petrarca (lettere, sonetti a prima battuta), di Giovanni Boccaccio, ecc.), ma piano piano divenne anche scrittura libraria, per eccellenza dei testi in volgare (le città toscane diventarono in quest’epoca fortemente alfabetizzate, dove la classe borghese desiderava leggere testi anche per loro leggibili e comprensibili), cioè volgarizzamenti, raccolte di prediche, ricettari, cronache cittadine, componimenti poetici, e non ultimamente i più antichi testi letterari dell’Italia. Nell’uso librario la minuscola cancelleresca diventò più elegante, armoniosa ed accurata (tratteggio sottile, con moderata presenza di svolazzi).
→ splendidi esempi sono i due codici danteschi firmati da una notaio fiorentino della prima metà del 14. sec.: Francesco di ser Nardo da Barberino (minuscola cancelleresca
bellissima: stile armonioso, curato) (2) → trasferisce la sua scrittura personale (usuale, come notaio) a copiare testi letterari (leggenda dei 100 Dante: Francesco avrebbe organizzato una bottega, dove insegnava la sua scrittura → gruppo di ms. danteschi con caratteristiche simili nella grafia, nell’iconografia, nella sistemazione del testo in due colonne)
In totale ci sono pervenuti più di 40 manoscritti di Dante (3) scritti in minuscola cancelleresca, provenienti non soltanto dalla Toscana (i due più famosi: quello più antico il Landiano 190 della Bibl. Comunale di Piacenza del 1336, scritto probabilmente a Genova e il Vat. Lat. 3199, scritto probabilmente a Firenze e donato da Boccaccio (lettore ed editore di Dante al Comune di Firenze) a Petrarca → non ha messo alcun segno in quel manoscritto → vuol dire che non aveva contatto frequente con esso: non amava tanto Dante, in quanto non stimava molto la letteratura in volgare).
L’alta tipizzazione della nuova corsiva nacque proprio in ambiente professionale, più esattamente in quello mercantile (l’ambiente di punta di quell’epoca, che sta acquistando sempre più potere nei maggiori centri urbani dell’Italia centro-settentrionale), è porta il nome appunto mercantesca. Come nel caso della minuscola cancelleresca, si tratta di una scrittura a primo tempo legata alla professione dei mercanti avente una crescente necessità di una documentazione scritta (usata quindi prima nelle botteghe mercantili per l’amministrazione e la documentazione: tenuta di conti, libri di entrate e di uscite, inventari), ma dopo utilizzata anche per la trascrizione di libri contenenti opere letterari (i mercanti infatti volevano leggere le opere in volgare nella loro scrittura: pe.es la Commedia e il Decamerone, „l’epopea mercantile”).
→ questa professione esigeva una serie di cononscenze tecniche precise (convertire valori di monete diversi, calcolare i danni, interessi,...), oltre alla capacità di scrivere → si fondavano per questo scuole particolari (di carattere tecnico-professionale), che costituivano un livello di studio separato da quello elementare e anche da quello universitario: fornivano loro una cultura tecnica e specializzata in volgare: veniva insegnata anche una scrittura particolare e separata: la mercantesca
Nonostante che le prime testimonianze risalgano al 13. sec., la mercantesca si tipizza relativamente tardi, soltanto due secoli dopo (una scrittura di lunga vita con tantissime testimonianze), non raggiungendo però mai un canone vero e proprio (non è una scrittura universale, non avendo diffusione fuori le confini d’Italia → scrittura soprattutto fiorentina). Si formò quindi lentamente sulla base di un tipo semplificato della scrittura di scuola (una carolina attardata). Si tratta di una scrittura caratterizzata dalle lettere di modulo piccolo ( ← schiacciamento del corpo delle lettere) con aste piccole (suggerisce una sorta di segretezza) e di forma rotondeggiante, e da un tratteggio abbastanza uniforme, privo di chiaroscuro. Si usa un grande numero di abbreviazioni e si seguono molte legature eseguite per il basso: queste caratteristiche rafforzano l’aspetto corsivo di questa scrittura (lo scopo è quello di risparmiare tempo e soldi → il tipo di codice in cui appare è abbastanza povero, sempre su materiale cartaceo, non miniato). Le lettere particolari sono:
Dal 15. sec. la mercantesca acquistò un tratteggio più decisamente corsivo, con sempre più legamenti, coinvolgenti a volte più lettere fra loro, tendò inoltre a divenire ancora più piccolo di modulo e disordinato soprattutto nell’uso privato e commerciale.
Come la minuscola cancelleresca, la mercantesca fu anche adoperata in campo librario per la copia di testi volgari (opere di natura tecnica, opere devozionali e volgarizzamenti (anche) della Bibbia, la Commedia (1), il Decamerone (2), ecc.), in codici per lo più poveri, di aspetto trascurato e quasi sempre cartcei. In questo caso comunque la grafia sembra più calligrafica e curata. Caratteristiche, come la mancanza di una vera e propria punteggiatura o la natura elementare delle abbreviazioni (~ per troncamento il più spesso → a volte provoca ecquivoco), qualificano la mercantesca una scrittura „povera”, di livello basso in una ideale gerarchia grafica dell’epoca. Il fatto che la mercantesca si usò fino a lungo, circa fino alla prima metà del 16. sec. è dovuto a fattori piuttosto negativi, cioè alla sua marginalità e il suo conservatorismo provenienti dell’isolamento di questa scrittura in un ambito rigidamente corporativo e professionale.
Nel corso del 14. sec. il numero degli alfabetizzati e il ruolo sociale della scrittura aumentò notevolmente. Allo stesso tempo si rivelò che una scrittura raffinata e difficile da leggere, come la gotica, non poteva accontentare le nuove esigenze provenienti dai diversi strati della società. Perciò, come abbiamo già visto in precedenza, nello schema grafico italiano del
Trecento - mentre in altri paesi come la Francia, la Germania, la Spagna e l'Inghilterra si utilizzava una libraria gotica molto acuta - apparivano tendenze anche anti-gothicheggianti, in massima di linea legate ai modelli e forme della tradizione carolina (minuscola cancelleresca libraria, mercantesca libraria).
Man mano la gotica libraria diventò quindi più manierista, e perciò non fu apprezzata da parte di un gruppo consistente di dotti ed intellettuali (grammatici, notai, ecclesiastici minori, amministratori comunali), in cui si risvegliò un particolare interesse verso il mondo classico (↔ cultura universalistica del canone universitario) con le sue testimonianze dirette ed indirette (dalle iscrizioni ai manoscritti → se ne imitavano la lingua, lo stile, i generi letterali). Questi intellettuali appassionati dell’antichità, anche nel campo della grafia, si entusiasmavano quindi per i modelli ideali antichi. Ma siccome non conoscevano direttamente i tipi grafici latini dell’età classica (gli antichi manoscritti del mondo classico erano stati ricopiati all'epoca di Carlo Magno in carolina), consideravano come modello, quello più antico da loro conosciuto, la „bella” minuscola rotondeggiante dell’epoca carolina. Dobbiamo dire, che allora non si usava più la scrittura della Roma classica, sebbene sia senza dubbio che le lettere della carolina si ispirassero dalle forme antiche.
I rappresentanti (tra cui alcuni sono ben noti: Lovato Lovati, Landolfo Colonna, Francesco Petrarca) di questo movimento definito „preumanesimo”, erano concentrati per lo più in Toscana, in Veneto e presso la corte avignonese. I primi tentativi consapevoli di imitazione della carolina del 10-11. sec. risalgono appunto ai personaggi menzionati: al Lovati a Padova ed a Colonna ad Avignone. Questo ritorno allo studio dei classici greci e latini fu quindi una delle cause dell'apparizione di un nuovo tipo di scrittura, che nacque entro la cerchia degli intellettuali anticheggianti fiorentini (insieme a quelli di Ferrara), i quali denominavano
„lettera antica” quella appartenente al rinascimento carolino, mentre chiamavano „lettera moderna” quella che noi diciamo gotica.
In Italia, quindi, non soltanto si ebbe una gotica rotunda nient’affatto spezzata e angolosa, ma anche un precoce fenomeno di reazione alla gotica, costituito dalla semigotica (il termine si deve a Giorgio Cencetti → „si forma e si diffonde così in Italia settentrionale una scrittura gotica semplificata”). La nuova scrittura libraria creata dallo stesso Petrarca si basa quindi sull’imitazione della minuscola carolina, favorita dall’ammirazione per la carolina di antichi codici, raggiungendo alti livelli di eleganza (filetti ornamentali, forcellature) e di armonia (assenza di ogni rigidezza, chiara spaziatura dei segni), soprattutto dopo il contatto del Petrarca con l’ambiente avignonese (L. Colonna). Il nuovo modello appare nel suo complesso
ancora assai vicina alla gotica italiana, la rotunda, a cui il Petrarca, pur testimoniando un ostinato sforzo di rinnovamento, rimase sempre legato.
La novità di Petrarca non rimase un fatto personale ed isolato nel panorama grafico italiano del 14. sec. La nuova scrittura libraria veniva trasmessa in Italia attraverso l’imitazione fatta dai discepoli più entusiasti, fra cui G. Boccaccio (2) (mentre la sua scrittura usuale furono la minuscola cancelleresca e la mercantesca, la sua libraria era una semigotica di tipo petrarchesco, cioè una cosciente imitazione provocata dall’ammirazione per la scrittura del Petrarca, comunque molto meno elegante di quello del maestro) e Coluccio Salutati (grande personaggio del primo Umanesimo, cancelliere della repubblica fiorentina dal 1375 fino alla morte). Nella sua attività di notaio e poi di cancelliere Salutati usava la tradizionale minuscola cancelleresca, ma allo stesso tempo elaborò, sviluppando la semigotica in un suo tipo personale, la cosiddetta pre-antiqua (3), in quanto evidente anticipatore dell’imminente rinascita della carolina sotto la mano degli umanisti („antiqua” nella definizione degli umanisti). Salutati copiò alcuni codici con questa scrittura (che è presente anche in registri della cancelleria fiorentina grazie a Salutati) caratterizzata dall’ariosità, dal tratteggio sottile ed uniforme, dal tracciato di tipo carolino (cioè di un gusto antiquario) di molte lettere (a, b, l, m, n, r, s). Questa nuova minuscola nata grazie al raffinato gusto estetico di Salutati non riuscì comunque ad imporsi e venne presto sorpassata dalla meccanica imitazione della carolina adoperata da Poggio Bracciolini e dai suoi seguaci.
L’influenza della minuscola carolina divenne man mano maggiore nelle scritture librarie nel corso del 14. sec., tenendo conto del fatto che ancora nel caso di Salutati, che inseriva degli elementi grafici propri della carolina nella sua libraria, non si arrivò alla pura e meccanica imitazione della carolina, scrittura praticamente in disuso da secoli. Questo avvenne soltanto dopo Petrarca e Salutati intorno all’anno 1400, prima di tutti con il mercante ed umanista Niccolò Niccoli e con il giovane Poggio Bracciolini, che sarebbe diventato uno dei maggiori scopritori di classici nel grembo del cosiddetto Umanesimo. La nuova scrittura libraria eseguita da loro, chiamata non per caso minuscola umanistica, non è quindi altro che una puntuale imitazione (anche per quanto riguarda l’uso di determinate abbreviazioni) della carolina dell’11-12. sec., accompagnata di natura da una generale artificiosità di realizzazione (gli scribi umanisti riuscivano a seguire così fedelmente i loro modelli, che ogni tanto è difficile distinguere il codice umanista di scrittura curata dal manoscritto proveniente realmente dell’epoca carolina. I criteri di datazione sono delle novità umanistiche, come la i con puntino, la t allungata, e la u angolosa (v) soprattutto all’inizio di parola.
Nel periodo succesivo il Bracciolini (si vede la sua scrittura di sotto) arrivò alla canonizzazione di una minuscola, che pur seguendo fedelmente l’imitazione dei modelli carolini, riuscì ad acquistare uno stile grafico proprio (tratteggio caratterizzato dall’armonia, fluidità e dalla proporzione nel disegno, con aste leggermente marcate e sinuose e con forme tondeggianti).
L’influenza dei modelli antichi si risente ancor più nelle sue maiuscole: egli creò infatti un nuovo alfabeto maiuscolo, completamente diverso da quello gotico, con forme esemplate sul modello della capitale epigrafica e manoscritta, naturalmente con libero adattamento.
La minuscola umanistica era una tipica scrittura d’élite: non soltanto perché era l’espressione dei personaggi dotati di una cultura dotta, basata sull’istruzione di tipo superiore e sulla perfetta conoscenza del latino classico (riscoperta dei classici latini), ma anche perché il codice in cui si usava era quasi sempre di lusso, elegante e costoso, curato nei minimi dettagli. La minuscola umanistica inoltre non si insegnava nelle scuole, ma si riproduceva per imitazione diretta dei modelli antichi in carolina e al massimo per l’imitazione dei modelli contemporanei dei maestri noti ed autorevoli. Allo stesso tempo però la sua diffusione geografica nella penisola Italica (ma solo in Italia: fu un tipo italiano di scrittura ) risultò notevole (tuttavia i libri liturgici continuarono ad essere scritti in gotica, e rimaneva in uso la cancelleresca italiana). La scrittura della „scuola fiorentina” infatti si diffuse parallelamente alla diffusione della nuova cultura dotta con i suoi testi di classici latini riscoperti, tra grammatici e letterati che operavano con funzione di segretario, cancelliere o bibliotecario in quasi tutte le corti dei signori e dei principi italiani.
A questa scrittura dotta poi doveva lentamente affiancarsi una corsiva che poteva essere adoperata nell’uso privato, e in quello documentario e pubblico della scrittura, usi ormai largamente presenti presso gli strati sociali che componevano i comuni italiani dell’epoca, cioè all’inizio del 15. sec. Attraverso una corsiva derivata direttamente dalla minuscola cancelleresca del secolo precedente (anche se più chiara, semplice, ariosa), si arrivò nella prima metà del 15. sec. alla formazione di una corsiva ricca di forme desunte dalla minuscola umanistica posata, che si può legittimamente definire umanistica corsiva ( → con un ductus corsivo, con inclinazione a destra e con aste lunghe).
Sul periodo umanistico della storia della grafia latina si può affermare infine, che esso riuscì a continuare notevolmente le iniziative modernistiche della gotica, diventando in questo modo punto di partenza di tutto lo sviluppo moderno della scrittura occidentale che dura addirittura fino ad oggi. Tra le iniziative e i risultati riconducibili all’epoca possiamo sottolineare la creazione e la diffusione di forme semplici facilmente eseguibili e chiaramente leggibili e la diminuzione dell’uso delle abbreviazioni, al punto che non mettano più in pericolo la lettura e la comprensione rapida e univoca del testo. Una novità dipendente dai fattori precedenti è la laicizzazione notevole dell’uso stesso della scrittura e l’ulteriore estensione del cerchio degli utenti della scrittura. Il fatto che l’aumento veloce della quantità non menò con sé il peggioramento di qualità della scrittura è forse spiegabile con le esigenze estetiche e scientifiche intensificate nell’ambiente dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Fonte: http://leviedeicanti.altervista.org/wp-content/uploads/2015/05/paleo-alma-teljes.pdf
Sito web da visitare: http://leviedeicanti.altervista.org/
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve