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Origini e sviluppo del calcolo infinitesimale.
L’analisi matematica, a mio avviso, può risultare un argomento particolarmente delicato per gli studenti di licei scientifici perché c’è una notevole distanza tra gli aspetti teorici che vengono mostrati nella presentazione moderna della materia - caratterizzata da enunciati logicamente molto articolati e complessi per via dell’uso di quantificatori annidati – e le idee intuitive che questi cercano di codificare. Per questo ritengo importante che un insegnante prima di giungere alle nozioni più rigorose e alle relative dimostrazioni introduca le intuizioni che ne sono alla base. Un buon modo di fornire queste idee può essere quello di articolare una lezione introduttiva di carattere storico-filosofico come quella che mi accingo a delineare in questa tesina. Descriverò questo tipo di lezione riportando i contenuti che penso che dovrebbero essere inseriti nella lezione senza preoccuparmi di esprimerli nella forma con cui saranno presentati alla classe.
La lezione inizia con Archimede. Archimede riteneva che i l’insieme dei numeri godesse di una proprietà oggi nota come “proprietà archimedea”: dati due qualsiasi numeri positivi a e b è sempre possibile superare b partendo da zero e sommando ripetutamente a per un adeguato numero di volte. Vista sotto un’ altra prospettiva questa proprietà afferma che non esistono numeri “infinitamente piccoli”: un numero può essere un centesimo dell’unità, un centomiliardesimo, ma non un “infinitesimo”. Possiamo pensare ad un “infinitesimo” come ad un numero che per quante volte lo sommiamo con sé stesso non riusciamo mai a raggiungere un numero finito, cioè un infinitesimo è un numero che non rispetta la proprietà archimedea. Archimede negava che questo potesse accadere. Tuttavia Archimede scrisse un libro, il “Palinsesto”, in cercò calcolare aree di superfici curve e posizioni di centri di massa immaginando di suddividere le figure in strati “infinitesimi”, senza pretendere però che gli argomenti presentati dovessero valere come dimostrazioni vere e proprie.
L’opera di Archimede sugli infinitesimi non era nota ai matematici rinascimentali, ciò nonostante alcuni di essi tra cui Galileo riscoprirono autonomamente quel tipo di idee in connessione con i problemi che venivano posti dall’analisi dei fenomeni fisici: nello studio del moto Galileo doveva confrontarsi con le idee di velocità istantanea o accelerazione istantanea che sembravano implicare il fatto di dover prendere in considerazioni intervalli infinitesimi di tempo. Nello stesso periodo Cavalieri aveva elaborato una tecnica per calcolare aree e volumi di figure curve piane e solide con una tecnica basata sull’idea di tagliare la figura in strati infinitesimi. Qui può essere utile mostrare alla classe un esempio interessante di come con la tecnica di Cavalieri si può arrivare a calcolare il volume del cono a partire da quello di una piramide e successivamente il volume di una sfera a partire da quello del cono: la dimostrazione sfrutta l’idea (indimostrata ma intuitivamente plausibile) che se le sezioni infinitesime delle due figure hanno la stessa area a tutti i livelli allora le due figure hanno lo stesso volume. Gli infinitesimi non si dimostravano utili soltanto nel calcolo delle aree ma anche nel problema geometrico relativo alla determinazione delle tangenti ad una curva di cui si conosce l’equazione cartesiana. Newton e Leibniz giunsero indipendentemente a trattare questo problema sfruttando gli infinitesimi. Il metodo consisteva nel prendere in considerazione il “triangolo caratteristico” della funzione f(x) che descrive la curva: si fissa il punto di tangenza x e si considera il triangolo avente per cateti l’infinitesimo dx e lo scostamento f(x+dx)-f(x) dal valore in x. Newton sosteneva che l’inclinazione della tangente coincide con l’inclinazione dell’ipotenusa il cui coefficiente angolare è dato dal rapporto tra i cateti, e che tale rapporto non va considerato né quando è uguale a zero (perché altrimenti la divisione non avrebbe senso) né quando è diverso da zero (perché altrimenti il risultato ottenuto sarebbe solo approssimativo) ma nel momento stesso in cui si annulla. Si può mostrare agli studenti come mediante un calcolo algebrico si può arrivare a trovare il coefficiente angolare della tangente ad una parabola calcolando il rapporto incrementale tra due punti infinitamente vicini e poi “trascurando” il termine infinitesimo.
I metodi usati e i risultati prodotti dai matematici che si accingevano a sfruttare questi nuovi metodi di calcolo non erano ben visti da tutti i matematici, scienziati e filosofi del tempo. Non era noto nessun esempio di tecniche matematiche di questo tipo presso i greci, che venivano considerati come un modello ideale di rigore e perfezione, e si temeva che una matematica che proseguisse per questa strada controversa facendo un uso così disinvolto dell’ ”infinito” potesse portare a dei paradossi come quelli evidenziati da Zenone (il riferimento a Zenone può essere evitato se gli studenti non ne sono a conoscenza). Guldino argomentava contro Cavalieri che una superficie non è la somma delle sue rette né un volume è unione di superfici giacché aggiungendo un qualsiasi numero di superfici non si arriva mai a formare un volume. Guldino insiste sulla distinzione tra infinito in atto e in potenza: il continuo di una retta non è formato dai suoi infiniti punti “in atto” ma solo “in potenza”. Potenzialmente aggiungendo punti possiamo arrivare a costituire una retta ma di fatto ciò non avviene. Il vescovo Berkeley scrisse un trattato in cui metteva in discussione il valore di tutti i risultati ottenuti da Newton sostenendo l’esistenza di una palese contraddizione nel trattare delle quantità numeriche ora come nulle (trascurandole) ora come finite (dividendo per esse).
Nonostante le critiche spesso molto fondate e la fumosità di molti concetti ed argomenti che venivano usati dai nuovi matematici “antiarchimedei” degli infinitesimi c’era un fatto sorprendente: che i risultati ottenuti erano corretti (si può far notare agli studenti a titolo di esempio che la formula per la tangente ad una parabola vista prima è corretta e con lo stesso criterio si possono ottenere tangenti ad una qualsiasi curva, così come sono corretti i risultati ottenuti da Cavalieri circa le aree e i volumi come quello visto prima). Come era possibile? Berkeley aveva tentato di spiegare questa stranezza ritenendo che negli argomenti di Newton venivano compiuti errori che si compensavano. Ma se questa compensazione era così “sistematica” evidentemente sotto sotto doveva esserci qualcosa che funzionava. Fu così che i matematici che seguirono continuarono a lavorare con queste tecniche di calcolo che prese il nome di “calcolo infinitesimale” senza preoccuparsi troppo dell’alone di mistero che le circondava e pervennero a risultati sempre nuovi e più importanti nell’ambito della geometria e dell’algebra.
Ci furono diversi tentativi di liberare il calcolo infinitesimale dal ricorso ad intuizioni fumose e misteriose sugli infinitesimi e la svolta ci fu nell’800: Cauchy capì che tutti gli argomenti sugli infinitesimi potevano essere ricondotti al concetto di “limite” senza bisogno di chiamare in causa queste entità misteriose e controverse. Agli studenti può essere presentato il concetto di limite in termini di epsilon e delta o comunque richiamato se lo hanno già affrontato durante la lezione. La riformulazione di Cauchy tuttavia aveva un suo prezzo: molte affermazioni che in termini di infinitesimi potevano essere espressi in modo più o meno immediato ed intuitivo (si può ricordare la tecnica di Cavalieri sui volumi o al metodo per il calcolo delle tangenti) quando dovevano essere tradotte dei termini della nozione di “limite” aumentavano notevolmente nella complessità del linguaggio (basta guardare la definizione stessa di limite).
Infine se c’è ancora tempo si può accennare al recupero del concetto di “infinitesimo” che si è avuto nella matematica contemporanea ad opera di Robinson, ideatore dell’Analisi Non-Standard: Robinson introduce una serie di assiomi e di regole algebriche che governano i numeri infinitesimi e il loro rapporto con i numeri finiti (non è il caso di mostrare la faccenda nei dettagli) e dimostra che ogni teorema dimostrato sfruttando gli infinitesimi ammette anche una dimostrazione senza infinitesimi, cioè nell’analisi classica di Cauchy.
E’ importante che in questa lezione che gli studenti si rendano conto di come l’intuizione e la formalizzazione nella matematica possono essere spesso molto distanti, e che dietro alle formulazioni formali e rigorose che trovano nei teoremi che studiano in analisi si celano dei significati intuitivi che se vengono individuati e compresi possono giovare notevolmente alla comprensione della materia.
Fonte: http://editthis.info/images/ssisvii/e/e5/Tesina_storiadellamatematica_Discendenti.doc
Sito web da visitare: http://editthis.info/
Autore del testo: Discendenti
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