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L’infinito è forse, comunque lo si consideri, uno dei misteri, se non il più grande mistero dell’esistenza, una sfida per la razionalità dell’uomo, e da sempre la volontà di definirlo, analizzarlo e maneggiarlo è stata il sogno, forse proibito ma necessario, di ogni buon matematico.
L’infinito appare subito nella storia della Matematica con il più elementare dei processi: il contare. Comunque si scelga un numero naturale è sempre possibile esibire un numero più grande di esso. D’altra parte, suddividendo ripetutamente un segmento si giunge al concetto inverso di infinitesimo. Infiniti ed infinitesimi percorrono tutta la vicenda matematica, da Pitagora ai giorni nostri, ed appaiono in due forme, potenziale ed attuale, suggerite rispettivamente dalla Aritmetica e dalla Geometria.
Per Pitagora (VI secolo a.C.): I segmenti sono costituiti da un numero finito di punti, entità ultime e indivisibili (infinitesimi attuali), per cui due segmenti qualsiansi sono commensurabili in quanto hanno un sottomultiplo comune. Questa concezione crollò con la scoperta della incommensurabilità del lato e della diagonale del quadrato.
Per Anassagora (500 a.C.): La materia è infinitamente estesa ed infinitamente divisibile; “rispetto al piccolo non vi è un ultimo grado di piccolezza ma vi è sempre un più piccolo ...., così vi è sempre qualcosa di più grande di ciò che è grande....”. Insomma, solo infinitesimi ed infiniti potenziali.
Per Zenone (470 a.C.): Se le grandezze geometriche sono costituite da unità elementari indivisibili (monadi), due ipotesi si possono fare:
1) Tali monadi hanno grandezza zero ed allora ogni grandezza geometrica, essendo costituita da elementi nulli, sarebbe nulla.
2) Tali monadi hanno grandezza diversa da zero, e allora l’ente geometrico costituito da infinite parti aventi ciascuna grandezza data, risulterebbe avere grandezza infinita.
Per Aristotele (IV secolo a.C.): Vi sono infiniti e infinitesimi potenziali.
Infiniti ed infinitesimi, sia potenziali sia attuali, compaiono nel calcolo delle aree con Archimede e successivamente nello sviluppo del Calcolo Infinitesimale, che Cauchy fondò sul concetto di limite, basato su infiniti ed infinitesimi potenziali. La versione attuale viene usata da Leibniz e tornerà, in tempi recenti, rigorosamente definita con l’Analisi non standard.
Ci sono due modi di introdurre le nozioni di finito e di infinito in matematica, nell’ambito della teoria degli insiemi:
1. Un insieme X si dice finito se esiste un numero n ÎN n ¹0 tale che X sia equipotente, cioè bigettivo, all’insieme {1,2,.....n}. Un insieme X si dice infinito se non è finito. Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali N è infinito.
2. Un insieme X si dice D-infinito o infinito secondo Dedekind se contiene un sottoinsieme proprio Y, cioè Y¹X, che sia equipotente a X. Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali N è infinito secondo Dedekind perché è equipotente al suo sottoinsieme proprio P costituito dai numeri pari. Anche gli insiemi Z dei numeri interi e Q dei numeri razionali sono D-infiniti perchè contengono propriamente N stesso, cui sono equipotenti.
Un insieme si dice D-finito o finito secondo Dedekind se non è D-infinito.
Evidentemente si ha: X finito implica X finito secondo Dedekind,
e, di conseguenza: X infinito secondo Dedekind implica X infinito.
Le due definizioni di finito e di infinito non sono equivalenti, cioè le due implicazioni precedenti non si invertono, se non si accetta l’assioma della scelta AS.
In altri termini, nella teoria assiomatica degli insiemi, ottenuta da ZF (o da NBG) aggiungendo come nuovo assioma AS, si ha:
infinito secondo Dedekind Û infinito
finito secondo Dedekind Û finito.
È facile convincersi che esistono diversi finiti. Se X e Y sono due insiemi, costituiti il primo da due oggetti ed il secondo da tre oggetti, è ovvio che essi sono finiti in modo diverso; se invece X e Y sono due insiemi costituiti entrambi da tre oggetti, allora sono finiti nello stesso modo. Dunque i numeri naturali forniscono una gerarchia del finito ed in questa veste sono chiamati numeri cardinali finiti.
Più delicata è la questione dell’infinito. Intanto bisogna in qualche modo legittimare l’esistenza di insiemi infiniti. Nella teoria ingenua di Cantor il problema non si pone, poiché ogni proprietà definisce un insieme e quindi i numeri naturali costituiscono un insieme N, evidentemente infinito. Ma questa teoria non è coerente, dal momento che dà luogo ai paradossi. Nella teoria assiomatica ZF occorre, allora, assumere come assioma l’esistenza di un insieme infinito. Risolta così la questione della esistenza, ci si pone la domanda: quanti infiniti esistono?
Poiché N è infinito e poiché per gli insiemi Z, Q, R dei numeri interi, razionali e reali, si ha N Ì Z Ì Q Ì R, anche tali insiemi sono infiniti. Tuttavia, mentre N, Z, Q sono tutti equipotenti tra loro, essi non lo sono con R. Dunque l’infinito di N (numerabile) è diverso ed in qualche senso più piccolo dell’infinito di R (continuo). Di qui la nascita dei numeri cardinali transfiniti, gli Àa o numeri aleph di Cantor, che forniscono una gerarchia dell’infinito.
C’è però una differenza operazionale fondamentale tra finiti ed infiniti: mentre i finiti sono raggiungibili uno dall’altro per addizioni e sottrazioni finite, ciò non accade per i transfiniti, come curiosamente descritto da Hilbert con l’Hotel Hibert; si ha infatti:
n + Àa = Àa , per ogni n Î N ; Àa + Àa = Àa ; Àa + Àb = À b
dove a e b sono numeri ordinali tali che a < b.
Osserviamo infine che un cardinale transfinito è un infinito attuale, essendo più grande di ogni numero naturale, tuttavia la successione transfinita dei numeri aleph è un infinito potenziale.
L’infinito secondo Galileo
L’infinito secondo Cantor
L’infinito secondo Hilbert
L’infinito per gli intuizionisti
L’infinito per i nominalisti
Fonte: http://www.dm.uniba.it/ipertesto/logici/finito.doc
Sito web da visitare: http://www.dm.uniba.it
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