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Gli Elementi di Euclide
Questo trattato, in tredici libri, abbraccia vari argomenti della matematica pura. Esso, tra l’altro, contiene la prima sistemazione assiomatica che sia mai stata data ad una branca della matematica, che, in questo caso, è la geometria.
L’opera fu composta ad Alessandria, intorno al 300 a.C.. Lo straordinario merito del suo autore è messo in luce da due fatti di capitale importanza. In primo luogo va ricordato che i primi tentativi degni di nota di dare un’analoga sistemazione all’aritmetica furono compiuti solo alla fine dell’Ottocento. In secondo luogo si tenga presente che gli Elementi di Euclide furono la principale opera di riferimento per la geometria fino all’Ottocento. In essa troviamo una trattazione onnicomprensiva, che contempla simultaneamente quelle che oggi chiamiamo geometria affine, geometria metrica e geometria conforme.
Euclide rivolge la sua attenzione agli enti geometrici come oggetti che possono essere costruiti, con riga e compasso. La questione del disegno pare sia centrale nella geometria greca: i famosi tre problemi di duplicazione del cubo, quadratura del cerchio e trisezione dell’angolo riguardano, appunto, la possibilità di tracciare figure che possiedano esattamente certe misure assegnate.
L’opera di Euclide unisce l’interesse per l’applicazione pratica al rigore del ragionamento matematico astratto: essa comprende infatti sia proposizioni (enunciati dimostrabili) sia risoluzioni di problemi.
Tutte le citazioni si riferiscono alla traduzione di Frajese e Maccioni del testo ricostruito da Heiberg.
Il Libro I si apre con l’introduzione dei fondamenti della geometria euclidea:
La rimanente parte del Libro I è un elenco di proposizioni, ciascuna accompagnata dalla sua dimostrazione.
L’imbarazzo provato da Euclide di fronte al problema, irrisolto, del quinto postulato emerge chiaramente dal fatto che egli ne rinvia l’uso all’ultima parte del Libro I, utilizzandolo per la prima volta per provare la proposizione 29.
è da notare che Euclide utilizza il termine “proposizione” non soltanto nella moderna accezione di “teorema”. La Proposizione 1, ad esempio, così recita:
“Su una retta terminata data costruire un triangolo equilatero”,
e, analogamente, la Proposizione 46:
“Descrivere un quadrato su una retta data.”
Per Euclide “retta” o “retta terminata” significa “segmento”. In questi due esempi, il testo si presenta dunque come l’enunciato di un problema di costruzione. La “dimostrazione” è, in questo caso, la descrizione del procedimento risolutivo. In realtà, anche quando Euclide dimostra una proposizione che si presenta sotto forma di un asserto vero e proprio, egli effettua una costruzione: aggiungendo, agli oggetti dati in partenza, opportuni punti e linee, egli realizza un disegno a cui può efficacemente applicare i postulati o le proposizioni stabilite in precedenza.
La costruzione è, per Euclide, unicamente quella effettuabile col solo ausilio di una riga (non graduata) e/o di un compasso. Non a caso questi sono spesso chiamati strumenti euclidei.
Le proposizioni del Libro I riguardano le prime proprietà e le costruzioni elementari relative a rette perpendicolari e parallele, ad angoli fra rette, a lati ed angoli di triangoli e parallelogrammi.
Vi sono contenute tutte le costruzioni fondamentali, vale a dire:
Più avanti Euclide mostrerà che la costruzione (b) può essere generalizzata: è possibile, infatti, dividere un segmento in un numero qualunque di parti uguali, usando solo riga e compasso (Libro VI, Proposizione 10). Ciò non vale, invece, per la costruzione (a). La trisezione dell’angolo è irrealizzabile con gli strumenti euclidei, come ci assicura la moderna teoria di Galois.
Molti teoremi stabiliscono confronti tra figure e tra grandezze, esprimendo uguaglianze, oppure disuguaglianze del tipo “è maggiore di” o “è minore di”.
La Proposizione 4, ad esempio, contiene un ben noto criterio di congruenza fra triangoli:
“Se due triangoli hanno due lati rispettivamente uguali a due lati ed hanno uguali gli angoli compresi fra i lati uguali, avranno anche la base uguale alla base, il triangolo sarà uguale al triangolo, e gli angoli rimanenti [del primo], opposti ai lati uguali, saranno uguali ai rispettivi angoli rimanenti [del secondo].”
Questo enunciato così lungo e complesso si compone di tre parti:
Un altro criterio di congruenza si trova più avanti:
Proposizione 26
“Se due triangoli hanno due angoli uguali rispettivamente a due angoli ed un lato uguale ad un lato, o quello [adiacente] agli angoli uguali o quello che è opposto ad uno degli angoli uguali, essi avranno anche i lati rimanenti uguali rispettivamente ai lati rimanenti, e l’angolo rimanente uguale all’angolo rimanente.”
In sostanza, l’enunciato afferma che il triangolo della figura è univocamente determinato una volta assegnati gli angoli in A e in B ed uno dei lati.
La Proposizione 6 stabilisce invece uguaglianze tra angoli e lati di uno stesso triangolo:
“Se in un triangolo due angoli sono uguali fra loro, anche i lati opposti agli angoli uguali saranno uguali fra loro.”
Ne seguono altre che, invece, stabiliscono disuguaglianze. Ne riportiamo alcune:
Proposizione 16
“In ogni triangolo, se si prolunga uno dei lati, l’angolo esterno è maggiore di ciascuno dei due angoli interni ed opposti.”
Proposizione 17
“In ogni triangolo la somma di due angoli, comunque presi, è minore di due retti.”
Proposizione 18
“In ogni triangolo, a lato maggiore è opposto angolo maggiore.”
Proposizione 20
“In ogni triangolo, la somma di due lati, comunque presi, è maggiore del lato rimanente.”
Quest’ultima è detta disuguaglianza triangolare.
Proposizione 24
“Se due triangoli hanno due lati uguali rispettivamente a due lati, ma hanno l’angolo compreso dai lati uguali maggiore dell’angolo corrispondente, avranno anche la base maggiore della base.”
Questa proposizione si ricava dalla prima parte della Proposizione 4 sostituendo l’uguaglianza con una maggiorazione. L’enunciato non va oltre, perché la maggiorazione non si estende alle aree, né agli angoli alla base, che, anzi, diminuiscono all’aumentare dell’angolo opposto.
Altre proposizioni (14,15, 27–30) riguardano le rette parallele e gli angoli formati da rette incidenti.
L’ultima parte del Libro I è dedicata al confronto tra le aree di quadrilateri e triangoli.
L’enunciato della Proposizione 35 è il seguente:
“Parallelogrammi che siano [posti] sulla stessa base e fra le stesse parallele sono uguali fra loro.”
Con il moderno linguaggio della geometria, diremmo, più in generale, che le aree vengono lasciate invariate da certe trasformazioni affini.
La Proposizione 44 propone una costruzione:
“Applicare ad una retta data, in un dato angolo rettilineo, un parallelogramma uguale ad un triangolo dato.”
Se l’angolo dato è un angolo retto, e quindi il parallelogramma cercato è un rettangolo, la relativa costruzione fornisce la risoluzione geometrica dell’equazione di primo grado:
ax = A,
dove a è la lunghezza del segmento (“retta”) dato, e A è l’area del triangolo. Questo problema è detto applicazione parabolica. Altri problemi di area si tradurranno, nel Libro II, in equazioni di secondo grado.
La Proposizione 47 è il Teorema di Pitagora, la Proposizione 48 è il suo inverso:
“Se in un triangolo il quadrato di uno dei lati è uguale alla somma dei quadrati dei rimanenti due lati del triangolo, l’angolo che è compreso dai due rimanenti lati del triangolo è retto.”
Questo teorema verrà generalizzato nel Libro II.
Il Teorema di Pitagora in Euclide: pagina tratta dal progetto grafico
“Euclid in colors”
I libri successivi al primo sono articolati in due parti: Definizioni e Proposizioni.
Il Libro II contiene 14 proposizioni sulle aree dei rettangoli. Alcune di queste si traducono in identità algebriche di secondo grado. Le corrispondenti costruzioni geometriche vennero in effetti utilizzate da molti autori, fino al Medio Evo, per risolvere le equazioni quadratiche. Ne forniscono un esempio i metodi del matematico arabo Al-Khuwarizmi. Nella sua opera principale al-jabr w’al-muqabala egli effettua il completamento del quadrato, ossia applica la formula
(a+b)2 = a2 + 2ab + b2, (*)
nella sua traduzione geometrica, data dalla Proposizione 4:
“Se si divide a caso una linea retta, il quadrato di tutta la retta è uguale alla somma dei quadrati delle parti e del doppio del rettangolo compreso dalle parti [stesse].”
La retta dell’enunciato è il segmento AB, che viene diviso nei segmenti AC e CB. Il quadrato di tutta la retta è ABED, i quadrati delle parti sono HGFD e CBKG, i rettangoli ACGH e GKEF coincidono col rettangolo delle parti. Ponendo a=AC e b=CB ed uguagliando opportunamente le aree, si ottiene la (*).
Il poligono ABEFGH prende il nome di gnomone: questa figura è ricorrente in tutto il Libro II. Essa ricompare, ad esempio, nella Proposizione 5:
“Se si divide una retta in parti uguali e disuguali, il rettangolo compreso dalle parti disuguali della retta, insieme col quadrato della parte compresa fra i punti di divisione, è uguale al quadrato della metà della retta.”
L’enunciato richiede di suddividere il segmento AB mediante due punti C e D, ove C è il suo punto medio. L’uguaglianza tra le aree è messa in evidenza dal disegno, ove DB=BE.
Se si pone a=AC e b=CD, si ottiene la nota identità algebrica:
(a+b)(a–b) = a2 – b2. (**)
Essa permette di risolvere il problema della cosiddetta applicazione ellittica: determinare un rettangolo di cui siano note l’area A e la somma delle lunghezze dei lati. Detta s la somma dei lati e detta x la lunghezza di uno dei lati, e posto a = s/2, b = s/2 – x, dalla (**) si ricava:
(s–x)x = (s/2)2 – (s/2 – x)2,
ove il primo membro è pari ad A. Sostituendo si trova facilmente la formula risolutiva:
La Proposizione 6, di contenuto analogo, corrisponde al disegno
ed alla formula:
(s+x)x = (s/2 + x)2 – (s/2)2,
che risolve il problema dell’applicazione iperbolica. Questa chiede di determinare un rettangolo di cui siano note l’area e la differenzadelle lunghezze dei lati; s indica questa differenza, x uno dei lati incogniti, in modo che s+x sia l’altro. Allora A=(s+x)x. La formula risolutiva e quindi
Fibonacci si servì dell’applicazione ellittica per risolvere l’equazione
4x – x2 = 3,
e dell’applicazione iperbolica per risolvere
x2 + 4x = 140.
Per la prima equazione egli pose A=3 e s=4 e trovò x=3, per la seconda pose A=140 e s=4, e trovò x=10.
Altri enunciati si riferiscono a problemi algebrici di secondo grado. Ne ricordiamo solo un altro ancora: la Proposizione 14, che richiede di
“Costruire un quadrato uguale ad una figura rettilinea data”
dove per “figura rettilinea” si intende poligono. Questa, che sfrutta e completa la Prop.44 del Libro I, viene applicata nella Géométrie di Descartes, per l’estrazione geometrica della radice quadrata di un numero reale positivo fissato.
La Proposizione 7 corrisponde alla formula
(a–b)2 = a2 – 2ab + b2,
la Proposizione 8 combina quest’ultima con la Proposizione 4: la sua traduzione algebrica è
4ab + (a–b)2 = (a+b)2 .
Analoghe costruzioni geometriche con gnomoni furono impiegate da Cardano, Ferrari, Tartaglia e Bombelli per la risoluzione di equazioni algebriche di terzo e quarto grado.
Al termine del Libro II Euclide dimostra due proposizioni, che estendono il Teorema di Pitagora al caso di triangoli aventi un angolo ottuso e due acuti (triangoli ottusangoli) e al caso di triangoli aventi tre angoli acuti (triangoli acutangoli):
Proposizione 12
“Nei triangoli ottusangoli il quadrato del lato opposto all’angolo ottuso è maggiore, rispetto alla somma dei quadrati dei lati comprendenti l’angolo ottuso, del doppio del rettangolo compreso da uno dei lati che contengono l’angolo ottuso e dalla proiezione dell’altro su esso.”
In simboli: BC2 = AB2 + AC2 + 2 AB × AH.
Proposizione 13
“Nei triangoli acutangoli il quadrato del lato opposto all’angolo acuto è minore, rispetto alla somma dei quadrati dei lati comprendenti l’angolo acuto, del doppio del rettangolo compreso da uno dei lati che contengono l’angolo acuto e dalla proiezione dell’altro su esso.”
In simboli: BC2 = AB2 + AC2 – 2 AB × AH.
Il triangolo rettangolo rappresenta il caso limite fra triangolo ottusangolo e triangolo acutangolo. Il fattore correttivo 2 AB × AH, che nel triangolo ottusangolo ha segno positivo e nel triangolo acutangolo ha segno negativo, nel triangolo rettangolo è nullo. D’altra parte, se l’angolo in A è retto, allora il punto H coincide con A, per cui AH ha lunghezza nulla.
Le Proposizioni 12 e 13 si possono riassumere in un’unica formula, nota come teorema del coseno:
BC2 = AB2 + AC2 – 2 AB × AC × cos ÐCAB.
Il Libro III (37 proposizioni) riguarda il cerchio. Vengono studiate le proprietà delle intersezioni tra cerchi e tra cerchi e rette, così come le relazioni tra le misure degli angoli (al centro e alla circonferenza), degli archi, delle corde e le aree dei segmenti circolari.
Tuttavia il lettore degli Elementi non dovrà aspettarsi dal Libro III il calcolo dell’area del cerchio o costruzioni di figure equivalenti, come invece avviene nel libro precedente per i triangoli ed i quadrilateri. Il motivo dovrebbe essere chiaro, alla luce di quanto osservato all’inizio sugli strumenti euclidei: la formula dell’area del cerchio comprende il numero π, che non può in alcun modo essere costruito con riga e compasso. Euclide forse lo immaginava, ma la dimostrazione di questo fatto – l’impossibilità di quadrare il cerchio – fu data solo nel 1882 da Lindemann. Una determinazione numerica approssimata dell’area del cerchio, basata su metodi geometrici, sarà data da Archimede.
Nel Libro III Euclide dà anche le costruzioni fondamentali, come “Trovare il centro di un cerchio dato” (Proposizione 1), oppure “Condurre da un punto dato una retta che sia tangente ad un cerchio dato” (Proposizione 17).
La Proposizione 31 contiene il famoso Teorema di Talete, secondo cui un angolo alla circonferenza inscritto in un semicerchio è sempre retto. Essa stabilisce, inoltre, che l’angolo è sempre minore (rispettivamente maggiore) di un retto se è inscritto in un segmento circolare maggiore (rispettivamente minore) di un semicerchio.
La Proposizione 35 riguarda i rettangoli costruiti su due corde incidenti:
“Se in un cerchio due corde si tagliano fra loro, il rettangolo compreso dalle parti dell’una è uguale al rettangolo compreso dalle parti dell’altra.”
Un altro enunciato sulle corde del cerchio sarà successivamente scoperto da Tolomeo, che lo riporterà nel suo Almagesto. D’altronde la parte matematica dell’opera tolemaica è quasi interamente dedicata al calcolo delle corde in funzione dell’arco sotteso (teoria delle corde).
Il Libro IV (16 proposizioni) mostra come costruire poligoni regolari, che Euclide chiama “equilateri e equiangoli”, e precisamente:
Si può osservare che il triangolo ed il quadrato erano già stati costruiti nel Libro I a partire dalla lunghezza dei loro lati, rispettivamente nelle Proposizioni 1 e 46. Qui il problema viene posto in maniera diversa: si richiede di inscrivere o circoscrivere un poligono regolare avente un certo numero di lati ad un cerchio assegnato. All’epoca non erano note altre costruzioni di poligoni regolari, a parte quelle che potevano essere ricavate da quelle esistenti bisecando gli angoli. Così, ad esempio, un decagono regolare poteva essere realizzato a partire da un pentagono inscritto in un cerchio: i sui vertici si ottengono, infatti, come punti medi degli archi sottesi ai lati del pentagono. Ora noi sappiamo che esistono molti altri poligoni regolari costruibili con riga e compasso: sono quelli verificanti il criterio di Gauss .
Il Libro V (25 proposizioni) è ancora a contenuto geometrico, ma è di ispirazione aritmetica: vi viene esposta la teoria delle proporzioni tra grandezze, che verrà ulteriormente sviluppata nel Libro VIII (27 proposizioni) e nel Libro IX. Il contenuto è in parte tratto da Eudosso di Cnido.
Euclide così descrive il concetto di proporzione, nella terza delle definizioni che compaiono all’inizio del Libro V:
“Rapporto fra due grandezze omogenee è un certo modo di comportarsi rispetto alla quantità.”
La prima serie di proposizioni (1–6) contiene le proprietà fondamentali dei multipli. Le restanti proposizioni riguardano, invece, più propriamente, i rapporti (quozienti) tra numeri.
Il linguaggio euclideo è fatto di frasi intere e non di parole miste a simboli ed abbreviazioni: Nesselmann parlerebbe di algebra retorica. Per il lettore contemporaneo il testo di alcune proposizioni, in cui le identità algebriche sono tutte descritte a parole, può risultare alquanto ostico:
Proposizione 1
“Se si danno quantesivoglia grandezze che siano rispettivamente equimultiple di altrettante grandezze, una delle prime grandezze è tante volte multipla della corrispondente delle altre grandezze quante volte anche la somma delle prime sarà multipla della somma delle seconde.”
La traduzione in simboli è la seguente: dati un numero intero positivo m ed altri numeri a1,a2,…,ak, si ha che
ma1 + ma2 + … + mak = m(a1 + a2 + … + ak).
Ecco un altro esempio, tratto dalla seconda parte:
Proposizione 24
“Se una prima grandezza ha rispetto ad una seconda grandezza lo stesso rapporto che una terza ha rispetto ad una quarta, e pure una quinta grandezza ha rispetto alla seconda lo stesso rapporto che una sesta rispetto alla quarta, anche la somma della prima e della quinta avrà lo stesso rapporto rispetto alla seconda che la somma della terza e della sesta rispetto alla quarta.”
Il significato è il seguente:
Il concetto di proporzione sarà alla base dell’estetica classica e rinascimentale. L’architetto romano Vitruvio imposterà la sua dottrina della bellezza su precisi rapporti numerici, imitato, in questo, dal genio quattrocentesco di Leon Battista Alberti. Pacioli scriverà il trattato De Divina Proportione. D’altronde nella teoria musicale pitagorica l’armonia era espressa da determinate proporzioni tra gli intervalli musicali. Questo principio rimase praticamente inalterato attraverso i secoli. Lo ritroviamo, ad esempio, in Boezio ed in Descartes.
Nel Libro VI (33 proposizioni) la teoria delle proporzioni viene applicata al confronto tra le lunghezze di segmenti ed allo studio delle figure simili.
La Definizione I dice:
“Sono figure rettilinee simili quante abbiano gli angoli, uno ad uno, rispettivamente uguali, e proporzionali i lati che comprendono gli angoli uguali.”
La Proposizione 2 è il noto teorema, dovuto a Talete, sulla proporzionalità dei segmenti intercettati da rette parallele, che, tra l’altro, è alla base della prospettiva:
“Se in un triangolo si conduce una retta parallela ad uno dei lati, essa divide proporzionalmente i [due altri] lati del triangolo; e se due lati di un triangolo sono divisi proporzionalmente, la retta che congiunge i punti di divisione sarà parallela al lato del triangolo."
Vengono anche enunciati i principali criteri di similitudine fra triangoli, come, ad esempio, nella
Proposizione 6
“Se due triangoli hanno un angolo uguale ad un angolo, e proporzionali i lati comprendenti i due angoli uguali, i triangoli saranno fra loro equiangoli: avranno cioè rispettivamente uguali gli angoli opposti ai lati omologhi.”
La traduzione nel nostro linguaggio è: due triangoli sono simili se hanno due lati proporzionali e hanno uguale l’angolo da essi formato.
Euclide qui sviluppa le intuizioni avute dal matematico e filosofo presocratico Talete, che pare sia stato il primo a riconoscere lo stretto legame tra la nozione di “forma” di una figura e la proporzionalità tra le misure.
Nello stesso libro vengono anche indicati i procedimenti che consentono di risolvere le proporzioni geometricamente.
I tre principali problemi sono:
Non è difficile vedere che essi equivalgono ad altrettanti problemi di aree di quadrati e rettangoli: basta trasformare le proporzioni in uguaglianze fra prodotti. Il problema (a), in particolare, non è che una riscrittura dell’applicazione parabolica, di cui abbiamo parlato in relazione al Libro II; gli altri due sono problemi di secondo grado.
Il problema (b) può essere generalizzato attraverso la nozione di proporzione continuata, che verrà trattata nel Libro VIII e ripresa nel Libro IX: si tratta di una sequenza di proporzioni tali che il quarto termine della precedente coincide col primo termine della successiva. Il più semplice esempio di proporzione continuata è
a:x = x:y = y:z
Le quantità x e y si dicono le due medie proporzionali di a e b. Il problema di determinarle equivale ad un’equazione di terzo grado: secondo quanto stabilito dalla teoria di Galois, esso non è dunque risolubile geometricamente per mezzo degli strumenti euclidei. Esso equivale al problema della duplicazione del cubo, che, dopo la trisezione dell’angolo e la quadratura del cerchio, conclude la terna dei grandi problemi geometrici dell’antichità. Una costruzione, effettuata con l’ausilio di particolari curve, è riportata da Descartes nella Géométrie.
La Proposizione 8 riguarda i triangoli simili:
“Se in un triangolo rettangolo si conduce la perpendicolare dall’angolo retto sulla base, la stessa perpendicolare divide il triangolo in due triangoli simili a tutto quanto il triangolo e fra loro.”
I triangoli ABC, ABH, AHC sono simili. Essi hanno dunque i lati ordinatamente proporzionali, per cui:
BC : AB = AB : BH
BC : AC = AC : HC
Se ne ricavano le identità
AB2 = BC × BH
AC2 = BC × HC,
che oggi vanno sotto il nome di Primo Teorema di Euclide. Analogamente si prova il Secondo Teorema di Euclide:
AH2 = BH × HC.
Il Libro VII (39 proposizioni) riguarda le proprietà di divisibilità fra numeri interi. Le Definizioni del Libro VII costituiscono una sorta di breve dizionario aritmetico.
La trattazione comprende le nozioni di massimo comune divisore, minimo comune multiplo e di numero primo. I principali risultati sono:
È probabile che il contenuto di questo libro sia stato in parte tratto dagli studi di Archita di Taranto.
Il Libro IX (36 proposizioni) contiene la dimostrazione che esistono infiniti numeri primi (Proposizione 20), oltre ad un criterio per trovare numeri perfetti (Proposizione 36).
Il Libro X è il più lungo e complesso dell’opera. Consta di ben 115 proposizioni sulla commensurabilità ed incommensurabilità di numeri e grandezze geometriche: secondo la definizione riportata da Euclide, due quantità sono dette commensurabili se il loro rapporto è un numero razionale. Alla difficoltà dell’argomento trattato si aggiunge un’esposizione alquanto ostica, come anche il Fibonacci rilevò in uno dei suoi opuscoli. Simone Stevin, un matematico olandese del 1500, definì questo libro addirittura “la croce dei matematici”.
L’esistenza di grandezze incommensurabili (noi diremmo: irrazionali) era già nota alla scuola di Pitagora: fu uno dei suoi membri a scoprire che il lato e la diagonale del quadrato sono incommensurabili. La dimostrazione di ciò è implicitamente contenuta nella Proposizione 2.
Il Lemma I dà la formula per trovare tutte le terne pitagoriche: esso si basa essenzialmente sulla Prop. 8 del Libro II e sulle Prop. 1,2 del Libro IX.
Le grandezze incommensurabili studiate da Euclide nel Libro X sono essenzialmente riconducibili a 13 tipi diversi, e sono tutte esprimibili in termini di radici quadrate e delle quattro operazioni. Esse sono tutte costruibili con riga e compasso. Ne citiamo solo due, che ricompariranno in seguito: la terza dell’elenco è l’apotome di a e b, esprimibile nella forma Öa – Öb, la nona è la minore di a e b, data da
L’ultima parte dell’opera è dedicata principalmente alla geometria solida.
Gli argomenti del Libro XI (39 proposizioni) sono: le posizioni reciproche di rette e piani nello spazio, gli angoli solidi e le proprietà dei prismi.
Il Libro XII (18 proposizioni) ed il Libro XIII (18 proposizioni) riguardano, per la maggior parte, i volumi di piramidi, coni, cilindri e sfere. Queste grandezze vengono confrontate, ancora una volta, dal punto di vista delle proporzioni e della commensurabilità.
Nel caso dei solidi di rotazione, non potendo far intervenire il numero , è giocoforza ragionare solo in termini relativi, come nelle seguenti proposizioni:
Proposizione 10
“Ogni cono è la terza parte del cilindro che abbia la sua stessa base ed uguale altezza”. (dimostrazione)
Proposizione 18
“Le sfere stanno fra loro in ragione triplicata rispetto a quella dei propri diametri.”
Quest’ultimo enunciato, in linguaggio moderno, si traduce come: “il rapporto tra i volumi di due sfere è pari al rapporto fra i cubi dei loro diametri”.
Ci si può chiedere come Euclide abbia potuto dimostrare risultati di questo tipo senza ricorrere alle formule esatte per i volumi. L’idea è quella di ricondursi a volumi di solidi di poliedri opportunamente scelti.
Per la Proposizione 18, ad esempio, Euclide immagina di inscrivere, nelle due sfere, due poliedri simili: egli dimostra poi che il rapporto tra i volumi delle sfere è uguale al rapporto fra i volumi dei poliedri, e conclude utilizzando le proprietà di questi ultimi.
Il Libro XIII si apre con una serie di proposizioni relative alla sezione aurea, prosegue con lo studio di alcune grandezze legate ai poligoni regolari, e si chiude con la Proposizione 18, che stabilisce i rapporti tra gli spigoli dei cinque poliedri regolari. Si ha la viva sensazione che questo enunciato sia una sorta di traguardo finale dell’opera, che tutto quanto lo precede ne sia la preparazione. In effetti in esso confluisce il materiale di un po’ tutti i libri. Anche l’oscuro Libro X vi è presente: il rapporto tra lo spigolo del dodecaedro ed il diametro della sfera circoscritta è pari all’apotome
l’analogo rapporto per l’icosaedro è la minore
La fortuna dell’opera
Quanto a numero di edizioni, gli Elementi di Euclide sono secondi solo alla Sacra Bibbia. è proprio grazie alle numerose trascrizioni succedutesi nei secoli anteriori all’invenzione della stampa se il trattato ci è pervenuto nella sua integrità: un destino toccato, purtroppo, solo a poche altre opere scientifiche dell’antichità. è pur vero che il testo di cui disponiamo ha subito varie modifiche successive da parte dei commentatori. Le principali fonti sono:
– i manoscritti tratti dalle lezioni di Teone di Alessandria, su cui si basa la prima edizione in greco che abbia visto la luce in Europa, a Basilea, nel 1533;
– alcune traduzioni in arabo, da cui furono tratte, a partire dal sec. XII, le prime versioni latine. La prima di cui si abbiano notizie certe è quella del dotto inglese Adelardo di Bath, effettuata intorno al 1120 d.C., e basata su testi da lui rinvenuti durante i suoi viaggi in Spagna e nel Vicino Oriente Un’altra traduzione, dovuta a Giovanni Campano, è contenuta nella prima edizione a stampa degli Elementi, che fu realizzata a Venezia nel 1482.
Nel 1505 appare, sempre a Venezia, un’altra versione latina, ad opera di Bartolomeo Zamberti, cui segue, nel 1509, la versione di Luca Pacioli. La più importante traduzione latina è quella di Commandino da Urbino (1572), che ne trasse una versione italiana (1575).
Non esistono, invece, traduzioni di epoca romana: gli Elementi non godettero di grande favore presso i Romani, che prediligevano i manuali di carattere pratico. Non a caso le prime versioni di cui si abbia notizia risalgono agli ultimi anni dell’Impero, in cui il declino politico coincide con il risveglio dell’interesse per le scienze. Pare che anche Boezio ne abbia scritta una: ma di essa sono rimaste soltanto alcune tracce apocrife.
La prima edizione in volgare italiano è l’Euclide Megarense (1543) del Tartaglia: questi, come la maggior parte dei precedenti autori, commise un errore storico confondendo Euclide con il filosofo Euclide di Megara.
Nel corso dei secoli si susseguirono molte altre versioni nelle principali lingue europee: esse rappresentano le tappe di una lunga ricerca filologica compiuta dai vari autori per riavvicinarsi, progressivamente, al testo originale. In Italia Vitale Giordano pubblicò l’Euclide Restituto, Gerolamo Saccheri, nel 1733, diede alle stampe l’Euclides ab omni naevo vindicatus, che, tra l’altro, comprendeva un tentativo di dimostrare il postulato delle parallele.
Nell’Ottocento Enrico Betti e Francesco Brioschi pubblicano una versione didattica dell’opera, in cui le proposizioni di Euclide vengono prese come spunto per numerosi esercizi.
Le costruzioni di Mascheroni
Le costruzioni di Steiner
Gli “Elementi” di Pascal
Gli Elementi nell’arte:
Gli Elementi di Pittura di L.B. Alberti
Punto linea superficie di W. Kandinsky
Gli Elementi di Euclide
Libro VII
Si noti che, come emerge chiaramente dalle Definizioni XIII e XIV, il numero è per Euclide sempre un numero intero positivo diverso da uno, il divisore (la “parte”) è sempre non banale. Sulla distinzione tra “uno” e “numero” si veda un commento di Pascal.
Il concetto di numero piano della Definizione XVI richiama alla memoria l’usanza pitagorica di rappresentare i numeri come sassolini disposti su righe e colonne. Il numero piano è un particolare numero poligonale, avente la forma di un rettangolo:
I “lati”corrispondono a due fattori in cui il numero – il 24 - si decompone: nell’esempio sono 4 e 6. Se i due lati sono uguali, il rettangolo è un quadrato, ed il numero è il prodotto di due fattori uguali, cioè è quadrato nel senso della Definizione XVIII.
Le nozioni di numero solido e di numero cubo (Definizioni XVII e XIX)
sono le estensioni tridimensionali delle precedenti.
La figura rappresenta il numero solido 3´4´6 = 72.
Due numeri piani simili ai sensi della Definizione XXI sono rappresentati da rettangoli simili: i lati dell’uno si ottengono moltiplicando i lati del secondo per lo stesso numero, che nell’esempio raffigurato è il 2:
Il secondo numero sarà dunque ottenuto dal primo moltiplicandolo per un numero quadrato, nel nostro caso il 4 (Libro VIII, Proposizione 26).
Analogamente, dati due numeri cubi simili, uno sarà ottenuto dall’altro moltiplicandolo per un numero cubo (Libro VIII, Proposizione 27).
Come Euclide dimostra nel Libro IX, due numeri sono numeri piani simili se e solo se il loro prodotto è un numero quadrato (Proposizioni 1 e 2). Attenzione: non vale il risultato analogo per i numeri solidi!
A Pitagora risale anche la nozione di numero perfetto.
A questo breve dizionario aritmetico si ispirerà, nel 1700, G.A. Alberti.
I numeri primi
Le Definizioni del Libro I
Fonte: http://www.dm.uniba.it/ipertesto/euclide/gli_elementi_di_euclide.doc
http://www.dm.uniba.it/ipertesto/euclide/definizioni7.doc
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