I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Realismo ed antirealismo in filosofia della matematica
Enrico Martino
Il problema filosofico più arduo e forse più affascinante che nasce dalla riflessione sull'attività matematica è il problema dell'infinito. L'infinito è onnipresente in matematica, anche nella sua parte più semplice, l'aritmetica elementare. Tutti abbiamo familiarità coi numeri naturali, in quanto siamo stati abituati ad usarli fin dai primi anni di vita, abbiamo imparato a nominarli con disinvoltura e a manipolarli in calcoli più o meno complicati. La familiarità che abbiamo acquisito coi numeri è tale da darci l'illusione di conoscerli molto bene, ma se ci chiediamo che cosa essi siano ci accorgiamo subito che la conoscenza puramente operativa che abbiamo di essi non ci fornisce alcuna risposta. Sappiamo bene che cosa sono tre cani, tre pecore, tre cavalli, ma non sappiamo che cosa veramente sia il numero tre.
Varie definizioni dei numeri naturali sono state proposte da matematici e filosofi, ma tutte sembrano convenzioni piuttosto arbitrarie, utili per certi scopi teorici, ma inadeguate a cogliere l' "essenza" dei numeri. Così, nella teoria degli insiemi, fondamento dell'intero edificio matematico nella sistemazione attuale, i numeri sono identificati con certi particolari insiemi:
0= Ø, 1={0}, 2={0, 1}, 3={0, 1, 2}, …
Cioè lo zero è identificato con l'insieme vuoto ed ogni altro numero con l'insieme dei suoi precedenti. In tal modo i numeri vengono ad essere ben precise entità dell'universo insiemistico. L'idea che viene così realizzata è quella di scegliere, tra tutti gli insiemi di n elementi, un insieme particolare come campione e di identificarlo col numero n. La scelta dei campioni si presenta allora abbastanza naturale: l'insieme vuoto è l'unico insieme con 0 elementi e quindi è l'unico candidato ad essere scelto come numero 0; dato lo zero, il singoletto di 0, cioè l'insieme il cui unico elemento è 0, si presenta immediatamente come un buon candidato ad essere preso come numero 1; dati 0 e 1, l'insieme di questi è un immediato buon candidato ad essere preso come numero 2; e così via.
Vi sono altri modi di introdurre insiemisticamente i numeri naturali; per esempio il seguente, dovuto a Zermelo, uno dei pionieri della teoria degli insiemi:
0= Ø, 1={0}, 2={1}, 3={2}, …
Qui lo zero è ancora identificato con l'insieme vuoto e ogni altro numero col singoletto del suo precedente immediato. In questo modello la funzione successore è identificata con una funzione insiemistica particolarmente semplice, la funzione singoletto che associa ad ogni insieme a il suo singoletto {a}.
Quale dei due modelli venga adottato non è molto importante: ciascuno si presta bene a rappresentare i numeri naturali. Ci si può chiedere: ma quali sono i veri numeri naturali? Crediamo che la migliore risposta sia quella data dallo strutturalismo matematico: non esistono i "veri" numeri naturali; si possono però costruire vari modelli della teoria dei numeri naturali, cioè insiemi di certe entità arbitrarie, ciascuna delle quali gioca il ruolo di un numero naturale. Così nel primo modello presentato il ruolo del numero 2 è giocato da {0, 1}, nel secondo da {1}.
In generale, un modello dell'aritmetica può essere costruito con un processo infinito, assumendo come numero 0 un oggetto arbitrario e reiterando indefinitamente un'operazione arbitraria che, ad ogni stadio, porti ad un nuovo oggetto: tale operazione giocherà la parte della funzione successore e gli oggetti da essa via via generati giocheranno le parti dei numeri.
Così un modello dell' aritmetica è costituito dagli stessi simboli con cui indichiamo i numeri nel familiare sistema decimale, un altro modello è costituito dai simboli del sistema binario.
Un modello particolarmente intuitivo è quello di Hilbert, costituito dalle stringhe finite di sbarre: si assume come 0 una singola sbarra e come funzione successore l'operazione che consiste nell'aggiungere una nuova sbarra alla stringa precedentemente ottenuta:
|, ||, |||, ||||, |||||, …
Le stringhe finite hanno il pregio di essere entità concrete, distinguibili l'una dall'altra percettivamente, almeno finchè sono abbastanza corte. Non così i numeri dei modelli insiemistici: dato un oggetto a, la formazione del suo singoletto {a} è un'operazione elementare nell'ambito della teoria degli insiemi, ma sfuggente all'intuizione più immediata; è difficile vedere, ad esempio, in che cosa differisca una mela dall'insieme di cui essa è l'unico elemento. Il modello di Zermelo può così sembrare piuttosto artificioso ed evanescente. In effetti la teoria degli insiemi ha il pregio di essere molto generale, tanto da riuscire ad unificare tutta la matematica; ma, proprio per la sua generalità ed astrattezza, la nozione matematica di insieme presenta aspetti alquanto problematici e controintuitivi, inessenziali alla comprensione dei numeri naturali. Di qui l'interesse per modelli dell'aritmetica, quale quello di Hilbert, non fondati sulla nozione di insieme..
Il modello di Hilbert si presta particolarmente bene ad illustrare il concetto più semplice di infinito matematico: l'infinito potenziale. L'infinità delle stringhe di sbarre può essere intesa in due modi concettualmente diversi: come infinità attuale o come infinità potenziale. Secondo l'idealizzazione dell'infinito attuale, le infinite stringhe di sbarre sono pensate come tutte simultaneamente esistenti in un loro regno ideale. Secondo l'idealizzazione dell' infinito potenziale, le stringhe di sbarre sono costruite passo passo nel tempo dal processo, già descritto sopra, che inizia con la costruzione di una singola sbarra e prosegue indefinitamente costruendo stringhe sempre più lunghe. Naturalmente si tratta di un processo immaginario, altamente idealizzato, non effettivamente eseguibile da parte dell'uomo. Ma le ragioni dell'ineseguibilità pratica sono contingenti, consistono nei limiti empirici cui siamo soggetti in quanto esseri umani: se cercassimo di eseguire effettivamente il processo, la costruzione di nuove stringhe diverrebbe sempre più faticosa e ben presto saremmo costretti ad abbandonare la nostra costruzione per mancanza di tempo e di spazio. Quel che interessa, dal punto di vista teorico, è l'eseguibilità in linea di principio. L'idea di continuare indefinitamente ad aggiungere sbarre è chiaramente intuibile e tanto basta ad afferrare il processo generativo della successione dei numeri naturali. La costruibilità "in linea di principio" può essere convenientemente precisata immaginando che il processo generativo sia effettivamente condotto da un agente ideale, non soggetto alle nostre limitazioni spazio-temporali.
La concezione dell'infinito potenziale caratterizza la matematica costruttiva, in particolare la matematica intuizionista. Questa è stata fondata all' inizio del XX secolo dall'olandese Jan Luitzen Egbertus Brouwer (1881-1996). Brouwer assunse una posizione radicalmente critica nei confronti della matematica classica, in particolare della scuola logicista di Frege e Russell, fondata sulla concezione dell'infinito attuale. L'infinito attuale, onnipresente nella matematica classica e, in particolar modo, della teoria degli insiemi, sia nell'ideazione originale di Cantor che nell'odierna sistemazione assiomatica, non è altro, secondo Brouwer, che una rozza estrapolazione del finito: gli insiemi infiniti sono trattati in modo statico,come qualcosa di compiutamente dato, sulla base di una falsa analogia con gli insiemi finiti. Per Brouwer le entità matematiche sono costruzioni mentali e un insieme infinito non può che essere pensato come una costruzione perennemente in fieri, la possibilità di completarla essendo inintellegibile.
L'infinito attuale rientra nella concezione realista, talvolta detta anche platonista, della matematica, caratterizzata dal fatto che le entità matematiche sono considerate come oggetti reali, la cui esistenza è del tutto indipendente dall'attività umana. In contrapposizione, la posizione intuizionista è detta antirealista, essendo caratterizzata dal fatto di considerare le entità matematiche come prive di realtà ed esistenza autonome, mere costruzioni del matematico ideale, detto anche da Brouwer soggetto creativo.
A questo punto si potrà forse pensare che la contrapposizione realismo-antirealismo esprima semplicemente una differenza di vedute filosofiche sulla natura delle entità matematiche, priva di alcuna influenza sull'effettivo sviluppo delle teorie matematiche; ma così non è. Infatti, come già si è detto, l'antirealismo intuizionista impone la concezione dell'infinito potenziale, la quale, se ben si addice, come si è visto, ad interpretare l'infinità dei numeri naturali, rende invece alquanto problematica la ricostruzione delle teorie matematiche più complesse, in particolare la ricostruzione del continuo. E' noto infatti che i numeri reali (o i punti di una retta) costituiscono un'infinità non numerabile, il che significa che, a differenza dei numeri naturali, non possono essere pensati come costruiti uno ad uno mediante un processo che proceda indefinitamente secondo certe regole. Pertanto, la teoria classica del continuo (cioè quella fondata da Dedekind alla fine del secolo scorso ed insegnata tuttora negli usuali corsi di matematica) sembra far uso essenziale dell'infinito attuale, la totalità dei numeri reali essendo trattata come esistente indipendentemente da qualunque processo generativo. Gli intuizionisti, nel tentativo di ricostruire il continuo usando solo l'infinito potenziale, sono stati indotti a concepire il continuo come un universo indeterminato, nel senso che l'impossibilità di generare tutti i numeri reali mediante un unico ben determinato processo viene interpretata come possibilità di ideare sempre nuove costruzioni di numeri reali. Ciò si esprime spesso dicendo che il continuo intuizionista è un universo aperto. Non è certo il caso di addentrarsi qui nella complessa teoria intuizionista del continuo. Ci limitiamo a dire che l'idea dell'universo aperto si è rivelata di difficile teorizzazione, coinvolgendo nozioni alquanto problematiche e controverse, ed ha portato ad una teoria del continuo in disaccordo con quella classica. Ciò sembra confermare l'essenzialità dell'infinito attuale per la trattazione classica. Esemplificheremo più avanti il ruolo dell'infinito attuale nella teoria classica. Ma vogliamo ora illustrare come la contrapposizione tra realismo ed antirealismo si manifesti sul piano logico già nella teoria dei numeri naturali.
La visione antirealista degli oggetti matematici ha condotto Brouwer ad una concezione antirealista anche della nozione di verità matematica. Secondo la logica classica (correntemente usata nella matematica odierna come già, implicitamente, negli Elementi di Euclide) ogni proposizione è determinatamente vera o falsa (principio di bivalenza) del tutto indipendentemente dall'essere riconosciuta come tale. In altre parole, verità e dimostrabilità sono concetti ben distinti, il primo prioritario rispetto al secondo: una proposizione è vera o falsa (o, come si usa dire in logica, ha uno dei due valori di verità: "vero" e "falso") di per sé, mentre una dimostrazione è un ragionamento che porta a riconoscere una verità, la cui sussistenza è indipendente dalla dimostrazione stessa. Ora, il principio di bivalenza (detto anche del terzo escluso) è respinto dall'intuizionismo in quanto espressione della posizione realista: una proposizione può essere a buon diritto considerata determinatamente vera o falsa, indipendentemente da ogni dimostrazione, in quanto ci sia una realtà che la rende tale. In tal caso infatti la proposizione descrive un certo fatto, un certo stato di cose riguardante il mondo reale; sicché la proposizione sarà vera se le cose stanno effettivamente come essa dice, sarà falsa altrimenti. Ma ove le proposizioni vertano su mere costruzioni mentali, non vi è, secondo l'intuizionismo, alcuna realtà esterna che renda vero o falso quel che esse dicono; esse potranno a buon diritto essere considerate vere o false soltanto in quanto verificate o falsificate. Brevemente, per l'intuizionista le dimostrazioni non portano alla scoperta, ma alla creazione delle verità matematiche. Quanto alla falsità, dire che una proposizione è falsa, ossia che la sua negazione è vera, significa, intuizionisticamente, averne dimostrato l'indimostrabilità ossia, come diremo più brevemente, averla refutata. Inoltre, provare una disgiunzione, cioè una proposizione della forma"A o B", significa, intuizionisticamente, provare una almeno delle proposizioni componenti A, B. Ne segue che il principio di bivalenza, secondo cui ogni proposizione della forma "A o non A" è vera, viene ad essere intuizionisticamente interpretato come l'asserzione che, data una qualunque proposizione A, si è sempre in grado o di provarla o di refutarla, il che è ovviamente falso. I matematici, compreso quello ideale, sono sempre alle prese con problemi aperti, cioè con proposizioni che tentano di dimostrare o refutare, senza sapere se riusciranno mai nell'impresa. Il principio di bivalenza viene così respinto come "principio dell'onniscienza". Si noti bene peraltro che se tale denominazione è appropriata all'interpretazione intuizionista, non lo è affatto a quella classica: classicamente inteso, il principio di bivalenza non ha niente a che fare con l'onniscienza; esso afferma semplicemente che ogni proposizione è determinatamente vera o falsa, senza pronunciarsi affatto sulla possibilità di provarla o refutarla.
Può essere istruttivo esemplificare la differenza tra l'interpretazione classica e quella intuizionista mediante una proposizione aritmetica, nota come congettura di Goldbach:
Ogni numero pari maggiore di 2 è somma di due numeri primi (distinti o coincidenti).
Provando ad esaminare alcuni numeri pari maggiori di 2 si trova che essi sono effettivamente somme di due numeri primi: per esempio 4 = 2+2, 6 = 3+3, 8 = 3+5,… Nessuno ha mai trovato finora un controesempio alla congettura, cioè un numero pari maggiore di 2 che non fosse somma di due numeri primi, il che può suggerire che forse la congettura sia vera. Peraltro nessuno è mai riuscito a dimostrarla in generale (ovviamente la semplice verifica su alcuni numeri non costituisce una prova della proposizione che riguarda tutti i numeri pari maggiori di 2). Dato un qualunque numero pari n>2, la proposizione n è somma di due numeri primi
è determinatamente vera o falsa anche dal punto di vista intuizionista, in quanto possediamo un metodo per verificarla o falsificarla (almeno in linea di principio): basta calcolare tutte le somme di due numeri primi minori di n e controllare se n figura o no tra queste. Non così per la congettura stessa. Dal punto di vista classico essa è certamente vera o falsa: che fra tutti i numeri pari maggiori di 2 ce ne sia almeno uno che non sia somma di due numeri primi è considerato un fatto oggettivo ben determinato, che sussiste o no indipendentemente dal riuscire a trovare un tal numero o a provarne l'inesistenza. Dal punto di vista intuizionista invece non ci sono fatti oggettivi riguardanti il mondo dei numeri; allo stato attuale la congettura non è né vera né falsa: diventerà vera se e quando si riuscirà a provarla, diventerà falsa se e quando si riuscirà a refutarla.
Si osservi che il rifiuto del principio del terzo escluso non comporta intuizionisticamente l'ammissione di un terzo valore di verità ( oltre a "vero" e "falso"). Per una proposizione l' assenza di un valore di verità è uno stato provvisorio, sempre passibile di superamento (anche se, di fatto, può durare indefinitamente). Nessuna proposizione può essere riconosciuta né provabile né refutabile: infatti, come già si è detto, il riconoscimento dell'improvabilità di A costituisce, per definizione, una refutazione di A. Pertanto ogni proposizione resta sempre una buona candidata ad assumere uno dei due valori di verità. In questo senso si suol dire che l'intuizionismo accetta una forma debole del principio del terzo escluso: non si può mai escludere che, col procedere della ricerca, una proposizione divenga vera o falsa.
Si potrà forse pensare che il principio di bivalenza non sia molto importante. Che importanza ha, ci si può chiedere, che una proposizione abbia o no un valore di verità, quando tale valore non è conosciuto? L'importanza sta nel fatto che la bivalenza è un principio logico che, anche se per lo più inconsapevolmente, è correntemente sfruttato nel ragionamento matematico. Basti pensare che la bivalenza è il principio che giustifica le dimostrazioni per assurdo, ben note a chiunque abbia studiato un po' di matematica. Infatti, l'aver dimostrato che la supposta falsità di una proposizione A porta ad un assurdo permette semplicemente di escludere che A sia falsa; dopo di che è proprio in virtù del principio di bivalenza che possiamo asserire la verità di A. Intuizionisticamente, supporre che A sia falsa vuol dire supporre di averla refutata; se tale supposizione porta ad un assurdo, quel che si può legittimamente concludere è l'impossibilità di refutare A; ma ciò non costituisce ancora una prova di A. Un tipico esempio si ha quando A è della forma "B o non B" e B è una proposizione non decisa (come la congettura di Goldbach). Infatti, poiché una prova di A consiste di una prova di B o di una refutazione di B, supporre di aver refutato A significa supporre di aver dimostrato l'impossibilità sia di provare che di refutare B, il che, come già si è visto, è assurdo ( perché provare l'impossibilità di provare B vuol dire refutare B). D'altra parte l'avere escluso la possibilità di refutare A non ci fornisce, ovviamente, né una prova né una refutazione di B, cioè non ci fornisce alcuna prova di A.
Pertanto l'abbandono della bivalenza invalida molti degli usuali ragionamenti. I tentativi della scuola intuizionista di ricostruire la matematica conformemente alla propria concezione filosofica hanno avuto scarso successo. L'aritmetica si lascia trattare intuizionisticamente in modo soddisfacente: l'infinità dei numeri naturali, come abbiamo visto, può essere interpretata potenzialmente; inoltre le dimostrazioni dei teoremi più importanti dell'aritmetica possono essere ricostruite evitando l'uso della bivalenza. Né presenta particolari difficoltà la ricostruzione intuizionista dei numeri interi relativi e dei numeri razionali. Ma la concezione intuizionista si è rivelata inadeguata alla ricostruzione della geometria e dell'analisi matematica usuali, dominate dalla presenza dell'infinito attuale.
L'incompatibilità della teoria classica del continuo con la concezione dell'infinito potenziale può essere bene illustrata mediante il famoso antico paradosso di Zenone di Achille e la tartaruga. Il paradosso viene spesso presentato nei testi di filosofia come un sofisma, cioè come un argomento fallace abilmente usato dai Sofisti nell'intento di confondere l'interlocutore. In realtà il ragionamento di Zenone è molto acuto e, nell'ottica dell'infinito potenziale, essenzialmente corretto.
Ricordiamo l'argomento del paradosso. In una immaginaria gara podistica tra il velocissimo Achille e la lentissima tartaruga, se la tartaruga parte in posizione più avanzata rispetto al suo rivale, questi non riuscirà mai a raggiungerla. Infatti, siano a0 ed a1 le posizioni iniziali all' istante t0
rispettivamente di Achille e della tartaruga. All'istante t1 in cui Achille avrà raggiunto la posizione a1 la tartaruga avrà raggiunto una posizione (per quanto di poco) più avanzata a2 ; all'istante t2 in cui Achille avrà raggiunto la posizione a2 la tartaruga avrà raggiunto una nuova posizione a3; e così via.
Si è messa così in evidenza una successione infinita di istanti t0 , t1 , t2… in cui Achille non ha ancora raggiunto la tartaruga. Zenone conclude paradossalmente che Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga e quindi che, contrariamente all'apparenza, il movimento non esiste.
La cinematica, fondata sulla teoria classica del continuo, risolve facilmente il paradosso: è ben vero che in ciascuno degli infiniti istanti considerati Achille non ha ancora raggiunto la tartaruga, ma questo non comporta affatto che non la raggiungerà mai, semplicemente comporta che la raggiungerà ad un istante t posteriore a tutti quelli. Precisamente la cinematica insegna come calcolare t in funzione delle posizioni iniziali e delle velocità dei due concorrenti e t viene ad essere il limite della successione in questione.
Ma il fatto che Achille possa passare attraverso un'infinità di posizioni in un tempo limitato è incompatibile con la dottrina dell'infinito potenziale, secondo cui l'intuizione dell'infinito suggerita da locuzioni del tipo "e così via" o "eccetera, eccetera…" ha come costituente essenziale l'idea della disponibilità di un tempo illimitato per continuare indefinitamente un processo che non sarà mai completato. Ma allora, ci si potrà chiedere, chi neghi l'esistenza dell'infinito attuale e abbracci la dottrina dell'infinito potenziale, dovrà forse accettare la conclusione di Zenone che Achille non raggiungerà la tartaruga e che il moto non esiste? Evidentemente tale conclusione, oltre che incredibile sulla base dell'esperienza quotidiana, distruggerebbe lo stesso infinito potenziale, il concetto di processo generativo essendo fondato sul movimento. Ma questa conclusione non è affatto cogente. La fisica non descrive i fenomeni così come avvengono in natura, ma li teorizza facendo uso di opportune idealizzazioni, atte a porne in evidenza certi aspetti trascurandone altri. Così, verosimilmente, in natura l'infinito non esiste: non ci sono corpi di dimensioni nulle come i punti materiali della fisica e le traiettorie reali percorse dai corpi in movimento non sono linee geometriche costituite da infinità più che numerabili di punti. Pertanto, quel che mostra il nostro paradosso è semplicemente che l'idealizzazione del fenomeno del moto adottata dalla fisica fa uso essenziale del concetto di infinito attuale. Il paradosso è particolarmente istruttivo perché pone in luce certe difficoltà concettuali che si incontrano ragionando sull'infinito. Se la conclusione di Zenone dell'illusorietà del moto non è accettabile, è comunque sorprendente, a ben pensare, che la fisica riesca a spiegare il movimento soltanto trattandolo, per così dire, in modo statico. L'equazione del moto di un corpo, che determina la posizione in funzione del tempo, non è altro che una funzione reale di variabile reale, i cui argomenti sono interpretati come istanti temporali e i cui valori come posizioni spaziali. Il tempo viene così rappresentato come una retta orientata (l'asse temporale) i cui punti rappresentano i vari istanti. In questo quadro il fluire del tempo è completamente ignorato: gli istanti sono trattati come se fossero tutti simultaneamente esistenti, allo stesso modo dei punti di una retta geometrica. La soluzione del paradosso dice che la successione t0 , t1 , t2 ,…, per quanto infinita, è limitata, sicché esiste un istante t posteriore a tutti gli infiniti istanti della successione, ma non spiega affatto come, a partire dall'istante iniziale t0 , tutti questi istanti possano passare e come t possa divenire l'istante attuale. Il fatto che il passare di un intervallo di tempo, comunque piccolo, comporti il trascorrere di infiniti istanti resta un aspetto misterioso dell'infinito. Potremmo dire che la fisica porta alle estreme conseguenze la staticità dell'infinito attuale, propria della teoria classica del continuo, fornendoci persino una teoria statica del moto.
Abbiamo così cercato di esemplificare la contrapposizione tra due diverse concezioni di verità matematica e due diverse concezioni di infinito.
Come già si è detto, i tentativi dei costruttivisti di ricostruire la matematica trattando l'infinito matematico come puramente potenziale e la verità matematica come mera dimostrabilità non hanno avuto molto successo. L'odierna matematica dominante è quella classica, mentre la matematica intuizionista è coltivata da pochi studiosi. Il grave errore di Brouwer è stato, a parer nostro, la pretesa di censurare la matematica classica e l'illusione che le sue vedute filosofiche potessero portare alla costruzione della "vera" matematica.
Ma lo sviluppo della matematica intuizionista è stato comunque di notevole importanza dal punto di vista critico e filosofico. La critica costruttivista alla matematica classica ha portato non già all'abbandono, bensì ad una più profonda comprensione della stessa matematica classica. Il matematico "ordinario" (cioè esperto nell'arte della deduzione matematica, ma filosoficamente ingenuo) è per lo più propenso ad identificare il vero col provabile, sulla base della semplice considerazione che le verità stabilite da una teoria matematica altro non sono che i teoremi dedotti dagli assiomi. Ma non per questo si preoccupa di evitare dimostrazioni per assurdo o, comunque, di revisionare i metodi usuali di deduzione: egli continua a ragionare secondo la logica classica. La critica intuizionista mette in luce il fatto che l'identificazione vero-provabile non è appropriata alla matematica classica, la nozione di prova della logica classica presupponendo implicitamente una nozione realista di verità, di cui il matematico ingenuo è inconsapevole.. Il compito principale della filosofia della matematica è, a parer nostro, proprio quello di cercare di portare alla luce le presupposizioni che si nascondono dietro la pratica matematica. Non è compito della filosofia stabilire se una teoria scientifica sia o no corretta. In particolare, non è compito della filosofia approvare o censurare i metodi usati dai matematici nel trattare l'infinito e tanto meno tentare di revisionarli. L' intento che la filosofia può perseguire proficuamente è piuttosto quello di studiare le varie possibilità di interpretare il mondo immaginario che il discorso matematico descrive. Le teorie nascono e si sviluppano sulla base di idealizzazioni non ben determinate e piuttosto confuse. Soltanto quando una teoria matematica abbia raggiunto un notevole grado di sviluppo e sia stata sistemata formalmente in versione assiomatica, è possibile perseguire la ricerca di quali concezioni delle cose di cui la teoria parla si attaglino a quel che di esse dice. Spesso, come nel caso dell'infinito, la ricerca non porta ad una chiarificazione soddisfacente delle nozioni coinvolte, ma mostra anzi come queste siano molto più oscure e problematiche di quanto, di primo acchito, potesse sembrare. Ma la ricerca di chiarificazione, anche quando fallisca nel suo obiettivo, conduce sempre verso una più profonda consapevolezza dei problemi concettuali che la teoria implicitamente pone e, conseguentemente, verso una più matura capacità di affrontarli, di trasformarli, di guardarli da nuove prospettive e, pur senza mai risolverli definitivamente, di convivere con essi. E proprio in questa consapevolezza sta l'arricchimento di conoscenza che ci si deve attendere dalla riflessione filosofica.
Glymour C.: "Dimostrare, credere, pensare", Raffaello Cortina ed., 1999.
Letture consigliate
Meschkowski H.: "Mutamenti del pensiero matematico", Univ. Scientifica Boringhieri, 1973.
Russell B.: "Introduzione alla filosofia matematica", Longanesi, 1963.
Sani A. (cur.):"La logica matematica", La Nuova Italia, 1996.
Zellini P. : "Breve storia dell'infinito", Adelphi, 1996
Fonte: http://www.math.unipd.it/~degan/FIOR/cognitiva/Cerniere%20della%20matematica.doc
Sito web da visitare: http://www.math.unipd.it
Autore del testo: indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve