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La prima edizione di tale libro risale al 2005.
Questa seconda edizione è dell’ottobre 2014.
Autore del libro: Lorenzo Acerra.
Impaginazione, revisione e appendice a cura di Corrado Penna.
Allegato scritto da Teresa Tranfaglia.
Breve presentazione da parte dell’autore
La forza di questo libro è che ti fa vedere come un enzima si inceppa, in maggiore o minore misura, e ne con segue un problema digestivo con varie gradazioni di gravità che può contribuire causare le più svariate malattie. Una persona non celiaca che legge questo libro sceglierà di proseguire il proprio consumo di glutine in modo più rispettoso e prudente, scegliendo le forme più leggere di glutine, ovvero orzo in chicchi, farro in chicchi e farine di farro, magari concedendosi 2-3 giorni a settimana senza glutine.
La persona che legge questo libro e che soffre di qualche disturbo forse appartiene a quel 90% di celiaci non diagnosticati presenti in Italia. Infatti i celiaci riconosciuti in Italia sono attualmente circa 150.00, contro i 600.000 circa stimati da ricerche campione fatte su ampi gruppi rappresentativi della popolazione.
Oltre a queste 400.000 persone celiache che non lo sanno, e che faranno altri percorsi travagliati e inconcludenti messe di fronte a disturbi cronici, ci sono un 15% degli italiani, quindi 7-8 milioni di persone, che non risulteranno mai positive al test celiaco ma che hanno una grossa percentuale di anticorpi celiaci nelle feci. Queste persone notano che eliminando il glutine scompaiono mal di testa, nervosismo, stanchezza, fibromialgia, dolori articolari.
La conseguenza, per tutte queste persone con intolleranza al glutine non diagnosticata, è quella di avere una vita strana, di essere costretti ad assumere diversi farmaci, di avere piccole difficoltà inspiegabili e problemi ricorrenti. Stiamo parlando di problemi che ogni volta prendono una forma diversa: difficoltà nervose, al cervello, dolori reumatici, bassi livelli di ferro basso, problemi a carico del fegato, dell’apparato riproduttivo, tumori, problemi alle ossa, insomma … un po’ di tutto.
L’elenco di malattie e sindromi che possono essere scatenate o con-causate da una reazione al glutine (e che di conseguenza possono guarire almeno parzialmente con una dieta senza glutine) è piuttosto lungo. Una più succinta classificazione è la seguente:
Un elenco più dettagliato è invece il seguente:
lupus eritematoso, pancreatite, osteomalacia, emorroidi, vertigini, acufene, attacchi d’ansia, stress, prolasso della valvola mitralica, colite, perdita di capelli, crisi anafilattiche gravi dolori addominali, gonfiore addominale, dermatite erpetiforme, psoriasi, sarcoidosi cutanea, monoartrite, artrite reumatoide, morbo di Sjogren, altre forme di artrite, diabete, epatite, tiroidite, paratioridite ed altre malattie della tiroide, linfomi e alcuni tipi di tumore, epilessia, infertilità femminile, aborto spontaneo, amenorrea, menarca ritardata, menopausa precoce, dismenorrea, diarrea, costipazione, gas e brontolio nello stomaco, duodeno-digiuno-ileite ulcerosa, colite ulcerosa, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn, laringo-spasma, afte, difetti allo smalto dentale, ipertensione, iper-colesterolemia, psicosi, ansia, depressione, schizofrenia (o cosiddetta tale), fibromialgia, stanchezza, dolori articolari, anemia, osteoporosi, mal di testa, emicranie secondarie ad ipoperfusione cerebrale, leucopenia (e quindi carenze del sistema immunitario con conseguente suscettibilità alle infezioni), tubercolosi (nei soggetti con intolleranza al glutine tale malattia è più aggressiva, presumibilmente a causa delle carenze del sistema immunitario), iperattività, autismo, difficoltà di crescita, perdita di peso, indebolimento, osteomalacia, anoressia, malassorbimento, steatorrea, demineralizzazione ossea (incluse le malattie da demineralizzazione periodontali), atassia, corea di Huntington, nefropatie, neuropatie.
Prefazione
La mia storia comincerà con una favola raccontatami da mio padre in cui una principessa che non voleva accettare un matrimonio combinato fu rinchiusa per punizione in una torre. “E che cosa mangiava?”. Fu messa “a pane e acqua”, spiegò mio padre. “E dov’è la punizione?”, pensai io. A me il pane piaceva tantissimo, per quel che mi riguardava poteva diventare, e con soddisfazione, l’unico alimento al mondo. Di lì a poco ogni volta che le vicende del protagonista di una fiaba raggiungevano il minimo assoluto, in prigione o con una vita di privazioni, io chiedevo: “E che cosa mangiava?”, -Pane e acqua- era la risposta. Io da parte mia ero contento perché ne deducevo che in vita mia non sarebbe potuto accadermi nulla di sgradevole, al peggio sarei stato punito e messo a pane e acqua. Inutile dire che da allora ogni tanto le favole finivano in questo modo: “... e vissero felici e contenti, a PANE E.... ACQUAAA!!”.
Per circa i primi trent’anni della mia vita non ho fatto molti passi in avanti sull’argomento e anzi (per quel che ci ho fatto caso) non mi pare di aver sentito neanche una volta la parola celiachia. All’età di 25 anni, dopo la laurea in chimica, mi ritrovo nel Regno Unito, dove in breve ottengo due offerte di lavoro: la prima in realtà è di volontariato, si tratta di assistere Michael, un disabile in via di recupero, autore di un libro e maestro di meditazione, che in punto di morte è stato salvato da dei medici messicani che usavano veleno di serpente, urinoterapia e mille altre stregonerie: così almeno mi racconta, quando mi reco in quella residenza in una foresta dello Wiltshire, il volontario tedesco che dovrei sostituire. Il ragazzo tedesco apre un paio di stipetti e dice: “Qui è il mio piccolo spazio personale”, e da una parte c’è un grosso pezzo di pane bianco. E mi spiega: “Il pane e le farine il maestro non le mangia. Io però sono libero di comprarne per mio uso personale”.
Solo molto più in là nel tempo quell’episodio sarebbe venuto a galla della mia memoria e avrebbe costituito materia di riflessione. La stranezza del NO al pane di Michael (il maestro), dovete capire, non era niente a confronto dell’atmosfera della sua residenza nella foresta. Ma alla fine, nonostante la mia curiosità e voglia di imparare scelgo, per amor di autonomia economica, la seconda offerta arrivatami, quella della sede scozzese di una multinazionale.
Ritornato in Italia, un noto medico di Salerno, venuto a conoscenza della mia attività e del mio impegno per la limitazione dell’uso del mercurio in odontoiatria (creare un’apposita associazione e scrivere un libro, “DENTI TOSSICI”, edito per la Macro Edizioni nel maggio 1999), mi indirizza ad una sua concittadina, Teresa Tranfaglia, che conosce almeno una decina di vittime del mercurio guarite dopo la rimozione delle otturazioni dentali metalliche (le amalgame, che rilasciano mercurio nell’organismo).
Quando, il 29 aprile 2002, la trasmissione Report di RaiTre trasmette in prima serata l’inchiesta che documenta la tossicità e gli effetti sulla salute delle amalgame, l’associazione contro l’amalgama di Salerno, diventata referente del sito web di Report, viene inondata da richieste di aiuto e di informazioni, ma questa non è più una novità. Io stesso ero già prima sommerso dai contatti dei miei lettori (“DENTI TOSSICI” ha venduto 6000 copie), e la divulgazione della nostra piccola associazione aveva raggiunto numerose case anche grazie ad internet. Nel frattempo almeno una decina di libri della Macro Edizioni che si occupano di salute (i due più venduti sono “La cura di tutte le malattie” della dottoressa Hulda Clark e “Curare la prostata in 90 giorni” di Larry Clapp) indirizzano il lettore alla nostra associazione per ottenere ulteriori informazioni sui pericoli della rimozione non protetta dell’amalgama. Infine, il nostro centro di documentazione scientifico, sviluppato grazie ad una collaborazione con la Svezia, ha rifornito numerosi medici, dentisti, tesisti e persino riviste odontoiatriche e pubblicazioni.
Dovete sapere che Teresa Tranfaglia, oltre ad essere informatissima ancora prima di me sul problema dell’amalgama e a diventare subito una fedele collaboratrice nelle attività dell’associazione, aveva un’altra peculiarità: aveva sviluppato da una decina di anni una cucina naturale e salutare senza glutine che le aveva restituito una figlia sana e con intelligenza oltre la media, che a 3 anni sembrava destinata ad una patologia neurologica di natura autoimmune. In questa circostanza la svolta della figlia fu anche la svolta della mamma, e adottare la stessa identica alimentazione destinata alla piccola aiutò la donna laddove i medici e le medicine niente avevano potuto davanti alla sua grave artrite reumatoide evolutasi in morbo di Sjogren.
Tra i contatti che ho avuto nell’ambito dell’associazione, qualcuno già sapeva della “questione glutine”, mentre la maggior parte scoprivano insieme a me questa situazione prima mai sospettata. Faccio un esempio per ognuno dei due casi.
Angela, dell’Emilia, madre di due ragazzi, mi contatta per sapere dove può fare la rimozione protetta dell’amalgama. Le spiego che bisogna prepararsi, lei mi dice che ha già sospeso latte e tutti i latticini e prende cloruro di magnesio, allora le chiedo se ha sospeso anche il glutine... ...mi da’ una risposta TUTTA meravigliata, ma veramente IN MAIUSCOLO: “MA TU CHI SEI?!! COME FAI A SAPERE LA QUESTIONE DEL GLUTINE ANCHE TU … io mi aspettavo che tu sapessi solo dell’amalgama (al più mi aspettavo di dover veramente faticare a descriverti il problema del glutine che, per quel che ho visto, è endemico)?!”.
R.N., del Piemonte, è l’esempio di una donna che la questione la scopre per la prima volta. Ha la leucemia T- LGL (caratterizzata da una diminuzione dei neutrofili che, invece di valori normali intorno a 2000/ul, crollano a livelli inferiori a 500). Si rivolge a noi per sapere dove fare la rimozione protetta dell’amalgama. Vuole fare il meglio possibile per prepararsi all’escavazione del mercurio dai denti, dunque prima e durante il periodo di rimozione sospende il consumo di latticini, di glutine e segue le indicazioni del libro di Raul Vergini “Curarsi con il magnesio”. Da novembre 2002 a marzo 2003 toglie 5 otturazioni in amalgama, all’incirca una al mese. I neutrofili, alla rimozione della prima amalgama, da 400 che erano sono subito raddoppiati; alla rimozione della seconda amalgama sono saliti a 1100, e con la rimozione dell’ultima amalgama sono saliti a 1400. L’effetto della rimozione era immediato, ogni volta c’era il fenomeno dello sbalzo in su dei valori dei neutrofili e aggiunge la donna, “per la prima volta da anni ho passato indenne i mesi freddi dell’anno senza ammalarmi mai di infezioni di alcun tipo”. La sento di nuovo al telefono tre mesi dopo aver terminato la rimozione, mi dice che i valori dei neutrofili sono peggiorati, scendendo a 1100. Mi dice che ha ripreso a consumare glutine. A questo punto le confesso che era una verità non intera quella che la rimozione del glutine serviva solo alla preparazione alla rimozione amalgama, serviva sì a quello, ma serviva anche perché la sua mucosa intestinale non se lo poteva permettere. Sospeso di nuovo il glutine, dopo due mesi i valori dei suoi neutrofili hanno raggiunto quota 1600. Per nove anni aveva avuto la malattia e i neutrofili sotto i 500!
La Tranfaglia condividendo la sua esperienza è stata di certo utile a tutti coloro che, intossicati dal mercurio dentale, hanno deciso anche loro di mangiare secondo le sue ricette senza glutine: il loro recupero veniva accelerato e quintuplicato. Una piccola descrizione della sua esperienza la trovate allegata alla fine del libro.
CAPITOLO 1
Il glutine
I prodotti pane, pasta, etc. a base di cereali, sebbene vengano visti prevalentemente come una fonte di carboidrati (complessi), sono costituiti anche da un 10- 16% di proteine. La caratteristica unica di queste proteine del frumento, dell’orzo, della segale e dell’avena è che contengono una quantità stratosferica di proline e glutamine (di qui il nome “prolamine”). Sono proteine generalmente riconosciute di qualità scarsa, per lo squilibrio relativo tra le varie quantità di aminoacidi (alcuni aminoacidi essenziali sono assenti o quasi). Le prolammine tossiche nella celiachia prendono il nome di “glutine”. Esse sono la gliadina (presente nel frumento), l’ordeina (presente nell’orzo), la secalina (presente nella segale), l’avenina (presente nell’avena). Riso, miglio e mais, avendo proteine con una distribuzione di aminoacidi diversa dagli altri cereali (elevato contenuto in alanina e leucina, basso in glutamina e prolina), non hanno prolammine o, nel caso del mais, non quelle tossiche nella celiachia. La seguente tabella riporta una scala di tossicità delle varie prolammine deleterie nella celiachia, ricavata in base ad osservazioni cliniche e di laboratorio:
Cereale |
tipo di prolamina |
Composizione (in aminoacidi) |
TOSSICITÀ |
|||||||
|
Alanina |
Leucina |
Prolina |
Glutamina |
|
|
|
“con glutine”
grano |
A - Gliadina |
|
|
17 - 23% |
36% |
++++ |
orzo |
Ordeina |
|
|
17 - 23% |
36% |
++ |
segale |
Secalina |
|
|
17 - 23% |
36% |
++ |
avena |
Avenina |
|
|
< 5% |
<30% |
+ |
“senza glutine”
mais |
zeina |
alto |
alto |
-- |
basso |
-- |
miglio |
-- |
alto |
alto |
-- |
basso |
-- |
riso |
-- |
alto |
alto |
-- |
basso |
-- |
Il problema della reazione celiachia, posto in termini biochimici, è l’impoverimento progressivo dell’autonomia dell’apparato digestivo dei mammiferi relativamente alla capacità di idrolizzare i legami ammidici (le glutamine) quando sono adiacenti a residui di prolina.
Perché le prolamine del mais (zeina) non sono tossiche per il celiaco, l’avenina è solo debolmente tossica e la gliadina ha la massima tossicità? Recenti studi hanno messo in relazione i vari gradi di tossicità per il celiaco delle diverse prolammine con la crescente concentrazione, a partire dall’avena via via fino al frumento, di un particolare segmento (di cui è molto ricco la alfa-gliadina, molto molto meno l’avenina, la zeina non lo contiene affatto) in cui prolina e glutenina sono ad una certa distanza tra di loro (molto vicine) per cui non riescono ad essere deamidate dall’enzima specifico [Arentz-Hansen 2000, Vader 2002, Sollid 2002].
Le complesse glutamine del glutine si differenziano da ogni altra forma di cibo per la loro particolare composizione e perché il loro consumo determina un’aumentata attività enzimatica del pancreas (come se il suo smaltimento rappresentasse una sfida impegnativa, uno stress fisiologico [Ikegami 1975, Camus 1980, Rabsztyn 2001]), seguita da una progressiva riduzione della funzione degli enzimi proteolitici (lisi delle proteine) e degli enzimi di degradazione dei peptidi [Carroccio 1997]. È così che matura la situazione in cui l’organismo non arriva più in fondo al suo lavoro e, invece di avere solo aminoacidi come prodotti finali della degradazione del glutine, ci sono anche frammenti indisciolti, i peptidi oppioidi, ovvero lunghissime catene di aminoacidi non liberati. Chiameremo questa situazione “peptidìa”.
E veniamo ora a descrivere la situazione chiamata celiachia, che riguarda la gliadina (un sottoprodotto dei peptidi oppioidi del glutine). Ad un certo punto dell’assedio glutinoso (la peptidìa può avere durata anche pluri-decennale prima di maturare in celiachia), si raggiunge la fase di iper-attivazione della transglutaminasi, un enzima presente sulla lamina propria della mucosa intestinale programmato per rimanere tranquillo quanto più a lungo possibile. Controvoglia, la transglutaminasi è chiamata ad iniziare un lavoro di smantellamento delle proteine glutinose: tutti gli altri principali avamposti di difesa sono rimasti sguarniti e la transglutaminasi rappresenta l’ultimissima linea di difesa per barricare il cromosoma dall’assedio glutinoso. Sfortunatamente le risorse a livello di transglutaminasi non sono infinite e in determinate condizioni di ipofunzionalità (pH, ambiente digestivo, etc.) nemmeno questo baluardo riesce più ad ultimare il lavoro di smantellamento del glutine ad aminoacidi. A seguito del collasso funzionale della transglutaminasi, elevate concentrazioni di gliadina derivanti dai peptidi oppioidi del glutine si formano ad un passo dall’accesso diretto al cromosoma umano! Ed è il cromosoma che ha la facoltà, in determinate condizioni di immunosoppressione, di innescare reazioni autoimmuni. Nel cromosoma di molti di noi (il 40% della popolazione) c’è una nicchia che sembra fatta apposta per l’innesco dell’autoimmunità da parte della gliadina. Quando il frammento non smantellato della gliadina si incastra nella nicchia del cromosoma con elevata affinità inizia la produzione degli anticorpi contro il glutine (IgA e IgG anti-gliadina) e degli anticorpi tipici celiaci contro i nostri stessi tessuti (IgA e IgG anti-transglutaminasi, IgA e IgG anti-endomisio, anticorpi anti-reticolina).
Una volta che c’è la specificità (celiachia genetica o potenziale), ci sono una serie di livelli soglia di attivazione, ognuno dei quali corrisponde a fenomeni pre-celiaci a livello dei villi intestinali (“Marsch 1”, ovvero pre-infiltrazione, “Marsch 2”, ovvero infiltrazione, “Marsch 3”, ovvero iperplasia, “Marsch 4”, ovvero distruzione); l’ultimo di questi stadi, “Marsch 5”, corrisponde all’atrofia dei villi.
In questo percorso dalla peptidìa alla celiachia, l’organismo registra sconfitte su sconfitte davanti alla sempre più invadente e fastidiosa realtà della nuvola di peptidi oppioidi glutinosi, fino ad arrivare a forme di pre-celiachia (senza atrofia dei villi), in cui si verificano isolati episodi celiaci intervallati da lunghi periodi di calma apparente.
Il peregrinaggio verso diversi specialisti medici dei pazienti con celiachia in via di progressione dura in media 20 anni e più secondo Hankey [1994] prima che si arrivi alla diagnosi, e con essa all’adozione del regime senza glutine che determina la risoluzione dei sintomi e la normalizzazione di tutti gli alterati parametri ematici.
Una donna che da piccola aveva avuto ripetutamente una presentazione celiaca classica si presenta a Jensen [2000], all’età di 59 anni, con una grave osteomalacia causata dalla celiachia. L’intervento di sospensione del glutine è positivo sebbene un po’ tardivo.
Un paziente che aveva convissuto per 15 anni con gravi condizioni artritiche e senza marcata sintomatologia intestinale viene diagnosticato celiaco da Bourne [1985] e il regime senza glutine porta ad una regressione totale della malattia. Ovviamente in questi casi rimangono e sono documentabili i danni erosivi che i legamenti hanno accumulato in tanti anni di malattia cronica [Borg 1994].
Dorst [1998] presenta la storia clinica di una 67enne cui nel corso di 20 anni con numerosi ricoveri in ospedale era stata fatta la diagnosi di iperparatiroidismo, osteoporosi e disfunzione dell’assorbimento di ferro. Appunto, solo dopo 20 anni, fu scoperto che aveva celiachia. Iniziò una dieta senza glutine che le portò uno straordinario miglioramento.
Lettera a Francesca (avvisaglie di celiachia nell’infanzia)
Francesca,
quando avevi appena tre settimane di età i medici osservarono che avevi fontanelle (un fenomeno temporaneo dove compare un ossicino sporgente dalla testa. A quel tempo non crescevi nemmeno, arrivavi al massimo a 3 chili e 200 mentre il tuo peso alla nascita era stato di 3 chili e 300, alla fine spiegarono ai tuoi che il latte materno non andava bene e così fu sostituito con il latte vaccino in formula.
Nel tuo caso la sofferenza infantile celiaca era dovuta al glutine che passava nel latte materno per cui, ad essere stati bene informati, sarebbe bastato provare a sospendere il glutine dall’alimentazione di mamma. Più tardi il glutine fu inserito nella tua alimentazione e, come molte tipiche bimbe celiache, sei stata un po’ rachitica per vari mesi. La celiachia spesso si manifesta temporaneamente nelle prime fasi di vita di un individuo, dopo un po’ di tempo va in remissione, e bisogna aspettare anni prima che torni, in modi insidiosi e meno riconoscibili.
Un bimbo di un mese di età mostra una grave diarrea con arresto della crescita che alla fine viene risolta con la sospensione del glutine; a distanza di un mese viene fatta un’altra prova con il glutine che di nuovo porta a diarrea, perdita di peso, permeabilità intestinale (misurata con il test di assorbimento dello xilosio) [McNeish 1976]. Infine il glutine viene re-inserito nell’alimentazione del bimbo a 10 mesi di età senza causare le forti reazioni dei primi mesi di vita.
Oltre la diarrea e il malassorbimento (crescita rallentata, sotto-peso, etc.), una classica reazione infantile all’intolleranza al glutine sono i ricorrenti episodi di inspiegabili infezioni o, come nel tuo caso, le bronchiti e bronchiti spastiche che hai avuto entro il primo anno di età.
Come detto questa sofferenza celiaca va in remissione dopo qualche tempo e la tua al momento non fu nemmeno riconosciuta, ma è la regola.
A quei tempi negli anni settanta si riteneva ancora che solo 1 su 3000 bambini fossero affetti (oggi si arriva a stime di 1 su 66 [Ventura 2000]), per cui anche per i pediatri gastroenterologi parlare di valutare la celiachia sembrava un’operazione marziana e poi non si attribuiva assolutamente nessuna valenza a questo episodio celiaco nell’infanzia.
Invece i ricercatori moderni danno alla crisi celiaca vissuta dal bimbo ai primi passi alimentari una valenza “premonitrice” di qualcosa che si verificherà ad un certo punto della vita nell’età adulta.
Hogberg [1993] ricostruisce la storia di una ragazza che all’età di 4 anni ha una crisi celiaca risolta con la sospensione del glutine. A partire dall’età di 7 anni la bimba inizia a consumare il glutine, anche perché i controlli annuali rivelano una mucosa quasi normale. All’età di 21 anni, dopo 14 anni di consumo di glutine viene riscontrata una ricaduta celiaca con atrofia dei villi. Da questo caso clinico, conclude Hogberg, si capisce chiaramente quanto incessantemente e attentamente debba essere seguito un paziente che goda, anche per molti anni, di una remissione della celiachia, in modo da individuare prontamente la ricaduta celiaca che ci sarà.
Addirittura, viene suggerito dal prof. Ventura del Burlo Garofalo di Trieste, “non si potrebbe considerare di anticipare la valutazione celiaca alla prima infanzia?”.
È vero, questa infantile è una celiachia che poi va in remissione, ma il fatto di ignorarla non lascia le persone soggette in balìa dei pesanti problemi celiaci che si presenteranno man mano nell’età adulta, e a quel punto vista l’insidiosità dei sintomi le possibilità sono minime o nulle che vengano ricondotti al consumo di glutine (è un dato di fatto che “almeno 7 celiaci su 8 non faranno mai i test celiaci” [Ventura 2000])?
Riporto qualche passaggio di Ventura [2000]: |
Le incapacità nostre e dei medici di ricostruire la tua storia celiaca ha avuto grandi conseguenze. Se è vera questa cosa, ed è vera (a questo punto delle mie ricerche mi sembra impossibile che non sia così), mi immobilizza per la sua straordinaria portata. Quanti medici avrebbero potuto identificare la situazione celiaca e cambiare il corso degli eventi? Forse nessuno. Al problema del glutine non ci si arriva mai, e così alla fine la colpa è di questo paziente che è più psicosomatico di me o di altri che non hanno avuto mal di testa cronico. ..Un mondo dove milioni di vite celiache sommerse (non riconosciute) si trasformano in una via Crucis di passaggi pesanti, gravi, ecco cosa mi fa tremare. Una volta sola è già imperdonabile.
Oggi la letteratura medica fornisce una gran mole di informazioni sulle molte forme neurologiche, endocrine, etc., della celiachia nell’età adulta, mi sono tuffato nella letteratura esistente e ne sono uscito con una serie di pubblicazioni secondo le quali mal di testa ed emicranie secondarie ad ipoperfusione cerebrale sono alimentate dal consumo di glutine nel celiaco non diagnosticato.
Scrive Spina [2001]: “Se da una parte sono note le -forme classiche- di celiachia, nelle quali la sintomatologia è prevalente, ci sono forme atipiche con presentazione clinica insolita o della forma silente con nessun disturbo intestinale. I possibili sintomi neurologici includono crisi epilettiche, mal di testa, atassia e problemi psichiatrici. Riportiamo qui il caso di un paziente di 11 anni che aveva avuto mal di testa continui dall’età di 3 anni. Nel suo caso il mal di testa è stata la sola manifestazione della celiachia. La diagnosi di celiachia risale appunto a quando è stato portato da noi nell’ennesimo tentativo di venire a capo del suo mal di testa risalente agli ultimi 8 anni. Abbiamo scoperto che anche la sorella maggiore era affetta da celiachia. Dopo tre mesi di dieta senza glutine il ragazzo ha ottenuto la risoluzione completa del mal di testa”.
Serratrice [1998], dopo una premessa di cautela (“la patofisiologia dell’emicrania rimane oscura; incriminare un fattore di co-morbidità come nel nostro caso il glutine si può proporre solo come ipotesi di lavoro e di maggiori approfondimenti, persino se la sospensione di tale fattore previene la ricaduta degli episodi di emicrania”), punta il dito sul ruolo del glutine nelle emicranie di eziologia ignota: “Nel nostro paziente la diagnosi di celiachia fu seguita da sospensione del glutine e ciò coincise con la scomparsa totale degli attacchi di gravi mal di testa. La celiachia fu sospettata quando questo paziente si presentò per cercare di risolvere la sua emicrania con aura”.
Ancora più deciso è il rapporto di Gabrielli et al. [2003]: “Riportiamo gli effetti entro 6 mesi della sospensione del glutine in 4 pazienti con emicrania idiopatica in cui era stata scoperta la celiachia: c’è stata una guarigione completa in cui non c’è stato mai più un attacco di emicrania, mentre i rimanenti tre pazienti hanno beneficiato di un notevole miglioramento come frequenza, durata e intensità delle emicranie. Studi con TAC (ad emissione di fotone singola) hanno mostrato una graduale riduzione del segnale di assorbimento del tracciante a livello “regional baseline”, fino a completa risoluzione in tutti e quattro entro il periodo di osservazione. CONCLUSIONI: I nostri risultati suggeriscono che un’ampia popolazione di pazienti con emicrania può avere la celiachia e che la sospensione del glutine può portare ad un miglioramento dell’emicrania in questi pazienti”.
L’effetto della sospensione del glutine è stato valutato più volte nella letteratura medica su pazienti con diagnosi di celiachia e i mal di testa sono tra i fastidi che più comunemente vengono estinti con il regime senza glutine [Grant 1975, Hill 1990, Cicarelli 2003].
Hadjivassiliou [2001] pubblica su Neurology le osservazioni su 10 pazienti con mal di testa. Uno solo non ha voluto provare ad adottare il regime senza glutine. Dei nove che hanno sospeso il consumo di glutine sette sono guariti completamente e due pazienti hanno avuto una guarigione parziale. È stato possibile inoltre documentare che il consumo dei cereali incriminati in questi pazienti sensibili al glutine provocava anomalìe della materia bianca, che variavano da aree confluenti di elevato segnale a foci di elevato segnale che si potevano trovare in entrambi gli emisferi. Certo, questo è uno studio piccolo, ma stiamo parlando di 7 pazienti che sono guariti completamente dal mal di testa e di 2 che migliorarono, il solo che non ebbe vantaggi fu proprio quello che non seguì il programma senza glutine (!).
I mal di testa erano iniziati, in uno di questi 7 pazienti guariti, un 50enne, prima con 4 anni di mal di testa episodici, poi con attacchi sempre più frequenti e pesanti. Al momento della diagnosi di celiachia l’uomo accusava altri sintomi come nausea, confusione e agitazione. Dopo aver iniziato un regime senza glutine il suo equilibro è migliorato rapidamente e i suoi mal di testa sono svaniti (per tornare solo in un’occasione, limitatamente ad un periodo in cui aveva ripreso a consumare il glutine).
Un caso clinico simile era stato riportato da Hadjivassiliou in una sua precedente pubblicazione: un 45enne aveva sofferto di emicrania sin dall’infanzia, e nel tempo i suoi attacchi erano diventati sempre più pesanti e resistenti ai farmaci. Gli attacchi sono scomparsi dopo che, con la diagnosi di celiachia, ha adottato il regime senza glutine.
Addolorato [2004] scrive: “A causa di una segnalazione precedente di un caso clinico in cui l’ipoperfusione cerebrale in un paziente diagnosticato celiaco si era risolta con l’adozione di un regime senza glutine, abbiamo monitorato (mediante TAC) le perfusioni cerebrali in pazienti celiaci a dieta libera, in pazienti celiaci in regime senza glutine da 1 anno e in individui sani (come gruppo di controllo). I risultati sono molto eloquenti: dei 15 celiaci a dieta libera 11 (il 73%) avevano da una a sette regioni del cervello ipoperfuse, mentre questo problema non compariva in nessuno dei 24 individui del gruppo di controllo e solo in uno dei 15 celiaci a regime senza glutine da un anno. Se ne conclude che “il consumo di glutine in pazienti celiaci può dar luogo ad anomalìe di irrorazione sanguigna cerebrale”.
Questo libro tra poco evidenzierà la correlazione tra il consumo di glutine e altri problemi, disturbi di natura ossea, riflusso esofageo, anemia, problemi mestruali, parassiti.
Un unico terremoto sommerso (la celiachia), multiple sintomatologie che (per quanto variegate) sono tutte riconducibili ad essa.
Ora chiudo il mio discorso iniziale sulla celiachia transiente della tua infanzia nel modo mio abituale e cioè ritornando a far leggere alcuni rapporti medici pubblicati.
Kuitunen [1986] descrive un bimbo che riceve la diagnosi di celiachia a 3 mesi e mezzo. A due anni esatti di età può riprendere senza troppi problemi l’alimentazione con glutine, viene tenuto sotto osservazione a lungo termine e la remissione della celiachia si conclude alla soglia degli undici anni, quando viene verificato il ritorno dell’atrofia dei villi causata dal glutine.
Stenhammar [1981] riscontra la celiachia in 14 individui che avevano disturbi minimi o nulli ma con una particolarità: per 8 di essi durante l’infanzia era stata riscontrata l’atrofia dei villi causata dal glutine, gli altri 6 da piccolissimi erano stati tenuti sotto osservazione per almeno un mese per problemi gastrointestinali. Questo studio, conclude Stenhammar, conferma l’importanza di effettuare ripetuti controlli sulla celiachia in pazienti che durante la prima infanzia hanno mostrato gravi sintomatologie di malassorbimento intestinale.
Limbach [2003] riporta le osservazioni su 11 individui che avevano avuto l’atrofia dei villi da piccoli ma che a 16 anni di età iniziarono una dieta libera con glutine. Vengono osservati per 8 anni a intervalli regolari e la morfologia della mucosa rimane normale. In 7 di essi l’esame della mucosa rivelava una proliferazione anomala dei linfociti intraepiteliali. Solo in due pazienti, in uno dopo 4 anni e mezzo nell’altro dopo 15 anni, viene registrato un riscontro nel sangue di anticorpi celiaci alterati. Negli altri nove anche dopo 10 anni non compare nessuno degli anticorpi celiaci.
Il periodo di osservazione di individui osservati durante l’infanzia è ancora più lungo in uno studio venticinquennale di Thornquist [1992], sempre su individui con una celiachia infantile in temporanea remissione. 1 paziente ha anticorpi celiaci e alterazione della mucosa “Marsch 4”, 3 hanno anticorpi celiaci (rifiutano la biopsia), 6 non hanno anticorpi e non viene controllato lo stato dei villi.
Paerregaard [1988], sempre focalizzandosi su pazienti che hanno ripreso il consumo di glutine incoraggiati dall’assenza di reazioni immediate, riporta che andando ad esaminare a distanza di 28 anni individui con crisi infantili celiache, 6 avevano atrofia dei villi, 5 una mucosa pre-celiaca, 11 mucosa normale, molti avevano un basso livello di disaccaridasi.
Numerosi studi riportano che nonostante questi pazienti con precedenti diagnosi di celiachia possano presentare assenza di anticorpi celiaci nel sangue o anche dei più elevati gradi di alterazione celiaca della mucosa, (“Marsch 4” e “Marsch 5”) a regime con glutine, in generale il loro stato di salute presenta più disturbi del gruppo di pazienti in regime senza glutine.
Chartrand [1996] scrive che, è vero, periodi di remissione della celiachia avvengono, anche per molti anni, ma che in pazienti in cui la celiachia è stata diagnosticata durante l’infanzia alla fine hanno una ricaduta, per quanto prolungato possa essere stato il periodo di remissione.
Se da un lato è vero che la celiachia può rimanere asintomatica dal punto di vista delle manifestazioni intestinali e dal punto di vista delle reazioni immediate al consumo di glutine, come sottolinea Ventura [2000], “l’elenco delle condizioni cliniche associate in maniera causale all’intolleranza al glutine [ma non nel modo classico della reazione immediata, N.d.A.] è così ampio da far ritenere che i casi realmente asintomatici siano, alla fine, molto pochi”.
Dalla peptidìa alla celiachia
Il lavoro digestivo, come un film, è una sequenza di scene (di passaggi digestivi), la nostra programmazione genetico-biologica è il suo regista (detta i tempi e le modalità), l’alimento è l’attore protagonista. L’intolleranza alimentare può essere pensata come quell’attore che interferisce con le idee del regista, che altera i tempi di produzione, che non svolge il suo ruolo in modo pulito e professionale e che in più arreca danni agli studi cinematografici. Ognuno di noi quando siede a tavola è come quel produttore cinematografico nel momento in cui sceglie quali saranno gli attori del film, il glutine è un attore per niente ideale, risulta non gradito ai nostri organi (il pubblico), ha una qualità scarsa (per qualità biologica intendiamo la composizione in aminoacidi), e come vedremo interferisce tantissimo, per antonomasia fa un sacco di casini di nascosto da tutti (asintomatici) e alla fine ci ritroviamo con danni costosi.
La formazione della nuvola di peptidi oppioidi derivanti dal glutine (peptidìa) determina l’inizio di questo più o meno lungo percorso verso la celiachia. I primi disturbi sono le tempeste che questa può scatenare sui recettori oppioidi dell’apparato digestivo, la cui funzione comincia a deteriorarsi anche se la manifestazione gastrointestinale può essere totalmente assente. Infatti l’apparato digestivo ha enormi capacità di attutire sia l’impatto sia le manifestazioni di problemi e disfunzioni di notevole entità. Per cui noi generalmente, anche quando la peptidìa si sia prolungata per molti anni, non ne abbiamo notizie (manifestazioni cliniche), a meno che non ci sia già stato un danno biologico serio, come nell’autismo, sul grado di solfatazione intestinale, sulla mucosa intestinale, etc. E anche in questi casi può risultare super-difficile risalire alla relazione causa-effetto con il glutine, perciò per rendersi conto del problema diventa necessario fare una prova di sospensione del glutine (4 settimane) seguita dall’attenta valutazione delle reazioni biochimiche o cliniche al suo reinserimento (challenge test).
Sebbene apparentemente asintomatica, la tempesta di peptidi oppioidi determinata in questa situazione di intolleranza alimentare (la peptidìa) potrebbe essere rilevata da varie misure del tempo di transito del bolo alimentare, che risulterà ritardata o a livello esofageo, o gastrico, o orocecale, oppure ci sarà un ritardo nello svuotamento della cistifellea, oppure il tempo di transito sarà accelerato nel colon [Tursi 2004]. La gliadina (che è il sottoprodotto dei peptidi oppioidi del glutine che crea problemi alla transglutaminasi e al cromosoma) è capace di interferire con i recettori oppioidi del tratto gastrointestinale allo stesso modo dei peptidi oppioidi. I possibili problemi conseguenti includono nei casi più pesanti: calcoli alla cistifellea, riflusso esofageo, diarrea alternata a costipazione, costipazione, flatulenza, etc. etc.
Scrive Hoggan [1998]: “Il glutine negli individui suscettibili danneggia il duodeno in un modo tale che smette di produrre i messaggeri CCK, cioè quelle molecole che sono prodotte nel duodeno di individui sani non appena la parte superiore del tratto digestivo avverte la presenza di grassi ingeriti. Il loro obiettivo è di iniziare la contrazione della cistifellea così che questa mandi giù bile lungo il dotto biliare, che, miscelatasi con i grassi, servirà al loro processo di digestione. Tutto ciò non avviene in modo ideale nel duodeno dell’individuo diventato intollerante al glutine [a causa della tempesta locale sui recettori oppioidi, N.d.A.], per cui questo e altri step di gestione dei grassi sono alterati nella pre-celiachia (peptidìa) o nella celiachia.
E qui entriamo nel merito di una delle principali ecatombi che l’intolleranza al glutine ha la potenzialità di determinare (anche prima del malassorbimento per atrofia dei villi), e cioè un’interfenza a vari livelli del metabolismo corporeo dei grassi:
la distribuzione e gestione dei grassi assorbiti è affidata nel corpo umano ad un network di
recettori oppioidi che sfortunatamente rispondono, negli intolleranti, sia alle gliadine sia alle gluteomorfine provenienti dal frumento mal smantellato.
Conseguenze: steatorrea (malassorbimento intestinale di grassi con “feci unte”), incrostamento grasso dei dotti biliari e della cistifellea, incrostamento grasso della milza e del fegato, aumento del colesterolo prodotto (iper-colesterolemia familiare), facilità di formazione di adipe, incapacità a livello della cellula di gestire i grassi. Insomma l’obesità e la cellulite sono da considerarsi nella famiglia delle possibili presentazioni latenti della celiachia, che regrediscono (!) adottando un regime senza glutine [Morchen 1974, Solhaug 1976].
Quando notevoli quantità di tali frammenti del glutine raggiungono, attraverso una mucosa intestinale degradata e permeabile, il flusso sanguigno e la loro presenza diventa misurabile nelle urine, la peptidìa (formazione digestiva di peptidi oppioidi) diventa “peptiduria” (presenza urinaria di peptidi oppioidi).
Reichelt, che è stato il primo a documentare mediante analisi delle urine la peptiduria, riporta che, anche in assenza di patologie o disturbi di rilievo clinico, l’incidenza di peptiduria è quasi del 50% nella popolazione generale e raggiunge picchi oltre l’ 80% in alcune patologie.
È importante sottolineare che una volta che la nuvola di peptidi oppioidi derivanti dal glutine guadagna l’accesso al sangue, ciò cambia del tutto la portata delle sue conseguenze: c’è tutto un range di valori soglia per i livelli di gluteomorfina che si associano a vari tipi di interferenze sui siti oppioidi nell’organismo, soprattutto relativi alle secrezioni ormonali.
La grelina è un potente peptide attivo sull’asse intestino-cervello (uno dei tanti esistenti), resosi famoso soprattutto per la sua azione di stimolo sull’appetito. Sia i pazienti anoressici che bulimici hanno iper-grelinemia rispetto agli individui sani, la differenza tra bulimia e anoressia è che in quest’ultima situazione c’è una resistenza dei recettori oppioidi alla risposta nonostante lo stimolo peptidico. Per cui gli anoressici non ricevono il segnale mentre i bulimici ne ricevono troppo.
… Interrompiamo temporaneamente questa spiegazione (arrivata quasi al suo culmine) per ricordare cosa è l’apparato digestivo. Nel nostro quotidiano siamo abituati più ad osservare la valenza dell’esposizione della pelle agli agenti ambientali irritanti, piogge acide in prima fila (con buona pace delle povere statue esposte a questo stress nelle nostre piazze storiche!), che a valutare l’impatto delle nostre abitudini alimentari sull’involucro che tiene separati i nostri organi e sangue dal resto del mondo esterno, costituito da un canale di scolo (mucosa, muscoli, ghiandole, siti di assorbimento, siti di saggiatura pinocitica, etc.), ma anche di un complesso network di stazioni di gestione informazioni lungo tutti i 300 metri quadri della sua estensione. Le varie stazioni sono caratterizzate da livelli soglia per l’attivazione di azioni meccaniche (peristalsi), reazioni chimiche, assorbimento, secrezioni, produzioni neuro-ormonali, etc. Per fare un esempio, quando l’ambiente in una certa locazione arriva alla giusta miscela per cui viene soddisfatto il valore soglia, allora scattano i canali cellulari (azione!!.., contrazione, etc.). È una programmazione biologica davvero complessa che richiederebbe 10 volumi di enciclopedia se avessimo voluto presentarla in qualche dettaglio. Nel discorso che segue, poiché dobbiamo spiegare alcuni sintomi e disfunzioni secondari alla celiachia che scompaiono con la sospensione del glutine, richiameremo occasionalmente le informazioni pertinenti che ci interessano (cioè quale è la stazione di gestione informazioni coinvolta e come è influenzato il valore soglia di attivazione), in modo da inquadrare l’interferenza del glutine.
Per ritrovare il filo del discorso interrotto.. ricordiamo che Ferrara [1966], Gent [1968], Grenet [1972], McNichol [1972], Barry [1974], Hall [1974], Coghlan [1988], Korman [1990], Wright [1990], Huupponen [1992], Franzese [1993], Lifshitz [1993], Postel-Vinay [1995], Mangiagli [1996], Dieter [2000], Cardei [2003], Medlicott [2004], tutti consigliano di indagare la celiachia in caso di anoressia. Ora come si spiega che tra le cause organiche dell’anoressia, la celiachia è quella più diffusa? Peracchi [2003] ha scoperto che i livelli di grelina sono notevolmente elevati in pazienti con celiachia attiva (appena diagnosticata) e che la sospensione del glutine porta alla normalizzazione di questa anomalia. L’iper-grelinemia (bulimia) e l’iper-grelinemia con resistenza dei recettori oppioidi (anoressia) sono dunque da aggiungere alla famiglia di anomalie determinate dalla nuvola di peptidi opiodi caratteristiche dell’intolleranza al glutine (sia la peptidìa che la celiachia).
Ma di interferenze simili ce ne sono tante da vedere da vicino; mi riservo di fornire nel corso del capitolo 5 una dettagliata presentazione delle interferenze particolari sui recettori CCK per le quali la peptidìa e la celiachia possono determinare iper-colesterolemia (familiare).
Le nuvole di peptidi oppioidi glutinosi e/o di gliadina determinano iper-prolattinemia e con essa una pletora di disturbi del ciclo e della riproduttività nella donna (che discuteremo nel capitolo 4); mentre nell’uomo causano ipo-testosteronemia e iper-prolattinemia che, regredendo con la sospensione del glutine, portano alla scomparsa di disfunzioni dell’erezione nell’uomo [Medras 2004]. La disfunzione dell’erezione è una possibile presentazione monosintomatica di celiachia; un argomento così delicato certo merita di essere approfondito a parte, questa volta nel capitolo 5.
Il motivo per cui gli effetti della nuvola glutinosa sono così variegati è da ricercarsi nella complessità del sistema (secretina, IGF-1 e resistenza insulinica, neurotensina, enteroglucagone, peptide YY, serotonina, sono solo alcuni degli importanti messaggeri i cui livelli negli individui intolleranti possono normalizzarsi con un regime senza glutine).
Non si finirebbe mai di descrivere il grado di complessità coinvolto. Basterà pensare che i peptidi oppioidi glutinosi in grado di interferire con le secrezioni neuro-ormonali hanno a che fare solitamente con due tipi di siti oppioidi: recettori che si attivano a basse concentrazioni di peptidi oppioidi e determinano un aumento delle secrezioni, e recettori che si attivano solo ad elevate concentrazioni (perché offrono una minore affinità chimico-fisica) portando ad un effetto inibitorio sulle secrezioni [Amoroso 1988].
La complessità diventa esponenziale se si pensa che ognuna delle secrezioni influenzabili dai peptidi oppioidi glutinosi è un messaggero altamente multi-funzionale. Consideriamo ad esempio la grelina, su cui ora voi pensavate di sapere tutto. Dimentichiamoci per un attimo del senso di fame, nell’infanzia e nell’adolescenza una delle funzioni della grelina è di attivare il recettore opioide dell’ormone della crescita. Modan-Moses [2003] riporta le osservazioni su 12 adolescenti maschi con ridotta crescita in altezza ed episodi anoressici in cui la sospensione del glutine risolve entrambe le problematiche. Nella celiachia infantile si registrano spesso ridotti livelli di ormone della crescita che si normalizzano con la sospensione del glutine [Malcom 1969, Leveque 1979, Bianchi 1980, Fanciulli 2001]. Se questa situazione non viene corretta per tempo con la sospensione del glutine (entro la fine dell’adolescenza), alcuni pazienti con crisi celiaca ad una giovane età potrebbero approdare a qualsiasi cosa tra il nanismo e una ridotta altezza [Luciano 2002].
Kagnoff [1992] ricostruisce la storia celiaca di due gemelli: sono di bassa statura, il ché indica una crisi celiaca durante l’infanzia; in effetti all’età di 7 anni era stata loro diagnosticata anemia ferropenica. Il significato del malassorbimento di ferro nella celiachia è che la funzione di assorbimento del ferro è svolta solo nella parte superiore del piccolo intestino: se il fenomeno dell’atrofia dei villi è limitato a poche chiazze nella zona dedicata all’assorbimento di ferro mentre le altre aree non sono intaccate, allora non si avranno ulteriori evidenze cliniche di malassorbimento.
Questi due gemelli vengono diagnosticati celiaci solo all’età di 40 anni in quanto sviluppano sintomi intestinali con gonfiori e diarrea ricorrente. Sono questi due esempi di come la celiachia va e viene nel corso della vita, e nel periodo in cui rimane celata o almeno non riconosciuta nelle sue multiformi caratteristiche, il paziente ha una qualità della vita peggiore di chi ha invece adottato un regime senza glutine.
Perché alcuni hanno la crisi celiaca nell’infanzia senza che la loro statura sia affetta [Lejarraga 2000]? Perché in alcuni le conseguenze della celiachia sono un ritardato svuotamento gastrico, in altri un ridotto svuotamento della cistifellea e in altri ancora epilessia? La risposta ha a che fare con la complessità del network di recettori che è il teatro delle interferenze dei peptidi oppioidi. Se ripeto numerose volte il tiro di una freccia e il bersaglio è a me vicino non è impossibile che possa ottenere esattamente lo stesso risultato ogni volta. Ma se la difficoltà del tiro aumenta (distanza decuplicata o centuplicata) i risultati saranno drammaticamente più variabili. Più un sistema è complicato e più è statisticamente giustificato che vi siano soluzioni finali multiple.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, bisogna considerare anche che nel lunghissimo termine parte dei frammenti oppioidi del glutine finiscono per raccogliersi cumulativamente negli organi bersaglio. I peptidi oppioidi si possono accumulare nel fluido cerebrospinale di pazienti con elevati livelli urinari di peptidi oppioidi derivanti da glutine e caseina [Gillberg 1988]. Studi di follow up su bambini autistici hanno mostrato forti miglioramenti se questi pazienti venivano trattati con diete senza glutine e caseina [Reichelt 1981, Reichelt 1990]. Anche la gliadina è stata riscontrata nel fluido cerebrospinale di pazienti con paralisi e problemi neurologici, che andavano in remissione con la sospensione del glutine [Chinnery 1997].
In un seminario tenuto dal professore emerito Ilya Arshavskii per la ricorrenza del suo 80esimo compleanno, lo scienziato fisiologo russo spiegò alla platea dell’Anohin Institute of Normal Physiology di Mosca gli studi della sua vita: la normale funzionalità protettiva del feto viene degradata da un aumento di acidità dell’ambiente materno. Di conseguenza la placenta si lascia attraversare da sostanze ad alto peso molecolare. È noto che solo sostanze proteiche al di sotto del peso molecolare di 12.000 hanno normalmente la possibilità di passare. Il resto vengono tenute fuori dalla placenta. Ma quando c’è un aumento di acidità dell’ambiente interno, proteine della madre precedentemente bloccate e composti ad elevato peso molecolare dall’industria chimica penetrano nel feto. Questo meccanismo ci dovrebbe ricordare che l’organo di un corpo acidificato è più suscettibile alla penetrazione di sostanze tossiche di quello di un corpo non acidificato.
Ma il sovraccarico metabolico da glutine non favorisce solo la ridotta difesa dei diversi tessuti del corpo (verso inquinamenti esterni e verso il sovraccarico metabolico stesso), ma anche il prematuro raggiungimento del valore soglia di innesco di una certa patologia. Secondo Nikulina [2004] il glutine abbassa i valori soglia per lo scatenarsi di reazioni immuni. Esso infatti causa un fenomeno unico con induzione di certe particolari citochine e chemochine nelle cellule dendritiche, il che causa la maturazione precoce delle cellule di presentazione degli antigeni che porta ad una reattività aumentata dei leucociti, il che corrisponde ad una facilità di reazione immunitaria alterata.
Per cui, quando si dice che un certo metallo tossico X è la causa di una malattia, per esempio il berillio lo è della berilliosi, il mercurio lo è del mercurialismo, la situazione è un po’ più elaborata di questo, la diffusione sistemica negli organi e l’innesco dipendono dalle condizioni del corpo e dunque in gran parte dal suo sovraccarico metabolico.
Breve storia della celiachia
Per capire al meglio i problemi che oggi presentano alcuni individui intolleranti a frumento e altri cereali contenenti glutine dobbiamo partire da 10.000 anni fa (reperti archeologici di Uadi el-Natuf Tell, 7800 B.C.): al termine dell’ultima glaciazione, quando l’Europa era ancora coperta dai ghiacci, il sud-est asiatico fu il teatro delle prime coltivazioni da parte dell’uomo di una pianta erbacea la cui fruttificazione era quasi impercettibile e si chiamava grano. Con l’inizio di tali coltivazioni l’organismo che veniva dall’età della pietra fece la conoscenza del glutine ma non solo, si assunse un carico metabolico tutto nuovo, un carico di acidità e fermentazione (amidi complessi) e di detriti insolubili (lectine) che richiedevano una nuova generazione microorganismi spazzini in grado di coadiuvarne lo smaltimento o fare da cuscinetto nell’intestino contro queste novità. La conseguente acidificazione del nostro organismo, con la comparsa di parassiti nuovi in feci umane neolitiche, viene testimoniata dai reperti archeologici umani.
La rivoluzione delle colture di frumento permise un immediato e notevole incremento demografico ma portò anche a dei marcati risvolti “negativi”. Innanzitutto ci fu un brusco calo di statura media, circa 10- 12 centimetri in meno. Questo dato, considerando che il blocco della crescita fa parte del quadro di crisi celiaca infantile (insieme con diarrea, steatorrea, malassorbimento), è estremamente evocativo di una reazione celiaca classica verificatasi tra i primi coltivatori di frumento. A completare il quadro di reazione celiaca, troviamo anemia e osteoporosi, che sono delle conseguenze del malassorbimento nel celiaco. E appunto Eaton and Konner [1985] dimostrano, nelle comunità che per prime si dedicarono alla coltivazione del frumento, l’aumento di incidenza di anemia e di osteoporosi. Vengono segnalate anche malattie periodontali da demineralizzazione [Yudkin 1969], e numerosi altri ‘nuovi’ problemi evocativi della celiachia [Cohen 1989, Johnston 1987, Nelson 1999].
Se non considerassimo questa iniziale e generalizzata ‘reazione celiaca’ nelle comunità neo-introdotte al frumento sarebbe difficile spiegare come ci possa essere stato un tale declino dello stato di salute [Flannery 1969] pur nel bel mezzo di una esplosione demografica.
Detta in parole dolci, è come se, andando la macchina a sobbalzi per l’uso di un carburante che non è il suo, voi non vi fermaste davanti a tali bizze, in quanto con il tempo diventerà un’abitudine o forse migliorerà un pochettino. Detta in parole crude, essendo i bimbi celiaci delle società neo-introdotte al glutine suscettibili di un eccesso di mortalità per malattie infettive (del 700%) o anche per polmonite e broncopolmonite (del 300%) [O’Donoghue 1986, Johnston 1996, Peters 2003], è possibile ricostruire una realtà terrificante in cui essi morivano più facilmente e in gran numero [Greco 1995]. La gran parte dei casi di celiachia si verificavano nell’infanzia e in forme acute, “come quelli”, scrive Greco, “osservati nella mia esperienza clinica 25 anni fa a Napoli, con numerose fatalità a seguito di infezioni gastrointestinali in bimbi con crisi celiaca”. L’eccesso di mortalità per tubercolosi dei bimbi celiaci è del 600% [Peters 2003], al che viene da pensare che proprio il popolo di Egitto, maestro nella coltivazione del frumento e dell’orzo, fu teatro delle primissime epidemie di tubercolosi (7000 a.C.).
Oggi che la mortalità infantile è stata pressoché azzerata, le conseguenze sono meno drammatiche dell’ecatombe celiaca che abbiamo appena descritto (identificata come il primo stadio storico di reattività celiaca).
Quelle popolazioni che storicamente hanno alle spalle un periodo più breve di consumo abituale di frumento, ci forniscono il modo di ricostruire il secondo stadio storico di reattività celiaca, cioè il quadro definito “classico” della celiachia infantile con diarrea, malassorbimento, anemia o arresto della crescita, infezioni ricorrenti; la reazione ha spesso un carattere immediato. Tra gli indiani Punjabis, per esempio, è noto il fenomeno della “diarrea estiva”: d’estate le focacce sono fatte con farina di grano e non di mais come d’inverno [Romijn 1997], per cui c’è una prevalenza di disturbi gastrointestinali acuti solo d’estate.
Nello sviluppo successivo, il terzo stadio storico di reattività celiaca, è apparso, sorprendendo a suo tempo gli stessi ricercatori della materia, il fenomeno della diffusione della celiachia nell’età adulta.
Infine, arriviamo al quarto stadio storico in cui spesso la parte delle reazioni immediate e gastrointestinali scompare completamente; la celiachia diventa monosintomatica, silente, occulta, sommersa o come la si voglia chiamare.. che ti fa vivere non bene anche per una cinquantina d’anni senza mai arrivare a correlare i sintomi al consumo di glutine. In pratica la regola del “vivere poco” delle popolazioni che hanno vissuto la fase celiaca originaria millenni fa, è diventata la regola del “vivere male” anche a lungo.
Stiamo parlando di una degenerazione che generalmente impiega qualche decennio per materializzarsi.
Vivaldi [1995], ad esempio, presenta il caso di una donna affetta da anemia sideropenica sin dalla prima infanzia. Viene ricoverata all’età di 30 anni e i ricercatori, vista la crisi intestinale celiaca, arrivano alla diagnosi di celiachia. Con la sospensione del glutine si ha la guarigione dall’anemia: se ne deduce che per tutti questi anni la paziente aveva avuto sulle spalle una celiachia smorzata, non diagnosticata per 30 anni, che l’aveva costretta a regolari iniezioni endovenose di ferro che non riuscivano a ripristinare il suo stato di carenza.
Un altro esempio è quello di una donna cui la celiachia viene diagnosticata solo a 70 anni di età, nonostante il fatto che l’insorgenza c’era stata a 23 anni, inizialmente nella forma monosintomatica di epilessia, poi con disturbi crescenti, anemia, fastidi gastrointestinali non gravi, poi autoimmunità. Dopo soli tre mesi di dieta senza glutine la paziente 70enne già riporta notevoli miglioramenti, portando a conclusione una storia cinquantennale di celiachia neanche troppo smorzata.
La celiachia silente oggi è di molto più prevalente della celiachia “classica”, e la progressione celiaca può interessare un arco di tempo che copre tutta o gran parte della vita di una persona. Numerosi sono i lampi che aiuterebbero a riconoscere il temporale man mano che si avvicina, ma pochi sono quelli abituati a farsi aiutare e illuminare da questi “lampi celiaci” per arrivare alla diagnosi. Il fulmine arriva, distrugge la casa o una parte della mura, se ne va e nessuno si è accorto di niente relativamente alla causa del danno subito.
Nel 49% dei pazienti cardiopatici è stata evidenziata la positività ematica degli anticorpi celiaci anti-transglutaminasi [Peracchi 2002]; l’intolleranza al glutine, se non individuata, in questi casi può avere esiti fatali [Schattner 1999, Chuaqui 1986] Ma esamineremo in dettaglio questo argomento nel capitolo IV.
Quel che è importante è che nessuno o quasi sospetta queste vicende: un organismo che, dopo un particolare percorso di stress metabolico o tossico, perde la capacità (che già in partenza non è eccelsa per nessun mammifero) di smantellare segmenti con l’accoppiata prolina-glutamina (del glutine). Il percorso avverso metabolico che parte da ciò ha come ultima tappa l’attivazione causata da queste prolamine nel cuore del sistema immunogenetico (HLA), dove si trovano nicchie specifiche di interazione per innescare la celiachia. Normalmente il cuore del sistema immunogenetico (si trova sul cromosoma 6) è inaccessibile non solo a questi frammenti alimentari ma anche agli altri, eppure, a seguito di qualche grave danno biologico, o un progressivo stato di permeabilità intestinale o una forte immunosoppressione, o una storia decennale di acidificazione eccessiva, il fortino (HLA) diventa alla portata del traffico metabolico derivante dal glutine.
I dettagli scientifici che sono stati resi disponibili dalle ricerche fino agli ultimissimi anni (anticorpi ematici, glutamine insolubili, celiachia genetica, anticorpi celiaci nelle feci ma non nel sangue, peptidi oppioidi, etc. etc.) rendono possibile stendere tutto il discorso dall’inizio alla fine, cosa che mi sembra non è stato mai possibile fare durante tutto il corso dell’umanità a nessun ricercatore, per quante intuizioni avesse potuto avere sul problema glutine.
Pensate che l’idea che un candidato medico si faceva della celiachia fino a cinque anni fa durante gli studi universitari era di un’entità clinica prossima a poter essere assimilata al gruppo delle malattie rare. La maggior parte dei manuali contengono ancora la dicitura che 1 individuo su 1000 sviluppa celiachia. Questa affermazione è un residuato degli anni sessanta. Un decennio prima il termine celiachia non esisteva proprio (e cioè la medicina convenzionale non ammetteva che uno potesse ammalarsi per il fatto di consumare glutine). L’evidenza di alcuni pionieri [Gee 1889, Dicke 1948] mostrò che c’era un quadro ben preciso (diarrea, enteropatia infantile accompagnata principalmente da malassorbimento, ritardo della crescita e suscettibilità ad infezioni) e con i nuovi strumenti della biopsia intestinale negli anni cinquanta la conferma era affidata alla biopsia, appunto nei bimbi con il suddetto quadro celiaco.
Nel corso degli anni ottanta è diventato possibile usare i test sul sangue per testare sia la presenza degli anticorpi contro i frammenti glutinosi (anti-gliadina), sia di quelli che si sviluppano nella celiachia contro le strutture della mucosa gastrointestinale (anti-endomisio, anti-transglutaminasi, etc.).
All’inizio degli anni novanta molti ospedali, prima in Europa e poi in America, furono dotati dei kit per lo screening celiaco nel sangue e in questo modo si scoprì che anche gli adulti e pazienti che non presentavano affatto il quadro classico celiaco potevano avere positività ematica celiaca e, se si andava a vedere con la biopsia, avevano anche l’atrofia dei villi.
Secondo uno studio dell’Università di Ancona su 17000 ragazzi (età media: 11 anni), la prevalenza di celiachia è risultata dell’1%: l’implicazione immediata è che siano affetti almeno 550.000 individui solo in Italia. La stampa ha sottolineato che però sono solo 40.000 in Italia i celiaci diagnosticati [ANSA 2002], cioè ce ne sono oltre 500.000 con celiachia non diagnosticata che vanno incontro a patologie gravi senza che la situazione del glutine come fonte di problemi sarà mai scoperta.
Bene, in realtà da questo studio di Ancona sappiamo quanti italiani sviluppano l’atrofia dei villi entro l’undicesimo anno di età, rimane da rispondere alla domanda: “quanti sono gli individui con intolleranza genetica al glutine che svilupperanno l’atrofia dei villi nel restante periodo della loro vita (tra i 12 e gli 80 anni)?
Consideriamo infatti una certa fascia della popolazione, i parenti di individui celiaci. Nonostante siano apparentemente sani scopriamo non solo che l’incidenza di atrofia dei villi entro la prima adolescenza è del 6.5%, ma anche (mantenendo un continuo monitoraggio negli anni mediante le analisi sierologiche della celiachia) che altri ragazzi diventano celiaci già dopo un periodo di osservazione di 2- 5 anni [Pittschieler 2003]. Cioè in pochissimi anni l’incidenza della celiachia raddoppia, si passa da un 6.5% ad un 12%.
Per cui gli indizi parlano nettamente in favore di un aumento nelle varie fasce di età dell’incidenza di celiachia, mancano ancora studi epidemiologici ma non si può affatto escludere che il valore di partenza che abbiamo (l’1% ad 11 anni) possa raddoppiare o lievitare anche di più, nella tarda adolescenza, nell’età adulta o anche solo una volta diventati anziani o ammalatisi. Per esempio è noto il fenomeno dell’insorgenza di celiachia a seguito dello stress della gravidanza [Dondorp 1998]. Dunque quel 99% della popolazione che fino alla prima adolescenza non è diventato celiaco ha davanti a sè ancora gran parte della vita di certo irta di insidie e difficoltà, in cui vari agenti ambientali (mercurio, virus latenti, stress etc.) possono innescare la celiachia. Studi sperimentali mostrano che le cavie, a seguito di insulto tossico, soffrono di intolleranza ai cereali contenenti glutine (frumento, segale, orzo e avena) ma non di intolleranza a riso e soia, e il fatto che si tratti di un modello sperimentale di celiachia inducibile chimicamente è confermato dalla reazione della mucosa al glutine [Sandhu 1983]!
In una tavola rotonda tenutasi a Napoli nell’aprile 2003, Gasbarrini et al. riportano 60 casi di celiachia diagnosticati oltre i 65 anni di età. La celiachia in età geriatrica è un fenomeno su cui non ci sono pubblicazioni e il professore universitario ripropone una domanda antica ma con uno spirito e un incitamento diverso, si chiede se ha senso o no fare la diagnosi di celiachia a questa età. La risposta, questa volta: “Si, ha senso”. Fino a qualche anno fa la celiachia era considerato un fenomeno peculiare dell’adolescenza e soprattutto dell’infanzia. Concludendo, i ricercatori napoletani timidamente abbozzano una cifra di possibile prevalenza di celiachia negli anziani, tra il 7 e il 25%, ma ovviamente si attendono conferme [De Vitis 2001].
Il tema dell’insorgenza della crisi celiaca in corrispondenza di malattie croniche è particolarmente “caldo” oggi tra i ricercatori. L’incidenza di atrofia dei villi è del 24.6% in pazienti con asma, del 7.8% nelle tiroiditi autoimmuni [Larizza 2001], dell’ 8-10% nel diabete mellito [Holmes 2002], del 5% nella sindrome di Turner, del 9.5% nella sindrome di Williams, del 5% in pazienti con deficit di IgA, del 30% nelle epatiti croniche.
Hadjiavassiliou [2003a] ha riscontrato la positività ematica agli anticorpi per la celiachia in oltre il 40% di individui con atassia sporadica idiopatica. È stato coniato il termine di atassia da glutine in quanto questi pazienti hanno anticorpi celiaci che attaccano le cellule Purkinje del cervello. Anticorpi antigliadina reagiscono distruttivamente contro epitopi del sistema nervoso e questo sia in pazienti celiaci asintomatici dal punto di vista neurologico, sia (e in maniera maggiore) in questi pazienti affetti da atassia idiopatica, con e senza atrofia dei villi. I pazienti avevano in media 48 anni e solo il 13% aveva un qualche sintomo intestinale della celiachia!
Viste le difficoltà nella diagnosi di celiachia mediante biopsia e vista la prevalenza di fasi pre-celiache senza atrofia dei villi, un di più nello screening di persone in gruppi a rischio sono le analisi genetiche (HLA) diventate disponibili negli ultimi anni, che rendono possibile individuare chi è a rischio-predisposizione immuno-genetica, valutazione che è risultata particolarmente utile visto che gli anticorpi celiaci nel sangue hanno mostrato delle “defaillance” in numerosi casi dimostrati di celiachia.
Gli individui con predisposizione genetica alla celiachia (cioè con DQ2, DQ8, DQ7/DR11-12 e DQ9/DR7) sono il 40% della popolazione caucasica (cioè anche noi italiani). Holopainen [2002] monitorando una popolazione con suscettibilità genetica alla celiachia (389 individui) registra che il 65% di essi, entro un’età (media) di 38 anni, avevano già sviluppato atrofia dei villi [Liu 2002]. Di tutti questi pazienti si sa che la diagnosi precoce è necessaria per prevenire la progressione di forme celiache clinicamente silenti (e perciò difficilmente correlabili con l’intolleranza al glutine) verso gravi patologie croniche e autoimmuni. Ma allora, nell’era del “Progetto Genoma”, cioè il fantastico sforzo di multinazionali ed enti privati per trovare farmaci adatti ad ogni categoria genetica, noi (la popolazione) e i medici non dovremmo essere avvertiti di questo fenomeno della celiachia genetica o potenziale?
Nel momento in cui un individuo della civiltà del frumento si trova nei guai, la probabilità di uscire dai propri problemi gravi di salute è molto minore nel portatore di celiachia genetica rispetto ad altri senza, visto che in nessun modo si accorgerà del problema glutine o valuterà tale predisposizione genetica.
Non abbiamo cifre sull’epidemiologia del fenomeno celiaco nelle epoche precedenti l’introduzione della definizione teorica e strumentale della diagnosi celiaca, ma vedrete riportati già a partire dalle prime pagine del capitolo 2 alcuni credibili indicatori dell’aumento della celiachia nella civiltà industriale (e non mancherò di fornirne molti altri man mano che questo saggio sull’intolleranza al glutine si estende).
Scoperta del terzo millennio: dove sono le transglutaminasi?
Nel 1966 Marks e collaboratori scoprirono che 9 pazienti su 12 con dermatite erpetiforme avevano atrofia dei villi causata dal consumo di glutine. Fu mostrato più tardi che sia l’atrofia dei villi sia i rash cutanei di questi pazienti sono dipendenti dal glutine, e che la patologia cutanea può anticipare il coinvolgimento dei villi o anche esistere in assenza di coinvolgimento dei villi.
Il fenomeno della dermatite erpetiforme è mediato da uno degli enzimi della famiglia delle transglutaminasi che è presente sulla pelle, mentre il coinvolgimento dei villi (morbo celiaco) è mediato da uno degli enzimi della famiglia delle transglutaminasi che è presente sulla mucosa intestinale.
Sia i pazienti con dermatite erpetiforme sia quelli celiaci hanno gli anticorpi celiaci anti-transglutaminasi, ma i primi hanno una popolazione diversa di anticorpi dai secondi, in particolare la maggioranza degli anticorpi presenti hanno una fortissima affinità verso la transglutaminasi cutanea e un’affinità molto inferiore verso la transglutaminasi intestinale. Per cui si viene a determinare un ritardo o un’assenza in molti casi della capacità di far precipitare la reazione di atrofia dei villi, a meno che concentrazioni molto più elevate siano raggiunte [Sardy 2002].
Viceversa gli anticorpi capaci di innescare l’atrofia dei villi nella celiachia hanno un’affinità molto minore per i (cugini) enzimi transglutaminasi della pelle [Karpati 2004], per cui si spiega il fatto che non tutti i celiaci sviluppano la dermatite erpetiforme.
Finalmente è svelato il mistero delle identità sfumatamente diverse di queste due patologie: ci sono 8 enzimi della famiglia transglutaminasi, e a seconda di quale di essi sia coinvolto in primo piano ne derivano diverse patologie della famiglia delle reazioni di suscettibilità al glutine, di cui la dermatite erpetiforme e la celiachia sono le prime due scoperte.
I reni anch’essi presentano un enzima transglutaminasi cugino di quello sulla mucosa intestinale e la terza patologia (cronologicamente parlando) della famiglia delle reazioni di suscettibilità al glutine riguarda proprio loro. Nel caso della nefropatia IgA innescata dal glutine è documentabile la formazione di anticorpi celiaci sulla mucosa renale e i tipici depositi dell’autoimmunità dei reni [Coppo 1989a e Coppo 1991] ma, nella maggior parte dei casi, la reazione sulla mucosa renale non è così forte da alimentare una significativa presenza di anticorpi in circolo nel sangue e men che meno l’atrofia dei villi (che ha un’incidenza del 7% dei casi totali).
Quando alla fine degli anni ottanta iniziarono ad essere usati i nuovi test ematici per la celiachia, la prima cosa che venne notata fu che, in caso di nefropatia IgA, 19 pazienti su 27 avevano elevati livelli di anticorpi celiaci antigliadina [Laurent 1987]. Coppo [1986] evidenziò che gli immunocomplessi IgA, un indice di malattia, si riducevano notevolmente in pazienti con nefropatia IgA messi a regime senza glutine per dieci giorni in tre diverse occasioni. Reintrodotto il glutine di nuovo per un mese, gli immunocomplessi IgA ritornarono ai livelli elevati di partenza. Ricominciata la dieta senza glutine, questa volta per 6 mesi, tutti i pazienti con nefropatia IgA ottennero una normalizzazione dei valori clinici della malattia. Passò poco tempo da queste scoperte che si arrivò a sviluppare anche un modello sperimentale in cui per produrre nefropatia IgA in vari tipi di roditori era sufficiente come stimolo antigenico la somministrazione prolungata di glutine.
Le paratiroidi anch’esse hanno transglutaminasi. Kumar [1996] ha raccolto dati compatibili con una attivazione delle transglutaminasi del tessuto paratiroideo da parte degli anticorpi celiaci. Il siero di pazienti celiaci senza patologia paratiroidea reagisce con i siti sul muscolo liscio vascolare paratiroideo.
Perché allora non tutti i pazienti celiaci sviluppano una disfunzione paratiroidea? Perché gli anticorpi celiaci con elevata affinità verso la transglutaminasi intestinale hanno ridotta affinità verso le transglutaminasi del tessuto paratiroideo.
Anche le ossa hanno transglutaminasi
Il coinvolgimento di transglutaminasi neurali è stato dimostrato nelle zone affette in casi di corea di Huntington [Karpuj 2002], e tale osservazione ha preceduto di poco la scoperta che il 44% dei pazienti con corea di Huntington hanno elevati livelli di anticorpi antigliadina [Bushara 2004] e lo studio di Pereira [2004] che ha descritto 4 casi di sessantenni con corea di Huntington che sospendendo il glutine “inaspettatamente dimostrano un notevole miglioramento in termini di motricità”.
Il ché ci introduce ad un’area di studio molto vasta (che sarà approfondita a partire dalla prossima sezione) relativa agli effetti neurologici del glutine. Hadjavassiliou [2003], in un articolo esemplare e illuminante sull’argomento, titola che c’è un tempo per studiare l’intolleranza al glutine come qualcosa relativo solo alla morfologia dell’intestino e c’è un tempo (quello attuale) per considerare le forme neurologiche secondarie alla suscettibilità al glutine anche in assenza di atrofia dei villi. Tutta una serie di sindromi neurologiche di eziologia sconosciuta che presentano un’alta prevalenza di anticorpi celiaci sono state evidenziate da numerosi ricercatori, per cui il tempo è arrivato per studiare la risposta immune indirizzata contro le transglutaminasi neurali e le conseguenze cliniche in termini di patologie a carico del cervello e del sistema nervoso periferico.
Park [2004] ha dimostrato che l’aumento di ossido nitrico che si vede in casi di infiammazioni neurali è da mettere in correlazione con l’iper-attivazione della transglutaminasi2; le secrezioni di ossido nitrico diminuiscono fino all’80% in modo dose-dipendente correlato all’inibizione dell’enzima transglutaminasi della microglia.
Numerosi problemi neurologici sono caratterizzati da aberrante attività cerebrale della transglutaminasi, e i modelli sperimentali usati dai neurologi confermano che inibendo le transglutaminasi neurali si ottengono miglioramenti delle cavie in termini di motricità, di arresto della progressione patologica e di miglioramenti clinici [Gentile 2004, Dedeoglu 2002].
Relativamente alla solleticazione metabolica nell’intolleranza al glutine, Maki [2004] dimostra che muscoli, fegato, microglia e altri tessuti dell’intollerante al glutine hanno anticorpi celiaci generati in loco (cioè non quelli generati dalla transglutaminasi intestinale).
Dovete sapere che molti pazienti con sensibilità (non diagnosticata) al glutine sono destinati a sviluppare come conseguenza del cronico sovraccarico metabolico tutta una serie di malattie autoimmuni e Ventura [2000] sottolinea che la diagnosi precoce seguita dalla sospensione del glutine è l’unico modo di prevenire l’insorgenza di tali patologie autoimmuni.
Si può dimostrare che quanto più lungo è stato il periodo di consumo di glutine in un celiaco silente, tanto maggiore è la prevalenza di malattie autoimmuni [Ventura 1999].
Il 5% della popolazione generale ha anticorpi antigliadina nel sangue. La percentuale di positività a questo esame sale al 21% in pazienti con osteoporosi, al 40% in pazienti con nefropatia IgA, la percentuale (per quanto riguarda gli anticorpi antiglutaminasi) sale al 49% in pazienti con attacco cardiaco [Peracchi 2002], al 51.5% (antigliadina ematica) nei pazienti con tiroiditi [Jiskra 2003], al 57% nei pazienti con sindromi neurologiche di eziologia sconosciuta [Hadjivassiliou 1999].
Se ci sono anticorpi celiaci nel sangue significa che una qualche mucosa o tessuto ha iniziato a subire una sofferenza asintomatica. Se una macchina inizia a perdere gocce di petrolio in modi che mettono a rischio di incendio tutto il motore e se è sicuro e documentabile che danni di vario tipo seguiranno immancabilmente, noi che sappiamo che sta avendo luogo questo piccolo fenomeno per il momento asintomatico, come facciamo a dire che ci serve l’incendio per poter intervenire, come facciamo a dire che tutto va bene perché per il momento la macchina va bene? Non possiamo: il nostro corpo non è come un motore che si può eventualmente sostituire dopo bruciato.
“Ha senso aspettare l’atrofia dei villi per poter interrompere il consumo di glutine? Dov’è finito il principio di precauzione? Nelle malattie autoimmuni non ci sono cure per ritornare sani! Sono ben documentati, in situazioni con presenza di anticorpi antigliadina e assenza di atrofia dei villi, i risultati della sospensione del glutine in termini di remissione e di prevenzione.
Nelle prossime sezioni ci avviamo a raccogliere dati che dovrebbero rendere questo panoramica sull’intolleranza al glutine più ampia e più chiara, per quel che è possibile. Solo molto di recente sono state acquisite le conoscenze in merito all’esistenza di una famiglia di almeno 8 transglutaminasi. Indagini sono in corso, questo numero potrebbe crescere.
È un argomento questo molto difficile da sbrigare in poche righe, basti pensare che solo a livello cutaneo ci sono quattro tipi diversi di transglutaminasi. Un ruolo primario dell’attivazione delle transglutaminasi è stato documentato anche nella psoriasi [Thacher 1989]. Michaelsson [2000] individua 33 pazienti con psoriasi che hanno anche anticorpi antigliadina e solo due di questi hanno atrofia dei villi. Il ricercatore svedese allora sottopone questi pazienti a 3 mesi di regime senza glutine seguiti da 3 mesi di regime con glutine. Lo stesso viene fatto in pazienti con psoriasi ma senza anticorpi antigliadina, che servono come gruppo di controllo. Risultati: I pazienti psoriasici con anticorpi antigliadina mostrano una diminuzione dell’indice di malattia cutanea durante i 3 mesi senza glutine (oltre che una riduzione degli anticorpi antigliadina). I pazienti del gruppo di controllo non evidenziano variazioni invece. Poi viene reintrodotto il glutine per 3 mesi e il monitoraggio mostra un peggioramento dei pazienti che erano migliorati senza glutine. “In conclusione”, scrive Michaelsson, “pazienti psoriasici con anticorpi antigliadina possono migliorare a regime senza glutine anche se non hanno anticorpi antiendomisio e se non hanno atrofia dei villi e nemmeno alterazioni pre-celiache della mucosa”.
Aveva ragione Masch, pioniere nel 1970 nel dimostrare che si può avere sensibilità glutine-dipendente anche con una mucosa normale. A quel tempo le osservazioni di Marsch furono considerate un po’ troppo eccentriche.
E così per decenni si è cercato di far coincidere i metodi diagnostici di celiachia e di dermatite erpetiforme con risultati ovviamente bizarri e insoddisfacenti, prima che finalmente si giungesse a dire che è la presenza di immunocomplessi IgA con coinvolgimento della transglutaminasi cutanea il solo criterio diagnostico necessario nella dermatite erpetiforme, non certo l’atrofia dei villi intestinali.
Lo stesso meccanismo cellulare a carico della cute nella dermatite erpetiforme è stato dimostrato a carico dei reni nella nefropatia IgA di pazienti sensibili al glutine, per cui anche lo stesso metodo diagnostico è applicabile ai reni per individuare tutti quei pazienti “glutine-sensibili” senza atrofia dei villi.
Volendo continuare a fare come si è sempre fatto, tra i pazienti con nefropatia IgA, solo quelli con atrofia dei villi e non gli altri avrebbero dovuto essere trattati. E invece Coppo li trattò tutti (nonostante la maggior parte non avessero atrofia dei villi), e in tutti ottenne benefici clinici dalla sospensione del glutine.
Oggi numerose aree di studio della medicina (disturbi neuro-muscolari, produzione di neurotrasmettitori, prolattina ad es., ormoni, etc.) hanno prodotto dati clinici e di laboratorio tali che permettono di candidare al ruolo di sensibilità glutine-dipendente altre patologie (oltre ai sopracitati dermatite erpetiforme, nefropatia IgA, corea di Huntington, psoriasi, paratiroidi, demineralizzazione ossea, etc.).
Le caratteristiche che tutte le patologie glutine-sensibili condividono con la celiachia sono:
- si manifestano nell’intollerante a dieta con glutine;
- migliorano clinicamente dopo un certo periodo di dieta senza glutine;
- introduzioni successive di glutine faranno precipitare di nuovo i sintomi.
La mucosa intestinale in realtà ha capacità rigenerative notevoli e di molto superiori a quelle di altri tessuti contenenti transglutaminasi, per cui in casi di attivazione di transglutaminasi periferiche l’ideale è sospendere lo stimolo nocivo quanto prima è possibile e aspettarsi dei risultati dopo un periodo di rigenerazione sufficientemente lungo.
Detto in altre parole, le transglutaminasi periferiche soffrono molto più facilmente di celiachia ostinata che non va in remissione dopo la sospensione del glutine.
Bisogna sapere, infine, che le transglutaminasi “periferiche” (in reni, tessuto nervoso, pelle, etc.) sono particolarmente soggette ad un altro meccanismo in grado di attivarle e cioè quello tossico: infatti i metalli pesanti hanno un’azione erosiva e tossica a carico degli enzimi co-regolatori della transglutaminasi, l’ATPasi in prima fila, ma anche GTPasi e UTPasi [Kawashima 1991]. Per cui ci saranno, oltre a quelle glutine-indotte, anche nefropatie IgA, o psoriasi, o neuropatie, etc. di eziologia tossica.
Il ruolo degli anticorpi celiaci nelle patologie neurologiche e neuro-muscolari
Prima di avventurarmi nel compito (non semplice) di fare una sintesi dell’enciclopedica mole di ricerche sugli effetti neurologici dell’intolleranza al glutine, sento la necessità di fare due premesse: |
Il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico sono un organo bersaglio del sovraccarico metabolico generato dall’intolleranza al glutine, tanto è vero che:
a. i peptidi oppioidi si possono accumulare nel fluido cerebrospinale di pazienti con elevati livelli urinari di peptidi oppioidi derivanti da glutine e caseina [Gillberg 1988];
b. la gliadina è stata riscontrata nel fluido cerebrospinale di pazienti con paralisi e problemi neurologici, che andavano in remissione con la sospensione del glutine [Chinnery 1997];
c. l’intolleranza al glutine può determinare la comparsa di anticorpi contro le cellule Purkinje [Hadjavassiliou 2002];
d. gli anticorpi antigangliosidi (che sono indirizzati contro i tessuti nervosi e sono stati implicati in numerose sindromi di origine ignota) scompaiono in un paziente appena diagnosticato celiaco che sospende il glutine [Briani 2004].
A partire dal 1998 Hadjavassiliou ha introdotto il termine di “atassia da glutine” per indicare un’ampia gamma di disturbi neurologici in pazienti nei quali è dimostrabile un danno immunologico al cervelletto, alla parte posteriore della colonna vertebrale o ai nervi periferici, e nei quali ci può essere un miglioramento clinico con la sospensione del glutine.
In sindromi neurologiche gravi gli anticorpi antiglutine riconoscono in vitro una reazione celiaca contro le cellule Purkinje del cervello: c’è una reazione fortissima delle cellule Purkinje al siero di pazienti con atassia da glutine [Hadjavassiliou 2002], l’intensità della reazione diminuisce in pazienti appena diagnosticati celiaci senza sintomi neurologici e, se si diluisce la concentrazione del sangue testato, questa reazione è positiva solo per i pazienti intolleranti che soffrono di sintomi neurologici. Abbiamo usato la parola “intolleranti” invece che “celiaci” perché molti di questi pazienti hanno solo anticorpi antigliadina, senza atrofia dei villi e spesso senza neanche pre-celiachia della mucosa (Marsch I- III). Le cellule Purkinje non sono l’unico sito neurologico interessato da questo fenomeno. Molti pazienti con sintomi neurologici di origine inspiegata offrono una reazione celiaca simile a livello di tronco encefalico e di neuroni corticali del sistema nervoso centrale.
Anche gli studi effettuati da Chinnery [1996] e Collin [1991] indirizzano al fatto che una reazione celiaca sui tessuti nervosi contribuirebbe a determinare la progressione neurologica.
La celiachia “si presentava in 21 pazienti nella forma monosintomatica di disturbo neurologico e se si sospendeva per tempo il consumo di glutine i sintomi regredivano” [Volta 2002]. L’intervento precoce con la diagnosi e la sospensione del glutine è un punto particolarmente critico, per due motivi:
1. la maggior parte di questi pazienti ha celiachia latente o solo pre-celiachia (senza atrofia dei villi); e persino i pazienti con atrofia dei villi hanno generalmente manifestazioni intestinali minime o nulle;
2. la rigenerazione del sistema nervoso centrale è molto limitata.
Senza lo screening sistematico della celiachia in pazienti con problemi neurologici non sarebbe stato possibile a numerosi ricercatori individuare i numerosi casi neurologici trattabili semplicemente con la sospensione del glutine [Luoristanen 2003].
Chin [2002] usa parole diverse per sottolineare la stessa cosa: “Troviamo numerosi pazienti con problemi neurologici che hanno gli anticorpi celiaci, e il fatto che questa condizione celiaca venga scoperta significa che ora possono essere aiutati anche sostanzialmente (con la rimozione del glutine), mentre prima non c’era moltissimo che potessimo fare”.
Hadjavassiliou [2002b] evidenzia i significativi miglioramenti clinici che si ottengono dopo un anno di sospensione del glutine in questi pazienti.
L’incidenza di atrofia dei villi in individui con disfunzione neurologica di eziologia ignota è dell’12% [Burk 2001, Luostarinen 2001] e, se si considerano i pazienti con mucosa pre-celiaca, si arriva al 20% [Hadjavassiliou 2002]. Ancora maggiore è l’incidenza di anticorpi celiaci nel sangue, che va dal 57% al 37%, a seconda se si prendano in considerazione la loro presenza oppure esclusivamente livelli elevati di tali anticorpi celiaci [Bushara 2002, Hadjavassiliou 1996].
È Cooke per la prima volta nel 1966, e poi ancora nel 1984, a dimostrare che l’intolleranza al glutine può causare in questi pazienti con atassia da glutine perdita di cellule Purkinje, coinvolgimento della colonna vertebrale, infiltrati di cellule infiammatorie in vari punti del sistema nervoso. La segnalazione di Cooke riguarda anche il fatto che con la sospensione del glutine si osservano dei miglioramenti clinici notevoli.
Successivamente Kaplan [1988] conferma, sia con una rassegna di altri casi simili pubblicati in precedenza nella letteratura medica sia con osservazioni sue, che la celiachia dei pazienti affetti dal glutine in modo neurologico è silente, finanche lo status vitaminico risulta normale, e la risposta è positiva alla rimozione del glutine, soprattutto nei casi di neuropatia periferica assonale.
Un caso di atassia cerebellare viene riportato da Shams [2002]: si tratta di un uomo che ha avuto nella sua vita intermittenti periodi di sofferenza, presunta celiaca, con steatorrea e diarrea. A 51 anni insorge una crisi celiaca grave con diarrea e perdita di peso che nel giro di qualche anno conduce a colite ulcerosa e infine atassia. Inutile dire che il sospetto di celiaca solo a questo punto viene preso in considerazione, il paziente ha 54 anni e viene rilevata la presenza di anticorpi celiaci poco prima del decesso.
Hagen [2000] e Volta [2002], oltre a fornire esempi clinici di conseguenze neurologiche nella celiachia silente rinnovano il monito che “gastroenterologi, neurologi e medici generici dovrebbero tenere bene a mente la possibilità che sia la celiachia a poter causare patologie neurologiche tipo polineuropatie, atassia cerebellare ed encefalopatia”. Secondo Hadjavassiliou [1998] queste sindromi avrebbero un’incidenza anche maggiore dell’epilessia da glutine.
In età pediatrica individuare per tempo l’intolleranza al glutine vale, nel caso di una bimba di 15 mesi, la guarigione da una situazione grave di microcefalo e ritardo psico-motorio [Bostwick 2001]. La crescita dei tessuti cerebrali, che si era interrotta riprende con la sospensione del glutine e in una successiva reintroduzione del glutine si arresta di nuovo.
Per quanto riguarda l’età geriatrica, in Inghilterra Pereira [2004] presenta 4 sessantenni con Corea di Huntington cui viene diagnosticata la celiachia. Con la sospensione del glutine, scrive il ricercatore, “inaspettatamente le pazienti dimostrano un notevole miglioramento in termini di motricità”. Sempre nel 2004 un gruppo di ricerca del Minnesota trova che il 44% dei pazienti con corea di Huntington hanno elevati livelli di anticorpi antigliadina [Bushara 2004].
Camilleri [1983] ricostruisce la storia celiaca (decennale) precedente alla diagnosi in una 62enne che sviluppa una encefalomielopatia demielinizzante secondaria all’intolleranza al glutine non diagnosticata.
La dieta senza glutine stabilizza la situazione clinica di un 47enne con degenerazione spino-cerebellare secondaria a celiachia [Ward 1985].
Collin [1991] riporta che con la sospensione del glutine (dopo la diagnosi di celiachia) c’è la remissione in un paziente di una grave forma di demenza con sintomi gastrointestinali minimi.
Viader [1995] riporta una neuropatia periferica demielinizzante che risponde discretamente alla sospensione del glutine e somministrazione di acido folico.
Stenhammar [1996] riporta la stabilizzazione di distrofia muscolare in un bimbo di 15 mesi quando si sospende il consumo di glutine. La tetania in una bimba di 8 mesi si risolve con la sospensione del glutine [Moltu 2000].
Un notevole miglioramento dei sintomi neurologici e relativi riscontri di laboratorio neurofisiologici viene segnalato da Battisti [1996] a seguito di sospensione di glutine e somministrazione di vitamina E in un paziente con disfunzione cerebellare e neuropatia periferica.
L’encefalopatia posteriore anch’essa si rivela secondaria a celiachia e soprattutto reversibile se si introduce la dieta senza glutine [Munchau 1999]. Anche Beyenburg [1998] riporta un’esperienza simile e sottolinea che la celiachia dovrebbe essere sospettata e indagata in casi di leucoencefalopatie.
Neuropatie secondarie a celiachia sono descritte anche da Kelkar [1996], Muller [1996] e Polizzi [2000]. Quest’ultimo segnala il caso di una ragazza, celiaca dall’infanzia, che reintroducendo il glutine è soggetta in due occasioni, la prima a 10 anni e la seconda a 12 anni, a ricadute celiache con neuropatia periferica acuta. I sintomi sono: impossibilità a camminare o tenersi in piedi, acuta debolezza muscolare e dolori intensi (come di spille e aghi infilati nelle gambe), parestesie brucianti, anomalìe sensoriali. Tutti questi problemi si risolvono e la ragazza può riprendere la sua routine quotidiana nel momento in cui viene escluso il glutine dall’alimentazione.
Altre osservazioni di sindromi neurologiche secondarie a celiachia sono le seguenti: due casi di polineuropatia con coinvolgimento meningeo [Bernier 1976]; una sindrome pan-cerebellare progressiva in un 57enne [Finelli 1980]; un caso di sindrome cerebellare progressiva [Kristoferitsch 1987]; un caso di encefalopatia con mioclono [Tison 1989]; quattro casi di atassia mioclonica [Bhatia 1995]; tre casi di atassia da glutine con complicazioni cerebellari, del tronco encefalico e della colonna vertebrale [Muller 1996]; un caso di sintomi neurologici con coinvolgimento cerebellare e del tronco encefalico [Ghezzi 1997]; un caso di rapida encefalopatia in un 72enne [Bruzelius 2001]; un caso di atassia mioclonica progressiva [Tuzun 2001]; un caso di sindrome cerebellare con coinvolgimento meningeo [Cartalat-Carel 2002].
Sono state anche osservate manifestazioni monosintomatiche della celiachia che includono problemi neuromuscolari di origine inspiegabile, in particolare polimiositi e miopatie [Hadjavassiliou 1997].
Hardoff [1980] descrive il caso di una bambina di 8 anni con miopatia in cui si arriva successivamente alla diagnosi di celiachia; con la sospensione del glutine la miopatia scompare del tutto.
Byrne [2002] descrive la guarigione di una 59enne costretta alla sedia a rotelle per una grave miopatia associata ad osteomalacia. I sintomi gastrointestinali sono assenti ma si arriva comunque alla diagnosi di celiachia. L’adozione di un regime senza glutine porta ad una eccezionale guarigione della paziente, entro tre mesi essa poteva camminare di nuovo con un bastone.
Le miopatie rispondono molto bene in pazienti celiaci alla sospensione del glutine: una paziente 45enne ottiene un ritorno delle forze, una scomparsa dei dolori muscolari e una risoluzione di anemia e perdita di peso dopo tre mesi senza glutine [Russell 1994].
Un altro caso di miopatia osteomalacica è quello di una paziente 54enne che accusa da un anno una progressiva debolezza muscolare e dolori muscolari [Basu 2000]. Viene scoperta la celiachia e la donna ottiene una remissione in 6 mesi dalla sospensione del glutine.
Anticorpi celiaci nelle feci
Nel 2000 Kaukinen prende in considerazione 93 pazienti rivoltisi al gastroenterologo perché riportano che ogni volta che consumano cereali contenenti glutine accusano problemi addominali. Solo 9 (9.7%) di essi hanno atrofia dei villi, 17 (18%) hanno un’aumentata densità di linfociti gamma/delta+ (pre-celiachia), 38 (40%) hanno anticorpi antigliadina nel sangue. L’interpretazione che da’ il ricercatore finlandese è che si dovrebbe ignorare la presenza di anticorpi celiaci antigliadina in quei casi in cui non c’è un riscontro positivo sulla mucosa. La cosa diventa paradossale quando si legge nelle sue conclusioni che “i tentativi di rimuovere il glutine in assenza di una diagnosi di celiachia attiva o latente devono essere fortemente scoraggiati”. Straordinario. Se il paziente stesso accusa problemi dopo il consumo di glutine e lo screening classico celiaco non da’ riscontro, il ruolo del gastroenterologo sarebbe, secondo l’opinione di Kaukinen, di usare tutta la sua autorità per trattenere il paziente dal suo intento di sospendere il glutine se non è evidente nemmeno l’allergia.
Abbiamo parlato dei pazienti con anomalìe pre-celiache della mucosa, abbiamo detto dei pazienti senza atrofia dei villi ma con anticorpi celiaci nel sangue, ma cosa dire ora del restante 60% dei pazienti di Kaukinen con disturbi addominali da consumo di glutine? Li dovremmo mandare dallo psichiatra solo perché non abbiamo provveduto noi ad effettuare una valutazione urinaria della “peptiduria”? Li dovremmo mandare dallo psichiatra solo perché non abbiamo provveduto noi ad una valutazione di possibili passati episodi celiaci (nell’infanzia)? Li dovremmo mandare dallo psichiatra solo perché non abbiamo provveduto noi alla valutazione HLA della predisposizione genetica alla celiachia?
Una strada alternativa si aperta ed è questa: si può monitorare la presenza di anticorpi celiaci anti-transglutaminasi nelle feci. La celiachia inizia in questo modo, con gli anticorpi prodotti sulla mucosa, e non è detto che questi necessariamente passeranno nel sangue prima (e persino neanche dopo) l’atrofia dei villi.
D’altro canto i risultati del monitoraggio della presenza di anticorpi celiaci anti-transglutaminasi nelle feci sono sbalorditivi: gli anticorpi celiaci sono riscontrabili nel 100% degli individui con atrofia dei villi (cioè l’esame delle feci ha una specificità maggiore di qualsiasi test del sangue!), nel 75% degli individui con microcoliti e malattie autoimmuni che scompaiono con la sospensione del glutine (anche qui la loro superiorità rispetto al test ematico della celiachia è notevole, perché quest’ultimo individua solo un 20% delle persone affette dall’intolleranza al glutine).
È ben documentato a livello scientifico (oltre ad essere logico) che la formazione di anticorpi celiaci, ad esempio, sulla mucosa renale, nel caso di nefropatia glutine-dipendente, non è necessariamente accompagnata dalla presenza di anticorpi celiaci nel sangue [Coppo 1989a e Coppo 1991].
Un fenomeno simile è quello che si verifica sulla mucosa bronco-alveolare per contatto prolungato con particolato di berillio: anche quando gli individui suscettibili dopo alcuni anni di progressione di questo fenomeno si ammalano clinicamente, spesso neppure allora gli anticorpi al berillio raggiungeranno il sangue (appaiono nel sangue solo in una minoranza delle persone colpite). Gli anticorpi specifici sono presenti solo a livello della mucosa affetta, quella polmonare. Questa affermazione è più seria di quanto appaia ad un occhio inesperto, perché per quarant’anni prima che diventasse disponibile la tecnologia del prelievo del fluido bronco-alveolare si negò apertamente che fosse possibile considerare affette dall’esposizione al berillio persone che non avessero nel sangue gli anticorpi contro il berillio. E quante vittime non sono state riconosciute, rimborsate o diagnosticate prima che si arrivasse ad un tale traguardo? Sicuramente più dell’80%. Per decenni non si poté dimostrare legalmente che stavano male a causa dell’esposizione lavorativa, fino a quando non diventò disponibile la tecnologia del prelievo del fluido broncoalveolare. Il percorso pluri-decennale di valutazione sui pazienti con berilliosi si è concluso determinando l’importanza della reazione della mucosa e la bassa affidabilità degli anticorpi ematici. Infatti chi è esposto ad un agente ambientale e ne diviene sensibilizzato reagisce notoriamente sulla mucosa e non è per niente sicuro affidarne la valutazione alla formazione di anticorpi nel sangue.
Numerosi osservatori documentano lo stesso con gli anticorpi celiaci, cioè che il monitoraggio degli anticorpi celiaci nel sangue da’ risultati erratici (proprio come nei pazienti con berilliosi). Spesso, anche in presenza di atrofia dei villi, gli anticorpi celiaci sono completamente assenti. È necessario infatti andare a considerare la formazione degli anticorpi antigliadina in loco.
Molti dei pazienti celiaci, una volta che il glutine sia stato sospeso per un periodo sufficientemente lungo (come tentativo estremo dopo tutta una serie di vicissitudini senza soluzione), non solo riscontrano un giovamento senza precedenti, ma scoprono che ogni tentativo di successiva reintroduzione porta a riacutizzazioni dei vecchi problemi. Così questi sfortunati riescono a malapena (per i crescenti disagi) a fare i due mesi di consumo di glutine necessari per effettuare l’analisi della celiachia (prima degli anticorpi e poi della mucosa) e a seguito del risultato negativo per gli anticorpi nel sangue il gastroenterologo sconsiglia di fare il prelievo bioptico intestinale. Dovete sapere che esiste la possibilità con questi esami di falsi negativi. Quante volte, come segnalato nella letteratura medica, c’era atrofia dei villi pur nella totale assenza di anticorpi ematici per la celiachia!!
Picarelli a Roma ha dimostrato il risultato positivo di stimolazione in vitro del campione bioptico (di mucosa intestinale) con la gliadina: la mucosa dei pazienti con sensibilità glutine-dipendente reagisce nonostante spesso la mucosa del paziente non abbia alterazioni celiache o pre-celiache della mucosa.
• La storia che ho per il Dr. Fine è questa: mia figlia ha avuto una combinazione di sintomi per molti anni tra cui perdita di capelli, gravi dolori addominali, tossire sangue. Aveva visto numerosi specialisti in molti anni che in pratica la scaricavano di volta in volta. La più recente era stata per una panoramica a raggi X, alla ricerca di un’ulcera nel tratto gastrointestinale. Ma l’ulcera non fu trovata. Essendo io celiaca avrebbe dovuto essere testata per la celiachia, ma ormai l’abitudine era tale che o si negavano a lei o dicevano che non era il suo problema, alla fine i test non si fecero e così noi andammo dal Dr Fine. Il risultato evidenziò la sensibilità al glutine e così mia figlia ha potuto iniziare una alimentazione senza glutine. La caduta di capelli si è interrotta, non ha più sputato sangue ed è migliorata la situazione allo stomaco. I gravi dolori addominali sono spariti. Per questo e altro penso che il Dr Fine stia offrendo un servizio umanitario di grande pregio. |
Perciò si deve fare ammenda (rispetto alla situazione attuale) e riconoscere che bisogna andare a verificare la presenza degli anticorpi della celiachia nell’intestino e non nel sangue.
Abbiamo citato lo studio del ricercatore finlandese nel 2000 in quanto capace di rappresentare quella che è la regola al momento attuale nella vita pratica ospedaliera, la “regola di Kaukinen”: in caso che le analisi della mucosa siano negative il paziente deve tornare a casa e consumare glutine, e se fa diversamente sarebbe quasi opportuno chiamare la neuro perché il problema non è nelle analisi e quindi può essere solo nella sua testa. Ovviamente tutto questo viene detto senza nemmeno testare la storia della peptiduria, per cui è evidente la superficialità degli specialisti che fanno ciò.
Tra l’altro vedremo nel capitolo 5 che gli psicologi studiassero seriamente la sensibilità glutine-dipendente ne risulterebbe uno svuotamento dei manicomi (schizofrenia). I contenuti che andiamo ora a considerare nel capitolo 2 rendono evidenti i costi in termini di patologie croniche del non usare gli strumenti per la diagnosi precoce.
CAPITOLO 2
La mia formazione (ossea)
Avevo 21 anni, studente residente nel centro storico di Napoli a pochi passi dall’Università in un appartamento affittato con altri 12 universitari, seppi da un amico che in quell’anno con la prescrizione del medico della mutua e l’iscrizione universitaria si poteva fare gratis la radiografia e la visita specialistica di valutazione per la colonna vertebrale (a lui serviva per iscriversi in piscina). Era una di quelle cose che, se non fosse stata gratis e se non fosse stata a portata di mano nell’ospedale adiacente alle nostre aule, non avrei assolutamente fatto, ma invece eccomi lì, fatta la radiografia, ad attendere la chiamata del mio turno. L’assistente (giovane, uno studente) chiamò il mio numero e fece cenno di farmi avanti, portammo insieme la mia radiografia della colonna vertebrale al medico, certamente un ricercatore della clinica universitaria. Mi pare che in quella stanza rettangolare, ben distanziate tra loro ci fossero sei o otto scrivanie, attaccate al muro, ognuna con il suo luminare, e ognuno di loro seduto di spalle a noi ed altri che rimanevamo al centro dell’androne. Il medico additò al giovane alcune cose sulla lastra e prese una penna; non ricordo le parole ma disse una cosa del genere: “Ha più di settant’anni?”. L’altro, senza aprire la bocca, spostò un po’ gli occhi e un po’ i piedi come per guardarmi faccia a faccia (l’equivalente di rispondere al professore: “È qui. Eccolo”). Il medico neanche lui disse niente, mi individuò e iniziò a scrivere.
Mi impressionò tantissimo questa sequenza, sicuramente avevano trovato una situazione tanto degenerata e grave che solo se ero vecchissimo si poteva giustificare. Andai subito a leggere sul foglio, ma anche lì il medico ermetico aveva taciuto, ovvero c’erano solo termini in stretto gergo medico e non riuscivo neanche a leggere che tipo di ginnastica mi era stata assegnata. Mi rimase l’amaro in bocca per qualche settimana (con quel silenzio glaciale fatto di una domanda sola del medico), non era stata proferita altra parola ma era come se mi fosse stato detto che la mia situazione era proprio senza speranza; più ci pensavo è più mi sentivo perso. Feci le dieci sedute di ginnastica presso il centro convenzionato, poi a fatica rimossi l’episodio.
Ma veniamo ad un altro momento, vari anni dopo, ecco che mi capita di ritrovarmi in mano il frammento magico (quando non lo stavo neanche cercando) che ricompone questo puzzle seppellito. L’osteoporosi è una manifestazione comune della celiachia, numerosi studi ne parlano. Alla ricerca allora di una comune definizione cui associare la parola “osteoporosi”, apro il manuale medico e leggo:
Clinicamente, il paziente con osteoporosi si presenta lamentando male alla schiena, che si diffonde lungo tutto il tratto lombare; ci sono ampie zone molli, il disturbo può presentarsi anche localizzato se c’è una compressione patologica.
Io dolori alle ossa non ne ho mai avuti (se non qualche volta a livello lombare dopo aver mangiato), per cui la mia idea iniziale è confermata che l’ “osteoporosi” definisce una condizione di rarefazione ossea che riguarda altre persone. Ma attenzione, la definizione non è finita ancora:
Il paziente sviluppa gradualmente cifosi della spina dorsale.
Alla radiografia si evidenziano una notevole demineralizzazione con una conformazione trabecolare diffusa delle vertebre che assumono forma biconcava.
Per chiudere la descrizione dal manuale sull’osteoporosi:
Trattamento: il paziente dovrebbe evitare di prendere posizioni fisse per troppo a lungo, e deve essere incoraggiato a promuovere il tono muscolare e i giusti esercizi di carico per le ossa. Si può far tenere per qualche mese un busto per la colonna.
... e infatti mi fu assegnata una serie di esercizi; la demineralizzazione c’è tutta dalla radiografia, la cifosi anche, insieme con la forma biconcava delle vertebre. Il manuale specifica:
La rarefazione ossea che si osserva nell’osteoporosi è secondaria al processo di lisi caratteristica della senilità o del periodo post-menopausa.
Un’amica che è dottoressa dello sport mi ha spiegato che, anche vedendo in una radiografia l’immagine di rarefazione ossea, non si ha modo di distinguere bene se è da osteoporosi (fenomeno di solito dell’età avanzata) oppure da osteomalacia, per cui ad un certo punto il medico per completare la sua analisi doveva sapere quanti anni avevo. Vista la mia età non si sbilanciò per l’ “osteoporosi”, sulla prescrizione, perché ero così giovane e poteva essere anche un fenomeno di demineralizzazione ossea di origine metabolica (osteomalacia) o di altra natura (osteopenia), ma scrisse solo i termini tecnici (cifosi.., ..biconcava, rarefazione.., etc.) e gli esercizi prescritti per il caso. Ahh, come mi sarei sentito sollevato se avessi saputo il tutto in quel momento!!
E che cosa vi dice ciò? I tre personaggi, il medico ermetico, lo studente servizievole e il paziente iper-disorientato? Ogni volta che ci penso mi fa proprio sorridere, sembra una scena estratta da un film di Verdone (cioè i protagonisti e il luogo della vicenda hanno caratteristiche molto sottolineate, ma è andata proprio così!).
A me questo dice anche dell’altro. Mazure, un ricercatore dell’ospedale di Buenos Aires, scrive: “I dati da noi raccolti forniscono la prova incontestabile che la rarefazione ossea avviene in celiaci asintomatici prima che ogni altro sintomo diventi evidente. Poiché la diagnosi precoce e l’adozione del regime senza glutine sono di fondamentale importanza per evitare ulteriore deterioramento della struttura ossea, i pazienti con problemi di demineralizzazione dovrebbero essere indirizzati subito alle specifiche indagini celiache”.
Certo nel mio caso, se non ero un vecchio di novant’anni e nemmeno una donna in post-menopausa, potevo essere solo un caso di celiachia monosintomatica!
Perché non ci fai, mi chiede qualche lettore (già lo sento), una bella lista alla fine del libro delle occasioni che i vari medici hanno avuto di sospettare qualcosa e chiedermi di fare lo screening ematico della celiachia? Va bene forse la farò, però non contate che ci metta dentro questo episodio. Infatti stiamo parlando del novembre 1992, e lo studio sopramenzionato di Mazure è del 1994, ce ne sono molte altre di ricerche con conclusioni simili, ma non ne ho trovate precedenti al 1992.
È stato noto per molto tempo che vari livelli di rachitismo infantile sono una delle possibili presentazioni classiche della celiachia.
Una 23enne si presenta con osteomalacia (difetto di mineralizzazione ossea) e osteoporosi secondaria (rarefazione per aumentata lisi ossea), e alla fine si scopre che queste situazioni sono state determinate da una celiachia non riconosciuta per molto tempo [Bojkovic 2002]. La presentazione della celiachia nella giovane è una di quelle classiche, con bassa statura, steatorrea, anemia, perdita di peso e dolore cronico alle ossa. La mucosa del digiuno presenta atrofia dei villi, la dieta senza glutine apporta una remissione clinica completa.
Apriamo anche la parentesi degli anziani, mi risulta che anche i loro problemi alle ossa dovrebbero sollecitare le indagini per la celiachia: Monti [1996] riporta la sofferenza per 5 anni da osteomalacia in una 70enne, tanto grave che i dolori ormai rispondono solo ai narcotici. Grazie anche alle altre caratteristiche cliniche richiamanti una celiachia classica, perdita di peso, anemia, debolezza, si arriva alla diagnosi di celiachia e la sospensione del glutine porta un miglioramento generale, situazione alle ossa compresa.
Dorst [1998] ricostruisce la storia di diffusi dolori alle ossa per 20 anni in una 67enne che durante i suoi numerosi ricoveri in ospedale aveva ricevuto come diagnosi “anemia ferropenica”, “osteoporosi” e “iperparatiroidismo”. Nonostante tutti i precedenti tentativi di trattamento, somministrazione di vitamina D3, calcio, fluoruri, ferro, la condizione della paziente era deteriorata ad un tale livello che aveva costantemente bisogno di supporto medico. Ad un certo punto viene finalmente identificato il morbo celiaco (anticorpi celiaci e atrofia dei villi intestinali). L’adozione del regime senza glutine porta ad un miglioramento dello stato della signora entro 3 mesi, i problemi si sono ridotti a l’autonomia della paziente è aumentata.
Una 60enne visitata per osteoporosi era rimasta a lungo un enigma nonostante numerose indagini e i soliti tentativi terapeutici. Alla fine ci si indirizza alla diagnosi di celiachia che viene confermata e che clinicamente è caratterizzata da dolori addominali e perdita di peso [Scharla 2003].
Hepner [1978] descrive una 54enne con steatorrea (“feci unte”) e osteomalacia, si tratta in realtà di una paziente celiaca che aveva ripreso a consumare il glutine. Le viene chiesto di sospendere di nuovo il glutine e così facendo prima si risolve la steatorrea e poi l’osteomalacia.
Il controllo della celiachia viene consigliato nelle donne in post-menopausa (particolarmente a rischio per l’osteoporosi) perché la rimozione del glutine apporta anche a loro un miglioramento della densità ossea, perché nessun altro possibile intervento determina un risultato così marcato e perché il sovrapporsi di fattori di rischio in questa fascia di età può essere particolarmente deleterio [Bai 1997, Kemppainen 1999, Sategna-Guidetti 2000, Chiechi 2002].
Ci sono due cose da ricordare sull’infanzia:
1. che una crisi celiaca classica nell’infanzia non è un segnalibri da buttare nel cestino, prima o poi ritorna in forme insidiosissime e presenta il conto nell’età adulta. Cellier [2000] effettua un monitoraggio di individui che avevano ricevuto la diagnosi di celiachia nell’infanzia ma che poi erano tornati ad una dieta con il glutine incoraggiati dall’assenza di reazioni immediate. In un terzo di questi pazienti Cellier individua un elevato livello di osteopenia. Da cui se ne deduce, conclude Cellier, che questi pazienti non dovrebbero pensare di essere guariti dalla celiachia anche se non hanno sintomi intestinali quando consumano il glutine, è necessario sia un controllo continuo a lungo termine e sia che il medico faccia tutti i controlli adeguati per evidenziare i problemi in corso e in modo da far loro riprendere il regime senza glutine.
2. che sintomi di anomala formazione ossea o rachitismo nell’infanzia sono essi stessi una più che probabile manifestazione di celiachia [Pelikan 1967, Thalayasingam 1985, Stenhammar 1985, Khuffash 1987, Vanderpas 1987, Pratico 1995, Rawashdeh 1996, Thapa 1999, Cimaz 2000, Mohindra 2001].
Abbiamo parlato dei giovani, dei giovanissimi e degli anziani; passiamo ai pazienti nel terzo decennio di vita: Jerosch [1990] segnala un caso di celiachia che si presenta nella forma di una signora 36enne con dolori inguinali bilaterali. I raggi X rivelano uno stato avanzato di osteoporosi nell’area dei dolori (femori prossimali, con frattura da fatica sul calcare destro e zone Looser dell’area femorale sinistra sub-trocanterica). Alla fine si indaga la celiachia e il responso è positivo, per cui gli autori invitano a valutare questa possibilità in caso di pazienti giovani con osteomalacia.
La celiachia è una possibile causa di forti alterazioni metaboliche alle ossa che si presentano anche con gravi stati di disabilità. Lovric-Bencic [1996] presenta le osservazioni su una 41enne in cui la diagnosi di celiachia e la sospensione del glutine apportarono un miglioramento tale che la paziente fu di nuovo in grado di muoversi indipendentemente e fu registrato anche un miglioramento dello stato di mineralizzazione delle ossa.
Il ricercatore italiano Lupattelli [1994] scrive: “In questa pubblicazione presentiamo un grave caso di osteomalacia secondario alla celiachia: vengono da noi sottolineate le caratteristiche cliniche di questa celiachia atipica in cui sintomi gastrointestinali erano assenti. Si tratta di una 31enne in cui l’osteomalacia ha portato a deformazione scheletrica con fratture spontanee, la donna ha una notevole ipo-fosforemia, una tendenza a bassi livelli di calcio sierico e anemia. La paziente è anche in uno stato di depressione. Dopo avere indagato tutta una serie di possibili fattori si arriva alla diagnosi di celiachia. Viene prescritto un regime senza glutine che in un mese le apporta uno straordinario miglioramento”. Il ricercatore di Perugia conclude rimarcando che la gravità di questo caso era stata causata dal notevole ritardo della diagnosi e che sintomi a carico dello scheletro sono presenti in all’incirca il 30% delle forme atipiche di celiachia.
La densità di mineralizzazione ossea è sistematicamente ridotta in celiaci con la celiachia appena diagnosticata. Questo è un motivo pressante, che si va ad aggiungere ad altri potenziali effetti secondari dell’intolleranza al glutine, per instaurare subito un regime senza glutine. Si consiglia di fare sempre una valutazione iniziale dello stato di mineralizzazione ossea nei celiaci appena diagnosticata e di monitorarla fino a che non si sia normalizzata [Kalayci 2001]. In questo studio, conclude il ricercatore, è stato dimostrato che un anno di regime senza glutine è sufficiente nei pazienti celiaci per migliorare la situazione di osteopenia ma non per normalizzarla completamente. Per cui può essere necessario un periodo di monitoraggio più lungo di un anno.
Il meccanismo.
Nuti [2001], che osserva in 53 pazienti su 255 con osteoporosi identifica anticorpi celiaci nel sangue, sottolinea che i pazienti con celiachia non diagnosticata sviluppano anomalìe al processo di mineralizzazione delle ossa dovute a vari fenomeni secondari all’interferenza del glutine, il malassorbimento di calcio, l’iper-paratiroidismo e la carenza di vitamina D. Il periodo che si rimane a regime senza glutine è proporzionale al livello di normalizzazione che si ottiene per tutti i parametri di mineralizzazione ossea.
Il grado di assorbimento del calcio è notevolmente ridotto nella celiachia e migliora solo dopo che si è sospeso il glutine. I livelli di ormoni sierici paratiroidei si normalizzano con la sospensione del glutine, stabilizzando così il processo di formazione ossea. I livelli di vitamina D carenti anch’essi si normalizzano. Nella celiachia sono ridotti anche i livelli di osteocalcina e di peptide carbossilterminale del pro-collagene tipo I, cioè due parametri coinvolti nella corretta sintesi ossea, ma anch’essi si normalizzano a dieta senza glutine. Con la sospensione del glutine migliorano i valori degli indici di formazione ossea e di assorbimento osseo, BALP, PINP, e N-Telopeptide-x (rilevanti sia per l’osteomalacia che l’osteopenia). Il livello di IGF-1 (Insulin Grow Factor) nel celiaco che consuma glutine è ridotto, si normalizza solo con la sospensione del glutine.
Tutti gli studi riportano che con la dieta senza glutine rientrano nella norma il contenuto minerale delle ossa, l’area delle ossa e la densità ossea, anche se per arrivare ad una perfetta normalizzazione bisogna aspettare qualche anno e soprattutto non posticipare troppo tardi nell’età l’intervento senza glutine.
Conclusioni.
Per non prendere troppo spazio ho dovuto terminare bruscamente la rassegna della letteratura medica (considerato che sul comodino vicino al letto ho circa cinquanta pagine di studi che dimostrano le patologie ossee dovute al consumo di glutine nel celiaco asintomatico). Essendomi trovato al bivio se fare del mio libro un’opera in cui includere con la massima completezza e dettaglio tutte le dissertazioni da me raccolte, e quindi chilometrica, oppure un’opera in cui io faccio un grandissimo lavoro di sintesi e riesco così ad offrire al lettore la massima panoramica possibile senza dovergli dare da leggere un paio di enciclopedie, scelgo (anche per i prossimi argomenti) la seconda opzione, al lettore interessato rimarrà una lista di riferimenti bibliografici per approfondimenti. Se vi trovate nella biblioteca universitaria o su internet (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed), potete ottenere il sommario o l’articolo (che vi interessa) completo in lingua originale digitando nome dell’autore e anno:
Arnala [2001], Bai [1997], Barera [2004], Barnes [2002], Bode [1991], Caraceni [1988], Carbone [2003], Caramaschi [2001], Carvalho [2003], Cellier [2000], Chiechi [2002], Ciacci [1995 e 1997], Cimaz [2000], Corazza [1997], Corazza [1995], Corazza [1996], De Lorenzo [1999], Di Sario [1994], Di Stefano [1999 e 2000], Exner [1978], Fickling [2001], Garcia-Porrua [2000], Grzenda-Adamek [2003], Kavak [2003], Karkoszka [2000], Kemppainen [1999], Khuffash [1987], Lamb [2002], Leiva [1996], Lemieux [2001], Lindh [1992], Mautalen [1997], McFarlane [1996], McFarlane [1995], Meyer [2001], Mohindra [2001], Molteni [1990 e 1995], Mora [1993, 1999 e 2001], Mustalahti [1999], Nelson [1973], Pazianas [2004], Pelikan [1967], Pistorius [1995], Rawashdeh [1996], Sategna-Guidetti [2000], Scotta [1997], Sdepanian [2003], Selby [1999], Shaker [1997], Stenhammar [1985], Szathmari [2001 & 1997], Thapa [1999], Thalayasingam [1985], Valdimarsson [1994], Valdimarsson [1996], van den Bosch [1996], Vasquez [2000], Vogelsang [2000], Walters [1995], Wong [2002], Gokhale [2003].
Chi tra di noi ha un organismo che non gli concede nemmeno il consumo di una briciola di glutine in nessun momento della vita (per la presenza di reazioni immediate)? Ce ne sono pochi tra di noi, due soli a dire il vero ne ho incontrati di persona. E poi ci sono tutti gli altri, i normali della società celiaca.
Il diabete
Ingerendo cereali usiamo come carburante carboidrati complessi che devono essere scissi in sub-unità semplici (disaccaridi e trisaccaridi) che andranno in pasto prima agli enzimi disaccaridasi presenti sulla mucosa intestinale e poi alle glucosidasi cellulari.
Quest’opera primaria di smantellamento dei carboidrati complessi in zuccheri semplici è praticamente tutta a carico del pancreas. Non a caso chi ci supera nelle capacità di gestione metabolica dei cereali, cioè la gallina, ha il pancreas collegato ben tre volte con l’intestino.
È stato creato un modello sperimentale di topi diabetici ottenuti con un protocollo di alimentazione a base di grano: quando si consumano cereali contenenti glutine, per i topi come anche per noi il pancreas è l’anello debole della catena. Nel medio termine c’è un disequilibrio degli enzimi pancreatici, nel lungo termine un’aumentata permeabilità intestinale, poi una pancreatite che precede di poco l’enteropatia celiaca e l’insorgere del diabete. Questo processo si verifica su vari tipi di topi con una maggiore predisposizione genetica. Insulti ambientali quali metalli pesanti rendono questo percorso verso il diabete ancora più in discesa [Courtois 2004].
A me la prima cosa che fa saltare in mente tutto ciò è: “Come fa la medicina ad avere questo modello e poi a dire che la causa delle malattie autoimmuni è ignota?!”.
Ma vi ricorda nient’altro questo modello? Certo che si! Appena qualche pagina fa abbiamo parlato del bonus “che determina il tempo che possiamo tenere la macchina in parcheggio senza pagare”. La malattia è da considerarsi come il momento in cui il rimanere ancora in sosta quando è scaduto il bonus del parcheggio (sul consumo di glutine) sarebbe come affrontare i carboni ardenti … aveva ragione o non aveva ragione il prof. I.V. Davydovskii?
Rimuovere il glutine, è stato ormai documentato da un’ampia letteratura medica sull’uomo, previene l’insorgenza del diabete, e anche se è troppo tardi può significare un miglior controllo insulinico e non infrequentemente la regressione degli anticorpi e addirittura della malattia diabetica.
Un dettaglio che potrebbe sfuggire ma che invece è di grande impatto pratico è il fatto che per ogni diabetico celiaco che ha atrofia dei villi già alla diagnosi di diabete, ce ne saranno altri due o tre (di diabetici in progressione celiaca) per i quali l’atrofia dei villi si verifica qualche anno dopo l’insorgenza di diabete [Maki 1995, Barera 2002]. Ergo.. se capita che il pancreas collassi sotto il peso del glutine prima del crack dell’atrofia dei villi (… e in assenza di sintomi di celiachia), allora la sospensione del glutine in realtà sarebbe necessaria (a scopo curativo del diabete e pre-diabete) anche in assenza di atrofia dei villi in pazienti diabetici geneticamente predisposti alla celiachia e in via di progressione celiaca.
Hummel [2002] segnala il caso di un ragazzo pre-diabetico, ovvero con solo la positività degli anticorpi contro il pancreas, selezionato perché parente di primo grado di un diabetico, in cui, in un periodo di osservazione di 12 mesi senza glutine si verifica una riduzione di più del 50% degli anticorpi pre-diabetici, mentre nel successivo periodo di osservazione di 12 mesi con glutine si osserva il loro peggioramento e infine l’insorgenza del diabete (durante il consumo di glutine). È proprio vero il discorso che il consumo di glutine fa diventare il pancreas l’anello debole della catena!
L’anno successivo Pastore [2003], prendendo 14 individui parenti di primo grado di diabetici e con positività immunologica pre-diabetica, dimostra che la funzionalità pancreatica (valutata mediante il “test di risposta acuta ad endovena di glucosio”) aumenta notevolmente in 12 su 14 durante i sei mesi di sospensione del glutine e diminuisce in 10 individui su 13 nei sei mesi di reintroduzione del glutine. La resistenza insulinica migliora in qualche misura anch’essa nel periodo dei sei mesi senza glutine e peggiora nel periodo di reintroduzione del glutine. Da notare che questo è uno dei pochi studi che è stato fatto su tutto il campione iniziale e non selezionando solo individui con atrofia dei villi.
Peccato che finora praticamente tutta la letteratura medica su diabete e sospensione del glutine abbia preso in considerazione solo i pazienti con atrofia dei villi e non altri. Infatti, per definizione, ad oggi è necessario avere l’atrofia dei villi per ammettere un caso di celiachia.
Che questo sia stato un approccio non solo superficiale ma anche sbagliato viene confermato dall’esperienza di Ventura [2000]. Il gruppo di ricerca del Burlo Garofalo di Trieste esamina l’effetto della dieta senza glutine in pazienti diabetici che non hanno ancora l’atrofia dei villi, ma con predisposizione genetica alla celiachia (DQ2) e con solo un lieve aumento delle cellule infiammatorie intestinale. La dieta senza glutine, oltre ad un miglioramento della mucosa intestinale, porta alla negativizzazione degli anticorpi anti-pancreas (anti-insula) e una prevenzione del diabete.
Vediamo qualche squarcio di letteratura medica (se non è indicato altrimenti, il termine “diabete” si riferisce al “diabete di tipo I insulino dipendente”).
I primi studi su pazienti diabetici con atrofia dei villi appena diagnosticata sono di Walsh [1978] e Shanahan [1982], che segnalano un miglior controllo glicemico con il regime senza glutine.
Sette individui diabetici con atrofia dei villi appena diagnosticata che adottano un regime senza glutine e vengono monitorati per un periodo di 12- 24 mesi [Acerini 1998]. La sospensione del glutine apporta una serie di benefici in termini di sintomi oltre che una normalizzazione (verso l’alto) del peso corporeo, una normalizzazione del controllo diabetico (emoglobina glicosilata) e infine la regressione di ogni indicatore di autoimmunità.
Amin [2002] conferma anch’egli, con le osservazioni su 11 diabetici con atrofia dei villi appena diagnosticata, che la normalizzazione (verso l’alto) del peso corporeo e la normalizzazione del controllo diabetico (emoglobina glicosilata) sono tra i primi benefici da aspettarsi da una dieta senza glutine insieme alla scomparsa degli autoanticorpi e la risoluzione della sintomatologia.
Arato [2002], riportando le sue osservazioni su 17 ragazzi diabetici con atrofia dei villi appena diagnosticata, segnala che il controllo dell’insulina migliora già 3 mesi dopo la sospensione del glutine e che questa contromisura è necessaria non solo per evitare guai maggiori, ma anche per un miglior sviluppo somatico dei ragazzi.
La normalizzazione della glicoregolazione (emoglobina glicosilata) e la scomparsa dei markers immunologici pre-diabete vengono osservati da Banin [2002] sei mesi dall’inizio di regime senza glutine in un 15enne affetto da celiachia silente. Secondo il ricercatore di Ferrara, questi risultati rafforzano la teoria secondo cui la celiachia non diagnosticata alimenterebbe un processo autoimmune contro le cellule pancreatiche beta e che se il regime senza glutine viene adottato con tempestività i markers immunologici del diabete mellito di tipo I scompaiono.
Laloux [1987] segnala 6 casi di pazienti con diabete diagnosticato in media all’età di 12 anni e la celiachia scoperta in media 14 anni dopo. La rimozione del glutine migliora i sintomi digestivi e il controllo insulinico.
Monitorando i dati clinici raccolti nei 18 mesi prima della diagnosi di atrofia dei villi e nei 18 mesi successivi, Mohn [2001] evidenzia che il regime con glutine in questi pazienti diabetici aumenta sostanzialmente gli episodi ipoglicemici e che invece il regime con glutine migliora il controllo insulinico.
Prendiamo ora un paziente diabetico al quale nessuno ha fatto notare in tempo che bisognava considerare l’intolleranza al glutine per mandare in remissione la sua malattia. Anche se diabetico, il paziente vive bene e ha un buon controllo insulinico: perché dovrebbe prendere in considerazione il regime senza glutine?
I signori pazienti diabetici sono avvisati tutti che il glutine alimenta una progressione di cui uno nemmeno si accorge e inoltre alimenta sintomi che uno nemmeno correla con esso. La situazione è che il pancreas vive sfiancato dal consumo di glutine da ben prima dell’insorgenza di diabete e ora il glutine sta diventando un lusso per altri organi di questi pazienti: per cui si pregano gentilmente i signori pazienti diabetici di sospendere il glutine anche se “stanno bene”.
Prendiamo il caso di una donna diabetica che sospende il glutine solo all’età di 60 anni. Questa paziente ha avuto una vita di celiachia, con frangenti anche gravi ma mai riconosciuti. Da piccola ha avuto una crisi celiaca così grave con effetto secondario che è rimasta di bassa statura ed ha ritardato di qualche anno il saper camminare da sola. Poi insorge il diabete giovanile, poi è affetta da anemie ricorrenti. All’età di 45 anni inizia una diarrea resistente a trattamento e una storia di dolori alla schiena che dureranno per 15 anni. Se in tutto questo tempo qualcuno le avesse parlato della necessità di sospendere il glutine nel diabete forse non sarebbe guarita ma avrebbe avuto una vita più decente. Nel frattempo la celiachia non diagnosticata ha prodotto anche rarefazione ossea. L’esame radiologico rivela osteomalacia. Gli anticorpi celiaci nel sangue sono tutti negativi ma lei ha anche malassorbimento (acido folico, calcio) per cui la celiachia sembra certa al gastroenterologo, si procede alla biopsia intestinale e infatti c’è l’atrofia dei villi. Il regime del glutine apporta una risoluzione dei suoi problemi clinici nell’arco di 6 mesi [Basu 2000].
La celiachia latente
Prendiamo in considerazione un paziente diabetico al quale nessuno ha fatto notare in tempo che bisognava considerare l’intolleranza al glutine per mandare in remissione la sua malattia. Anche se diabetico, il paziente vive bene e ha un buon controllo insulinico: perché dovrebbe prendere in considerazione il regime senza glutine?
I signori pazienti diabetici sono avvisati tutti che il glutine alimenta la progressione di alcuni disturbi di cui uno nemmeno si accorge. L’organo target, in questo caso il pancreas, vive sfiancato dal consumo di glutine da ben prima dell’insorgenza di diabete e in seguito il glutine diventa un lusso per altri organi di questi pazienti: per cui si pregano gentilmente i signori pazienti diabetici di sospendere il glutine anche se “stanno bene”.
Vediamo il caso di una donna diabetica che sospende il glutine solo all’età di 60 anni. Questa paziente ha avuto una vita di celiachia, con frangenti anche gravi ma mai riconosciuti. Da piccola ha avuto una crisi celiaca così grave che come effetto secondario è rimasta di bassa statura ed ha ritardato di qualche anno il saper camminare da sola. Poi insorge il diabete giovanile, poi è affetta da anemie ricorrenti. All’età di 45 anni inizia una diarrea resistente a trattamento e una storia di dolori alla schiena che dureranno per 15 anni. Se in tutto questo tempo qualcuno le avesse parlato della necessità di sospendere il glutine nel diabete forse non sarebbe guarita ma avrebbe avuto una vita più decente. Nel frattempo la celiachia non diagnosticata ha prodotto anche rarefazione ossea. L’esame radiologico rivela osteomalacia. Gli anticorpi celiaci nel sangue sono tutti negativi ma lei ha anche malassorbimento (acido folico, calcio) per cui la celiachia sembra certa al gastroenterologo, si procede alla biopsia intestinale e infatti c’è l’atrofia dei villi. Il regime del glutine apporta una risoluzione dei suoi problemi clinici nell’arco di 6 mesi [Basu 2000].
Casi simili sono stati riportati da numerosi altri osservatori, per cui il gruppo di ricerca Troncone et al. [1996] è arrivato ad introdurre il concetto di “celiachia latente”, per persone con una serie di episodi celiaci in passato e una situazione presente di non atrofia dei villi (al massimo c’è proliferazione dei linfociti della mucosa). Si tratta di persone per le quali si può prevedere nello spazio di qualche anno o qualche decennio il manifestarsi dell’atrofia dei villi. Fatta eccezione per la normalità dei villi, queste persone hanno problemi nello stesso modo dei celiaci con il consumo di glutine, nel senso che i problemi di salute persistono quando si continua a consumare glutine e che i sintomi regrediscono dopo un periodo sufficientemente lungo a dieta senza glutine.
Cooper [1980] riporta di 8 donne che si presentano per dolori addominali insieme con diarrea cronica e che ottengono una straordinaria guarigione con la sospensione del glutine. Nonostante le indagini non viene riscontrata l’atrofia dei villi, solo in alcune delle pazienti ci sono minime anomalie microscopiche (pre-celiachia).
Un’altro dei primi rapporti sulla “celiachia senza atrofia dei villi” è quello di Scott [1977]: 6 pazienti senza atrofia dei villi con sintomi indicanti celiachia ottengono una remissione dei sintomi con la sospensione del glutine. Scott conclude che in alcuni pazienti l’atrofia dei villi non è un pre-requisito per sospettare la celiachia e sospendere il glutine.
Monitorando nel tempo parenti di pazienti celiaci Stehnmar [1982] ci offre un riscontro per la celiachia latente, e cioè 5 persone con celiachia ad un controllo successivo hanno la mucosa perfettamente normale anche avendo continuato a consumare glutine.
Vanderpas [1987] riporta un paziente con sintomi di malassorbimento celiaco (in particolare calcio e vitamina K), sintomi alimentati dalla celiachia, cioè convulsioni, rachitismo, alterata funzione epatica, eppure in questo caso l’esame dice che non c’è atrofia dei villi.
La dimostrazione più spettacolare di questo fenomeno della celiachia che va in latenza è data nel 2001. Viene descritto da Carroccio [2001] il caso di un bambino con diarrea, atrofia dei villi e positività del test ematico per anticorpi anti-endomisio e anti-transglutaminasi. Il bimbo sta passando un periodo particolarmente brutto per l’attività infettiva della giardia nell’intestino. Sospeso il glutine e ripresosi, la valutazione della mucosa rivela che non c’è l’atrofia dei villi e anche gli anticorpi celiaci si sono negativizzati. Il bambino riprende il consumo di glutine e, per 5 controlli consecutivi a distanza di 6 mesi ognuno, si osserva ancora assenza di atrofia dei villi e assenza di anticorpi celiaci.
Ma guardate questo...: a distanza di tre anni da quell’episodio celiaco, ecco cosa mostra l’analisi della mucosa: assenza di atrofia e alterazioni consistenti con pre-celiachia, ovvero aumento della popolazione CD3+ intraepiteliale e dei linfociti gamma/delta+. Inoltre anticorpi IgA anti-endomisio sono rilevabili quando il frammento bioptico di mucosa viene incubato in vitro in presenza di gliadina.
Per cui è dimostrato che uno status attivo di celiachia, cioè con atrofia dei villi (attivata da un momento negativo dell’organismo a fronte di un insulto ambientale), può regredire ad uno status di celiachia potenziale (senza atrofia dei villi) in cui il consumo di glutine continua a costituire un motivo di progressione (pluri-decennale a volte) verso l’attivazione di programmi di malattia registrati sul cromosoma (questo argomento sarà trattato sotto il titolo di “genetichìa” tra qualche pagina) o altri problemi celiaci (epilessia, tumori, anemia, diarrea, demineralizzazione ossea, etc. etc.)
Per capire al meglio questa discussione sulla celiachia latente è necessario considerare che il variabile livello di salute dell’organismo nel corso della vita determina:
- variabili capacità di gestione del glutine ingerito,
- lo stato di maggiore o minore permeabilità intestinale della mucosa.
Per esempio la mucosa intestinale è altamente permeabile sin dalla nascita e per molti anni ancora nell’infanzia, per cui si assiste a crisi celiache infantili seguite da una remissione dell’atrofia dei villi quando la mucosa intestinale sia diventata “adulta” (ovvero formata). Poi a distanza di anni, negli stessi pazienti, la mucosa intestinale adulta subisce dei danni e si può perciò ripresentare il discorso della fase attiva celiaca.
Se consideriamo i pazienti diabetici, un 10% hanno atrofia dei villi (celiachia), poi c’è un altro 30% che hanno una mucosa normale ma in presenza di una seppur debole positività degli anticorpi antigliadina nel sangue [Lampasoma 1999], e il resto presentano solo anticorpi celiaci se si effettua l’analisi della feci [Fine 1999].
Quale di questi pazienti diabetici si può permettere ancora il consumo di glutine?
Certamente non quelli che aspirano a non far deteriorare il pancreas sotto il fardello del consumo prolungato di glutine.
E non quelli che non vogliono vivere una vita schiacciata dalla celiachia latente (vedi esempio donna sessantenne riportato da Basu [2000]).
La domanda potrebbe essere posta anche in un altro modo: quali sono gli svantaggi di tutta questa vita di celiachia latente?
Il primo è la peptidìa: una persona può avere mucosa senza atrofia ma può star subendo il consumo di glutine per la tempesta di peptidi oppioidi glutinosi cui un organo o tutto l’organismo è soggetto.
Il secondo è che i programmi di malattia registrati sul cromosoma progrediscono in modo silente e senza troppo prendere sul serio la negatività nei risultati dei vari test degli anticorpi. Il consumo del glutine nel lungo termine può senz’altro contribuire al collasso del sistema genetico più debole, ad es. una funzione enzimatica (vedere la descrizione che verrà fatta tra poco del fenomeno “genetichia”), ma questo a volte molto molto prima che quell’organismo possa esprimere il disagio verso la peptidìa e il glutine nella forma di atrofia dei villi. Per questo numerosi autori usano un esito positivo dell’esame di predisposizione genetica celiaca (mediante HLA) per accertare la diagnosi di “celiachia latente”. È un aiuto in più per identificare quei pazienti con progressione celiaca che non hanno atrofia dei villi ma che stanno subendo l’effetto del consumo di glutine e che svilupperanno atrofia dei villi in qualche momento nel futuro.
È importante soffermarci su queste osservazioni perché non facendolo il pericolo è che un sottogruppo di pazienti, quelli che non hanno atrofia dei villi ma che hanno bisogno di sospendere il glutine per risolvere alcuni disturbi, vengano messi sulla cattiva strada.
Epatiti autoimmuni
Se usiamo il motore di un’automobile come metafora della funzione “intestino + pancreas”, ovvero per indicare la capacità di un organismo di effettuare la combustione degli alimenti su cui si sostiene, il sistema di raffreddamento, la marmitta catalitica e il sistema di lubrificazione li dobbiamo pensare presenti tutti nella forma del fegato. La funzione di marmitta sarà facile visualizzarla se è chiara la posizione fisica del fegato, che viene irrorato dal sangue impregnato delle sostanze assorbite dalla mucosa intestinale e che ha grandi capacità di assorbire tali contenuti cosicché essi non passino direttamente e indiscriminatamente in circolo. Non stupisce dunque che il consumo a lungo termine di un alimento metabolicamente difficile (nel nostro caso “cereali con glutine”) non di rado possa ripercuotersi sul fegato. Per capirci, Kaukinen [2002] osserva 10 pazienti con gravi patologie del fegato derivanti dalla celiachia subclinica (senza manifestazioni intestinali): due avevano fibrosi epatica (considerata congenita), il terzo massiccia steatosi epatica, il quarto e il quinto avevano epatite progressiva senza apparente spiegazione, altri 3 con cirrosi biliare, gli ultimi due rispettivamente con epatite autoimmune e colangite autoimmune. Le condizioni di questi pazienti sono molto serie, tanto da essere in attesa di un trapianto di fegato, ma non tutti accettano di adottare il regime senza glutine: i 5 pazienti che si sono rifiutati hanno dovuto in breve essere sottoposti a trapianto del fegato, i 5 che invece hanno eliminato il glutine hanno fatto tutti registrare un successo pieno senza nessun altro intervento medico, le disfunzioni epatiche sono andate in remissione.
Un’altra citazione interessante viene dai modelli di laboratorio per le malattie del fegato: con un regime a lungo termine a base di glutine di frumento si ottengono topi con ridotte attività epatiche [Sachan 1993]. Non è un caso che il fegato di galline e uccelli specializzati granivori abbia dimensioni più importanti e soprattutto esso sia qualitativamente più strutturato e con due canali di collegamento con l’intestino invece di uno solo, e la bile prodotta è acida (e non basica).
Tutti i casi di ipertransaminasiemia di cui non si può spiegare l’origine dovrebbero essere considerati come potenziali manifestazioni di celiachia silente secondo Volta [2001], infatti l’incidenza di atrofia dei villi (precedentemente non diagnosticata) in questi pazienti è del 9.1% (10 su 110). Lo screening celiaco di pazienti con elevate transaminasi rivela la stessa elevata incidenza secondo i dati raccolti da Mugica [2000]. In questi pazienti i valori epatici ritornano nella norma dopo 4-10 mesi di regime senza glutine.
Farre [2002] segue 35 pazienti appena diagnosticati celiaci in cui l’adozione del regime senza glutine porta alla normalizzazione delle transaminasi elevate.
Hagander [1977] monitora, in pazienti appena diagnosticati celiaci, i livelli di transaminasi prima e dopo il cambiamento di dieta. Tutti i 19 casi di transaminasi elevate individuati dall’autore vengono risolti con il regime senza glutine. La riduzione delle transaminasi osservata indica, secondo l’autore, che la sospensione del glutine in questi pazienti è preventiva del danno epatico progressivo e che spesso il danno è reversibile. Poiché, conclude l’autore, l’intolleranza al glutine non è sempre riconosciuta perché generalmente silente, la diagnosi dovrebbe sistematicamente includere questa valutazione in pazienti con patologia epatica di eziologia ignota.
Uno dei primi autori ad aver insistito sulla necessità che la valutazione celiaca diventi una procedura standard in caso di transaminasi alte è Leonardi [1990]. Egli presenta due bimbi che risolvono il problema della ipertransaminasiemia dopo pochissimo tempo che hanno sospeso il consumo di glutine.
Le transaminasi alte si normalizzano in 6 mesi di regime senza glutine in un paziente 45enne che poco prima della diagnosi di celiachia aveva avuto un aneurisma cerebrale [Hofmann 2001].
Soresi [2001] riporta che le transaminasi elevate (ovvero livelli elevati degli enzimi epatici aspartato aminotrasferasi e alanina aminotrasferasi) si normalizzano in due pazienti celiaci dopo 3 mesi di adozione del regime senza glutine.
Secondo i dati raccolti da Bardella 67 pazienti su 158 appena diagnosticati celiaci risultano avere ipertransaminasiemia . I livelli delle transaminasi si normalizzano in 60 dei 67 pazienti (95%) (periodo di follow up da 1 a 10 anni).
Dati quasi identici vengono mostrati da Jacobsen: 62 pazienti su 171 con celiachia appena diagnosticata avevano livelli elevati di enzimi epatici che generalmente si normalizzano dopo della sospensione del glutine.
Mugica [2000] fa notare che l’uso di alcuni farmaci (benzodiazepine) può prevenire la normalizzazione dei valori epatici in pazienti celiaci che sospendono il glutine.
Un caso di celiachia che si presenta come epatite asintomatica e persistente viene presentato da Maggiore [1986]. La biopsia del fegato, che viene effettuata a causa di una storia abbastanza lunga di elevate transaminasi sieriche, mostra una lieve fibrosi portale con infiltrato mononucleare. La steatorrea ed evidenze di malassorbimento (test dello xilosio) indirizzano verso la diagnosi di celiachia. Adottato un regime senza glutine i livelli di transaminasi rientrano nella normalità entro un mese e rimangono stabili.
Ramos [1999] presenta due casi di celiachia che vengono scoperti a partire da elevati valori di transaminasi (dopo numerose indagini senza esito nell’associarli ad una causa) e invita i medici a tenere a mente questa possibilità perché il regime senza glutine può regalare la remissione della disfunzione epatica.
Vajro [1993] descrive 6 bambini con una lunga storia di transaminasi elevate che non è possibile associare ad alcuna causa nota. Alla fine si scopre che sono celiaci, sebbene questa condizione rimanga completamente asintomatica dal punto di vista intestinale. L’adozione del regime senza glutine apporta un miglioramento clinico e la rapida normalizzazione dei valori epatici. Se ne conclude che anomalie epatiche possono essere un’altra forma “atipica” di celiachia, anche in bambini.
Rapporti di risoluzioni simili in pazienti con celiachia completamente asintomatica sono stati pubblicati da Renaud [1994], Olivan del Cacho [1998], Franzese [2001], Trivin [2001].
I casi di ipertransaminasiemia asintomatica, cronica e senza spiegazione in termini di preesistenti situazioni patologiche, rappresentano la maggior parte dei casi che si presentano agli epatologi. “Purtroppo”, sottolinea Gonzalez-Abraldes nel 1999, “la possibilità che siano l’unica manifestazione di una celiachia silente non è entrata ancora sui manuali di medicina, per cui non è raro che, anche quando inviati da epatologi, i pazienti verranno invitati a fare tutte le analisi possibili e immaginabili ma non quella della celiachia.
Un donna 25enne si presenta per dei rigonfiamenti alle gambe [Husova 2004]. I risultati di laboratorio mostrano ipoproteinemia, elevati livelli di enzimi epatici e aumentato tempo della protrombina. L’indagine con ultrasuoni rivela epatomegalia con diffusa iper-ecogenicità al fegato senza lesioni centrali. La TAC conferma l’epatomegalìa con fegato ipercogenico. La biopsia del fegato conferma che c’era una grave steatosi con goccioline diffuse e larghe, la cui origine era onestamente ignota. Sono stati effettuati tutti i possibili esami per valutare/escludere l’eziologia infettiva o autoimmune, per valutare/escludere disturbi metabolici o per valutare/escludere situazioni congenite o anche malattia di Wilson, porfiria, emocromatosi. Alla fine si valutano anche gli anticorpi celiaci e ciò porta alla diagnosi di atrofia dei villi causata dal glutine. Alla paziente viene perciò prescritta la dieta senza glutine che si rivela risolutiva di tutta la situazione patologica sotto indagine. Infatti si arriva alla normalizzazione graduale delle transaminasi e di tutti gli altri parametri alterati.
Un’altra possibile presentazione di celiachia con coinvolgimento epatico è quella presentata da Gogos [1999]: si tratta di una donna 65enne che si presenta con febbre, ittero e perdita di peso. C’è un notevole aumento della fosfatasi alcalina e delle gammaGT. Gli anticorpi antinucleo sono positivi, la biopsia del fegato risulta compatibile con colangite autoimmune.
In casi di patologia del fegato di natura autoimmune si fa ricorso al trattamento farmacologico immunosoppressivo, in quanto apporta una temporanea remissione dell’autoimmunità. Purtroppo però questa procedura sistematica rende ancora più remota la possibilità di andare a valutare una celiachia alla base di tutta l’autoimmunità.
Un caso alquanto istruttivo in questo senso è quello riportato da Biecker [2003]: l’ipertransaminasiemia risponde al trattamento con farmaci immuno-soppressori prima che si possa sospettare e quindi valutare la celiachia. In queste circostanze la paziente verrebbe dimessa come guarita. Si tratta di una 48enne che si presenta con epatite C di tipo II, con livelli elevati di enzimi epatici, e con anemia ferropenica. Anche gli anticorpi antinucleo sono positivi per cui, dopo il responso della biopsia del fegato, si pensa ad una epatite/ colangite di natura autoimmune e si procede alla somministrazione di immunosoppressori. È solo a causa della persistenza di bassi livelli di ferritina e di bassi livelli di ferro che i ricercatori esitano a dimettere la paziente e decidono di approfondire. Solo così si arriva non solo a scoprire la celiachia, ma anche il suo ruolo causale, di agente di innesco di varie situazioni di autoimmunità, e in questo caso della epatite o colangite autoimmune. Biecker conclude che alcuni casi di epatiti, anche e soprattutto quelle di natura autoimmune, sono semplicemente la manifestazione isolata di una celiachia atipica.
In un’altra paziente, solo dopo sei anni di epatite attiva cronica il sintomo della steatorrea (“feci unte”) indirizza i ricercatori verso la diagnosi di celiachia [Fung 1980]. La donna, 27enne, fa registrare un ottimo miglioramento clinico con la sospensione del glutine.
Venturini [1998] e Sedlack [2002] entrambi descrivono casi di colangite autoimmune in cui il regime senza glutine apporta miglioramenti clinici e dell’indice colestatico.
Mitchison [1989] descrive tre casi, tra cui un paziente con alterazioni dei grassi nel fegato, in cui si arriva con un certo ritardo alla diagnosi di celiachia e in cui tutti i problemi epatici scompaiono con il regime senza glutine. “Ci sembra”, dice Mitchinson, “che queste descrizioni di casi clinici possa funzionare come un salutare pro-memoria delle multiformi manifestazioni della celiachia”.
Logan [1978] descrive (e forse è stato il primo) 4 casi in cui i sintomi di cirrosi epatica sono dovuti alla celiachia e possono essere controllati con una dieta senza glutine.
Per quanto riguarda i pazienti con epatite C, questa può essere risolta con la sospensione del glutine in pazienti celiaci secondo Mugica [2000].
Nello screening degli anticorpi della celiachia, antigliadina, antitransglutaminasi e antiendomisio, Fine [2001] individua solo due persone con tutti e tre i valori alterati (il che è veramente un evento raro). La norma è che, anche con l’atrofia dei villi, almeno due tipi di anticorpi siano assenti. Di questi due casi uno è stato individuato già da tempo affetto cronicamente da epatite C, l’altro è un individuo del gruppo di controllo “sano” che ad un’indagine più accurata risulta positivo all’infezione dell’epatite C. Questi due pazienti ed altri 4 che si sottopongono ad un regime senza glutine ottengono un miglioramento dell’epatite.
Ricapitolando, un ampio range di condizioni epato-biliari sono state scoperte essere secondarie alla celiachia e soprattutto la loro risoluzione avviene (in tempi variabili) dopo la rimozione del glutine: stiamo parlando di elevati livelli di enzimi epatici, epatite non specifica, epatite autoimmune, disturbo (non causato dall’alcolismo) del metabolismo dei grassi nel fegato [Abdo 2004]. Dalla lista di patologie del fegato in cui si deve valutare la presenza e il ruolo causale della celiachia silente non sono esclusi neanche iperplasia rigenerativa nodulare del fegato [Riestra 2003, Austin 2004], elevate beta-2 microbuline [Bonamico 1990], fegato micropolicistico [Weigent [1979], epatite C [Colombo 2003, Casella 2004], colangite [Tysk 1994, Gogos 1999, Marignani 2002, Wurm 2003], quest’ultima è un’infiammazione (spesso asintomatica) dei dotti biliari che si trovano nel fegato, se non individuata per tempo c’è il pericolo che si trasformi in cirrosi epatica (degenerazione progressiva del fegato).
Poiché la maggior parte dei pazienti anche con atrofia dei villi si presentano senza caratteristiche marcate, sintomatologia o sintomi gastrointestinali che possano far sospettare la celiachia in corso, è bene prendere l’abitudine di valutare subito l’intolleranza al glutine, almeno mediante i test nel sangue degli anticorpi celiaci [Abdo 2004].
Tiroiditi autoimmuni
Chi è affetto da celiachia non diagnosticata è ad elevato rischio di sviluppare una serie di patologie autoimmuni secondarie all’intolleranza al glutine. Ad esempio, la prevalenza di diabete e autoimmunità della tiroide in questi pazienti con celiachia silente è rispettivamente dell’ 11.1% e 14.4%.
La diagnosi precoce seguita dalla sospensione del consumo di glutine previene tali malattie autoimmuni, mentre al contrario la loro maggiore prevalenza è in relazione alla durata dell’esposizione al glutine nella celiachia silente (secondo uno studio di Ventura [1999] su 909 pazienti celiaci).
La progressione degenerativa associata ad un ritardo della diagnosi di celiachia è confermata da numerosi dati nel campo delle patologie autoimmuni e infiammatorie croniche [Borg 1994].
Magazzù [1983] è uno dei primi a suggerire che disfunzioni alla tiroide possano essere secondarie alla fase attiva della malattia celiaca: in un bimbo le anomalie alla tiroide (diminuiti T4, FT4 e T3, aumentati TSH) si normalizzano dopo due mesi di dieta senza glutine.
Collin [1994] segnala 4 casi di celiachia scoperta in pazienti primariamente affetti da disturbi della tiroide. Con la sospensione del glutine si ha un buon successo terapeutico.
Batge [1998] descrive un 58enne con diarrea che è sotto trattamento farmacologico per una situazione di ipertiroidismo. Avendo riscontrato l’atrofia dei villi, viene iniziato un regime senza glutine che subito migliora i sintomi e normalizza i valori alterati della tiroide.
Sategna-Guidetti [2001] valuta gli effetti dell’adozione di un regime senza glutine in pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultano affetti da ipotiroidismo (31 casi) o tiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti dopo un anno senza glutine si registra una normalizzazione delle condizioni della tiroide, specialmente in coloro che erano stati più scrupolosi nell’applicazione del regime senza glutine.
Barera [2001] riporta il caso di una 11enne con una tiroidite autoimmune e macroamilasemia. La bambina si presenta anche con dolore cronico addominale e ritardo della crescita, per cui viene riscontrata l’atrofia dei villi. Un regime senza glutine porta in remissione sia l’ipotiroidismo secondario alla tiroidite autoimmune, sia la macroamilasemia secondaria a pancreatite cronica.
La Villa [2003] descrive il caso di una paziente diagnosticata celiaca con tiroidite, anticorpi anti-b2-glicoproteina1, macroamilasemia e macrolipasemia, i cui problemi regrediscono, in particolare la tiroidite, dopo aver iniziato un regime senza glutine.
Valentino [1999] descrive una 23enne con diagnosi di ipotiroidismo dovuto a tiroidite di Hashimoto che coesiste con morbo di Addison e blocco ovarico. L’esame bioptico rivela l’atrofia dei villi e la dieta senza glutine viene iniziata, il che determina un notevole miglioramento clinico accompagnato, in un periodo di tre mesi, dalla riduzione progressiva dei farmaci sia per la tiroide che per l’insufficienza surrenale. Valentino [1999] stimolato da ciò trova la celiachia in altri 5 pazienti con tiroidite autoimmune. Anche in questi casi il regime senza glutine determina un’eccellente risposta clinica e dei valori della tiroide.
Jiskra [2003] segnala finanche che gli anticorpi celiaci antigliadina hanno una stretta correlazione con la dose di medicazione (levotiroxina) necessaria per controllare le tiroiditi, maggiore la concentrazione degli anticorpi, maggiore il dosaggio richiesto.
Se le tiroiditi autoimmuni sono resistenti al trattamento, tanto più bisogna sospettare una celiachia latente. d’Esteve-Bonetti [2002] riporta il caso di una 68enne con tiroidite resistente al trattamento farmacologico che è completamente asintomatica dal punto di vista intestinale ma che risulta positiva agli anticorpi celiaci antigliadina.
I dati di prevalenza dell’intolleranza al glutine variano a secondo del tipo di test di indagine nel sangue: vanno da un 51.5% di positività degli anticorpi IgG antigliadina al 16% di positività degli anticorpi IgA antigliadina, al 15% degli anticorpi IgA antitransglutaminasi al 5% degli anticorpi antiendomisio. In media la percentuale dei pazienti con disturbi alla tiroide che hanno l’atrofia dei villi è del 5% [Jiskra 2003, Berti 2000, Kowalska 2000, Counsell 1994].
La celiachia si presenta spesso asintomatica in questi pazienti, inoltre è stato a volte sottolineato che è come se la tiroidite, con le sue caratteristiche, rendesse ancora più difficile da diagnosticare la celiachia latente. Per questo bisogna iniziare uno screening celiaco sistematico di questi pazienti. Meloni [2001] osserva che in alcuni di questi pazienti la ferritina può essere leggermente ridotta così come la vitamina B12, a causa del malassorbimento, mentre il quadro immunogenetico (HLA) si presenta esattamente quello della celiachia, anche appunto in assenza pressoché totale di disturbi gastrointestinali. Il ricercatore conclude dicendo che, anche se l’esame risulta negativo la prima volta, lo screening della celiachia in questi pazienti deve essere ripetuto a intervalli di tempo regolari.
Non sono ancora stati prodotti studi completi che evidenzino il meccanismo esatto per cui l’intolleranza al glutine determina un’elevata incidenza di disturbi alla tiroide.
Konopka [1976] documenta che dopo 7 mesi di adozione di un regime senza glutine c’è un aumento della capacità vitale dei tessuti della tiroide nella forma di aumentata attività dell’enzima adenilato ciclasi che converte ATP nel trasduttore di segnale adenosina monofosfato ciclico (AMP ciclico). Il consumo di glutine determinerebbe, in parole semplici, un’interferenza cronica a livello cellulare che pone sotto stress la tiroide.
Questa reattività a distanza con antigeni generati dall’intolleranza al glutine viene alimentata senza dubbio, secondo Freeman [1995], dalla aumentata permeabilità della mucosa intestinale che caratterizza la progressione celiaca.
La ghiandola tiroidea, sempre secondo Freeman [1995], a causa dello sviluppo embrionale che condivide con il tratto gastrointestinale, è soggetta a noduli e linfomi proprio come avviene in caso di intolleranza al glutine a livello intestinale.
Autoimmunità o genetichia
Nel capitolo 1 siamo partiti dalla peptidìa, circoscritta a livello intestinale, poi siamo passati alla peptiduria, e ora arriviamo al punto di poter spiegare che questa tempesta di peptidi oppioidi, potendo raggiungere in modo ripetuto o anche continuo i siti periferici del nostro organismo, innesca il fenomeno autoimmune a carico di vari apparati e organi. L’esempio classico è quello della nefropatia indotta da glutine, il cui innesco spesso precede anche la comparsa dell’atrofia dei villi. Quindici anni dopo aver scoperto la nefropatia per consumo di glutine, lo stesso fenomeno fu osservato per il diabete: l’effetto della dieta senza glutine, in pazienti diabetici con solo un lieve aumento delle cellule infiammatorie intestinali (Marsch I e II) ma senza l’atrofia dei villi, era sia di migliorare le lievi anomalìe della mucosa intestinale, sia di portare alla negativizzazione degli anticorpi anti-pancreas e alla prevenzione del diabete! E con il diabete abbiamo appena documentato nelle pagine precedenti che questo discorso vale per tiroidite autoimmune e epatiti autoimmuni.
Altri due esempi di autoimmunità alimentata dal glutine sono il Lupus eritematoso sistemico e il morbo di Sjogren. L’incidenza di celiachia in pazienti con Lupus è tanto elevata che queste persone hanno ventidue possibilità contro una del gruppo di controllo di avere nel sangue gli anticorpi celiaci anti- transglutaminasi [Feighery 2003] e ventitré possibilità contro una (rispetto al gruppo di controllo) di avere nel sangue gli anticorpi celiaci anti-gliadina [Rensch 2001].
Fine [1999] auspica che la strada della dieta senza glutine sia intrapresa da questi pazienti, riportiamo la testimonianza di una sua paziente: “Dopo aver sofferto di lupus, crisi epilettiche mensili e terribili problemi digestivi per anni, con l’eliminazione del glutine i miei problemi intestinali sono svaniti (per tornare mai più da allora); sono 16 mesi che non ho attacchi epilettici, e tutti i miei sintomi di lupus (sfinimento, artrite, etc) sono scomparsi. Questa alimentazione senza glutine è un miracolo, quante persone o medici vorrebbero sapere che esiste per loro e i loro pazienti una tale opportunità!
Anche Zitouni [2004] riporta un decorso favorevole in pazienti con lupus appena diagnosticati celiaci che sospendono il consumo di glutine. Il lettore è rinviato, per altre segnalazioni su questo argomento, ai seguenti studi: Amoroso [2003], Boyer [1982], Casteneda [1985], Chase [1982], Chiurazzi [1987], Courtney [2004], Delbrel [2003], Feighery [2003], Houman [1997], Kobayashi [1989], Komatireddy [1995], Lee [2002], Marai [2004], Markusse [1998], Marteau [1990], Mercie [1999], Meulders [1992], Molina [1996], Monballyu [1985], M’Rad [1990], Murao [1994], Mukamel [1994], Pena [1987], Rensch [2001], Roberts [1988], Romano [1997], Rustgi [1988], Tsukahara [1980], Varkel [1989], Viallard [1998], Yazici [2002], Wood [1984].
Anche in pazienti con morbo di Sjogren l’adozione del regime senza glutine ha apportato un immediato alleviamento dei sintomi della malattia [Kaufmann 1998]. I pazienti con morbo di Sjogren sono ad elevato rischio di celiachia [Fracchia 2004, Iltanen 1999, Pittman 1965, Teppo 1984, Whitehead 1998].
Nella vita di tutti c’è un gap, spesso lungo e a volte interminabile, dall’inizio della celiachia alla diagnosi. Tanto più lungo è questo periodo (e cioè tanto più si rimanda la sospensione del glutine), tanto maggiore sarà la possibilità di sviluppare una serie di malattie autoimmuni, e tanto più è lungo questo periodo tanto maggiori sono i danni irreversibili (secondari all’intolleranza al glutine non diagnosticata). La precoce sospensione del consumo di glutine previene la progressione cronica di tali malattie autoimmuni e se fatta per tempo la situazione autoimmune va in remissione.
Uno dei ricercatori a rinnovare il monito è Borg [1994]: il regime senza glutine apporta un notevole sollievo in un paziente con monoartrite anche se, sottolinea l’autore, il fenomeno autoimmune alimentato dall’intolleranza al glutine ha lasciato irreversibili danni erosivi tipici della malattia cronica, evidenziabili sul legamento talo-navicolare.
Per quanto riguarda le malattie autoimmuni, il loro innesco dipende in larga parte dal processo degenerativo secondario a tossicità ambientale e/o prolungato cattivo sovraccarico metabolico che culmina nell’attivazione al livello più profondo, nel locus genetico sul braccio corto del cromosoma 6 che esprime, sulla membrana cellulare di tutte le cellule dell’organismo con una qualche funzione immunitaria, le glicoproteine HLA (Human Leukocyte Antigen).
Per avere un’idea immediata di cosa è l’HLA e della sua importanza centrale nelle malattie autoimmuni dobbiamo sapere che avendo topi con HLA diversificato, ad es. i topi LE e i topi BN, si ottengono diverse suscettibilità genetiche: i topi LE sono sensibili all’induzione di condizioni sperimentali autoimmuni quali l’encefalite allergica, l’uveite autoimmune, la poliartrite cronica, mentre i topi BN sono resistenti; d’altro canto i topi BN sono sensibili all’induzione di linfoadenopatie, morbo di Sjogren, produzione di autoanticorpi diretti contro la mieloperossidasi, glomerulonefriti e altre vasculiti sistemiche, al contrario dei topi LE che sono resistenti allo sviluppo di queste patologie.
Eccolo, già sento un lettore dire: “Lo sapevo io! Sono sempre stato un tipo sfortunato e sicuramente mi sarò beccato un HLA sfortunato”.
Devo subito tranquillizzare questo lettore con due osservazioni. La prima è che per arrivare dalla potenzialità genetica alla manifestazione patologica in questi modelli sperimentali di malattia è sempre necessario il prolungato sovraccarico metabolico o l’innesco da parte di metalli tossici. Questo significa per esempio che se si licenzia il ricercatore che continua a mettere mercurio nell’acqua da bere nella gabbia del topino o se viene ingessato e rimane in ospedale per trenta giorni il ricercatore che gli da’ pappa arricchita in glutine, il topino guarirà magicamente. Dunque anche il lettore forse è ancora in tempo a sospendere questi eventi ambientali avversi esistenti nella sua vita.
La seconda osservazione è che non ci sono HLA sfortunati. In un certo tipo immunogenetico di maialini l’autoimmunità è scatenata dall’esposizione a cromo e berillio ma non al cadmio, in un altro tipo è possibile ottenere una discreta incidenza di sensibilizzazione per il cadmio ma non per il cromo o il berillio [Polak 1968]. Allora se un coniglio vede morire un suo collega coniglio-cavia con un panetto di cromo mentre lui è sopravvissuto con lo stesso panetto, quando si imbatte in un panetto di berillio sopravvive ancora, ma poi si imbatte in un panetto di cadmio e rimane stecchito! A dirla tutta ... invece la sua agonia è lenta. Morale della favola: se noi siamo suscettibili alla nefropatia dopo aver commesso degli errori e i nostri vicini di casa non lo sono, essi non possono nemmeno gioire, infatti alcuni saranno suscettibili all’artrite reumatoide dopo aver commesso degli errori (mentre noi non lo siamo, Tiè!!), altri saranno suscettibili alla sclerosi multipla (ma non all’artrite reumatoide e alla nefropatia) dopo aver commesso degli errori ..., altri ancora saranno suscettibili, dopo aver commesso degli errori, alla cardiomiopatia dilatativa ma non (...) etc. etc. etc.
Ora che sappiamo tutto sull’HLA dobbiamo anche spiegare che il locus sul cromosoma 6 che esprime l’HLA non è il solo segmento di cromosoma che ha qualcosa da dire nella nostra vita, anche gli altri pezzettini hanno un senso e esprimono una parte di programmazione del nostro organismo, ad esempio vediamo alcune funzioni enzimatiche:
- la dipeptil-peptidasi è un enzima proteolitico che serve per la lisi di frammenti peptidici provenienti da proteine quali glutine e caseina (il locus cromosomico corrispondente è: 17q23);
- il CYP2D6 è l’enzima coinvolto nell’inattivazione epatica di farmaci di sintesi e affini (22q13.1);
- la beta-glucosidasi è il termine che indica una serie di enzimi (che stazionano a vari livelli a partire dalla mucosa fino alla cellula) molto importanti per la gestione del glucosio (2p13- 2p12- 1q21- 14q21- 14q22).
Che interazione c’è tra questo insieme di bagagli sul cromosoma e le fonti di esposizione tossica? Prendiamo ad esempio il programma beta-glucosidasi: le conseguenze del black-out dell’attività enzimatica, si chiamano “glycogen storage disease” del tipo Ia, Ib, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI o XII. Nella glicogenosi VII il sovraccarico metabolico da deficit di beta-glucosidasi cellulare è alla base di sintomi che si scatenano dopo l’esercizio fisico, da facile affaticabilità, rigidità, crampi si arriva, nei casi più gravi a crisi dell’apparato respiratorio.
Katsanuma [1990] riporta che l’uso di amalgama di mercurio per otturare i denti di una paziente di 9 anni determina l’insorgenza di gravi stati di anafilassi che seguono l’esercizio fisico. Solo dopo aver tolto il mercurio dalla bocca c’è una remissione completa, la bambina torna a poter fare esercizio fisico senza avere alcun tipo di reazione immediata, né orticaria, né crisi asmatiche e respiratorie. Questo esempio ci dice che il mercurio rilasciato dall’otturazione (come anche altri insulti ambientali) può determinare una riduzione dell’autonomia enzimatica sul cromosoma che culmina con la glicogenosi VII.
Vichyanond [1990] e Shirai [2003], per chiudere l’esempio della glicogenosi VII, riportano casi clinici di glicogenosi VII in cui le crisi anafilattiche terminarono solo quando fu sospeso il consumo di glutine. Cioè, come i metalli tossici, anche il sovraccarico metabolico da glutine determina un accorciamento del bagaglio di autonomia, e il punto di rottura è determinato dalla suscettibilità del paziente, ognuno avrà il suo anello più debole della catena.
In pratica lo scopo educativo di questa sezione è comunicare che ognuno di noi ha una gamma di programmi “sul suo computer”, che sono rimasti lì dormienti senza mai aprirsi una volta o dare fastidio. Ma sono lì. E gratta gratta con il prolungato sovraccarico metabolico o l’esposizione a metalli tossici, solletica solletica, la situazione si fa sempre più delicata dal punto di vista immunogenetico e al culmine della cattiva interazione ambientale il programma genetico alla fine si apre. Chiameremo per comodità questa evenienza “genetichìa” (che da’ pure il senso del “solletica solletica”).
Da segnalare che se il feto ha vissuto una gravidanza particolarmente tormentata allora l’innesco si verificherà in una fase precoce della vita, in particolare dopo l’insulto tossinico vaccinale [Montinari 2002].
La programmazione di ognuno di questi sistemi enzimatici umani nasce sul cromosoma e, anche quando la nostra storia di esposizione ambientale ne determina una riduzione durante le varie tappe della vita, sul cromosoma continua ad essere registrata l’informazione del totale di bagaglio di autonomia rimanente.
Accenniamo qui per brevità solo a due concetti utili per visualizzare la genetichia:
1. la fragilità cromosomica, che viene misurata mediante incidenza di aberrazioni cromosomiche spontanee e fragilità indotta dei siti; pazienti celiaci che consumano glutine hanno una elevata “fragilità cromosomica” [Fundia 1996], così come pazienti esposti al mercurio [Popescu 1979, Sharma 1984].
2. il valore soglia per l’attivazione dell’HLA è determinato dalla la maturazione precoce delle cellule di presentazione degli antigeni; indipendentemente da quali siano le reazioni autoimmuni che si scatenano, il glutine abbassa proprio questi valori soglia, cioè fa partire un fenomeno con induzione di certe particolari citochine e chemochine nelle cellule dendritiche che portano a precoce maturazione delle cellule di presentazione degli antigeni.
Consideriamo ora l’attività degli enzimi CYP2D6 - CYP3A1 - CYP1A1 (particolarmente affetti nella Sensibilità Chimica Multipla [McKeown-Eyssen 2004]), che sono addetti all’inattivazione di sostanze xenobiotiche (cioè di sintesi, estranee alla nostra biologia).
Pazienti celiaci che (alla diagnosi) consumavano glutine avevano una ridotta attività di CYP3A1 e CYP3A4 e, adottando un regime senza glutine, questi ottenevano il ripristino della funzione (precedentemente compromessa a causa dell’intolleranza al glutine) di neutralizzazione di sostanze xenobiotiche [Lang 1996, Johnson 2001].
I metalli tossici anch’essi notoriamente determinano un accorciamento del periodo di operatività dei sopracitati sistemi enzimatici [von Schmiedeberg 1999, Alexidis 1994, Vakharia 2001]. Non c’è enzima che possa dirsi al sicuro dalla lenta devastazione mercuriale, citiamo un esempio per tutti, e cioè la tossicità del mercurio che determina una riduzione della dipeptil-peptidasi.
Questo significa che l’interferenza ambientale del mercurio facilita l’inizio della peptidia, rendendo meno efficiente il processo di smantellamento dei peptidi del glutine.
E a sua volta la peptidìa (ovvero il sovraccarico metabolico da glutine), anche quando tarda ad approdare all’atrofia dei villi, può determinare un indebolimento di particolari sistemi tale da favorire l’innesco della specifica autoimmunità cui quell’organismo è predisposto (genetichia).
La gallina non ha la celiachia
Per quelle scimmiette marmose che negli zoo hanno un’alta incidenza di sindrome di deperimento in cattività è stata osservata un’elevata incidenza di atrofia dei villi e di anticorpi antigliadina, con una corrispondenza esatta dell’intolleranza al glutine con il loro cattivo stato clinico [Schroeder 1999].
Topini nati da madri alimentate con una dieta contenente delle normali quantità di glutine avevano una reattività al glutine significativamente elevata rispetto ai topini nati da madri alimentate senza glutine [Troncone 1988]. Ulteriori osservazioni mostrarono che lo stesso effetto era attribuibile anche solo al fatto che la madre avesse avuto un’alimentazione con glutine durante la gravidanza.
Studi in vitro e in vivo riguardanti l’essere umano confermano che nel nostro corpo il glutine può resistere ogni tentativo di degradazione da parte di proteasi e idrolasi, gastriche, pancreatiche o enzimi del bordo a spazzola intestinale, specialmente se l’organismo non si trova nelle condizioni ideali di forma relativamente a pH, idratazione, tossiemia, funzione pancreatica.
Una macchina perfetta per la gestione del grano è invece la gallina. È nato prima l’uovo o la gallina? È nato prima il chicco di grano. I grani selvatici e altre fruttificazioni di graminacee, molto tempo prima di attrarre l’attenzione dell’uomo, attrassero quella di uccelli, gallinacei, etc., che nel corso del tempo raggiunsero una simbiosi perfetta con essi.
Se guardiamo alla fisiologia, non rimangono dubbi sull’interdipendenza tra i chicchi di frumento e quella macchina perfetta per consumarli che è la gallina. La gallina ha un becco fatto per raccogliere e rompere ad uno ad uno (macinandolo) il grano, che poi resta un po’ di tempo nel gozzo dove viene inumidito. La gallina ha uno stomaco ghiandolare che serve per la fermentazione ed uno stomaco muscolare per impastare tutto molto bene. Ma soprattutto, la gallina ha il pancreas collegato ben tre volte con l’intestino tenue, la gallina ha anche una sacca tra lo stomaco e il pancreas, il che permette che ci sia sufficiente succo pancreatico per digerirne gli amidi. Per chi non è così ben attrezzato, si possono prevedere dei guai per il pancreas se diventa consumatore di frumento e cibi amidacei. È proprio vero!! Il diabete in primo luogo, ma anche una ridotta funzione pancreatica, sono reversibili nelle prime fasi se si sospende il glutine (vedi gli studi dell’Istituto Garofalo di Trieste).
La gallina inoltre ha il fegato ben due volte collegato all’intestino tenue!! Per chi non è così ben attrezzato si possono prevedere dei guai per il fegato se diventa consumatore di frumento. È proprio vero!! La celiachia si presenta spesso con difficoltà al fegato quali manifestazioni monosintomache del problema glutine. La correlazione tra epatiti croniche attive e celiachia è ancora più marcata.
Non dimentichiamo, infine, che il sangue della gallina ha una leggera eccedenza acida mentre il sangue umano ha un’eccedenza basica. E che effetto ha il consumo di frumento e altre farine se non l’acidificazione progressiva del nostro organismo? Come dobbiamo perciò classificare i disturbi dell’uomo moderno correlati con l’incidenza di candidosi e crescite parassitiche? Se una persona ha una candidosi resistente a terapia che guarisce solo quando elimina il frumento, possiamo dire di essere di fronte ad un caso di intolleranza alimentare? E se una persona ha iper-insulinemia con cistite cronica resistente a terapia che sparisce solo dopo la rimozione del frumento, non è questo un altro caso di intolleranza alimentare?
Il termine “intolleranza alimentare” non dovrebbe definire anche il prezzo da pagare perché la capacità dell’organismo di conversione dell’alimento sia mantenuta (cioè iper-insulinemia, acidificazione, parassitosi, etc)?
L’ideale sarebbe avere un adattamento fisiologico quanto più vicino a quello della gallina. Ma chi ce li dà i milioni di anni del suo adattamento? Noi ne abbiamo meno di 10.000 e il nostro percorso verso la simbiosi con il grano è lontano dal traguardo. Il nostro sistema dovrebbe dare un supporto pancreatico quantitativamente e qualitativamente maggiore, l’acidificazione dovrebbe diventare la nostra condizione naturale (il che onestamente è improbabile: troppe reazioni biochimiche sono calibrate dal livello di acidità/basicità extracellulare). Se fossi un mago di ingegneria genetica (scherzo..) mi metterei a studiare qualche applicazione gallinacea all’uomo.
Dunque, in attesa di almeno una milionata di anni di evoluzione per mettere più al sicuro l’adattamento umano al glutine, a breve termine possiamo definire un traguardo di ripiego, cioè una “convivenza al minimo prezzo in termini di suscettibilità a malattie”. Sta di fatto che nell’attuale fase storica questo traguardo di ripiego si sta allontanando più che avvicinandosi, per una serie di fattori ambientali nati dalla civiltà industriale che pongono uno stress sulla normale maturazione e funzione dei sistemi enzimatici. Ricordiamo che il grano per fare la pasta è stato modificato numerose volte facendolo diventare sempre più glutinoso; è diventato del 30% più glutinoso con lo sforzo agricolo della prima metà del XXo secolo; è diventato mostruosamente più glutinoso nella seconda metà del XXo secolo, mediante esposizione a raggi gamma del Cobalto radioattivo (ENEA, istituto della Casaccia, Roma), la prima volta per ottenere una semenza di colture nanizzate, la seconda volta per ottenere la pasta di grano che non scuoce (ovvero la specialità “Creso”);
Altro che diventare fisiologicamente come la gallina! Così facendo l’intolleranza al frumento si manifesta a 30 anni anche in chi, grazie all’adattamento dei suoi predecessori, questo evento sarebbe stato programmato intorno ai 60 anni di età.
CAPITOLO 3
Possibili presentazioni celiache a carico dell’apparato digerente
Nella celiachia un progressivo deterioramento dello stato dei villi intestinali può determinare uno o più sintomi gastrointestinali secondari al malassorbimento, i più comuni sono diarrea, steatorrea (“feci unte”, fenomeno che interessa un quinto dei pazienti celiaci [Murray 2004]), gas, gonfiori, borborigmo (gorgoglio intestinale dovuto a movimento dei gas nel contenuto liquido delle anse intestinali), flatulenza (eccessiva formazione di gas nello stomaco o nell’intestino, e loro emissione per le vie naturali), rutti, acidità di stomaco.
La celiachia dovrebbe essere considerata in numerosi diversi tipi di scenari clinici, inclusi i dolori addominali, carenze di questo o quel micronutriente (ferro, acido folico, vitamine, etc.), dispepsia (difficoltà di digestione), crampi addominali, intolleranza al lattosio non confermata dal test della lattasi, riflusso esofageo, ernia iatale, etc.
La presentazione classica consiste in un aspetto emaciato (e il non prendere peso anche se si mangia molto), ma allo stesso tempo c’è una notevole distensione addominale.
Rea [1996] monitora, un anno dopo la diagnosi di celiachia e l’adozione del regime senza glutine, 8 ragazzi e 15 ragazze (di età a partire da 1 anno fino a 12 anni). Se all’inizio questo gruppo di pazienti faceva registrare una riduzione significativa dell’altezza, dell’area muscolare del braccio, della piega dei tricipiti, della piega sottoscapolare, e della densità del tessuto osseo, dopo un anno di regime senza glutine questi parametri si erano normalizzati, tranne l’altezza e la area muscolare del braccio che però si erano avvicinati di molto a quelli del gruppo di controllo.
Il malassorbimento tipico del celiaco può prendere una piega ancora più acuta e drammatica, come nei casi di blocco della crescita o di diarree con enormi perdite di peso in pochi mesi o settimane.
La maggior parte dei pazienti non riconosce una correlazione temporale tra l’ingestione di glutine e la comparsa dei sintomi e i medici spesso sono ancor meno in guardia dei pazienti contro questa possibilità. Ecco uno tra gli innumerevoli esempi: una 31enne che aveva sofferto per anni di diarrea la cui causa non era mai stata chiarita viene ricoverata con valori alterati di transaminasi e fosfatasi alcalina. Si arriva alla diagnosi di atrofia dei villi e con l’adozione di una dieta senza glutine la diarrea svanisce, la paziente riguadagna i 5 chili persi, i valori epatici si normalizzano [Christl 1999].
Allo stesso modo Plesa [2002] riporta un caso di diarrea decennale in una 41enne che si risolve solo quando si arriva finalmente alla diagnosi di celiachia e alla sospensione del glutine.
Murray [2004] descrive molti pazienti con diarree alternate a costipazione, e riporta che entrambe le situazioni scompaiono con il regime senza glutine. Abbiamo detto della diarrea, ma non bisogna pensare di escludere l’idea di celiachia in casi sospetti senza diarrea. Anzi, la costipazione cronica dovrebbe sempre indirizzare le indagini sulla possibilità di una celiachia latente [Zeuzem [2000]. Scharla [2003] presenta una 60enne in cui l’osteoporosi non guariva nonostante il trattamento. La paziente accusa perdita di peso, sintomi gastrointestinali non specifici (tra cui dolori addominali ricorrenti) e costipazione. I valori di laboratorio sono normali (calcio sierico, fosforo, fosfatasi alcalina) ma alla fine si arriva a verificare l’atrofia dei villi, anche sulla base dei bassi livelli di vitamina B12 e di acido folico. La remissione della costipazione si ottiene con il regime senza glutine.
Se dunque da una parte la diarrea è il sintomo più comune della presentazione “classica” della celiachia, dall’altra oggi sappiamo che la celiachia classica copre solo una percentuale marginale dei casi totali (sembra un paradosso). Perciò, man mano che si sono iniziati a fare i controlli sulla celiachia “silente” o “monosintomatica”, o anche “latente” (in via di progressione, l’atrofia dei villi viene sviluppata solo qualche anno dopo) la prevalenza di casi di celiachia accompagnata da diarrea è diminuita notevolmente [Lo 2003].
Dopo il malassorbimento, una delle principali ecatombi che l’intolleranza al glutine ha la potenzialità di determinare è un’interferenza a tutti i livelli del metabolismo corporeo dei grassi: aumento del colesterolo prodotto, incrostamento grasso dei dotti biliari e della cistifellea, incrostamento grasso della milza e del fegato, formazione eccessiva di adipe, incapacità a livello della cellula di gestire i grassi. E in ultimo, ma non in ordine di incidenza, ci sono anche l’obesità e la cellulite tra le varie possibili presentazioni latenti della celiachia, che regrediscono adottando un regime senza glutine [Morchen 1974, Solhaug 1976].
La distribuzione e gestione dei grassi assorbiti è affidata nel corpo umano ad un network di recettori oppioidi che sfortunatamente rispondono, negli intolleranti, sia alle gliadine sia alle gluteomorfine provenienti dal frumento mal smantellato; la presenza dei peptidi oppioidi del glutine può determinare l’obesità anche in assenza di atrofia dei villi [Kather 1979, Levine 1973].
Conti [1987] riporta che, in un bambino di 5 anni, obesità e dolori addominali sono i sintomi che si risolvono prontamente non appena viene adottata la dieta senza glutine.
Semeraro [1986] mostra che l’obesità si era sviluppata in un bambino celiaco nel periodo, dopo la diagnosi di celiachia, in cui aveva consumato il glutine; successivamente il regime senza glutine viene ristabilito e ciò porta alla risoluzione dell’obesità.
Spesso la scoperta di atrofia dei villi viene fatta dopo un intervento di resezione intestinale correttivo dell’obesità [Friedman 1981]. Questi pazienti, tra l’altro hanno una cattiva ripresa post-operatoria con pericolosa crisi celiaca di malassorbimento [Logan 1982]. Owen [1980] segnala una 28enne che nove mesi dopo il bypass digiunoileale per correggere l’obesità ha una preoccupante perdita di peso, diarrea continua e vomito. Con l’istituzione di un regime senza glutine i suoi sintomi scompaiono e l’atrofia dei villi va in remissione.
La celiachia può mimetizzarsi in numerosi modi diversi che somigliano tutti a una qualche riconosciuta entità clinica, ma in particolare dobbiamo valutarla in casi di coliti. Le coliti comuni (coliti microscopiche) sono caratterizzate da crampi, eccessiva produzione di gas, gonfiori all’addome, diarree alternate a volte a costipazione, diarree croniche, in pazienti che all’analisi della colonscopia presentano una mucosa apparentemente normale (sebbene l’esame ravvicinato di una biopsia intestinale riveli un certo grado di alterazione). Accade spesso che la presentazione celiaca con sintomi intestinali indirizzi il medico curante ad una diagnosi di “sindrome di colon irritabile”, di conseguenza ai pazienti viene prescritta una dieta ad alto contenuto di fibre che però non apporta un miglioramento, anzi a volte (proprio a causa dell’aumentato apporto di glutine da cereali e supplementi usati in seguito a questo consiglio) c’è un peggioramento. In vista della particolare resistenza ad ogni terapia di supporto, in questi pazienti è comune che si sospetti una natura psicosomatica del disturbo; per cui c’è bisogno davvero di una forte determinazione della persona afflitta per risalire all’intolleranza al glutine come la causa organica dei sintomi.
Fine [1999] ha effettuato una valutazione sistematica delle caratteristiche celiache in individui con coliti. In primo luogo ha notato in questo gruppo di pazienti che il 76% ha anticorpi celiaci nelle feci. Solo il 9% ha gli anticorpi celiaci nel sangue, cioè nella gran parte dei casi il fenomeno celiaco nei colitici sfugge all’analisi ematica degli anticorpi celiaci. Ma non sfugge se viene fatto l’esame HLA, che rivela la presenza dei caratteri immunogenetici di predisposizione genetica alla celiachia.
L’analisi delle biopsie intestinali rivela nel 70% dei pazienti colitici delle alterazioni microscopiche (definite da Marsch 1 a Marsch 4), ma niente atrofia dei villi. In questi pazienti senza atrofia dei villi e senza anticorpi celiaci nel sangue un campione della mucosa intestinale se stimolata in vitro produce anticorpi celiaci al contatto con il glutine.
Per cui Fine [1999] passa alla sospensione del glutine in questi pazienti. Dei primi 25 pazienti con colite microscopica ostinata o ricorrente da lui seguiti, in 19 la diarrea si risolve completamente e in altri 5 si osserva un miglioramento notevole. Se l’adozione del regime senza glutine si combina con la sospensione dei latticini il successo è del 100%.
11 pazienti celiaci con sindrome di colon irritabile vengono individuati da Shahbazkhani [2003]. L’adozione del regime senza glutine porta senza eccezioni ad un significativo miglioramento dei sintomi o alla guarigione completa in tutti.
L’insorgenza di colite collagenosa viene segnalata in due pazienti celiaci che migliorano solo dopo la rimozione del glutine [Perisic 1992].
Una colite collagenosa che era durata 12 anni guarisce con l’adozione di un regime senza glutine, in particolare si risolve il sintomo più fastidioso che era stata una diarrea cronica [Sylwestrowicz 1989].
Una paziente 50enne, che aveva sofferto dall’età di 20 anni di diarrea con muco e sangue, dolori addominali, anemia e leucopenia inizia ad avere una lieve epatite e solo a questo punto le viene fatto un controllo per la celiachia (che risulta positivo). Dopo un anno di sospensione del glutine la paziente si regolarizza completamente con l’intestino, riguadagna peso corporeo, si riprende dall’astenia cronica che la aveva affetta per decenni [Carroccio 2003].
Lutz [2000] spiega che nelle coliti oltre al regime senza glutine si dovrebbe intervenire anche con una riduzione di tutti i prodotti amidacei. La remissione, nei casi più complicati, arriverà dopo 12 mesi o più dall’adozione di questi interventi.
In 8 pazienti colitici viene diagnosticata la celiachia da Freeman [2004], la sospensione del glutine apporta una remissione clinica e istologica in tutti.
Lo svuotamento gastrico del bolo alimentare è ritardato nella celiachia e si normalizza con l’adozione del regime senza glutine [Perri 2000]. Anche il transito attraverso il piccolo intestino è ritardato nel celiaco che consuma glutine [Bai 1995].
I pazienti celiaci hanno un’elevata incidenza di esofagite da riflusso e, secondo uno studio di Cuomo [2003], questi disturbi vanno in remissione completa con l’adozione del regime senza glutine.
Iovino [1998] riporta che i sintomi esofagei si risolvono in tutti i pazienti celiaci dopo la sospensione del glutine e che nei pazienti celiaci con steatorrea l’incidenza di disturbi esofagei è 4 volte maggiore rispetto a pazienti celiaci senza steatorrea.
In un’anziana donna il laringo-spasma è l’insolita manifestazione di celiachia riportata da Waebert [1993] che si risolve con la sospensione del glutine.
Usai [1997], dell’università di Cagliari, riporta che anomalie motorie esofagee sono osservate nel 50% circa di pazienti celiaci, alterazioni del livello di acidità nel 30% e fino al 75% dei pazienti celiaci hanno un’alterata motilità intestinale.
I disturbi a carico delle mucose nella celiachia possono occorrere in qualsiasi punto lungo l’apparato digestivo. Lesioni alla mucosa orale possono essere la sola caratteristica di una manifestazione celiaca. Clinicamente, sostiene Lahteenoja [1998], può essere molto importante studiare il cavo orale di pazienti con sospetta celiachia, secondo il nostro studio le afte o i difetti allo smalto dentale si presentano in oltre la metà dei casi di celiachia. Afte orali intermittenti e anche croniche rappresentano un importante indizio per la diagnosi di celiachia [Biel 2000, Fortune 1993, Ferguson 1980].
Wray [1981] addirittura inizia un regime senza glutine in 20 pazienti con ricorrente stomatite aftosa in cui i controlli avevano escluso la diagnosi di celiachia. Il 25% di questi pazienti mostrano una risoluzione dei problemi con il regime senza glutine e una ricaduta con la sua reintroduzione. Non c’è atrofia dei villi e nemmeno un qualche segnale di malassorbimento. La rimozione del glutine, conclude il ricercatore, costituisce un nuovo metodo di trattare pazienti con stomatiti aftose ricorrenti apparentemente in progressione celiaca silenziosa e senza aver ancora sviluppato atrofia dei villi.
La proliferazione linfocitica caratteristica che si manifesta sulla mucosa del duodeno e del digiuno nella fase pre-celiaca può essere provocata dal consumo di glutine anche a carico del grande intestino (in tal caso abbiamo le coliti), e a carico della mucosa dello stomaco (in tal caso abbiamo le gastriti).
Meunier [2001] riporta depositi collagenosi subepiteliali allo stomaco (gastrite) in due ragazzi celiaci di 11 e 12 anni, che con il regime senza glutine vanno in remissione clinico e istologico.
A seconda di quale di queste infiammazioni della mucosa domini la scena (stomaco, piccolo intestino o grande intestino) varia la sintomatologia, da laringospasmo [Waeber 1993], alla nausea e vomito a digiuno, o una sensazione di bruciore allo stomaco che sono indicazioni di gastrite, si passa a gas e brontolìo, steatorrea, coliche addominali, quando è l’enteropatia ad essere predominante.
Infine è da segnalare che l’irrorazione sanguigna all’intestino è ridotta nelle persone con celiachia non diagnosticata è si normalizza dopo 9 mesi di regime senza glutine [Magalotti 2003].
Coliti ulcerose e morbo di Crohn
Rapido glossario: La rettocolite ulcerosa consiste in un’infiammazione dello strato più esterno della mucosa del colon in cui si manifesta una caratteristica istopatologia con aggregati linfoidi basali. Laddove l’infiammazione è più grave si formano ulcere. I sintomi includono dolori addominali, diarrea, sangue nelle feci, dolorosi spasmi. La diagnosi di colite ulcerosa viene di solito fatta mediante sigmoidoscopia, cioè l’uso di un tubo flessibile che permette al medico di visualizzare sulla mucosa le caratteristiche infiammazioni linfoidi e le ulcerazioni. |
Non sono infrequenti articoli scientifici che segnalano la necessità di valutare la sospensione del glutine in pazienti con malattie croniche infiammatorie intestinali.
Breen [1987] riporta la risoluzione di 11 casi di proctite su 14 in pazienti celiaci che adottano una dieta senza glutine.
In due bambini con precedenti di diarrea persistente e blocco della crescita l’endoscopia rivela ulcerazioni alla mucosa del piccolo intestino. La sospensione del glutine nei due pazienti apporta clinicamente un notevole immediato miglioramento [Eltumi 1996] e, dopo un anno di regime senza glutine, l’endoscopia rivela la risoluzione delle ulcerazioni.
Riobo [1998] presenta un 46enne con una lunga storia alle spalle di diarrea e distensione addominale che però non fu sufficiente per indagare la celiachia. Il paziente arriva a soffrire di una digiunoileite ulcerosa per la quale non sembra che ci sia altra scelta se non la resezione intestinale. A seguito dell’intervento chirurgico questo caso prende un cattivo corso, non si riesce a recuperare neanche con il protrarsi dell’alimentazione enterale o endovena. Il paziente risponde male quando finalmente si inizia l’alimentazione per bocca. A questo punto si interviene con ulteriori indagini e si arriva alla diagnosi di celiachia. Il regime senza glutine risolve completamente i problemi.
Scott [1993] descrive un paziente che deve ricorrere alla resezione chirurgica per una perforazione duodenale riconducibile alla celiachia e per il quale i problemi post-operatori vengono superati solo con un regime senza glutine.
Anche Modigliani [1979] riporta un caso di duodeno-digiuno-ileite ulcerosa riconducibile alla celiachia in cui i problemi che seguono l’intervento di resezione sul piccolo intestino vengono superati solo dopo l’adozione di un regime senza glutine.
Eugene [1983] riporta una digiuno-ileite ulcerosa secondaria a celiachia non trattata. Al paziente 21enne viene asportato chirurgicamente il segmento ulceroso e nel decorso post-operatorio si rende necessario adottare il regime senza glutine che nel lungo termine porta ad una remissione completa.
La scomparsa degli aggregati linfoidi della mucosa gastrointestinale avviene in 9 pazienti su 13 che per 12 mesi hanno adottato uno stretto regime senza glutine e avviene solo in 2 pazienti su 10 del gruppo di persone che hanno sospeso il glutine solo in parte o per niente. “Ciò suggerisce”, conclude Cuoco [1998], “che antigeni relativi al glutine che si ingerisce possono costituire uno stimolo persistente per lo sviluppo di aggregati linfoidi nelle malattie croniche intestinali.
Per quanto riguarda la linfocitosi caratteristica delle malattie croniche infiammatorie intestinali, Wolber [1990] dimostra che il consumo di glutine può sovente diventarne l’antigene primario responsabile, è ciò nel colon, ma anche nello stomaco [Feeley 1998].
Non bisogna dimenticare, a proposito di resistenza alla guarigione, che la sospensione del glutine, sebbene risulti un passo fondamentale, spesso deve essere accompagnata da attenzioni aggiuntive nei pazienti con malattie croniche infiammatorie intestinali.
La prima attenzione riguarda l’eziologia mercuriale (tossica). Borgzinner [1927] descrive il caso di un paziente che ha messo quattro otturazioni di amalgama qualche tempo prima di sviluppare la colite ulcerosa. Il test del mercurio nelle urine risulta positivo. La rimozione dell’amalgama dentale porta ad una regressione della patologia. “Non dovrebbe questo caso allertarci e farci considerare di smettere di usare l’amalgama?” conclude il ricercatore. Anche Pleva invita a valutare l’intossicazione da mercurio dentale in casi ad eziologia ignota: “Si tratta di una donna che era stata costretta al pensionamento anticipato all’età di 40 anni a causa di disabilitanti problemi cronici di salute, diagnosi ufficiale: “morbo di Crohn” con disturbi reumatici. Eziologia ignota. Da ragazza aveva messo numerosi amalgame nella maggior parte dei denti e appena prima dell’insorgenza della sua malattia in forma grave fu messa un’otturazione di oro in diretto contatto con l’amalgama. A 54 anni, la paziente riporta una spettacolare guarigione a seguito della rimozione dell’amalgama dentale. Ad oggi, 4 anni dopo, il morbo di Crohn è del tutto scomparso”. Il rilascio giornaliero di mercurio delle amalgame disincastonate dai suoi denti era di 82 microgrammi per 10 cm2.
È evidente che in alcuni pazienti si rende necessario rimuovere sia il glutine che il mercurio dentale, e che in questi casi la sospensione del glutine da sola non sarà sufficiente ad apportare la risoluzione completa. Sono quasi 200 anni che puntualmente medici e ricercatori lanciano questo monito (spesso non raccolto) sull’amalgama dentale, cioè rimuoverla in caso di patologie resistenti a terapia, in quanto rilascia cronicamente basse dosi di mercurio nell’intestino peggiorandone lo stato. Riguardo le rettocoliti ulcerose e il morbo di Crohn abbiamo i casi clinici documentati da Aaronson [1973], Anderson [1957], Brennum [1986], Birnbaum [1947], Bradfor [1957], Brueck [1952], Cantor [1951], Catsakis [1978], Chodoff [1949], Crikelair [1953], Engel [1998], Frykholm [1964], Garlock [1945], Gerstner [1977], Guglick [1995], Kivel [1967], Lindenmuth [1949], Murphy [1979], Ryrie [1970], Sancez-Sicilia [1963], Schmit [2001], Schofer [1988], Sidi [1961], Truelove [1981], Van der Horst [1983], Winter [1968], Wyatt [1975] (bibliografia disponibile in “Denti Tossici”, Acerra [1999]).
Un esempio del fatto che bisogna sospendere il glutine e allo stesso tempo evitare il mercurio è riferito da Martison: “Iniziai ad avere dolori di stomaco e sviluppai colite nell’autunno 1985 alcuni mesi dopo una serie di visite dal dentista per l’amalgama. Avevo forti dolori due ore dopo aver mangiato. Poi, un’otturazione di amalgama cedette ed io la ingoiai. Subito dopo ebbi un improvviso attacco di rettocolite ulcerosa. Era il dicembre 1985. Il mio peso crollò di 22 chili in un mese e i sanguinamenti interni si susseguivano. Trovai un dottore che lavorò sulla mia dieta, rimuovemmo il glutine e i miei sintomi si calmarono entro marzo 1986. Nei 18 mesi successivi ebbi numerosi momenti in cui la mia rettocolite riappariva improvvisamente per poi calmarsi. Nel novembre 1987 la rettocolite scomparve del tutto ed io pensai di essere guarito. Quindi nel marzo 1988 mi recai per lavoro in una miniera di solfuro di mercurio in Nevada. Naturalmente non sapevo dei problemi per la salute relativamente al trovarsi in una miniera di mercurio e girai per la miniera per tre ore. Dopo stetti malissimo e fu una delle peggiori esperienze della mia vita, ma ciò non fu sufficiente a farmi mettere la cosa in relazione al mercurio e portai persino campioni del minerale nel mio ufficio. Fu così che la colite tornò di nuovo ed io iniziai a peggiorare progressivamente. Ero indebolito e continuavo a perdere peso di settimana in settimana. A luglio fui portato al pronto soccorso. La mia pressione sanguigna era di 70/ 60 ed ero disidratato. Il gastroenterologo iniziò a trattare la colite con farmaci (steroidi, poi prednisone e azulfidina). Fui ricoverato per trasfusioni di sangue. Il mio dottore mi consigliò la rimozione chirurgica del colon. In ospedale un amico mi diede un libro sulla vicenda del mercurio delle otturazioni dentali, di Hal Huggins. Scoprii che molti dei miei sintomi rispecchiavano quelli descritti nel profilo di intossicazione da mercurio. Scelsi di non operare la rimozione del colon e fui dimesso dall’ospedale. Iniziai il processo di rimozione dell’amalgama dentale da un dentista locale con familiarità ed esperienza nella loro rimozione. In più mi recai presso una clinica locale specializzata in medicina ortomolecolare e nutrizione. Entro una settimana dall’inizio della rimozione mi sentii ripulito e ogni problema del mio colon era sparito. Non passò molto tempo prima che riguadagnassi tutta la mia energia e riprendessi 20 chili [in: “Davies M., Defense against Mystery Syndromes, Revealing the mystery of silver fillings, Chek Printing Co., 1994].
La seconda attenzione aggiuntiva nelle malattie croniche infiammatorie intestinali riguarda la sulfalazina, mesalazina e farmaci affini la cui azione di sollievo sintomatologico è affidata alla cito-tossicità specifica che ha come target le prostaglandine coinvolte nel processo infiammatorio. Purtroppo le prostaglandine sono anche enzimi che rivestono completamente la mucosa intestinale per cui, con l’uso prolungato, non di rado questi farmaci antiinfiammatori non steroidei provocano perforazioni, ulcerazioni e sangue occulto o anche sanguinamento evidente nelle feci [Schwake 2000]. Insomma, “possono essere causa di recidive della malattia ulcerosa o causare essi stessi coliti difficilmente distinguibili dalla malattia infiammatoria cronica intestinale” [Smith 1985].
A niente è valso per far diffondere queste informazioni lo studio di Kainlainen [2002] che riporta: “Le nostre osservazioni suggeriscono che l’attività enzimatica delle prostaglandine non solo è coinvolta nel mantenimento dell’integrità intestinale ma contribuisce alla guarigione della mucosa celiaca”.
Per cui non stupisce che, secondo la letteratura medica, questi farmaci determinano di tanto in tanto episodi di atrofia dei villi ostinata, cioè che non recede dopo la sospensione del glutine. Tra le altre cose, questi farmaci producono, in un’ampia percentuale di pazienti trattati, diarree che regrediscono solo con la sospensione del farmaco [Raimundo 1991, Ziegler 2003].
Tale interferenza sistematica con le prostaglandine determinerebbe la necessità pratica di monitorare problemi a carico dei vari tipi di mucose, renale, polmonare, ma soprattutto intestinale, il chè però rimane solo nelle buone intenzioni dei ricercatori più impegnati (vedere ad esempio gli studi di Allgayer [1999], Arend [2004], Barriuso [2003], Barroso [1999], Bodin [1991], Brouillard [1998], Calvino [1998], Foster [2003], Gaia [2001], Garcia-Martin [2002], Gibbon [2001], Green [1998], Hakoda [2004], Howard [1998], Legoux [1998], Loftus [2004], Perney [2003], Ransford [2002], Rutter [2004], Sanchez-Marin [2004], Sarzi-Puttini [2003], Sossai [2003], Toubanakis [2003], Van Staa [2004], Vuotila [2003]).
La terza attenzione nelle malattie croniche infiammatorie intestinali è che un medico non dovrebbe limitarsi a valutare la sospensione del glutine solo per qualche mese o settimana (come spesso accade), in effetti questo arco di tempo di solito non basta. Euler [1977] documenta il caso di un adolescente con atrofia dei villi e morbo di Crohn in cui la sospensione del glutine porta inizialmente solo un lieve miglioramento istologico. Due anni dopo (il regime senza glutine è stato continuato per tutto questo tempo) il paziente ha ripreso peso ma la biopsia digiunale mostra ancora lievi anomalìe dei villi. Il consiglio in definitiva è di valutare la sospensione del glutine nel lungo e lunghissimo termine (almeno 18 mesi).
Fine [1999] anch’egli segnala che sospendendo il glutine in pazienti celiaci con morbo di Crohn e soprattutto rettocoliti ulcerose gli aggregati linfoidi scompaiono dopo 6 mesi, ma lievi anomalie della mucosa restano nei due anni successivi di convalescenza. La risoluzione di questa situazione può essere accelerata se si prende in considerazione una dieta ad eliminazione delle intolleranze alimentari, in particolare latticini, uova, lieviti, agrumi, solanacee (pomodoro, melanzana, patata, peperone, peperoncino).
“Curiosamente”, fa notare Hoffman, “il ruolo terapeutico dell’alimentazione per le malattie croniche infiammatorie intestinali è generalmente ancora minimizzato dalle attuali scuole di pensiero mediche. Un manuale specialistico tra i più famosi, dopo aver dedicato tutto lo spazio ai dettagli più minuziosi di diagnosi, farmacologia e chirurgia, aggiunge succintamente: “Nei casi di rettocolite ulcerosa di gravità da lievi a media non c’è bisogno di imporre restrizioni alimentari di alcun tipo”, il che rispecchia il ritardo o anche l’assenza di valutazione di regimi terapeutici alimentari nelle procedure mediche applicate normalmente a chi si reca da rispettabili specialisti.
A tal proposito citiamo un aneddoto del libro del Dr. Wolfgang Lutz, “Vita senza pane” [1996], in cui un paziente con una diarrea cronica per oltre 15 anni è invitato dall’autore ad una eliminazione pressoché totale di prodotti farinacei: “Era un supervisore della Mercedes-Benz delle officine concessionarie per riparazioni autoveicoli, aveva visto più di decine e decine di specialisti senza successo, ormai tremava al dover uscire di casa poiché quando l’episodio di diarrea si avvicinava non poteva trattenersi per più di un minuto. Gli dissi di tornare due settimane dopo l’inizio della dieta, rassicurandolo che il problema si sarebbe risolto subito. E così fu. Venne e mi ringraziò. Le mie spiegazioni e il successo terapeutico lo avevano convinto. Però era perplesso: “Se c’è una certa possibilità di inghippo su un certo modello di veicolo Mercedes, disse, tutti i concessionari-riparazioni specializzati del mondo ne vengono messi a conoscenza in modo da arrivare in breve alla soluzione quando la cosa si presenti. Come era possibile che i numerosi dottori e specialisti che lui aveva consultato non fossero stati informati?”
Il “senza glutine” alla Gotschall
Il testo seguente è stato tratto dal sito www.breakingtheviciouscycle.info, basato sul lavoro di Elaine Gottschall, dove potete trovare anche una lista complete dei riferimenti. La Dieta dei Carboidrati Specifici, ideata dal dottor Haas per curare i pazienti sofferenti di celiachia ed altri problemi intestinali, ha fornito la base alla dottoressa Campbell-McBride per formulare la sua dieta GAPS con la quale ha guarito molti casi di autismo, dislessia, iperattività, depressione, epilessia etc.
La Dieta dei Carboidrati Specifici™ ha aiutato molte migliaia di persone con varie forme di disturbi intestinali ed altre malattie a migliorare notevolmente la qualità della propria vita. In molti casi le persone si sono ritenute curate. È una dieta specifica soprattutto per il morbo di Crohn, la colite ulcerativa, la celiachia, la diverticolite, la fibrosi cistica e la diarrea cronica. Tuttavia è una dieta molto salutare, bilanciata e sicura che apporta benefici per la salute di tutti. La scelta dei cibi che sono permessi dalla Dieta dei Carboidrati Specifici ™ dipende dalla loro struttura chimica. I carboidrati sono classificati in base alla propria struttura molecolare.
I carboidrati permessi sono monosaccaridi ed hanno la struttura di una singola molecola che permette loro di essere facilmente assorbiti dalle pareti intestinali. I carboidrati complessi che soni disaccaridi (molecole doppie) e polisaccaridi (catene di molecole) non sono permessi. I carboidrati complessi che non vengono facilmente digeriti nutriscono i batteri patogeni nel nostro intestino facendoli proliferare con conseguente produzione di tossine ed infiammazione della parete intestinale. La dieta funziona facendo morire di fame questi batteri e restaurando l’equilibrio dei batteri nell’intestino.
Una permeabilità intestinale alterata è stata trovata nel 43% dei pazienti autistici, ma non è stata trovata in nessuna delle persone del gruppo di controllo (Harvard University). La permeabilità intestinale, comunemente detta “intestine poroso”, significa che ci sono spazi più larghi del normale tra le cellule delle pareti intestinali. Quando ci sono questi spazi nel piccolo intestino, cibo maldigerito ed altre tossine possono penetrare nel circolo sanguigno. Quando cibi incompletamente digeriti arrivano nel corpo, il sistema immunitario lancia un attacco contro questi “stranieri” causando a sua volta sensitività ed allergie. Il rilascio di anticorpi scatena le reazioni di infiammazione quando i cibi vengono mangiati nuovamente. L’infiammazione cronica abbassa i livelli di IgA. Livelli sufficienti di IgA sono necessari per proteggere il tratto intestinale dai clostridi e dai lieviti. La diminuzione dei livelli di IgA permette un’ulteriore proliferazione microbica nel tratto intestinale. A causa dell’intestino poroso si sono osservate anche carenze di vitamine e minerali.
In un sistema digestivo sano il piccolo intestine e lo stomaco non sono abitati da batteri. Quando equilibrio della microflora del colon non è più equilibrata, i microbi possono migrare nel piccolo intestino e nello stomaco, la qual cosa ostacola la digestione. I microbi competono per le sostanze nutritive ed i loro prodotti di scarto invadono il canale digestivo. Una delle tossine prodotte dal lievito è in realtà un enzima che permette al lievito di penetrare nella parete intestinale.
Il lievito produce anche altre tossine come alcuni acidi organici, che possono anch’essi danneggiare la parete intestinale. La crescita dei batteri nel piccolo intestino distrugge gli enzimi sulla superficie delle cellule intestinali, impedendo la digestione e l’assorbimento dei carboidrati. L’ultimo stadio della digestione dei carboidrati avviene in corrispondenza delle minuscole protuberanze dei microvilli. I carboidrati complessi che sono stati scissi dagli enzimi che si trovano nei microvilli possono essere assorbiti correttamente ed entrare nel circolo sanguigno. Ma quando i microvilli sono danneggiati, l’ultimo stadio della digestione non può avere luogo. A questo punto solo i monosaccaridi possono essere assorbiti a causa della loro struttura mono-molecolare.
Nel piccolo intestino, il corpo dovrebbe assorbire le sostanze nutritive necessarie presenti nei cibi che sono stati mangiati. Ma in caso di malassorbimento, i carboidrati non digeriti che rimangono nel piccolo intestino fanno sì che il corpo attiri apporti acqua nel canale digestivo. Questo spinge i carboidrati non digeriti nel colon, dove i microbi se ne saziano. Questo permette una ulteriore proliferazione dei microbi indesiderati e continua ad aumentare i problemi di malassorbimento.
Una bassa attività dell’enzima che digerisce i carboidrati è stata riscontrata nel 43% dei pazienti autistici. (Horvath) Recenti studi mostrano che il continuo malassorbimento dei carboidrati causa a sua volta un costante indebolimento del sistema digestivo, causando malattie a livello sistemico. Un sospetto malassorbimento dei carboidrati dovrebbe essere trattato per prevenire ulteriore danno al sistema digestivo dell’organismo. (GSDL)
La maggior parte dei microbi intestinali prendono l’energia dai carboidrati, di cui hanno bisogno. La Dieta dei Carboidrati Specifici™ limita la disponibilità dei carboidrati. Privando questi microbi della loro fonte di cibo, essi gradualmente diminuiscono di numero. Quando il numero dei microbi diminuisce, diminuiscono anche i loro sottoprodotti tossici.
La Dieta dei Carboidrati Specifici ™ (SCD™) ha la finalità di spezzare il circolo vizioso del malassorbimento e della crescita dei microbi rimuovendo la fonte di energia dei microbi. La dieta SCD™ permette l’assunzione di monosaccaridi che non hanno bisogno di essere scissi per essere assorbiti. Seguendo la SCD™, il malassorbimento cede il passo al corretto assorbimento. L’infiammazione diminuisce ed il sistema immunitario può ritornare normale.
Una volta che il sistema immunitario è ritornato a livelli accettabili, può iniziare a mantenere nell’intestino i microbi nel corretto equilibrio. La SCD™ permette i carboidrati semplici, ma proibisce quelli complessi. La dieta si inizia seguendo una fase introduttiva, ovvero una dieta che consiste di un numero limitato di cibi. Dopo la dieta introduttiva, il passo successivo della dieta permette più cibi, ma richiede che tutta la frutta e la verdura sia sbucciata, privata dei semi e cucinata per renderla più digeribile. Frutta cruda, verdura, noci e semi vari vanno aggiunti alla dieta successivamente.
Per seguire correttamente questa dieta è imperativo leggere il libro Breaking the vicious cycle (tradotto in italiano col titolo Intestino sano con la dieta dei carboidrati specifici) di Elaine Gottschall. Il libro spiega in dettaglio la progressione dei cibi permessi e fornisce anche molte deliziose ricette.
La Dieta dei Carboidrati Specifici™ è biologicamente corretta perché è appropriata per la nostra specie. I cibi permessi sono principalmente quelli che gli uomini primitivi hanno mangiato prima dell’introduzione dell’agricoltura.
Il “senza glutine” alla Seignalet
L’idea che mi sono fatto è che per qualsiasi problematica il “senza glutine” sia quasi come fosse una lampada di Aladino fedele, che aspetta solo il prossimo che voglia sfregarla.
Numerosi altri autori documentano il problema del glutine nella storia dell’umanità, Chuprun, Lutz, Montinari, Reichelt, Shattock, Waring, Mercola, Panfili (che nel 2003 anch’egli ha esposto a “Porta a Porta” su RaiUno la sua scoperta secondo cui la rimozione del glutine apporta benefici di una qualche entità in praticamente tutte le patologie).
“L’alimentation ou la troisieme medecine” (Francia 1996), del Dr. Jean Seignalet, è un libro ideale per chi voglia ricostruire da vicino il quadro del ritorno alla salute “senza glutine”. Il regime alimentare che i suoi pazienti guariti adottano è il seguente:
- verranno eliminati tutti i cereali, ad eccezione di piccole quantità di riso;
- verrà eliminato tutto il latte animale e tutti i derivati;
- gli alimenti crudi costituiranno la maggior parte del cibo consumato;
- gli oli consumati saranno di prima spremitura a freddo, gli alimenti biologici, più
naturali e meno processati possibile;
- si assumeranno sali di magnesio e probiotici.
Nel libro di Seignalet vengono riportati mille casi di guarigione, eccone due rendiconti:
Signora G. Signora B. |
La descrizione di guarigioni va avanti, capitolo dopo capitolo, per tutta una serie di patologie, che ricapitoliamo in tabella.
Tabella 1.1
Malattie |
pazienti |
guarigioni |
guarigioni |
miglioramenti al 50% |
% di fallimento |
% di successo almeno al 50% |
poliartrite reumatoide |
200 |
83 |
66 |
11 7 |
40 su 200 |
80% |
pseudo poliartrite rizomelico |
11 |
8 |
3 |
1 2 |
- - |
100% |
morbo di Sjogren |
36 |
11 |
9 |
8 |
8 su 36 |
75% |
dermatomiosite |
1 |
|
1 |
|
- - |
100% |
malattia di Basedow |
3 |
1 |
3 |
1 |
- - |
100% |
malattia di Lapeyroni |
1 |
1 1 |
blocco dell’ |
1 evoluzione |
- - |
100% |
fibromialgia primitiva |
16 |
14 1 |
1 |
2 |
- - |
100% |
parkinson |
2 |
14 |
1 |
1 del 30% del |
- - |
100% |
spasmofilia |
10 |
3 30 |
2 |
2 |
3 su 10 |
70% |
gotta |
2 |
2 |
|
|
- - |
100% |
artrosi |
20 |
6 |
8 |
6 |
- - |
100% |
leucemie |
2 |
1 |
2 |
1 |
- - |
100% |
colopatia funzionale |
220 |
215 13 |
|
1 |
5 su 220 |
98% |
acne |
30 |
26 |
4 |
1 |
- - |
100% |
orticaria |
15 |
14 |
5 |
1 |
1 au 15 |
93% |
bronchite cronica |
8 |
8 |
|
4 |
- - |
100% |
sinusite cronica |
3 |
3 |
2 |
3 |
- - |
100% |
edema di Quincke |
7 |
7 |
2 |
1 |
- - |
100% |
totale |
1124 |
687 |
224 |
86 |
127 |
89% |
Le percentuali di miglioramento o successo in patologie alquanto “impegnative”, come vedete in tabella, è strabiliante. Questi risultati, sottolinea Seignalet, aprono nuovi spiragli in patologie croniche considerate irreversibili, ad esempio il morbo di Behçet:
“Il morbo di Behçet è un ulteriore esempio di condizione considerata incurabile e che potrebbe invece essere trattata con l’adeguato modo nutrizionale da noi preso in considerazione. L’efficacia del regime alimentare da noi proposto sembra netta per questa patologia: non solo le sue manifestazioni cliniche scompaiono, ma in questi pazienti è evidente che l’allontanarsi dal regime alimentare invariabilmente genera piccole ricadute. I pazienti con Behçet avevano provato precedentemente anche il regime alimentare Kousmine, ma senza successo, credo per il motivo che è troppo ricco in cereali. I cereali a quanto ci risulta costituiscono un lusso al di fuori della portata dei malati con Behçet”. |
Il piraña e il giardino delle trasparenze
Forse a qualcuno di voi non sarà sfuggito che il regime alimentare consigliato da Seignalet è la Caporetto delle Caporetto per uno che vive nel terzo millennio. Lo riporta indietro, per quanto riguarda l’alimentazione, all’era dell’uomo nelle grotte, anzi di più, l’uomo paleolitico almeno cacciava e pescava in pace, usava già il fuoco. La Tranfaglia, invece, al confronto non si fa mancare niente (pur rimanendo nell’ambito del “senza glutine” e di prodotti fatti in casa con elementi naturali): pizza di farina di riso, piadine o ferratelle di riso, lasagne di farina di riso, gelati senza glutine e senza latte vaccino, frittelle con farina di riso, dolci a base di zucchero integrale e farina di riso, secondi piatti con tempeh e tanti altri alimenti speciali, primi piatti con pasta di riso, pasta di mais, e pseudo-cereali come quinoa, amaranto e grano saraceno.
Perché Seignalet ci vuole cacciare indietro ai tempi dell’uomo di Neanderthal? E in più le sue osservazioni sono che quasi tutti i pazienti, ripristinando l’alimentazione “normale”, dopo pochi mesi rientrano anche nella malattia!
Ad un’analisi ravvicinata si scopre che Seignalet purtroppo per i suoi pazienti non ha verificato molte cose che potevano farli approdare ad un po’ più di autonomia. C’è da valutare l’effetto tossico dell’amalgama dentale e sua rimozione protetta (che non è stato fatto da Seignalet), c’è da valutare altri focus patogeni e destabilizzanti per l’organismo quali infezioni latenti nella mucosa intestinale o anche nella mascella, denti devitalizzati, etc. etc.
Ognuna di queste contromisure ha la potenzialità di ricaricare un pochettino il bonus per il parcheggio nel luna park della carne, pesce, cereali e dei legumi che Seignalet ci voleva negare (non gli bastava tirarci via le farine glutinose?).
Da notare che sia nel caso della Tranfaglia (“senza glutine”) sia nel caso di Seignalet (modello “uomo del Neanderthal”), è richiesto un minimo di organizzazione e limitazioni sulle abitudini sociali, per cui le difficoltà sembrano insormontabili, anche quando in teoria il grado della necessità dovrebbe essere più elevato delle obiezioni e perplessità.
“Le difficoltà sembrano insormontabili”. Questo mi fa venire in mente che la malattia (la propria o quella di un familiare) è una compagna quasi indispensabile e onnipresente quando si imbocca la strada. Dice la mamma di un bambino autistico:
“Quando iniziai il regime senza glutine e senza caseinaavevo in qualche modo un’attitudine che non volevo che funzionasse, perché sapevo sarebbe stata così difficile da seguire. Sapevo comunque che glielo dovevo a mio figlio almeno di cercare, di provare questa strada o sarei sempre rimasta a domandarmi:- Cosa sarebbe stato se…- Ora sono felice di dichiarare che, al di là di quanto è difficile per me e per lui, ne vale la pena! Sto vedendo che questa dieta mi sta ridando indietro mio figlio” Cathy madre di Dallas (2 anni e 6 mesi).
Questa citazione e quella successiva sono tratte dal libro “Autismo” del Dr. Massimo Montinari (nel quale viene spiegata l’efficacia del regime senza glutine e senza caseina in bambini danneggiati dalle vaccinazioni infantili):
“Sentimmo della dieta senza glutine e senza caseina 6 anni dopo la diagnosi di autismo fatta a nostro figlio (età: 8 anni). Il Dr. Karl Ludvig Reichelt, ricercatore presso l’università di Oslo, è stato il primo a documentare con indagini mirate l’opportunità di tale intervento alimentare. Avendolo contattato, ci fu subito evidente che il Dr. Reichelt sapeva più delle altre persone e decidemmo di provare i suoi suggerimenti. Non abbiamo mai guardato indietro al “prima”, senza essere percorsi da brividi all’idea di cosa sarebbe stato se non avessimo incontrato il Dr. Reichelt. Nostro figlio non riuscirà mai a recuperare per tutto quello che ha perso nei primi 8 anni di sviluppo. Ma la sua vita ha preso una direzione completamente diversa. Egli ora riesce ad apprendere. Ha imparato a parlare. È diventato indipendente per andare al bagno. Ha sviluppato un forte senso dell’umorismo ed un genuino attaccamento verso di noi. Comunichiamo. Noi siamo qualcosa ora nella sua realtà. Gioca con altri ragazzi” Suzanne e Jorgen Klaveness, Moss (Norvegia).
Nello scrivere questo libro, ispirato da 5000 episodi simili, mi vedo come il protagonista di Matrix che prima deve aprire gli occhi lui stesso, poi liberarsi, e infine deve comunicare all’umanità il fatto che, ignara, è stata coltivata in un sistema virtuale che crea dipendenza.
Devo fare una premessa su di me. I miei amici volontari di Festambiente nel mese di agosto a Rispescia (Grosseto) si ricorderanno che i pizzaioli invece di chiamarmi Lorenzo mi chiamavano “piraña”. La pizza a Napoli è come la birra in Scozia, cioè un pretesto per uscire di sera con qualcuno con cui si ha sempre piacere a fare una chiacchierata. Riguardo a coloro che vanno a farsi una pizza, però, quello che mi sono chiesto per anni tra me e me è come fanno a resistere a non chiederne una seconda, per cercare di avvicinarsi almeno al senso di sazietà che li farebbe sentire bene e più tranquilli durante la chiacchierata. I pizzaioli di Festambiente sorridevano chiamandomi “piraña”, e io anche, soprattutto perché forse chi ci sentiva poteva pensare ad una loro iperbole o ad una manifestazione di amichevole confidenza tra di noi, e invece non sospettava o non poteva credere che il termine “piraña” potesse essere una sotto-stima delle mie esagerazioni incontrollabili, bulimiche con la pizza.
Si sa, uno più mangia e più vuole mangiare. Le madri e le zie si preoccupano affettuosamente e instancabilmente che i bimbi abbiano sempre un piatto da svuotare e se a volte i piccoli danno segni di voler mangiare di meno, questo loro capriccio deve essere immediatamente corretto. “Mangia che così allontani tutte le malattie”, e “il mangiare non ha mai ammazzato nessuno”. Viviamo in una società che sforna piccoli e grandi “piraña”.
Deve arrivare il momento in cui qualcuno parlerà soprattutto dell’effetto mentale (vedi cap.V), non tanto fisico, di questa abitudine, che si rende tanto più evidente nelle generazioni della civiltà del benessere. Come in Matrix, siamo coltivati in batteria e veniamo su così bene e uniformi che non capita a nessuno di accorgersi delle anomalie.
Una volta verso i 18 anni incontrai pure una persona che mi spiegò che tutti quelli che come me erano allergici al polline delle graminacee (io avevo le IgE a 1100!!), dovevano evitare il frutto per eccellenza della famiglia delle graminacee, ovvero il frumento. Provai a pensarci un attimo, ma non riuscii né a contestare l’argomentazione né a convincermene, e soprattutto pensai che se quel discorso avesse avuto un senso sicuramente l’avrebbero fatto anche i medici e l’avrei sentito in TV. Non posso negare che il mio cervello era come quel marchingegno della bicicletta cui è stata sganciata la catena, e dunque non c’è più una relazione causa- effetto tra il pedalare e ottenere qualche risultato di movimento. Beata innocenza?
E che cosa fa, in questa beata innocenza, uno che dopo 30 anni di coltivazione in batteria si trova a raschiare il fondo del barile? Semplice, si affida a questo e quell’altro specialista, il farmaco c’è sempre, basta arrivare ad una malattia, una diagnosi.
Gente come Seignalet è stata tenuta ai limiti dell’introvabile e certo non nel circolo che conta della medicina ufficiale.
Le difficoltà vengono dall’esterno ma non solo, finanche chi ha aperto gli occhi deve combattere una battaglia con sé stesso di cui l’esito non è certo, come ci ricorda un personaggio del film Matrix, “il cattivo”, spiegando alla fine che il suo cervello è stato anestetizzato per così a lungo che la realtà ora gli risulta dolorosa, assolutamente ingestibile e insopportabile.
Per cui lui sceglie di farsi anestetizzare di nuovo e definitivamente.
La gestione del risveglio è proprio dura. Il piraña che è stato coltivato in noi si ribella, e la sua presenza è decisamente inestinguibile. Ma l’obiettivo non è di annientare la sua presenza, sarebbe impossibile, sarebbe dannoso, “il piraña” infatti è destinato a diventare il miglior maestro del Lorenzo nuovo. Si tratta sia di ammettere la sua presenza sia di declassarlo ad uno stato di pensionamento. Per poterlo mantenere in uno stato di pensionamento è appunto necessario far crescere un Lorenzo nuovo che diventa robusto almeno quanto “il piraña” di prima.
CAPITOLO 4: Le altre condizioni più prevedibili nella celiachia subclinica
L’anemia
Si legge sul “Vademecum del celiaco” A.I.C. 1994: “Che l’anemia sia un reparto di comune riscontro nel paziente celiaco è noto da tempo, tuttavia è importante sottolineare che essa può essere l’unica manifestazione della celiachia, soprattutto se si tratta di un’anemia da carenza di ferro e in più che non risponde alla somministrazione di ferro per bocca”.
Vediamo un esempio riportato da Schmitz [1994]: “Paziente 40enne con anemia cronica di origine ignota. Le valutazioni mediche si erano succedute per 2 anni senza riuscire a risalire alla causa. La somministrazione di ferro [che è il primo passo della procedura ospedaliera, N.d.A.] non aveva avuto alcun effetto sui livelli di ferro nel sangue e sull’anemia. Gli esami endoscopici [che sono il secondo passo, N.d.A.] non avevano rivelato anomalie macroscopiche della mucosa gastrointestinale. L’endoscopia viene da noi ripetuta presso l’ospedale dell’università di Bonn, ma neanche questo esame rivela anomalie macroscopiche. L’esame bioptico del tratto superiore gastrointestinale, invece, rivela atrofia incompleta dei villi nel piccolo intestino. Una dieta senza glutine porta ad un aumento del ferro nel sangue, alla guarigione dell’anemia e della morfologia della mucosa”.
“L’accertamento di esofagite, gastrite o duodenite mediante esofagogastroduodenoscopia, ed anche altre anomalie accertate con la colonscopia non fanno escludere la coesistenza con la celiachia” sottolinea Ackerman [1996], che aggiunge: “Purtroppo biopsie intestinali per individuare la celiachia non sono usate di routine nei casi di anemia. Nel nostro caso, se non avessimo programmato un monitoraggio sistematico della celiachia in pazienti israeliani con anemia non ci saremmo resi conto che un consistente numero di questi avevano anomalie della mucosa gastrointestinale compatibili con la diagnosi di celiachia”.
Rapido glossario: L’anemia può essere a. ipocromica (quando i valori di emoglobina sono minori di 7.4 mmol/l nelle donne e minori di 8.0 mmol/l negli uomini); b. ferropenica (quando una delle seguenti condizioni è presente: 1. livello di ferritina minore di 20 ng/l per gli uomini e minore di 10 ng/l per le donne, 2. ferro sierico inferiore a 45 ng/dl, ovvero 8.1 nmol/l, con una saturazione di transferrina minore del 10%, 3. assenza di riserve di ferro in campioni di biopsie del midollo osseo). |
190 pazienti con anemia e senza altri sintomi vengono sottoposti a screening della celiachia dal ricercatore Annibale [2001]. Vengono così identificati 26 casi di atrofia dei villi intestinali (celiachia), e su questi è iniziata la dieta senza glutine. Il 27.8% dei pazienti con anemia ferropenica avevano risolto la carenza di ferro dopo 6 mesi, il 50% dopo 12 mesi. Per quanto riguarda l’anemia con carenza di emoglobina sierica, il 77.8% dei pazienti si riprendono dopo 6 mesi di regime senza glutine, la percentuale sale al 94.4% dopo 12 mesi “senza glutine”. Le conclusioni di Annibale e collaboratori sono queste: “Una valutazione sistematica della celiachia dovrebbe essere condotta in pazienti adulti con anemia. La guarigione dall’anemia avviene tra i 6 e i 12 mesi di dieta senza glutine, come conseguenza della normalizzazione delle alterazioni della mucosa intestinale”.
La celiachia induce un’alterazione della morfologia della mucosa intestinale e dunque malassorbimento, primi tra tutti di ferro, poi di acido folico e di vitamina K [Stazi 2000].
L’assorbimento di Fe2+ risulta ridotta nei celiaci che continuano a consumare glutine, a causa dello stato alterato della mucosa intestinale. Questi sono i risultati di test di assorbimento fatti già nel 1977 da Anand su pazienti che continuano a consumare glutine e su quelli che lo sospendono. Sia lo stato della mucosa sia l’assorbimento di ferro migliorano con una dieta senza glutine.
“I medici dovrebbero essere attenti e pronti alla possibilità di celiachia negli anziani”, scrive Hankey [1994], “in particolare in pazienti con sintomi non specifici in presenza di inspiegabile anemia. Queste situazioni scompaiono con una dieta senza glutine e dunque è inammissible trascurare questa valutazione”. Lo stesso monito è lanciato da Lazzari [1994].
Nella celiachia, quando la maggior parte o tutta la mucosa intestinale sarà coinvolta, i sintomi saranno gravi e il malassorbimento generalizzato. In questi casi clinici ben definiti la possibilità di celiachia e dunque gli esami specifici saranno più prontamente presi in considerazione. Nel caso invece di lesioni della mucosa limitate al duodeno, evidenti sintomi gastrointestinali e steatorrea saranno assenti. In questi pazienti le manifestazioni cliniche, quando ve ne sono, possono riflettere il malassorbimento di solo una o due sostanze, in particolare ferro e acido folico, che sono assorbiti in qualche modo selettivamente nella prima parte dell’intestino [Trier 1993].
Il riscontro di sanguinamento intestinale occulto dovrebbe ugualmente far sospettare la diagnosi di celiachia [Shepherd 1985, Fine 1996, Shamir 2000].
Un’importante questione che abbiamo sottolineato spesso relativamente alla celiachia è quella del “vivere male”, senza diagnosi, anche per decenni.
Una donna 38enne viene diagnosticata con una grave anemia nel 1983. 8 anni dopo essa sviluppa i classici sintomi di celiachia, cioè diarrea, perdita di peso ed appetito diminuito. Questo caso viene presentato in un articolo di Glikberg [1995].
Rea [1996] documenta anomali bassi valori di emoglobina, ferro e zinco sierici al momento della diagnosi della celiachia in più della metà dei pazienti, ma tutti questi valori ritorna alla normalità, insieme alla morfologia dei villi intestinali, dopo un anno di dieta senza glutine. Lazzari [1994] documenta che su un campione di 212 pazienti con celiachia, 103 hanno anemia al momento della diagnosi.
Foller [1993] descrive 3 pazienti che presentano isolate manifestazioni di malassorbimento ma senza i tipici sintomi di celiachia. Questi pazienti accusano un’anemia da ferro che non migliora con l’uso di supplementi. Trovati gli anticorpi della celiachia e verificata l’atrofia dei villi intestinali da prelievi istologici, viene adottato un regime alimentare senza glutine che porta alla scomparsa dei sintomi.
Uno studio pubblicato da Depla nel 1990 si intitola: “Anemia: presentazione di celiachia monosintomatica”. Scrive Depla: “Descriviamo 3 casi di anemia senza altri sintomi nei quali la celiachia fu presa in considerazione e diagnosticata molti anni dopo la comparsa clinica dell’anemia”. I pazienti con celiachia monosintomatica possono eludere la diagnosi per molto tempo. L’anemia è uno dei più comuni riscontri nella celiachia, però l’anemia come solo sintomo spesso non conduce ad un’immediata indagine sulla possibilità di celiachia. Pubblicazioni equivalenti sono state prodotte da Straub [2001] e Jankovska [1993].
Kaiser [1991] presenta il caso di una paziente 23enne che, senza altri sintomi e con peso normale, ha avuto per almeno due anni una anemia da ferro. La radiografia del piccolo intestino rivela una modalità anomala con ruvida rugosità del duodeno. La biopsia duodenale e la presenza di anticorpi alla gliadina confermano la diagnosi di celiachia monosintomatica, cioè la cui unica manifestazione è l’anemia. La paziente guarisce completamente dall’anemia con un regime senza glutine.
Vediamo un altro esempio, una segnalazione di Solana-de Lope [2000] in cui l’anemia è il solo sintomo di celiachia. L’endoscopia del tratto alto gastrointestinale, la colonscopia e le prove di contrasto con bario del piccolo intestino sono risultate normali. Persino gli anticorpi ematici relativi alla celiachia, antiendomisio e antireticolina risultano negativi. Infine sono individuati gli anticorpi IgA alla gliadina e, mediante enteroscopia, l’atrofia dei villi. Dopo 4 mesi di trattamento con dieta senza glutine i livelli di emoglobina e ferro nel sangue si normalizzano e lo stesso avviene per la morfologia della mucosa.
Sari [2000] descrive 2 casi di celiachia asintomatica che per 3 anni hanno presentato inspiegabile grave anemia da ferro. L’uso di supplementi di ferro non ha corretto i loro livelli di ferro ed emoglobina nel sangue. Una dieta senza glutine porta ad un aumento del ferro nel sangue, scomparsa di anemia e normalizzazione della morfologia della mucosa. Dunque, conclude Sari, “anche le più gravi anemie da ferro, correlate con celiachia asintomatica, rispondono ad una dieta senza glutine”.
Straub [2001] presenta 2 casi clinici di grave anemia sideropenica nei quali l’indagine specifica e dunque la diagnosi finale di celiachia viene effettuata solo dopo molti anni dalla diagnosi di anemia. C’è una completa normalizzazione dei valori di emoglobina quando i pazienti adottano una dieta senza glutine. L’autore conclude: “L’obiettivo di questo studio è stato di portare l’attenzione all’eventualità di malassorbimento selettivo di ferro e dunque anemia sideropenica come la sola manifestazione clinica del malassorbimento nella celiachia. Ciò dovrebbe essere sospettato quando l’esame delle perdite di sangue risultano futili e quando la somministrazione di ferro non produce effetti”.
Un paziente con anomalie dei valori ematologici viene trattato prima con supplementazione di vitamina B12 e acido folico, poi con integratori di ferro ma senza successo. Infine viene valutata la possibilità di celiachia e, nonostante l’assenza delle classiche manifestazioni gastrointestinali quali steatorrea e diarrea, questa viene confermata dagli specifici esami [Cordum 1995]. Cordum conclude che un’inspiegabile carenza di ferro dovrebbe allertare il medico della possibilità di celiachia.
In una valutazione di pazienti con anemia ferropenica, Garrido [1997] riporta tra i pazienti con anemia una certa prevalenza di celiachia non diagnosticata la cui unica presentazione era rappresentata da una forte carenza di ferro. Garrido invita dunque ad usare sempre lo strumento dello screening della celiachia in questi pazienti anemici in cui non ci siano evidenti lesioni all’esame endoscopico.
Valutando 25 pazienti con anemia sideropenica che non risponde a trattamenti con ferro, in 5 viene riscontrata atrofia dei villi intestinali [Carroccio 1998].
Durante uno screening di pazienti con anemia ipocromica, Ciacci [1999] scopre in 10 pazienti una celiachia che nessuno prima di allora aveva mai sospettato. Lazzari ottiene gli stessi risultati nel 1994: “Il nostro studio dimostra che una certa percentuale di pazienti affetti da anemia ipocromica di eziologia ignota possono essere affetti da celiachia”.
Uno studio pubblicato da Dickey nel 1997 si intitola: “Biopsie gastriche e duodenali possono rivelarsi utili nella valutazione dell’anemia”. In 8 casi su 40 di anemia, senza specifici sintomi gastrointestinali, viene rilevata l’atrofia dei villi intestinali. “I nostri risultati”, scrive Dickey nel 1997, “confermano l’importanza di ricercare la celiachia in pazienti con anemia. In particolare le biopsie duodenali dovrebbero essere prese in considerazione anche in assenza di anticorpi sierici della celiachia”.
16 casi di celiachia precedentemente con diagnosticata vengono riportati da Corazza [1995] nel suo studio tra pazienti anemici che risultano avere gli anticorpi antigliadina.
Una donna 70enne viene ricoverata in ospedale dopo una storia clinica di 5 anni con perdita di peso, indebolimento, anemia, osteomalacia e dolori che rispondono solo ad analgesici narcotici [Monti 1996]. Il test di assorbimento dello xilosio mostra uno stato di malassorbimento e dunque il test degli anticorpi antigliadina e antiendomisio evidenzia celiachia, confermata da accorciamento o assenza dei villi intestinali. Monti conclude che casi atipici di celiachia senza i classici sintomi gastrointestinali stanno aumentando sempre più e un’anemia persistente nonostante integratori di ferro o l’osteomalacia possono essere i soli sintomi osservabili.
Facendo uno screening di donatrici di sangue Unsworth [2000] scopre in 32 casi la presenza di anticorpi della celiachia di cui 29 con anemia microcitemica (i globuli rossi hanno diametro e volume inferiori alla norma) . “In nessuno di questi casi la possibilità di celiachia era stata investigata prima del nostro intervento”. Cioè la celiachia è sotto diagnosticata in pazienti anemiche.
Stahlberg [1991] segnala che in 54 bambini finlandesi al momento della diagnosi di celiachia c’è lieve anemia da ferro o comunque carenza di ferro. Sospendendo il glutine, anche senza l’uso di integratori di ferro, sparisce ogni evidenza di carenza di ferro e si normalizzano completamente tutti i valori di laboratorio. Una susseguente reintroduzione del glutine porta ad una rapida ricomparsa di valori alterati di ferro e di ferritina ematica.
80 bambini celiaci vengono divisi da Bonamico e collaboratori [1987] dell’università La Sapienza di Roma a secondo che abbiano alterata morfologia dei villi e se seguono una dieta senza glutine. Il 51% dei pazienti con atrofia della mucosa e il 56% dei bambini che consumano glutine hanno livelli di ferro nel sangue minori di 50 microgrammi/dl; il 35% dei pazienti di entrambi i gruppi hanno ferritina sierica minore di 12 microgrammi/L. Dall’altra parte, solo una piccolissima parte dei bambini con mucosa normale e con regime senza glutine mostrano il quadro subclinico di carenza di ferro.
Possono le anemie ricorrenti e inspiegabili preannunciare (di qualche anno) una mucosa pre-celiaca? Pare proprio di si. Egan-Mitchell [1991] presenta un caso molto significativo nel quale la mucosa duodenale è normale, normale sono i linfociti inter-epiteliali, la fosfatasi alcalina e la sucrasi, normale il test con lattosio e xilosio. Si tratta di una bambina con ritardo nella crescita e carenza di ferro da 2 anni. L’attività delle lattasi della mucosa è bassa. Solo 14 mesi dopo questi primi esami, vengono evidenziate alterazioni della mucosa consistenti con la celiachia. L’autore, Egan-Mitchell, trae le seguenti conclusioni da questo studio: “È probabile che in alcuni bambini le lesioni della mucosa relative alla celiachia avvengano molto gradualmente, così che ci sia uno stadio iniziale con morfologia normale e solo poche anomalìe, come la soppressione dell’attività della lattasi e possibilmente l’interferenza con l’assorbimento di ferro.
Bulfoni [1995] riporta il caso di una paziente 23enne per la quale una grave anemia da ferro è stata la sola manifestazione clinica della celiachia. Sospendendo il glutine l’anemia scompare.
Una grave deficienza di ferro è la manifestazione clinica in un paziente con celiachia che per molto tempo non era stata sospettata e identificata nonostante numerose visite mediche [Brady 1994].
Un malassorbimento di ferro da lieve a moderato viene segnalato da Kastrup [1977] in pazienti con dermatite erpetiforme (che è una sindrome celiaca con coinvolgimento cutaneo).
De Vizia [1992] riporta che la carenza di ferro è comune in 199 bambini affetti da stati di malassorbimento, in particolare con intolleranza al glutine (84%) o intolleranza al latte (76%).
In una paziente 21enne per molti mesi l’anemia è il solo sintomo di quella che poi verrà diagnosticata celiachia mediante gli specifici esami [Jankovska 1993]. La letteratura abbonda di rapporti di simili casi di celiachia monosintomatica (solo con anemia).
Un paziente con anemia, neutropenia e ipersegmentazione granulocitica viene trovato essere positivo all’esame sierologico e istologico per la celiachia. Le anomalie ematologiche si risolvono entro 3 settimane seguendo una dieta senza glutine [Pittschieler 1995].
Dickey [1996] spiega che la percezione generale di rarità della celiachia riflette il fenomeno della scarsa prontezza a diagnosticarla. L’anemia spesso è la sola manifestazione clinica della celiachia. 17 casi sono presentati da Dickey [1996]. L’autore descrive 14 pazienti in cui, nonostante numerosi esami e visite, la diagnosi di celiachia viene fatta con notevole ritardo, per 9 di questi pazienti devono passare più di 6 anni di valutazioni. Insomma, l’evidenza clinica di carenza di ferro ed emoglobina sierica può essere usato come utile punto di riferimento per iniziare a prendere in considerazione la diagnosi di celiachia. “La celiachia”, sottolinea Volpe [1997], “può causare un malassorbimento selettivo e dunque una presentazione clinica non immediatamente identificabile”. Volpe presenta due casi di celiachia nei quali le indagini specifiche vengono spronate da inspiegabili anemie croniche.
Altri casi (che per brevità non stiamo qui a ricopiare) in cui la carenza di ferro è stato il primo sintomo di una celiachia precedentemente non sospettata sono riportati da Zieleznik [1968], Kilpatrick [1969], McNeish [1969], Plochl [1969], Sutton [1970 e 1971], Singh [1970], Brown [1975], Harms [1976], Proctor [1976], Cooper [1979], Kosnai [1979], Egan-Mitchell [1981], Telesz [1981], Braide [1982], Bardella [1985], Rosenbach [1986], Pare [1988], Bosch [1990], Bouguerra [1990], Hjelt [1990], Encinas Sotillos [1991], Ercan [1991], Denman [1992], Andant [1993], Gostout [1993], Malave [1994], Kepzyk [1995], Santos [1996], Strauch [1996], Macdonald [1996], Barton [1997], Callejas Rubio [1998], Calvo Romero [1999], Fernandez Rodriguez [1999], Gutierrez Junquera [1999], Kariv [1999], Wallace [1999], Yenerel [1999], Favre [2000], Annibale [2001], Pearce [2001], van Mook [2001].
Ricapitolando, in primo luogo le anemie, quando sono ricorrenti e inspiegabili, danno un’indicazione per la ricerca nella popolazione generale della conferma di celiachia subclinica [Mainguet 1992]. In secondo luogo lo screening dell’anemia è un possibile metodo usato per valutare se il paziente celiaco ha mantenuto un’alimentazione senza glutine [Pare 1988]. Nel caso di 20 bambini celiaci Hjelt [1990] monitora la concentrazione di ferro in periodi di sospensione di glutine e in periodi di consumo di glutine: la concentrazione di ferro nel sangue cresce, andando verso la normalizzazione, nel momento in cui si sospende il glutine. Souroujon [1982], a tal proposito, ci dice che pazienti celiaci che non abbiano escluso il glutine dalla dieta spesso hanno bassissimi livelli di ferritina che invece aumentano di 1 microgrammo al mese quando si adotta una dieta senza glutine. Quando il paziente torna ad una dieta con glutine, però, i livelli di ferritina diminuiscono rapidamente ad una velocità di circa 4 microgrammi/1 al mese. “C’è sicuramente una correlazione tra anomali alterazioni intestinali e bassi livelli di ferritina nei celiaci, con un miglioramento di entrambi quando il paziente passa ad un regime senza glutine”, conclude Souroujon [1982].
I linfomi e tumori
L’attenzione rivolta dalla comunità scientifica alla necessità della diagnosi precoce della celiachia e alla necessità di adottare e mantenere un regime senza glutine nei pazienti celiaci nasce in larga parte dai timori di complicazioni con linfomi e tumori. O’Farrelly [2000] scrive: “I pazienti con celiachia non diagnosticata rappresentano un sostanziale serbatoio di tumori gastrointestinali e purtroppo solo una minoranza vengono prevenuti con la diagnosi in tempo”.
Un individuo celiaco non diagnosticato ha un rischio relativo di sviluppare tumori da 40 a 100 volte superiore (dipende dal tipo di tumore in questione) rispetto a quello nella popolazione generale [Hoggan 1997]. I tumori che più comunemente insorgono nei pazienti celiaci sono adenocarcinomi all’intestino, carcinomi all’esofago, linfomi non-Hodgkin, melanomi [Pricolo 1998, Green 2003].
Un esempio tipico viene riportato da Arnaud-Battandier [1983]: una bambina di 10 anni viene diagnosticata celiaca all’età di 4 anni, un regime senza glutine viene iniziato e mantenuto per 6 anni. Sette mesi dopo che la paziente è tornata ad un’alimentazione con glutine c’è una ricaduta dei sintomi clinici e dell’atrofia dei villi intestinali, entro un mese viene diagnosticato un linfoma maligno addominale. La letteratura medica abbonda di esempi del genere. Banos Madrid [2002] riporta il caso di una donna 48enne; la celiachia è stata diagnosticata all’età di 33 anni e la sospensione del glutine ha apportato un beneficio clinico. La donna però poi abbandona il regime senza glutine e a 48 anni, a seguito di una ricorrenza celiaca con febbri e dolori addominali, le viene trovato un linfoma a cellule T.
I pazienti celiaci che interrompono il regime senza glutine registrano un’aumentata mortalità, l’eccesso di fatalità rispetto alla popolazione generale deriva per lo più dai tumori maligni che sviluppano [Ferguson 1996] a causa del consumo di glutine. All’inverso, Leonard [1983] documenta che, quando un paziente celiaco sospende il glutine, il rischio relativo di tumori passa da 100 a 1. Holmes [1989] segnala 38 pazienti celiaci colpiti da linfoma e sottolinea che per il gruppo di celiaci che consumano glutine si registra un rischio relativo per linfomi 78 volte superiore sia a quello della popolazione generale che a quello di celiaci che hanno sospeso il consumo di glutine da 5 anni o più. Una conferma di questi dati viene anche da Collin [1996].
Questo è un campo in cui si è discusso più volte se dovesse essere fatto uno screening a tappeto della celiachia su tutti gli individui sani come prevenzione di un notevole numero di tumori.
Johnston [2000] conferma che, andando a valutare sistematicamente la celiachia in pazienti colpiti da linfomi (tumori del tessuto linfoide relativo sia ai linfociti T che ai linfociti B) si riscontra la caratteristica atrofia dei villi intestinali in un’elevata percentuale di essi.
Cooper era stato il primo, nel 1980, a scoprire 55 pazienti con tumori maligni in cui, ad una seconda e accurata analisi, era evidenziabile la celiachia. “Non c’erano caratteristiche specifiche che avessero potuto aiutare a formulare la diagnosi di celiachia prima di allora”, conclude Cooper.
Egan [1995] segnala che, nell’epoca delle combinazioni super-avanzate di chemioterapici, nel corso della valutazione di un gruppo di 30 pazienti con linfoma, a 23 fu possibile diagnosticare la celiachia durante il ricovero in ospedale. “Il linfoma associato alla celiachia è una complicazione frequente, difficile da diagnosticare e di solito fatale” secondo Egan. Il ricercatore conclude ammonendo: “Se si trascura di valutare la possibilità di escludere il glutine, tale mancanza inficerà in modo serio le possibilità di recupero”.
Quanto frequente è l’atrofia dei villi in pazienti con tumori? Sembrerebbe che almeno un terzo di questi pazienti hanno atrofia dei villi [Howdle 2003, Johnston 2000].
Questi dati esistono, derivano da numerose fonti, non sono stati confutati, eppure lo screening dell’atrofia dei villi su pazienti cancerosi deriva solo dallo zelo e dall’intuizione di qualche ricercatore isolato e non diventa mai un elemento sistematico nelle procedure mediche in caso di tumore.
Rapido glossario: Sarcomi sono chiamati i tumori maligni con origine nel mesenchima (tessuto connettivale, endoteliale o muscolare), carcinomi sono chiamati i tumori maligni di origine epiteliale (mucose epiteliali, ghiandole, dotti). Tra i tumori benigni più citati c’è quello a carico di ghiandole del corpo, cioè l’adenoma, mentre l’equivalente tumore maligno prende il nome di adeno-carcinoma. Melanoma è il tumore maligno della cute. |
Youif [1998] presenta il caso di una paziente 47enne con linfadenomi multipli addominali. La sospensione del glutine segue la scoperta dell’atrofia dei villi e determina un miglioramento clinico e la scomparsa dei linfoadenomi intestinali che in precedenza erano arrivati a misurare anche 2 centimetri.
Un altro caso di linfoadenopatia mesenterica che guarisce in un paziente celiaco con l’adozione di un regime senza glutine è riportato da Wink [1993].
L’azione favorevole del regime senza glutine viene documentata da Gamerman [1974] su un’iperplasia nodulare linfoide del piccolo intestino, che va in remissione.
I linfoadenomi sono non infrequenti effetti secondari della celiachia [Simmonds 1981]. Sovraccarichi linfatici possono produrre modificazioni equivalenti anche a carico della tiroide (tiroidite linfocitica) [Troutman 1981]. Freeman [2000] nota che la ghiandola tiroidea, a causa del suo legame con il tratto intestinale nello sviluppo embriologico è un altro possibile sito di sviluppo di linfomi secondari alla celiachia.
I linfomi secondari alla celiachia possono verificarsi quasi in tutte le parti del corpo, ma il linfoma intestinale è il più comune.
De Boer [1993] documenta la risoluzione di un linfoma intestinale, precedentemente diagnosticato maligno, a seguito della sospensione del glutine in una paziente con atrofia dei villi.
Un caso gravissimo di linfoma non Hodgkin in una paziente 39enne viene documentato da Arotcarena [2000]. La prognosi non è buona, ma la sospensione del glutine produce un eccezionale miglioramento clinico e porta alla regressione dei segnali radiologici che dura per tutto il periodo di follow up (30 mesi).
Smith [1985] segnala la guarigione di una donna da linfoadenopatia angioimmunoblastica con un regime senza glutine.
Reading [1988], psichiatra australiano, documenta la guarigione con il regime senza glutine in cinque suoi pazienti. Il suo approccio in realtà è mirato a curare la depressione con il metodo di individuare le intolleranze alimentari. In base a queste considerazioni vengono esclusi i cereali contenenti glutine e ciò porta all’inaspettata remissione dei tumori.
Loche [1997] riporta una sarcoidosi cutanea in una 18enne diagnosticata 4 anni fa celiaca. Le lesione cutanee vanno in remissione nelle settimane in cui viene instaurato un regime senza glutine e ritornano ogni volta che il regime senza glutine viene sospeso. L’autore fa notare che altri casi simili sono stati già pubblicati nella letteratura medica, anche di sarcomi al polmone che vanno in remissione togliendo il glutine e ritornano ogni volta che il regime senza glutine viene sospeso.
Wright [1991] presenta un caso in cui il regime senza glutine porta alla piena remissione di un 59enne colpito da linfoma. Wright spiega: “Questo è un argomento vivacemente dibattuto nella letteratura medica, ma poiché abbiamo conservato una biopsia dell’intestino, che è maligna, c’è poco spazio per contestazioni in questo caso”.
Lo stesso avviene a Loberant [1997], che in un 56enne con di linfoma intestinale scopre la celiachia dall’osservazione dello stato dei villi in zone non cancerose delle biopsie della mucosa. Anche in questo caso non c’erano stati precedenti sintomi di malassorbimento che facessero sospettare la celiachia. Palacio [1998] riporta un altro caso di linfoma a cellule T guarito con dieta senza glutine.
Platen [2002] ricostruisce la storia di un 72enne ricoverato per una grave diarrea innescata da un trattamento antibiotico. Il paziente, si scopre, ha una lunga storia di celiachia subclinica con anemia, perdita di peso, polmonite. La diagnosi è di linfoma tipo Hodgkin. La dieta senza glutine gli ridà la salute. La chemio con Bleomicin deve essere sospesa quasi subito per i problemi che gli da a livello polmonare, però si ottiene una remissione completa.
Riguardo ai linfomi attivi Hodgkin e non-Hodgkin, la ferritina placentare è uno degli antigeni o markers presenti nel siero dei pazienti affetti, e i cui livelli cadono durante la remissione della malattia. Ebbene quando celiaci affetti da linfomi adottano una dieta senza glutine, ciò apporta una riduzione della ferritina placentare, il che ci dà un’idea ancora più forte del ruolo causale del glutine [Dinari 1991].
Le preoccupazioni espresse dai sopracitati ricercatori relative allo screening celiaco sono giustificate anche dal fatto che quasi tutti i casi di linfomi e tumori secondari al consumo di glutine nel celiaco risultano incontrollabili una volta innescati. Perché in tutti questi casi il paziente non riesce più a recuperare anche se riprende il regime senza glutine? Ad un’attenta lettura degli studi pubblicati questa resistenza alla sospensione del glutine, ovvero “super-celiachia”, ha una sua solida spiegazione. Brandt [1978] osserva che in tutti questi pazienti può essere osservato un minimo miglioramento iniziale con l’adozione del regime senza glutine, se non istologico almeno clinico. La loro condizione però nel frattempo può diventare “resistente” in quanto sottoposti a chemioterapia. Le terapie citotossiche per il cancro determinano varie complicazioni a carico della mucosa intestinale [Tysk 2000, Cappell 2004]. Stewart [2002] segnala che la crisi celiaca può essere scatenata da trattamento chemioterapico per i tumori.
Houtman [1995] descrive un caso di atrofia dei villi resistente alla sospensione del glutine. L’atrofia dei villi, che viene documentata durante la terapia con il farmaco metotrexato, si normalizza quasi del tutto con l’interruzione del farmaco e scompare dopo il regime senza glutine. Il ricercatore conclude: “Bisognerebbe indagare sul meccanismo dell’atrofia dei villi relativa al metotrexato, sebbene le sole due ipotesi che si possono fare sono o un effetto tossico diretto o un effetto secondario alla immunosoppressione”.
Visto che la chemioterapia può scatenare la crisi celiaca, la sospensione del glutine durante la chemioterapia darà un miglioramento clinico e una prognosi migliore. Ed è proprio così che funziona secondo uno studio della Stanford University [Donaldson 1977]: tutti i bambini che hanno accusato enteropatie scatenate dalla chemioterapia e radioterapia recuperano pienamente con un regime senza glutine, con il vantaggio di una migliore prognosi e senza nessuna ricaduta.
In una 15enne ricoverata in ospedale per carenza di IgA e ricorrenti infezioni respiratorie nonostante l’assenza di sintomi gastrointestinali viene sospettata e poi diagnosticata celiachia. La ragazza viene colpita da fibrosarcoma 2 anni dopo, in seguito ad un periodo di dieta con glutine … per confermare la diagnosi di celiachia (!!?). Sottoposta a chirurgia e chemioterapia il tumore ricompare. Solo con il ritorno ad una dieta stretta senza glutine si hanno dei miglioramenti e l’inizio della guarigione. Nove anni dopo sta bene ed ha avuto 2 figli sani [Verkasalo 1985].
Un paziente con tumore maligno duodenale beneficia di una dieta senza glutine dopo la chemioterapia e la diagnosi di atrofia dei villi [Hall 1991].
In una 52enne con linfoma a cellule T, stadio IV-B, la diagnosi del tumore e della celiachia sono contemporanee. La sospensione del glutine le dà una prognosi eccezionalmente positiva, va in remissione stabile nel periodo di follow-up di 15 mesi [Mantovani 1995].
Anche nei decorsi post-intervento chirurgico la sospensione del glutine, sebbene tardiva, è sempre uno strumento in più. Un paziente che, posto a dieta senza glutine, ha uno splendido recupero post-operatorio con rapido recupero del peso viene confrontato da MacGowan [1997] ad un caso simile in tutto se non per il fatto che non sospende il glutine. Poiché il malassorbimento è un problema comune nelle riprese post-operatorie, MacGowan consiglia di tener presente l’opportunità della dieta senza glutine.
Un paziente 64enne con enteropatia associata a linfoma a cellule T ottiene una completa risoluzione dei sintomi quando trattato con un regime senza glutine nel periodo post-operatorio [Medlicott 2004].
Per questo motivo Hedberg suggeriva, già nel 1966, che la valutazione dei villi dovesse essere fatta prima di un intervento di chirurgia gastrica, perché individuando il malassorbimento celiaco e sospendendo il glutine può migliorare il recupero post-operatorio e la prognosi, se non addirittura può essere evitato l’intervento. Al contrario egli descrive quattro pazienti in cui la sindrome di malassorbimento celiaco precedentemente latente viene precipitata nel periodo post-operatorio con drammatiche perdite di peso, diarrea, steatorrea.
Lo stesso accade con Javier [1980]: in una paziente 49enne l’intervento di resezione per un adenocarcinoma duodenale fa precipitare la situazione di malassorbimento celiaco che precedentemente non era così netta. Viene adottato allora il regime senza glutine che apporta uno straordinario e istantaneo miglioramento. La remissione continua nel periodo di follow-up di un anno e mezzo.
Il 95% dei tumori in pazienti celiaci, però, soprattutto quelli con una lunga storia di alimentazione libera, e dopo la chemio, diventano “super-celiachia”, ove l’atrofia dei villi non se ne va più neanche con il regime senza glutine.
Casi clinici a conferma di ciò sono riportati da McCrae [1975], Petreshock [1975], Tonder [1976], Levi [1988], Dannenberg [1989], Kingham [1998], Bachle [2001]. Visto che non è possibile controllare il decorso della malattia, se ne conclude che la migliore opzione è di consigliare fortemente a tutti i pazienti celiaci di rimanere a dieta senza glutine senza interruzioni [Holmes 2002].
In conclusione poniamo uno sguardo veloce al come ed al perché il consumo di glutine determinerebbe questa insorgenza di linfomi e tumori. A partire dagli anni novanta Doley [1993] e Feeley [1998] hanno potuto osservare che il 10% dei pazienti celiaci avevano una gastrite linfocitica, che è riconosciuta anche come la fase 0, pre-cancerosa, dei linfomi a cellule T. Oggi poi, usando la caratterizzazione immunofenotipica (CD3-, CD4-, CD8-, CD34-, CD45 RO-, etc., ovvero la carta d’identità di un fenomeno patologico) abbiamo un nuovo strumento che ci dice che la celiachia e alcuni linfomi sono diversi stadi dello stesso processo [Wright 1995]. Anche secondo i dati raccolti da Daum [2001] su alcuni pazienti la celiachia con over-espressione dei linfociti intraepiteliali è da considerarsi uno stadio iniziale, a basso grado, di questi linfomi.
Hoggan [1998] spiega che il consumo di glutine in individui celiaci provoca una netta immunosoppressione, il che favorisce naturalmente l’aumento di incidenza di tumori.
Un’altra eloquente e molto più veloce dimostrazione in vitro è quella in cui la gliadina e suoi derivati messi in coltura 48 ore con tessuti da adenocarcinoma umano producono attivazione a livello cellulare [Giovannini 2000].
Schole [1986] dimostra in esperimenti animali che l’incidenza di crescita tumorale che nelle cavie segue l’esposizione a cancerogeni diminuisce significativamente quando l’alimentazione con farinacei è sostituita da altre fonti di calorie.
A questo punto bisogna ricordare un medico con grande intuizione che addirittura anticipò di un secolo le spiegazioni e le osservazioni di Davydovski in Russia: si tratta del Dr. M. Stanislas Tanchou, che fu al fianco di Napoleone Bonaparte. Egli presentò un articolo scientifico alla Paris Science Society nel 1843, un complesso esame statistico dei tumori secondo cui l’alimentazione con prodotti a base di farine di cereali, che sono uno degli indicatori di civilizzazione, è fortemente associato all’incidenza di tumori nelle varie nazioni, maggiore il consumo di tali prodotti, maggiore l’incidenza dei tumori [Tanchou 1843].
Le artriti
Bourne [1985] descrive sei pazienti in cui l’artrite è l’entità clinica prominente alla diagnosi di celiachia, che migliora con il regime senza glutine. Si tratta di casi di artrite sieronegativa e senza disturbi intestinali.
In un paziente con celiachia non diagnosticata il regime senza glutine risolve prontamente una poliartrite che si presenta con un quadro multisintomatico di mialgia, febbre e ansia [Bagnato 2000].
Un altro quadro multisintomatico particolare è quello di una 37enne che sviluppa polimiosite, artrite con proteinuria e diarrea liquida [Evron 1996]. Si arriva alla diagnosi di celiachia mediante ripetute analisi serologiche degli anticorpi e biopsie duodenali. Il regime senza glutine risolve tutte le anomalie cliniche e dei valori ematici.
Due anni di dieta senza glutine risolvono i problemi sia intestinali che di legamenti doloranti in un paziente che si è presentato con artropatia acuta [Adelizzi 1982]. Individuare l’eziologia della condizione artritica era risultato un compito quasi impossibile per i ricercatori, l’enigma è risolto quando la biopsia intestinale rivela la celiachia e la remissione segue la sospensione del glutine.
Borg [1994] descrive un caso di celiachia occulta che si presenta come monoartrite. Il regime senza glutine apporta un notevole sollievo anche se, sottolinea l’autore, sono evidenziabili sul legamento talo-navicolare i danni erosivi pronunciati e progressivi che la malattia ha già apportato.
Chakravarty [1992] descrive un paziente con un’acuta condizione infiammatoria di oligoartrite e con nessun segno di rilievo di malassorbimento intestinale. Si arriva comunque alla diagnosi di celiachia e il regime senza glutine ha un gran successo, portando l’artrite in remissione. L’autore ripropone altri 7 casi simili riportati nella letteratura medica inglese del passato.
Cottafava [1991] descrive il caso clinico di una 18enne con artrite psoriasica, la psoriasi che dura da sedici anni e l’artrite da sei. Si arriva alla diagnosi di celiachia e il regime senza glutine apporta una completa remissione dei sintomi articolari e un miglioramento dello sviluppo, fisico e mentale.
Una 15enne cha ha una sinovite dei ginocchi e delle caviglie da 3 anni arriva infine alla diagnosi di celiachia. C’è una pronta guarigione dell’artrite a seguito dell’eliminazione del glutine [Pinals 1986].
Secondo Carli [1995], il regime senza glutine può migliorare o persino guarire le condizioni infiammatorie ai legamenti conseguenti della celiachia smorzata, oltre che ovviamente prevenire guai ancora peggiori. Egli descrive 5 pazienti adulti in cui la sospensione del glutine apporta grande beneficio a condizioni reumatiche infiammatorie da cui erano stati affetti da 6 a 20 anni prima della diagnosi di celiachia, e ciò in assenza di sintomi di rilievo intestinali o di malassorbimento.
Un caso di celiachia silente viene descritto da Falcini [1999]. Un 11enne presenta una monoartrite ricorrente, il ragazzo è asintomatico a livello intestinale e non presenta carenze (ferro, calcio, emoglobina, etc.). Dopo due anni di indagini si pensa infine di avviare la valutazione ematica sugli anticorpi celiaci gliadina ed endomisio, la cui positività viene confermata dalla atrofia dei villi. Il regime senza glutine determina la remissione totale dell’artrite.
Slot [2000] sottolinea che una situazione di celiachia silente può presentarsi unicamente nella forma di artrite. Due adulti vengono descritti che hanno rispettivamente artrite ad un ginocchio e al legamento sacroiliaco. Il regime senza glutine, adottato dopo la diagnosi di celiachia, porta alla risoluzione dell’artrite.
Young [1993] descrive il caso di una 15enne con ginocchia e caviglie gonfie di cui non si riesce a capire l’origine. Alla fine l’indagine rivela celiachia e con l’eliminazione del glutine i problemi ai legamenti scompaiono. Un’altra artropatia da glutine riguarda un paziente con legamenti gonfi, tra i quali il polso destro, la caviglia destra, il metacarpo sinistro e il terzo legamento interfalangeo.
Una paziente affetta da dolori articolari, elevata VES e un eritema ridotti valori di emoglobina e acido folico viene descritta da Tasanen [1997]. La biopsia rivela atrofia dei villi e solo con la sospensione totale del glutine si riesce ad ottenere una guarigione delle lesioni eritematose e tutti gli altri sintomi. La scomparsa dei problemi è confermata durante tutto il periodo di osservazione (un anno e mezzo).
Secondo Lubrano il 41% dei pazienti celiaci a dieta libera (con glutine) presentano sintomatologie di tipo artritico.
Interessante l’osservazione di Lindqvist [2002] su 114 casi di artrite psoriasica: il 4.4% hanno atrofia dei villi, mentre anche quelli non diagnosticati celiaci presentano nel sangue concentrazioni di anticorpi alla gliadina superiori al gruppo di controllo ed è possibile correlare questi livelli alterati con valori elevati di VES di proteina C-reattiva, oltre che con una maggiore durata di rigidità mattutina. O’Farrelly [1988] trova atrofia dei villi nel 7.5% dei pazienti con artrite reumatoide e gli anticorpi contro la gliadina nel 47% del campione. Secondo Lepore [1993] il 34% dei pazienti con artrite cronica giovanile hanno positività per gli anticorpi celiaci nel sangue, secondo Paimela [1995] il 37% dei pazienti con artrite reumatoide risultano positivi agli anticorpi celiaci nel sangue e con queste stime concordano Teppo [1984], Corbeel [1989], Koot [1989], Pellegrini [1991], Kermabon [1993], Kallikorm [2000], Hafstrom [2001].
Come già sottolineato in altre sezioni, la procedura di valutazione della pre-celiachia e degli anticorpi celiaci nelle feci può essere essenziale nell’individuare pazienti senza atrofia dei villi ma che beneficerebbero ugualmente dalla sospensione del glutine.
Ci sono buoni motivi per sospettare che la sospensione del glutine potrebbe essere indicata in molti casi di artriti anche in assenza di atrofia dei villi. Questo è il risultato di uno elaborato studio con controllo di Kjeldsen-Kragh [1991] su 27 pazienti con artrite reumatoide, non selezionati in base al monitoraggio della celiachia.
L’epilessia
Per chi è soggetto ad attacchi epilettici la possibilità di essere celiaco, secondo la letteratura medica, è 11 volte superiore rispetto alla popolazione generale [Chapman 1978].
La necessità che il controllo della celiachia diventi una prassi in pazienti epilettici deriva anche, e anzi in primo luogo, dalle osservazioni delle prognosi positive in pazienti epilettici e celiaci in cui si sospende il glutine. È straordinario pensare che si è arrivati a questa svolta in meno di 15 anni.
Una delle prime segnalazioni è quella di Molteni [1988], secondo cui la sospensione del glutine apporta benefici clinici in due pazienti con epilessia sin dall’infanzia.
Della Cella [1991] riporta il caso di un bimbo di 4 anni con epilessia che all’indagine evidenzia l’atrofia dei villi. Non solo nei tre anni di follow-up non ci sono problemi a partire dall’adozione della dieta senza glutine, ma una prova di carico con glutine eseguita dai ricercatori produce la ricomparsa di episodi epilettici.
Ventura [1991] descrive due pazienti con epilessia resistente a farmaci per i quali si arriva alla diagnosi di celiachia. La sospensione del glutine, insieme ad una somministrazione di acido folico, portano l’epilessia in remissione in entrambi i pazienti.
In una pubblicazione su “Lancet”, Gobbi [1992] riporta di aver trovato 24 individui con atrofia dei villi tra 31 pazienti con epilessia e calcificazioni cerebrali di origine ignota. Il regime senza glutine apporta sensibili miglioramenti quando iniziato appena subito dopo l’insorgenza di epilessia.
Fois [1993] presenta un caso con progressive calcificazioni cerebrali, coinvolgimento di materia bianca (riscontri dalla risonanza magnetica), ed epilessia resistente ad anti-epilettici in un ragazzo di 9 anni. La diagnosi finale risulta essere “celiachia”. Appena un anno dopo, Fois incuriosito, indagando relativamente alla celiachia, trova addirittura altri 9 casi di pazienti epilettici con atrofia dei villi intestinali. I sintomi di celiachia in tutti questi casi o non erano stati presi in considerazione o erano stati da molto lievi a completamente assenti. Regolari valutazioni e follow-up di questi casi mostrano che l’adozione di esclusione del glutine garantisce l’assenza di epilessia [Fois 1994].
Bardella [1994] fa una valutazione su 47 pazienti che hanno avuto la diagnosi di celiachia nell’infanzia ma che hanno adottato una dieta con glutine per un periodo medio di 11 anni. Mentre i celiaci che non consumano glutine non accusano problemi di epilessia o calcificazioni cerebrali, questo problema viene rilevato in coloro che hanno reintrodotto il glutine. Inutile aggiungere che il prezzo che questi pazienti con celiachia pagano per questa reintroduzione, come sottolinea l’autore, è una maggiore frequenza di varie altre problematiche di salute rispetto a coloro che rimangono a regime senza glutine.
Cernibori [1995] descrive una paziente che ricevette la diagnosi di celiachia all’età di 4 anni. Diciassette anni dopo viene visitata per epilessia e calcificazioni cerebrali bilaterali. È allora instaurato un regime senza glutine e ciò permette sia di far a meno dei farmaci sia di mandare in remissione completa gli attacchi epilettici per tutto il periodo di follow-up che fu di 4 anni.
Hernandez [1998] riporta che tre pazienti su quattro osservano una notevole riduzione della frequenza dell’epilessia quando adottano un regime senza glutine. Si tratta di pazienti con attività epilettica di 13 anni (in media) e con calcificazioni occipitali bilaterali quasi simmetriche.
Arroyo [2002] documenta che il problema delle calcificazioni cerebrali si risolve adottando un regime senza glutine in tre pazienti epilettici. Visti i risultati ottenuti, il ricercatore sottolinea che una pronta diagnosi di celiachia può migliorare l’evoluzione dell’epilessia e migliorare lo stato cognitivo dei pazienti.
Essid [2003] identifica 4 pazienti epilettici con atrofia dei villi. Con la sospensione del glutine l’epilessia va in remissione in uno di questi pazienti (l’unico che accetta di sottoporsi a regime senza glutine).
Pratesi [2003] segnala un caso di epilessia resistente a farmaci che migliora notevolmente subito dopo aver adottato un regime senza glutine.
Volta [2002] descrive 13 pazienti in cui la celiachia si presenta nella forma di problemi neurologici. I sintomi, inclusi 3 casi di epilessia, migliorano o scompaiono in 7 pazienti che iniziano un regime senza glutine. Volta conclude sottolineando che la possibilità di celiachia deve essere tenuta presente in caso di atassia, paralisi, epilessia, mal di testa, disturbi della memoria.
Numerosi autori sottolineano che l’elevata prevalenza di celiachia nei pazienti epilettici deve spronare a effettuare sistematicamente i controlli per la celiachia [Ambrosetto 1992, Magaudda 1993, Piattella 1993, Pinilla Moraza 1995, Ranalli 1997, Bernasconi 1998, Fromager 2001], anche in assenza di sintomatologia gastrointestinale evocativa della celiachia, infatti 22 dei 24 pazienti epilettici diagnosticati celiaci da Gobbi [1992] non avevano evidenti sintomi gastrointestinali.
Perché l’epilessia e le calcificazioni cerebrali hanno una strettissima interrelazione con la celiachia in questi pazienti? Non è difficile intuire che c’è qualcosa che ha a che fare con il malassorbimento. L’esempio classico che tutti abbiamo presente è che la celiachia a volte si presenta nella forma monosintomatica di calcoli renali. I calcoli renali si correlano strettamente con elevati livelli di ossalati nel sangue e questi sono favoriti nel paziente celiaco che consuma glutine da due eventi celiaci: sia la aumentata permeabilità intestinale (quindi maggiore passaggio di frammenti attraverso la mucosa) e sia il caratteristico malassorbimento di grassi, che può avvenire in modo massiccio nella celiachia e che determina una riduzione del calcio intestinale che avrebbe dovuto bloccare gli ossalati nell’intestino.
Nella celiachia molti elementi subiscono lo stesso fato per cui vi sono alterazioni paurose con picchi esagerati per alcuni e riduzioni massicce per altri elementi nel sangue ritenuti indispensabili (ferro, etc.). La composizione alterata del sangue favorirebbe allo stesso modo l’insorgere di fenomeni di calcificazioni cerebrali, che tra l’altro mostrano un andamento veramente in tempo reale rispetto al consumo di glutine nei pazienti suscettibili: Lea [1995] documenta con un continuo monitoraggio nel corso di 4 mesi le calcificazioni progressive in un paziente epilettico, fenomeno che viene arrestato solo dall’istituzione di un regime senza glutine; Arroyo [2002] documenta che aree ipodense intorno alle calcificazioni cerebrali si riducono o scompaiono prontamente con la sospensione del glutine in 3 pazienti epilettici.
Comunque il meccanismo per cui l’intolleranza al glutine costituisce un fattore causale sembra abbia anche una natura immunologica ben definita. È possibile ricostruire un quadro in cui c’è un bombardamento sui tessuti cerebrali da parte di frammenti mal digeriti di glutine; infatti nell’esaminare, mediante autopsia, i tessuti di cervello, i ricercatori hanno scoperto che tali frammenti di origine alimentare venivano ritrovati in 32 diverse aree del cervello [Panksepp 1979, Sandyk 1986, Sahley 1987].
Ad un certo punto, quando la tempesta a carico dei tessuti del sistema nervoso si sia prolungata abbastanza, i peptidi del glutine secondari al malassorbimento causerebbero la formazione di anticorpi celiaci, come dimostrato da studi sul fluido cerebrospinale (FCS) effettuati da Chinery [1997]: gli anticorpi antigliadina sono presenti nel fluido cerebro-spinale di un paziente affetto da epilessia e altri problemi neurologici.
Gli studi finora effettuati sono carenti solo in un aspetto, le indagini infatti hanno dato per scontato che solo uno stato celiaco, e non uno pre-celiaco, possano richiedere la sospensione del glutine.
Tortorella [1993] studia due sorelle che presentano i fenotipi immunogenetici tipici della celiachia, che hanno epilessia e calcificazioni bilaterali occipitali ma che, inaspettatamente, non presentano atrofia dei villi. Un altro caso di presentazione celiaca evidente, fino ad arresto della crescita, viene riportato da Nunes [1995] in un bimbo di 3 anni con epilessia. Anche qui l’esame dell’atrofia dei villi dà, inaspettatamente, esito negativo. Queste osservazioni ci fanno ricordare che la progressione a celiachia prevede almeno 5 distinti tipi di lesioni della mucosa e cioè: stadio pre-infiltrativo, infiltrativo, iper-plastico, distruttivo e atrofia dei villi [Marsch 1992]. In effetti l’epilessia e le calcificazioni cerebrali sono risultate ripetutamente secondarie non solo a celiachia, ma anche solo a malassorbimento [Dodman 1993, Piattella 1993, Romero 1996, Lalive 2001] o steatorrea [Cockel 1970].
Siccome la definizione di celiachia per il momento (per convenzione) spetta solo a pazienti all’ultimo stadio, l’atrofia dei villi, e siccome anche agli stadi che la precedono sono da attribuirsi fenomeni di malassorbimento e sintomi non meno importanti, è stato introdotto il termine (per i 4 stadi che precedono l’atrofia dei villi) di “sindrome di sensibilizzazione al glutine”.
Grande importanza rivestono perciò i dati che ha iniziato a raccogliere il ricercatore dr Kenneth Fine con il dosaggio degli anticorpi celiaci nelle feci, il che consentirebbe di monitorare in modo più elegante la progressione celiaca in tutti i suoi stadi.
Fertilità femminile e mestruazioni
Le donne con problemi di riproduzione costituiscono un gruppo a rischio di celiachia non diagnosticata [Hin 2002]. Vari autori hanno riportato un’aumentata incidenza di aborti spontanei singoli o ripetuti in donne inconsapevoli della loro condizione celiaca e quindi a dieta con glutine. La successiva diagnosi e quindi l’instaurarsi di una dieta senza glutine consente il concepimento e la felice conclusione della gravidanza [Motta 1997].
Martinelli [2000] riporta 7 casi di aborti spontanei in donne che, successivamente indirizzate alla diagnosi celiaca e sospeso il glutine per almeno un anno, riescono nel tentativo seguente a portare a compimento la gravidanza.
De Sandre [1996] riferisce di una donna in cui non c’era stata verso di prevenire gli aborti in tre consecutive gravidanze; solo con la diagnosi di celiachia e un periodo senza glutine di due anni è possibile avere una gravidanza normale portata a termine con successo.
Collin [1996] e Caramaschi [2000] riportano ciascuno 4 casi di infertilità secondaria a celiachia e rilanciano entrambi il seguente monito: “Una migliore diffusione di queste informazioni può portare a diagnosticare correttamente la celiachia, escludere il glutine e dunque rimuovere la causa dell’aborto, e questo protocollo dovrebbe essere seguito in tutti quei casi di aborto che vengono etichettati come di origine ignota”.
Eliakim [2001] sottolinea che sebbene siano stati ultimati numerosi lavori di ricerca in merito e sebbene queste informazioni siano da considerarsi un dato acquisito, molti specialisti in ostetricia e ginecologia non sono al corrente di una tale correlazione.
Gasbarrini [2000] effettua lo screening ematico della celiachia in 44 donne con aborti spontanei ricorrenti, 39 con ritardo della crescita intrauterina e 50 donne sane di controllo. Nessuna delle donne sane risulta celiaca, mentre questa condizione viene trovata nell’8% delle donne con aborti spontanei ricorrenti e nel 15% di quelle con ritardo della crescita intrauterina.
Sebbene il rischio relativo di aborto risulti 9 volte superiore in pazienti celiache che consumano glutine rispetto alla popolazione generale e a pazienti celiache che non consumano glutine [Ciacci 1996], è innegabile che la stragrande maggioranza delle donne celiache a dieta con glutine riescano ancora a portare a termine la gravidanza. Solo che:
1. tra di esse comunque vengono segnalati tempi medi di attesa della gravidanza maggiori rispetto a quelli in donne non affette;
2. il consumo di glutine in queste pazienti può causare basso peso alla nascita dei piccoli o travaglio anticipato.
Insomma, riconoscere la celiachia nei casi difficili è fondamentale perché ciò può fare la differenza tra un esito favorevole del concepimento e della gravidanza ed uno sfavorevole [Hozyasz 2001].
Un messaggio molto chiaro è quello indirizzato da Ventura [2001] all’Istituto Superiore di Sanità: “Se consideriamo da un lato la morbidità in gravidanza della celiachia non riconosciuta e dall’altro la elevata prevalenza di questa ultima anche in paragone alla rosolia (0.01 per mille) e alla toxoplasmosi (0.5 per mille), appare chiaro che il dosaggio degli anticorpi [celiaci, N.d.A.] anti-transglutaminasi dovrebbe essere inserito tra gli screening “obbligatori” per ogni donna almeno alla prima gravidanza”.
La letteratura medica gli dà pienamente ragione se consideriamo, per esempio, che il travaglio anomalo in pazienti con celiachia silente che consumano glutine può portare a difetti congeniti, da dislocazione dell’anca fino a anomalìe multiple cardiache congenite [Jameson 1976].
Le madri celiache che seguono il regime senza glutine hanno un ridotto numero di sintomi loro stesse e concepiscono bimbi con peso maggiore [Ferguson 1982].
Si deve pensare alla possibilità di celiachia anche in casi di perdita precoce di latte, che è reversibile se si sospende (con la necessaria prontezza e lucidità) il consumo di glutine [Meloni 1999].
Nell’ultimo ventennio sono apparse segnalazioni anche sui possibili effetti della malattia celiaca sulle mestruazioni (oltre che sulla fertilità e gravidanza).
La menopausa fisiologica si verifica in epoca più precoce nelle donne celiache che consumano glutine [Sher 1994].
Un altro riscontro che un’aumentata incidenza nella donna celiaca in dieta libera (con glutine) è l’assenza del flusso mestruale (amenorrea) per periodi superiori ai tre mesi senza un’evidente alterazione endocrina. Tale condizione si risolve quando si instaura una dieta priva di glutine sufficientemente prolungata [Motta 1997].
Rujner [1990] documenta la diagnosi di celiachia in una 18enne che oltre al ritardo nell’età del primo flusso mestruale non aveva mai avuto mestruazioni normali. In tutti gli anni precedenti la diagnosi di celiachia non è mai stata presa in considerazione. L’adozione della dieta senza glutine determina una normalizzazione delle mestruazioni oltre che darle sollievo dai dolori, normalizzazione del peso (prima estremamente ridotto) e uno stato generale di benessere.
Un esito altrettanto positivo rispetto a menarca ritardato nella celiachia viene segnalato da Kuhnle [1986] in una paziente in cui precedentemente erano stati sottovalutati i sintomi di ritardo nella crescita e dermatite erpetiforme.
Zajadacz [2000] riporta il caso di una 15enne che inizia ad avere mestruazioni regolari all’età di 15 anni solo quando adotta un regime senza glutine. Introdotta quasi subito di nuovo la dieta con il glutine iniziano sanguinamenti mestruali ogni 10 giorni. All’età di 17 anni la biopsia intestinale conferma la diagnosi di celiachia e il regime senza glutine viene iniziato di nuovo, il che porta alla completa normalizzazione delle mestruazioni.
Porpora [2002] riporta la risoluzione della dismenorrea in una paziente 43enne con l’adozione del regime senza glutine. Gli altri sintomi celiaci erano inspiegabile perdita di 5 chili in 6 mesi, dolori addominali e pelvici cronici, diarrea. La biopsia intestinale mostra l’atrofia dei villi e sospendendo il consumo di glutine la paziente può liberarsi di tutti i problemi precedenti.
Kotze [2004] riporta che adolescenti con celiachia ancora non diagnosticata avevano avuto ritardo nell’età di presentazione del primo flusso (menarca) seguito da maggiore incidenza di mestruazioni irregolari.
Smecuol [1996] raccoglie i dati su 130 donne celiache e ribadisce che tutti questi disturbi, menarca ritardata, menopausa precoce, amenorrea, dismenorrea, aborti spontanei, sono presenti con un’incidenza maggiore solo nelle pazienti con celiachia non diagnosticata o in quelle che nonostante la diagnosi di celiachia continuano a consumare il glutine, ma non nelle pazienti celiache che sospendono il glutine. Un tale fenomeno viene segnalato già nel 1969 da Wagner e (per chi vuole approfondire le letture) viene ribadito da Gent [1973], Ogborn [1975], McCann [1988], Sher [1994 e 1996], Pellicano [2000], Stazi [2000], Haslam [2001], Rostami [2001], Bona [2002], Foschi [2002], Sandberg-Bennich [2002], Machac [2003].
Diamo una voce anche sui disturbi pre-mestruali. A partire da qualche giorno prima delle mestruazioni le donne presentano un’aumentata permeabilità intestinale [Hoggan 1998]. Per cui, durante questo periodo di permeabilità maggiore, il sangue e il benessere psico-fisico possono sicuramente accusare effetti transitori della situazione di peptidìa in corso nel tratto digestivo. In particolare è stato dimostrato che l’aumentato livello di peptidi oppioidi può alterare i livelli e le funzioni della serotonina.
La serotonina è un neuro-trasmettitore altamente multi-funzionale di cui sappiamo, tra le altre cose, che nel momento in cui la sua presenza si accresca nei neuroni del rafi nucleo del tronco encefalico, determina uno stato di eccitazione nervosa e può essere coinvolto nel sonno, nelle sensazioni sensoriali, nella regolazione della temperatura e nel controllo dell’umore [Tortora 1990, “Principles of Anatomy and Physiology”, 6th Ed., Harper & Row].
Ipertensione vascolare e iper-colesterolemia
Nella celiachia non diagnosticata uno dei problemi secondari al consumo di glutine è lo sviluppo di problemi ipertensivi, che vanno in remissione con la sospensione del glutine: è ben documentato il fenomeno nel quale la gliadina o il peptide glutinoso si attaccano alla molecole di adesione intercellulare; a questo punto i linfociti attaccano il frammento glutinoso e il suo sito di ancoraggio e questo fenomeno nell’arco di qualche anno porta alla perdita dell’integrità dell’endotelio vascolare.
Ciò alimenta nel lungo termine una situazione ipertensiva, in pratica risultano ridotte le capacità di accomodare il sano e normale flusso sanguigno, si parla di ipo-perfusione. Il danno subìto si traduce in minore flessibilità dell’endotelio vascolare che supporta la funzione di rilassamento del muscolo.
La situazione più famosa tra le possibili ipertensioni localizzate dell’endotelio vascolare è quella per cui si usa il Viagra. I vari livelli di disturbi dell’erezione sono dovuti ad uno stato ipertensivo in cui l’incapacità di ottenere un perfetto rilassamento del muscolo liscio determina ipoperfusione e, in assenza di un agente rilassante, la situazione ipertensiva dei vasi sanguigni impedisce di accomodare il notevole aumento in flusso sanguigno richiesto per la produzione di un’erezione [Adams 1984].
Essendo l’intolleranza al glutine capace di alimentare questa situazione di fondo, non è sorprendente che un certo numero di celiaci possono accusare impotenza se non sospendono il glutine.
L’ipoperfusione derivante dalla celiachia implica anche una minor irrorazione sanguigna dell’intestino. Le alterazioni emodinamiche sono monitorate con sonografia Doppler regrediscono sostanzialmente con la rimozione del glutine e danno modo di monitorare il livello di remissione celiaca [Bolondi 1992, Alvareza 1993, Arienti 1996].
Solo dopo 9 mesi di dieta senza glutine i pazienti celiaci non avevano più differenze di irrorazione sanguigna rispetto a persone non celiache [Magalotti 2003]. La sonografia Doppler a livello di vascolarizzazione intestinale testimonia immancabilmente il livello di remissione della celiachia che coincide con il livello di normalizzazione dell’irrorazione sanguigna e di scomparsa dell’ipertensione vascolare [Ertem 1998, Giovagnorio 1998].
Un’altra situazione ipertensiva molto famosa è la miopia. Il coroide umano che supporta la funzione metabolica della retina è un altro tessuto erettile, analogo in molti aspetti al corpo cavernoso [Paris 2001]. Anche qui il muscolo perde la capacità di rilassarsi e può essere misurato un ridotto afflusso sanguigno.
Un’altra situazione ipertensiva è quella a carico del tessuto vascolare polmonare. La somministrazione per 3 mesi di Viagra, producendo rilassamento dei vasi sanguigni polmonari, si è dimostrato efficace nel migliorare l’irrorazione sanguigna e lo stato clinico di pazienti con ipertensione polmonare.
Altre situazioni ipertensive si manifestano in diverse localizzazioni dando vita a malattie apparentemente diverse tra di loro.
Una cattiva memoria [Singh 2003] e le emicranie sono causate dall’’ipoperfusione a livello cerebrale che, come segnalato nel capitolo 1, è da annoverare tra i possibili effetti secondari della celiachia da Hadjavassiliou [2001] e Gabrielli [2003].
Uno studio di Lim [2002] su pazienti celiaci accerta proprio il consumo di glutine prima aveva determinato una situazione ipertensiva a livello dei vasi sanguigni che si normalizzava con l’adozione per 15 mesi di un regime senza glutine.
Anche Addolorato [2004] segnala che le ipoperfusioni secondarie a situazioni ipertensive del celiaco si normalizzano con una dieta senza glutine. Anche l’impotenza secondaria a celiachia è reversibile dopo un regime senza glutine per un periodo sufficientemente lungo.
CAPITOLO 5
Mentre vi scrivo è metà settembre e vi riferisco che ho passato una lunga e splendida estate di sole in cui alternavo ad es. una settimana solo ad albicocche a periodi con un pasto giornaliero (unico) a base di fagiolini, oppure verdure saltate insieme a semi di girasole macinati, poi ancora giorni solo a prugne o mele, e poi ancora verdure, questa volta saltate con semi di lino o sesamo. Qualche giorno di digiuno. Pochissime volte ho usato il riso, un po’ più spesso legumi accompagnati da carote e altri ortaggi crudi (finocchi, cetrioli, sedano, zucchine, zucca, etc.), o anche solo verdure cotte (cavolfiori, spinaci, etc.) mischiate con carote e semi. Per lo più è stata un’estate di frutta comunque. A settembre invece devo ammettere ho indugiato in alcuni inviti serali di vicini di casa. Dovete sapere che preparavano l’insalata verde apposta per me (si meravigliano sempre del mio rapporto speciale con l’insalata) e quelle due foglie verdi erano l’unica forma di crudità che si vedeva sul tavolo imbandito.
Era il terzo giorno che mi lasciavo trascinare prevalentemente dalle loro pizze, patate, il tutto a base di passate di pomodoro, e mi sono alzato da tavola dicendo: “Mi sento proprio nervoso”, una sensazione bruttissima: ero arrivato da loro che ero un fiore di allegria e vivacità, ma dopo tre giorni di quell’alimentazione del fiore a livello mentale non c’era quasi più traccia. “Anch’io”, “A chi lo dici” è stato l’eco degli altri alla mia ammissione di nervosismo.
Amici io lo so come evitare questo stato dell’umore. Devo dirvi che l’esperimento è finito, non fa per me. A livello fisico o intestinale i sintomi sono ridottissimi è vero, ma io ho già alle spalle 33 anni di questa vita. Uno schiavo di quello che ingurgito divento di nuovo. Conosco di cosa si tratta e non voglio tornarci. Non tanto perché mi apre una voragine che mai si sazia, ma perché determina una cappa mentale.
Senso di agitazione mista a depressione? Ecco la realtà biochimica della tossicità da glutine: una tempesta di neurotrasmettitori che accompagna l’intollerante al glutine. Non sono cose immediatamente visibili ad un occhio non allenato, ma iniziamo per esempio con il citare i disturbi pre-mestruali: a partire da qualche giorno prima delle mestruazioni le donne presentano un’aumentata permeabilità intestinale [Hoggan 1998]. Per cui, durante questo periodo di permeabilità maggiore, il sangue e il benessere psico-fisico possono sicuramente accusare effetti transitori causati dalla situazione di peptidìa in corso nel tratto digestivo.
In particolare nella celiachia è stato dimostrato che l’aumentato livello di peptidi oppioidi può alterare i livelli cerebrali e le funzioni della serotonina interferendo con il locale enzima decarbossilasi. Pedersen [1999] ha trovato elevati livelli di un tripeptide glutinoso nelle urine del 60% dei pazienti autistici. Questo peptide stimola siti oppioidi attivati dalla serotonina.
La serotonina è un neuro-trasmettitore altamente multi-funzionale di cui sappiamo che, se alterato a livello del tronco encefalico, determina uno stato di eccitazione nervosa e può essere coinvolto nel sonno disturbato o alterati input sensoriali, nella regolazione della temperatura e nel controllo dell’umore [Tortora 1990, “Principles of Anatomy and Physiology”, 6th Ed., Harper & Row]. Alterazioni della regolazione della serotonina sono state implicate nella patogenesi della depressione, tanto che il vendutissimo buon Prozac altro non è che un inibitore di un recettore della serotonina [DeMyer 1981].
Nella crisi celiaca che dovettero subire i primi coltivatori di frumento 5000 anni fa c’era (oggi forse ancora di più) un anomalo aumento dell’attività cerebrale di serotonina [Challacombe 1977, Sjolund 1985] che secondo numerose ricerche è da mettere in relazione con uno stato di aggressività.
Ad esempio è stato riscontrato che carcerati condannati per crimini violenti hanno un’alterata attività di 5-idrossi-triptamina rispetto a carcerati per crimini non violenti e non carcerati [Eriksson 1997]. E secondo i reperti archeologici atti violenti tra uomini erano praticamente assenti prima dell’epoca dell’introduzione del grano nell’alimentazione, cui seguì una vera e propria epidemia di atti violenti.
Quello che mangiamo detta le regole
Il frumento ha un nome in sanscrito che significa il “cibo dei mediocri”, i saggi degli antichi scritti sanscriti non esitarono a segnalare l’inferiorità di questo chicco particolare (e non solo dal punto di vista della squilibrata composizione in aminoacidi). Ma poi i mediocri proliferarono, si organizzarono e fecero fuori le foreste. E quando ebbero finito in Europa, i mediocri continuarono anche in America, radendo al suolo le foreste degli indiani per instaurare il regno del frumento anche lì e in qualunque altro Eden dove l’uomo aveva scelto di rimanere prevalentemente raccoglitore-cacciatore aiutato in questa scelta da un rapporto privilegiato con la natura, il senso di felicità e di legame con gli antenati.
Questa è la nostra storia, abbiamo preso “il cibo dei mediocri”, il frumento, e lo hanno reso quanto più possibile glutinoso (ancora più mediocre), mediante ibridazioni successive.
Nel primo trentennio del ventesimo secolo una classe di tecnologi si applicò tanto da intensificare ulteriormente la glutinosità. Poi arrivarono Muller e Stadler [1927] che fecero capire che prima che le radiazioni rendano una pianta sterile, in particolare l’orzo e il frumento, se il materiale genetico viene sottratto dall’esposizione poco prima del danno irrimediabile, possiamo avere nuovo materiale genetico, “mutante”, e ciò vale anche per gli esseri animali o per l’uomo; il che fruttò un premio Nobel a Muller nel 1946. E così iniziò la corsa ai mutanti coltivabili del frumento, a partire dagli anni Sessanta il frumento prima è stato “nanizzato” e poi reso più glutinoso (frumento “Creso”).
I risultati di queste drammatiche modificazioni subite dal frumento negli ultimi decenni sono stati registrati da Iaccarino [2004], il quale documenta che gli aumenti di glutinosità sono coincisi con un peggioramento del rapporto relativo degli aminoacidi, che era abbastanza sbilanciato già in partenza.
Uno dei protagonisti di queste vicende è Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, insignito del “Premio Fregene 2003” per la sezione “Ricerca Scientifica” e direttore del laboratorio di Genetica del Centro della Casaccia dell’Enea all’inizio degli anni Settanta. Nel 1974 egli procedette ad irraggiare le sementi del frumento “Cappelli” con neutroni in modo da ottenere una mutazione che avesse caratteristiche più favorevoli (e così da rinsaldare la tradizione della pasta italiana “che non scuoce”). Le sementi ottenute furono successivamente ibridizzate con varietà messicane fino ad ottenere il Creso e altre varianti. Da quel momento in poi la marcia del Creso è stata inarrestabile: si passò da pochi ettari sperimentali nel 1975 a oltre il 20% della produzione nazionale di grano duro nel 1983, il 70% nel 1994, il 90% nel 1998.
E arriviamo al 10 maggio 2001 quando, nel corso di un’affollata conferenza stampa sul tema del presunto “frumento radioattivo”, tempestivamente organizzata a Firenze nella sede dell’accademia dei Georgofili dopo la comparsa di un articolo sulla stampa tedesca (del “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, martedì 8 maggio) il gota dei tecnologi agrari italiani puntualizzava:
1. i grani ottenuti per mutagenesi indotta da radiazioni ionizzanti ed i prodotti da loro derivati (es. gli spaghetti) non sono assolutamente radioattivi;
Commento: E su questo siamo tutti d’accordo.
2. l’attività sperimentale che ha consentito di ottenere questi grani è stata avviata in Italia nella seconda metà degli anni ‘50 da D’Amato (a Pisa), Scarascia-Mugnozza e collaboratori (a Roma) e non è stata in nessun momento oggetto di segretezza.
Commento: Se la popolazione fosse stata avvisata o interpellata ce ne saremmo accorti.
3. non esiste alcun elemento che possa ascrivere al grano duro mutato l’apparente incremento del morbo celiaco al glutine.
Commento: Stiamo forse dicendo che non è valido in questo ambito il principio di precauzione, ma all’opposto non si può condannare questa rivoluzione tecnologica, perché l’innocenza deve essere presunta? Ma allora, diteci, qual è la mole di documentazione che basterebbe per arrestare questa tecnologia? E chi sta lavorando per documentarsi?
Il punto è proprio questo, scrive il Prof. Pecchiai, che “il consumo di questi alimenti irradiati, non fosse altro per il fatto di essere alimenti ‘nuovi’, può provocare intolleranze, tra le quali, nel caso del frumento, anche, l’incremento della celiachia (intolleranza al glutine)” (luglio 2001, “il Triveneto e l’Europa”).
Il prof. Greco dell’Università di Napoli concorda in questo con Pecchiai: “C’è una parte della popolazione riscontrata celiaca e un’altra parte ancora più ampia (15 volte maggiore) a rischio di diventare intollerante al glutine”. Gli individui con un tale background genetico possono non aver avuto problemi o disturbi per secoli, in quanto il contenuto di glutine nel grano era molto basso, ma quando quantità “industriali” di glutine furono indotte per selezione del frumento per migliorare le caratteristiche per fare il pane, essi furono esposti a quantità insopportabili della caratteristica “intollerabile” proteina.
Dovete sapere che qualche mese fa ho scoperto un agricoltore parmigiano che coltiva un orzo antico senza glutine. È un orzo “varietà Leonessa” selezionato da Strampelli appena cento anni fa, e l’assenza di glutine (?!) è stata confermata dalle analisi ripetute presso due laboratori indipendenti. Già un anno prima di questa scoperta comunque il prof. Pecchiai stesso, con il quale ho avuto un paio di piacevolissimi incontri, mi ha fatto vedere il frumento diploide che lui coltiva in Liguria e che veniva fatto crescere dai primi agricoltori della Mesopotamia prima di essere soppiantato da tipi di frumento tetraploidi e poi esaploidi (con un cromosoma che è sei volte più ampio di quello primitivo). Anche lì ovviamente c’è meno glutine.
Per cui dobbiamo tener presente che i cereali antichi avevano decisamente meno glutine e che le minori quantità di glutine consumate in passato facevano rimanere il fenomeno celiaco in una dimensione quantitativamente minore rispetto a quella attuale.
Un’altra osservazione la fa Ventura [2000]: “In Svezia, dove il consumo di glutine da parte dei lattanti inizia presto ed è discretamente elevato già dal quarto-quinto mese di vita, l’incidenza della malattia celiaca è molto elevata e quasi tutti i casi vengono diagnosticati per la comparsa del classico quadro gastroenterologico. In Finlandia, dove la somministrazione di glutine ai lattanti è più cauta, la prevalenza della malattia celiaca diagnosticata su base clinica non solo è significativamente inferiore, ma l’età media alla diagnosi è significativamente più avanzata e prevalgono i casi con presentazione atipica (Ascher et al.). Però gli screening di massa degli adulti eseguiti “a cieco” mostrano che la prevalenza reale della malattia è la stessa nei due paesi (!). Per cui è ragionevole pensare che la precoce e relativamente elevata assunzione di glutine con la dieta dai primi mesi favorisca un fenomeno celiaco più riconoscibile, di presentazione clinica della malattia celiaca nei soggetti predisposti. Il ritardo o la cautela nell’introduzione dell’alimento (ahimé consigliati da molte autorità per “prevenire” la malattia) potrebbero essere causa dell’aumento di forme asintomatiche o quasi e di forme atipiche”.
In passato un tenore di vita più sano, con un lungo allattamento del neonato e poche forzature anche durante l’infanzia, tenevano il fenomeno celiaco al di sotto della soglia di osservabilità.
A dire il vero non mancano segnalazioni di osservatori medici: Pincton [1798] già ne parlava 200 anni fa, diceva che il pane è la prima cosa che si deve eliminare dall’alimentazione di chi è indisposto o ha malattie anche importanti.
Significativo è anche che la nevrastenia fu segnalata alla fine dell’Ottocento come un’epidemia quasi esclusiva delle classi agiate, il fatto che questo gruppo della popolazione poteva permettersi di eccedere nel consumo di farine glutinose acquista un significato inequivocabile in questo contesto.
Una precoce avvisaglia, un assaggio, della malattia (glutinosa) del benessere di massa della società industriale a partire dagli anni sessanta?
Psicosi, depressione, etc.
Ansia e depressione, sintomi psichiatrici comuni in individui celiaci non diagnosticati, scompaiono dopo la rimozione del glutine [Fera 2003]. Questi cambiamenti sono ascrivibili nei pazienti celiaci ai ridotti livelli di triptofano causati dal consumo di glutine [Hallert 1982, Hernanz 1991]. Ridotti livelli di triptofano sono stati individuati nella patogenesi dei disturbi depressivi anche in studi che non prendevano in considerazione il ruolo della celiachia [DeMyer 1981]. Riferisce Challacombe [1987]: “In ragazzi con celiachia non diagnosticata, che hanno avuto tanto a lungo un’apparenza infelice, in pochi giorni di regime senza glutine migliorano tantissimo dal punto di vista dell’umore. Questo miglioramento dell’umore può essere cancellato altrettanto rapidamente introducendo di nuovo il glutine nella loro alimentazione”.
La dieta senza glutine può correggere fino ad eliminare sintomi psichiatrici: la risoluzione di depressione o disturbi dell’umore in intolleranti al glutine è riportata da Pellegrino [1995], Babbini [2001], Potocki [2002], Serratrice [2002], Pynnonen [2004]. Rubinstein [1982] riporta una grave sindrome mentale di natura organica che regredisce completamente con il regime senza glutine che un paziente adotta a seguito della diagnosi di celiachia.
Vlissides [1986] descrive due pazienti che soffrono di disturbi psicotici. Durante il ricovero in un centro specializzato iniziano un regime senza glutine che porta alla remissione della patologia, mentre in un successivo periodo di reintroduzione del glutine hanno una ricaduta. Lo studio fu replicato da Singh e Kay [1976] che confermarono queste osservazioni sul glutine andando ad applicare il regime senza glutine in alcuni pazienti di una clinica psichiatrica.
De Santis [1997] riporta che la dieta senza glutine porta alla scomparsa di tutti i sintomi psichiatrici e la scomparsa di un’area di ipoperfusione precedentemente registrata sulla parte sinistra frontale della testa in un 33enne con una diagnosi pre-esistente di “disturbo schizofrenico”. Nel suo caso la presentazione con diarrea e perdita di peso aveva indirizzato all’indagine gastroenterologica e quindi alla diagnosi di celiachia.
Appendice
Sensibilità al glutine, mimica molecolare, analisi varie, disbiosi e parassitosi
A cura di Corrado Penna
È noto che le persone allergiche al polline della parietaria (per esempio) spesso reagiscono anche a piselli, melone e gelsi. In tal caso si parla di reazione incrociata (cross-reaction): alcune sostanze contenute in questi alimenti hanno una struttura chimica che somiglia agli allergeni del polline in questione e causano una sorta di intolleranza (problemi digestivi, a volte persino diarrea). Anche il glutine, a cui molte persone sono intolleranti e/o alcuni peptidi (catene di aminoacidi) che derivano dalla sua digestione possono somigliare chimicamente a delle strutture proteiche presenti in vari tessuti ed organi del nostro corpo.
Se il glutine venisse sempre digerito correttamente fino ad ottenere una completa scissione negli aminoacidi di cui è composta tale proteina, e se la barriera mucosa dell’intestino facesse sempre il suo dovere non lasciando passare nel circolo sanguigno i peptidi, il problema non si porrebbe, ma al giorno d’oggi farmaci, cattiva alimentazione, metalli pesanti e veleni chimici causano fin troppo spesso disbiosi intestinale (a sua volta responsabile dell’incompleta digestione del glutine) e sindrome dell’intestino poroso. Di conseguenza il flusso sanguigno porta dei frammenti di glutine che il sistema immunitario può riconoscere come estranei ed attaccare; la gliadina è uno dei più noti di questi peptidi derivati dalla digestione del glutine, ma ce ne sono molti altri. In effetti un intestino sano, equipaggiato della corretta microflora intestinale e privo di parassiti, difficilmente genera dei peptidi come risultato finale della digestione del glutine e difficilmente presenta una porosità tale da permettere a tali peptidi di essere assorbiti, di finire nel circolo sanguigno, e quindi di fare reagire il sistema immunitario.
Il guaio è che, come nel caso di altre reazioni incrociate, il sistema immunitario può reagire contro altri tessuti, organi, nervi del corpo umano che anno una somiglianza con questi peptidi derivati dalla scissione del glutine. E se il danno si presenta ad un nervo viene a mancare anche qualsiasi segnale del danno stesso, fino a quando il tessuto o l’organo che è servito da quel nervo inizia a funzionare male.
Il dottor Rodney Ford, MD, nel libro The Gluten Syndrome: Is Wheat Causing You Harm (ovvero La sindrome da sensibilità al glutine: è il grano a farti male) sostiene che si tratti per prima cosa una di malattia neurologica, che danneggia e rende silenti i nervi, compromettendo la salute e la funzione dei tessuti da essi serviti. Un esempio interessante è quello di una bambina seguita dal dottor Ford, che non riusciva a controllare gli sfinteri e che ha risolto il problema adottando una dieta senza glutine. I nervi interessati erano danneggiati da questa reazione incrociata (o mimica molecolare) ed eliminando il glutine, cessata la reazione, i nervi hanno ripreso a funzionare restituendo alla bambina quelle sensazioni che le indicavano di doversi recare al bagno.
Qui sotto l’abstract (riassunto) dell’articolo del dottor Ford intitolato The Gluten Syndrome: A Neurological Disease, che discute una possibile larga diffusione di danni neurologici causati dall’assunzione di glutine.
La sindrome di sensibilità al glutine: un disturbo neurologico
Ipotesi: il glutine causa alcuni sintomi, nella sindrome da sensibilità al glutine con o senza celiachia, a causa dei suoi effetti negativi sul sistema nervoso. Molti pazienti celiaci sperimentano sintomi neurologici spesso associati con un malfunzionamento del sistema nervoso autonomo. Questi sintomi neurologici possono presentarsi in pazienti celiaci che sono ben nutriti. Il punto cruciale, tuttavia, è che la sensibilità al glutine può anche essere associata con sintomi neurologici in pazienti che non hanno alcun danno alla mucosa dell’intestino (ovvero che non soffrono di celiachia). Il glutine può causare danno neurologico attraverso una combinazione di anticorpi che hanno reazioni incrociate, malattia da complessi immuni e tossicità diretta. Questi effetti sul sistema nervoso includono: cattiva regolazione del sistema nervoso autonomo, atassia cerebellare, ipotonia, ritardo dello sviluppo, disturbi del comportamento, depressione, cefalea e mal di testa. Se il glutine è il sospetto agente dannoso, allora non c’è bisogno di invocare il danno intestinale e la carenza nutrizionale per spiegare la miriade di sintomi sperimentati da coloro che soffrono di celiachia e di sensibilità al glutine non celiaca. Questo è ciò che viene detto “Sindrome di sensibilità al glutine.”
Un concetto va rimarcato, le analisi standard per il riconoscimento della celiachia hanno dei grossi limiti. Infatti le analisi standard riconoscono solo 4 o 5 anticorpi collegati alla sensibilità al glutine sui 28 fino ad ora scoperti dal dottor Vojdani (che non è detto per altro che siano tutti quelli esistenti), e quindi la migliore e più affidabile tecnica di controllo in certi casi potrebbe essere costituita dall’adozione per almeno un mese (a volte anche molto di più) di una dieta senza glutine. Chi volesse fare gli esami del sangue e della saliva capaci di verificare la presenza di questi 28 anticorpi può rivolgersi ai laboratori Cyrex (http://www.cyrexlabs.com/).
C’è da segnalare anche che molti medici non sono aggiornati rispetto alle più recenti scoperte nel campo della sensibilità al glutine e potrebbero convincere il paziente che in assenza di danneggiamento dei villi (rilevato con la biopsia) la presenza degli anticorpi rilevata con le analisi del sangue sia poco significativa, o che il mancato riscontro di anticorpi al glutine nelle analisi sia sufficiente per escludere la presenza di una sensibilità al glutine.
Restando nel campo delle analisi per l’accertamento della celiachia c’è da segnalare che il test del challenge (reintroduzione di moderate quantità di glutine per far ripartire la produzione di anticorpi, dopo che si era passati ad una dieta senza glutine) può essere rischiosa, per motivi che sono facilmente comprensibili.
Viceversa quando ci si decide a seguire una dieta senza glutine si può sperimentare una vera e propria “crisi di astinenza”, simile a quella sperimentata da chi è dipendente da sostanze oppioidi. Il verificarsi di questa crisi non è il sintomo di un aggravarsi di qualche patologia bensì l’ovvia conseguenza del fatto che la cattiva digestione del glutine porta fin troppo spesso alla generazione di peptidi oppiodi, per l’appunto detti gluteomorfine (o gliadomorfine). Alla stessa maniera, la cattiva digestione della caseina del latte genera delle caseomorfine. Queste incomplete digestioni delle proteine (che invece di essere scomposte negli aminoacidi costituenti, generano dei peptidi costituiti da una più piccola catena di aminoacidi) sono causate per lo più dalla disbiosi e dalla parassitosi intestinale, due condizioni che, nel nostro moderno occidente, sono tanto frequenti quanto trascurate.
In effetti la prima vera e propria forma di trattamento della celiachia, scoperta dal dottor Haas (autore del libro “The management of the celiac disease”, ovvero “Il trattamento della celiachia”, e ideatore della Dieta dei Carboidrati Specifici già esposta a pagina 54) mirava a risanare l’intestino per risolvere alla radice il problema. Non mangiare più glutine è sicuramente una scelta salutare se si soffre di una qualche forma di reazione ad esso, ma questo potrebbe essere solo il primo passo da fare nella riconquista della salute. La dieta paleolitica nelle sue varianti di dieta SCD, dieta GAPS, dieta Wahls (una dottoressa che è guarita dalla sclerosi multipla cambiando alimentazione), è in fin dei conti una dieta che riporta l’uomo a mangiare il cibo che era naturalmente portato a mangiare.
Non sempre però questa dieta basta a sbarazzarsi di infezioni parassitiche cui spesso la disbiosi intestinale (e la conseguente ipocloridria) aprono la porta. In tal caso un opportuno protocollo antiparassitario concordato col proprio medico di fiducia può rappresentare la differenza tra malattia e salute.
ALLEGATO
UN’ESPERIENZA PER CASO ( tratto da: CAPITOLO 1 del libro “CELIACHIA – Intolleranze, allergie alimentari” di Teresa Tranfaglia, Macro Edizioni 2004 )
Nell’86 nasce la mia seconda figlia: un parto un po’ difficile, una lussazione ad una clavicola della piccola, ma, tutto sommato, niente di particolare da segnalare. Mi viene detto che ho poco latte e che devo dare l’aggiunta. Qualcosa mi suggeriva di fare di testa mia, di lasciare, cioè, che la bimba succhiasse fino al punto da farmi produrre maggiore quantità di latte. Così fu. Fino a nove mesi e mezzo prese il latte del mio seno ed era splendida. Qualche problema era emerso nel primo mese proprio per l’aggiunta del latte in polvere, che rifiutava categoricamente; poi un altro problema, definito serio, lo ebbe a due mesi (bronchiolite virale) , ma con il mio latte, risolse quella situazione e altre che le si presentarono. Dopo la prima vaccinazione, si intensificarono muchi ed asma. Le cose divennero difficili quando mi fu imposto di toglierle il mio latte, perché i medici sostenevano che non avesse più sostanze; inoltre ciò si rendeva necessario per costringere la piccola a mangiare finalmente, cosa che sembrava lei non accettasse. Mi lasciai convincere. Dopo solo venti giorni eravamo al Policlinico di Napoli Federico II.
Le diarree continue e i malori disperati della piccola indussero i medici a praticarle di tutto: colonscopia, scintigrafia epatica, TAC cerebrale e addominale con mezzo di contrasto, per escludere la diagnosi sospetta di un neuroblastoma (l’esame delle catecolamine urinarie risultava alterato), prova d’assetamento, esami ematici, batteriologici etc.
In seguito il NUTRINAUT che la bimba doveva assumere ogni 2-3 ore, anche di notte, ci fu garantito dall’ASL.
I suoi problemi metabolici continuavano e ogni tentativo “tradizionale” di alimentarla falliva. Le cose non cambiarono per lei, fino a due anni e mezzo; anzi il suo sistema immunitario perdeva sempre più colpi: bronchiti, asma, broncopolmoniti, febbricole, diarree e stipsi erano costantemente presenti. Eczema atopico, iperammoniemia e fotosensibilità coronavano la scena, ma ciò che maggiormente mi preoccupava era il suo repentino cambiamento di “umore” o, per essere più esplicita, di “natura”. A momenti si “snaturava”, era cioè irriconoscibile, sia per il colore della pelle, sia per ciò che le vedevo segnato nel volto: la invadevano all’improvviso veri e propri disturbi della coscienza con stati confusionali sempre preannunciati da problemi vaso-motori. In cartella medica è stato sottolineato: “Alterazione della capacità di orientamento spazio-temporale, meteorismo addominale, alitosi, epatomegalia”. Più tardi una malattia reumatica con glomerulonefrite completò il quadro.
Consultammo telefonicamente vari reparti di pediatria, dei policlinici consigliatici, per avere un supporto in quella situazione disperata. Molti problemi chiudevano le porte alla soluzione della malattia, in particolare le sue alterate risposte alle penicilline ed altri antibiotici.
Mia figlia, come diceva la diagnosi del II Policlinico di Napoli, aveva intolleranze alimentari multiple. Di certo, però, non poteva vivere d’idrolisato proteico a vita.
Ricordo che, quando compì il suo secondo compleanno, un caro amico, (oggi anche maestro Shiatzu), Giovanni Mascia, laureato in architettura, le costruì una bellissima torta di cartone molto ben colorata e decorata. All’interno, inserimmo un bel giocattolo e, sulla base, le due candeline che la bimba felice spense. Quel giorno giurai che il suo terzo compleanno non sarebbe stato così e che qualcosa da mangiare, compatibile con il suo organismo lo avrei trovato a tutti i costi.
Mi ripetevo spesso, anche quando amici medici provavano a dissuadermi dal fare prove alimentari, che un qualche alimento per lei doveva per forza esistere! Mi dicevo: “Io non so cosa può mangiare, ma di sicuro a questo mondo esiste qualcosa anche per lei e devo scoprirlo.”
E invece tutte le prove fallivano dalla mela grattugiata con lo zucchero, al riso bollito con zucchero, dalla pastina ,alla pera e, perfino, la soia, etc…
Ci sconsigliavano di andare oltre tali prove, visto che la bimba reagiva male perfino a tali innocenti alimenti.
Non ero più disposta ad accettare che la piccola dovesse vivere d’idrolisato proteico; eppure non si riusciva ad intravedere una strada per uscirne.
La nostra vita era sconvolta. La mia, in particolare, dal momento che la bimba doveva ingerire la sua bottiglietta ogni 2-3 ore, anche di notte, e la mattina, in ogni caso, mi attendeva il lavoro. Di conseguenza mia figlia non aveva una regolare crescita. Disturbi molteplici, in particolare problemi vasomotori e reazioni allergiche affliggevano i suoi pochi anni di vita. Per me era un disastro continuare così. Conciliare lavoro, famiglia, problemi di salute, dissensi e scompensi familiari: era davvero duro.
Mi trovavo ad accantonare spesso anche le esigenze della mia prima figlia e tutto ciò senza sapere quanto fosse lontana o vicina la soluzione. Convinsi mio marito a consultare un grande immunologo milanese, visto che le ragioni dei problemi di nostra figlia, sembrava fossero dovuti al sistema immunitario.
Il tutto costò fiumi di denaro: ci indussero ad “albergare” in una lussuosissima clinica per praticarle per l’ennesima volta i Prick. Inoltre, per l’anamnesi, pretesero anche la presenza del nostro pediatra il quale ci accompagnò con grande affetto, pur dovendo ritornare subito a Salerno per i suoi impegni di lavoro. Per l’ennesima volta questi test non diedero risposta durante il ricovero. Però dopo 36 ore la bimba ebbe una grave reazione allergica. Eravamo in treno, per fortuna quasi a casa. Purtroppo non riuscimmo neppure a comprendere quale di quei Prick l’avesse scatenata, perché quando telefonammo in clinica, ci dissero che non avevano più la segnalazione scritta dei Prick praticati.
Da quell’ennesimo, disperato ricovero venne fuori che il Nutrinaut andava sostituito con un altro prodotto simile, che si produceva in Inghilterra: il Vivonex. Quando il prodotto arrivò, pensavamo di avere tra le mani la “manna”. La bimba lo assunse e di lì a poco iniziò a star male. Ritornammo così al Nutrinaut che si dimostrava, tutto sommato, il male minore.
Nel 1988 arrivò dall’America zia Maria, una sorella di mia madre. Tutti rimanemmo molto colpiti dal suo ottimo aspetto (anni prima non era così in forma, tanto bella e luminosa). Ci spiegò che il miglioramento era dovuto ad una dieta non dimagrante, ma praticata sulla base di esami che avevano evidenziato le sue intolleranze alimentari: escludendo dal piatto solo gli alimenti a cui era risultata incompatibile, aveva riacquistato salute, energia, bellezza. La cosa mi colpì profondamente. Corsi dal mio pediatra con mia zia (che appariva quasi più giovane di me), per raccontargli ogni cosa. Non ebbi in risposta né un si, né un no. Con mio marito, decidemmo di far eseguire quegli esami a nostra figlia. Non fu semplice. Dovemmo recarci a Roma, dove un medico associato con il centro americano in Florida (luogo in cui venivano eseguite tali analisi) fece il prelievo alla piccola per poi spedirlo nel laboratorio americano. A distanza di un mese ricevemmo i risultati. Ciò che in particolare la paziente non poteva toccare erano gli zuccheri, compresi i malti, le maltodestrine, nonché il latte, le farine, gli insaccati, etc. etc.
Iniziammo a capire qualche piccola cosa. Fino ad allora ogni alimento le era stato proposto sempre con lo zucchero. Inoltre l’idrolisato di cui si nutriva era proprio a base di maltodestrine più amminoacidi.
Di li a poco il grande incontro… Sempre per caso, una mattina mi fermai in un negozio di alimentazione naturale per comprare delle merende senza zucchero (quest’ultimo iniziava ad essermi particolarmente antipatico) per la mia prima figlia. Il padrone del negozio mi disse di essere a conoscenza delle condizioni della “piccolina”, e mi propose di farla visitare da un tal Naboru Muramoto, un maestro giapponese che viveva in California, grande esperto in alimentazione. Stavo per perdere la pazienza: una gran quantità di specialisti l’avevano visitata, in famiglia si faceva a gara a proporre questo o quel insigne luminare che, di sicuro, l’avrebbe fatta mangiare, e quest’uomo si permetteva di farmi una proposta tanto assurda? Tutti ci aspettavamo una medicina miracolosa … che ci avrebbe permesso di nutrirla in modo “normale”… e quel tizio insisteva per la consultazione con un emerito sconosciuto, per giunta giapponese! “Esperto macrobiotico”…. E che vuol dire?! Non era neppure laureato in medicina!.. Pensai: “Ma come si permettono certe persone di fare tali proposte …!?”
Ma, tornata a casa, l’idea del negoziante mi ritornava di continuo nei pensieri, finché mi dissi: “Ma sì …, in fondo che ho da perdere?”.
Telefonai al negoziante e prenotai.
A quel tempo l’idrolisato proteico, nonostante i disturbi che le comportava, appariva ancora l’unica sostanza capace di tenerla in vita, ma fino a quando avrebbe dovuto o potuto ancora prenderlo?,… visto che qualunque tentativo di introduzione falliva?
Ricordo che avevo il Benthelan e il Flebocortid in fiale sparsi dovunque; una volta, me ne trovai due fiale anche nella tasca dell’auto.
Vivevamo fuori dal mondo. Io in particolare, vedevo la scuola e quel poco di vita che si scorgeva dalla finestra della cameretta delle mie bambine, quasi sempre con la piccina in braccio, che mostrava, giorno dopo giorno, l’affievolirsi delle sue forze. A volte, pensavo che un volo giù da quella finestra avrebbe liberato almeno mio marito e la mia prima figlia da tanto travaglio. E sempre da quella finestra, quando di notte la bimba stava male, chiedevo a Chi era oltre le stelle, lassù, di aiutarmi a trovare la giusta via per risolvere …
Evidentemente da lassù qualcuno mi rispose …
Arrivò il giorno della consultazione con il “giapponese”. Mi mancano le parole per dire l’impressione che ne ebbi.
Prima di quell’incontro mia figlia era stata visitata da insigni professori di vari policlinici. Avevamo chiesto consultazioni con grandi luminari della gastroenterologia nazionale e anche europea, e con il meglio delle personalità dell’immunologia pediatrica conosciuta in Italia. Fu un po’ dura incontrare, in un contesto completamente anomalo, questo giapponese che
1) trovammo seduto a terra, sulla soglia del negozio di alimentazione naturale macrobiotica;
2) aveva almeno ottanta anni;
3) non aveva più di sei denti in bocca;
4) parlava giapponese e inglese; (quindi dovevamo fidarci di un interprete che traducesse il suo pensiero)
5) La “visita” avvenne in un retrobottega umilissimo; lui seduto su di una seggiolina, come me che avevo la bimba in braccio; mio marito, in piedi, accanto all’interprete.
In tale confusa, impressionante e singolare situazione, ciò che appariva evidente era il volto di mio marito e ancor più esplicito il suo sguardo che mi comunicava a chiare lettere: “TU SEI PAZZA!”, “TU HAI PERSO LA RAGIONE”. “DOVE CAVOLO CI HAI PORTATI?”.
Lì invece compresi, dopo aver ascoltato il “vecchietto giapponese” che niente e nessuno mi avrebbe potuto fermare. Oramai non avevo nulla da perdere, quindi ero fermamente determinata ad ascoltare i semplici e naturali consigli di quell’uomo. Ovviamente non capivo nulla di ciò che diceva, solo assorbivo con attenzione quel che riferiva l’interprete. Muramoto asseriva che la bimba era molto, molto debole (ma questo lo sapevamo già), e che lui avrebbe potuto davvero nutrirla indicandoci alimenti adatti al suo stato, cioè con alimenti “puliti” e naturali, anzi mi disse che le avrebbe preparato lui stesso l’indomani il primo pasto.
Risposi subito che per me andava bene. A casa capii quanto invece per mio marito andasse malissimo. Egli infatti mi vietò di dare alla piccola il cibo che avrebbe preparato il giapponese. Così fu. Telefonai, allora, al negozio di prodotti naturali macrobiotici per riferire che non sarei andata a ritirare il cibo che il giapponese aveva appositamente preparato, sentendomi ovviamente in soggezione per aver disatteso l’accordo. Il negoziante cercava di spiegarmi che il maestro era da molte ore intento alla preparazione del latte di riso, quindi il mio trarmi indietro risultava molto scorretto. Mentre questo accadeva, Muramoto, che era nel negozio di alimentazione naturale, chiese all’interprete se sapesse il motivo della reazione un po’ accesa del negoziante. E dopo che gli furono spiegati i fatti, non esitò, né si scompose minimamente: prese la ciotola destinata a mia figlia e la bevve tutta, poi esclamò: “Ne avevo proprio bisogno!”.
Quindi il negoziante, che era ancora al telefono con me, all’improvviso cambiò tono… e disse: “È andata”.
Tornai dopo due giorni da Muramoto pregandolo ancora di prepararmi quel cibo, perché per due notti non avevo fatto altro che pensare a quella ultima possibilità. Mi rispose che stava per tornare in California ma mi lasciò la ricetta. E mi indicò un suo libro nel quale avrei trovato molti suggerimenti.
Ed eccomi di nuovo sola: tra le mani una ricetta e un libro.
Restai ferma davanti al negozio per un bel po’. Eppure non riuscivo a comprendere il perché non mi sentissi disperata, visto che avevo perduto un’occasione. Mi ripetevo: “Forse non ho perso niente, forse neppure quell’uomo avrebbe potuto aiutarmi!..”
O, forse, non ho perso niente perché ho tutto tra le mie mani?..
Forse la risposta che chiedevo dal cielo è in questa ricetta che stringo nella mano destra, e nel libro che tengo con la sinistra? Tornai a casa e iniziai a preparare ciò che si rivelò essere il primo “cibo benefico” per la mia bambina: il latte di riso integrale biologico. Quando le somministrai il primo piattino, chiesi a Rosanna Vitola (una mia cara amica), di essere presente per una eventuale corsa in ospedale, in caso di gravi reazioni allergiche, a cui la bimba era solitamente soggetta, dopo ogni nuova introduzione alimentare.
Non ebbe assolutamente nessuna reazione, né grande né piccola: mia figlia aveva ingerito, per la prima volta, un alimento vero, un alimento prodotto da Madre Natura e non un freddo preparato di laboratorio…. E non aveva reagito male!
Mi riempii di speranza; mantenni, però, il segreto per alcuni giorni, un po’ per paura di qualche reazione ritardata, un po’ per scaramanzia. Sembra banale gioire per un misero pasto ingerito dalla propria creatura, a molti apparirà esagerata e assurda tanta felicità, ma per me si trattava di un vero ed incredibile miracolo. Il suo organismo era riuscito finalmente a metabolizzare, digerire e assimilare un cibo vero, un cibo non “costruito” in laboratorio. Era il 1 maggio 1989 e non lo dimenticherò mai.
Da quel giorno ha inizio la mia lunga storia ai fornelli; da quel giorno si è ricominciato a vivere; da quel giorno, una schiera di angeli si è trasferita a casa mia per aiutarmi e incoraggiarmi, prende servizio prima che io mi svegli e mi rimbocca le coperte la sera tardi.
Ho sviluppato negli anni una discreta competenza che mi ha permesso di far crescere al meglio la mia creatura che, nel tempo, ha superato quasi tutti i suoi problemi. Gli ingredienti indispensabili per il raggiungimento di tale traguardo sono stati quelli antichi quanto il mondo: attenzione, dedizione, costanza, buona volontà e tanto, tanto amore. Questo luminoso percorso (che a volte si è presentato molto complesso), mi ha donato davvero tanto: una figlia bellissima, sana, allegra, dolce, interessata alla vita, impegnata nello studio, nello sport, nella musica, simpatica e benevola con gli amici. Ciò che meraviglia soprattutto me è che, pur potendo oggi finalmente scegliere, essa opta “per la natura”, ovvero per una sana alimentazione naturale.
Non posso dire che sia stato semplice raggiungere l’attuale livello di conoscenza e consapevolezza circa questa particolare “arte”, né posso affermare che sia stato casuale incontrare, tredici anni fa, le giuste “guide”.
È invece il caso di affermare che “chi cerca trova”, e “chi cammina incontra”. Una serie di coincidenze mi hanno messa in contatto con grandi esperti in alimentazione naturale e macrobiotica, i quali hanno dato forte spessore alla mia volontà di apprendere e d’imparare in fretta. Da allora i policlinici e gli ospedali non hanno più avuto la piccola come paziente, se non per qualche slogatura, i nostri unici referenti in medicina sono stati gli omeopati e gli omeotossicologi. Da tredici anni mia figlia non assume medicinali chimici allopatici, grazie a Dio, le poche e semplici malattie che ha avuto le abbiamo sempre risolte con le “palline” e le gocce, ma soprattutto con l’alimentazione.
Oggi agisco con una certa competenza in cucina grazie a molte straordinarie letture effettuate, ad un corso di cucina specifico tenuto da Gianni Canora, e, soprattutto, grazie agli incontri prima citati. Ognuna delle persone, che ho avuto la fortuna di conoscere, ha aggiunto alla mia precedente povertà di conoscenze sempre maggiore ricchezza. Se l’incontro con Muramoto è stato “essenziale e determinante”, quello con Ferro Ledvinka fu decisivo per entrare nel merito della cucina naturale macrobiotica e scoprirne più a fondo i principi.
Ringrazio anche Carlo Guglielmo, che, oltre ad aver incontrato una volta a Perugia, spesso ho avuto modo di consultare per telefono, e sua moglie di cui ho ammirato il modo di dare le lezione di cucina. Dal gentile Carlo Guglielmo ho imparato come equilibrare lo Yin (energia espansiva) e lo Yang (energia contrattiva).
Un giorno gli parlavo al telefono degli alimenti che facevo assumere a mia figlia; ad un certo punto, scoppiò in una lunga risata. Nervosamente attendevo, al telefono, che finisse per capirne i motivi. Infine esordì: “Io, al posto di sua figlia, andrei a svaligiare una pasticceria”. Mi fece rapidamente comprendere che la stavo alimentando in modo troppo Yang, e che, quindi, era necessario un cibo più Yin, cioè, in quel caso, più dolce. Di sicuro ho commesso tanti errori, ma c’era di bello che “sapevo molto bene di non sapere” e, quindi, ero di continuo alla ricerca di chi mi potesse insegnare a fare di meglio, ed ero tanto contenta quando mi veniva indicato un modo, un principio, per migliorare: mi sentivo “crescere” ogni qualvolta riuscivo ad “ammannire” a mia figlia cose nuove, più buone, più equilibrate e quindi più salubri.
In proposito, ricordo quando Gianni Canora, durante il corso di cucina, ci insegnò a fare le “palle di pop-corn”. Tornai a casa così contenta ed eccitata che tardavo a prendere sonno. L’indomani preparai questa leccornia debitamente addobbata, poi chiamai le mie due figlie, perché gustassero questa bella e originale merenda. La più grande mi disse: “Mamma sei sicura che la sorellina può mangiarla?”
ALCUNI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Qui sotto vengono riportate alcune delle fonti citate nel corso del libro. Sebbene per brevità non siano presenti tutte le fonti citate e consultate (un file con la bibliografia completa ed i riassunti dei vari articoli scientifici, liberamente scaricabile in separata sede, consta di quasi 400 pagine) la valanga di studi sul glutine effettuati nel corso degli ultimi dieci anni fa sì che basti utilizzare la funzione ricerca all’interno dell’archivio on-line di pubmed (o su un qualsiasi motore di ricerca) per trovare decine e decine di ricerche scientifiche che correlano il glutine alle più svariate patologie. Per esempio provate a collegarvi a http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/ e scrivere in alto nella barra “search” le parole “gluten osteoporosis” (glutine osteoporosi) oppure “celiac disease anemia” (celiachia anemia). La ricerca porterà probabilmente a più recenti e più aggiornate ricerche che confermano quanto scritto in questo libro.
Esiste ad ogni modo un articolo in particolare che può servire a confermare tutto quanto fin qui scritto, intitolato “Complicazioni della celiachia: tutti i pazienti [celiaci] sono a rischio?”; in esso viene presa in considerazione la correlazione tra il glutine e quasi tutte le patologie qui discusse, dall’osteoporosi, alla dermatite erpetiforme, dalla carenza di ferro ai problemi neurologici, dalla depressione al cancro, dalla stanchezza eccessiva ai problemi dell’apparato riproduttivo femminile. Per chi vuole verificare i riferimenti sono: Complications of coeliac disease: are all patients at risk?, C. J. R. Goddard, H. R. Gillett, Postgraduate Medical Journal, Nov 2008; 82(973): 705-712 (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2660494/). La rivista ove è stato pubblicato l’articolo, precisiamo, è una costola del prestigioso British Medical Journal.
Osteoporosi
Bone mineral density in patients with gluten-sensitivity celiac disease, Albulova EA, Drozdov VN, Parfenov AI, Viazhevich IuV, Petrakov AV, Varvanina GG. Terapevtikeski arkhiv, 2010;82(2):43-8. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20387675
Tiroide
Celiac Disease and Autoimmune Thyroid Disease. Chin Lye Ch’ng, MRCPI, M. Keston Jones, MD, FRCP, and Jeremy G. C. Kingham, MD, FRCP. Clinical Medicine & Research Oct 2007; 5(3): 184-192 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2111403/
Epatite
Celiac disease associated with autoimmune hepatitis and autoimmune hyperthyroidism. Milić S, Mikolašević I, Mijandrušić-Sinčić B, Bulić Z, Giljača V, Štimac D. Med Glas (Zenica). 2013 Aug;10(2):408-10. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23892869.
Prevalence and clinical features of celiac disease in patients with hepatitis B virus infection in Southern Brazil. Nau AL, Fayad L, Lazzarotto C, Shiozawa MB, Dantas-Corrêa EB, Schiavon Lde L, Narciso-Schiavon JL. Revista de Sociedade Brasileirade Medicina Tropical 2013 Jul-Aug;46(4):397-402. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23982094
Linfoma
Update on the diagnosis and management of refractory coeliac disease. Nijeboer P, van Wanrooij RL, Tack GJ, Mulder CJ, Bouma G. Gastroenterology Research and Practice. 2013;2013:518483. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23762036
“Malattie mentali”, depressione, autismo
Autism and Schizophrenia: Intestinal Disorders. Robert Cade, Malcolm Privette, Melvin Fregly, Neil Rowland, Zhongjie Sun, Virginia Zele, Herbert Wagemaker, Charlotte Edelstein. Nutritional Neuroscience 2000, 3: 1, 57 — 72.
http://www.fooddetective.pl/download/No%2038.%20Cade%20Autism%20and%20Schizophrenia%20Paper.pdf
The gluten connection: the association between schizophrenia and celiac disease. Kalaydjian AE1, Eaton W, Cascella N, Fasano A. Acta Psychiatrica Scandinava 2006 Feb;113(2):82-90. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16423158?dopt=Abstract
Malattie autoimmuni
Celiac disease and autoimmune-associated conditions. Lauret E, Rodrigo L., Biomedical research International, 2013;2013:127589 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23984314
Epilessia
Celiac disease with neurologic manifestations in children. Diaconu G, Burlea M, Grigore I, Anton DT, Trandafir LM. Revista medico-chirurgicală̆ a Societă̆ţ̜ii de Medici ş̧i Naturaliş̧ti din Iaş̧i 2013 Jan-Mar;117(1):88-94. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24505898
Infertilità femminile
A risk factor for female fertility and pregnancy: celiac disease. Anna Velia Stazi, Alberto Mantovani. Gynecological Endocrinology. 2000 Dec;14(6):454-63. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11228068
Ipertensione
Successful treatment of portal hypertension and hypoparathyroidism with a gluten-free diet. Journal of Clinical Gastroenterology. 2007 Aug;41(7):724-5. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17667060
Tumori
Celiac disease and malignancy. Cooper BT, Holmes GK, Ferguson R, Cooke WT. Medicine (Baltimore) 1980 Jul; 59(4): 249-61 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7392945
Disappearance of Mesenteric Lymphadenopathy with Gluten-Free Diet in Celiac Sprue. Wink A, de Boer. Journal of Clinical Gastroenterology, 1993; 16(4): 317-319 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8331266
Affezioni cardiache
Death from ischaemic heart-disease and malignancy in adult patients with coeliac disease. Whorwell PJ, Alderson MR, Foster KJ, Wright R. Lancet 1976 Jul 17; 2(7977): 113-4 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/59182
ALCUNI SITI UTILI PER ULTERIORI APPROFONDIMENTI
Corrado, che dirti, a nessuno era venuto in mente di usare il proprio tempo come hai fatto tu per arricchire la mia ricerca sul glutine del 2005. Io il libro in fondo l’avevo scritto per me e alla fine mi ero un po’ disinteressato della sua diffusione, anche perché gli autori di libri sul glutine oggigiorno sono tanti. E invece tu hai creduto nel mio libro. Sei rimasto con il mio “mal di glutine” e lo hai reso pubblicabile (online ). Hai seguito il testo, eventualmente aggiornandolo dove necessario, migliorandolo con tante piccole attenzioni.
Nel periodo 1999-2005 io non avevo altra scelta che fare queste ricerche, per me senz’altro, ma anche perché negli eventi che si sono succeduti intorno ai miei primi libri con la MacroEdizioni sentivo di aver avuto una grande fortuna e volevo sdebitarmi... Nel percorso verso i miei best-seller “Magnesio”, Mal di latte”, “Denti tossici 2”, nelle attività giornaliere dell’associazione di Salerno sulle intossicazioni da mercurio, ho beneficiato dell’amicizia sincera di Teresa Tranfaglia, che poi ho seguito come un cucciolo in un campo del self-help che all’inizio dubitavo che mi appartenesse, e invece … e poi, ogni disperato che bussava all’associazione … mi sentivo responsabile per la fiducia che ognuno riponeva in me. E alla fine le ricerche erano là, ovvero quelle 600 o 700 pagine sugli effetti del glutine che in 4-5 mesi ho voluto trasformare in qualcosa di leggibile ... ed ecco quindi “Il Mal di Glutine”.
Intorno a questo tema specifico del glutine ovviamente ci sarebbero da fare tante altre considerazioni. Sta ad ognuno dei lettori gettare una luce sulla realtà intorno a sè, magari venirci a trovare sul blog scienzamarcia o semplicemente cercare Acerra Lorenzo su google o scienzamarcia + danni da vaccini, problemi dei farmaci, etc ... per capire le prese di coscienza possibili per proteggere/rispettare noi stessi ma anche la prossima generazione (e quelle a venire) ...
La Tranfaglia mi fa sorridere: ha investito il suo tempo per tirare fuori la macrobiotica dall’inciampo del glutine. Splendida! Macrobiotica sì, ma senza glutine. Io poi ho deciso di provare avventure crudiste, paleo e digiuno serale e mi trovo bene a livello mentale e fisico quando evito tutti i cereali. Tu hai tradotto il libro sulla dieta GAPS della d.ssa Campbell-McBride che è un’interessante via di mezzo. Come ben sai apprezzo la d.ssa Campbell perché ha fatto un sacco di ricerche in un sacco di campi. Come lei, ritengo che le malattie abbiano sempre più di una causa. Quindi uno deve continuare a cercare e magari agire su più fronti. Per esempio quello della relazione causa ed effetto tra disturbi e denti devitalizzati (che fanno infezione di nascosto nell’osso), quello relativo ai denti inclusi che causano necrosi dell’osso sottostante, alveoli non guariti e in necrosi perché non curettati bene al momento di un’estrazione dentale, gli effetti “focali” di una cicatrice da incidente o intervento chirurgico, i danni da farmaci, le conseguenze sistemiche delle otturazioni in amalgama (di mercurio!), del bimetallismo (l’effetto galvanico causato dalla presenza di diversi metallici in bocca che, a causa della soluzione salivare, generano una sorta di “pila di Volta” nella bocca del paziente), della disbiosi e della parassitosi. E non dimentichiamoci del piano psichico che può influire fortemente su quello fisico (psico-somatica).
Come già detto, una persona non celiaca che legge questo libro sceglierà di proseguire il proprio consumo di glutine in modo più rispettoso e prudente, scegliendo le forme più leggere di glutine, ovvero orzo in chicchi, farro in chicchi e farine di farro, magari concedendosi 2-3 giorni a settimana senza glutine.
Altri invece sentiranno la necessità di una rivoluzione, di un viaggio di scoperta. Per questo mi hai anche chiesto di fare un resoconto dei siti internet, blog o forum importanti su cui ho curiosato di recente, in modo da ispirare chi sente la necessità di ripartire.
I due punti difficili da ottenere sono: sapere cosa uno vuole e trovarlo dopo aver scartato tutto il resto! Ma sapere che sono questi gli obiettivi consente una rapida partenza oggi, invece che tra vent’anni.
Io sapevo cosa cercavo, lo avete letto anche nel qui presente libro sul glutine, e ho sentito la necessità di fare un diario del mio crudismo (http://blog.missvanilla.it/approfondimenti/persone/il-diario-di-lorenzo-acerra/settembre). Solo vari anni dopo lo misi online. Un diario di una persona che sa che vuole, da solo, senza il supporto della comunità, è già un interlocutore interessante.
Una mia conoscente per esempio si occupa di questo suo diario alimentare: http://silenteneve.wordpress.com
Molti oggigiorno condividono le proprie idee ed esperienze utilizzando un blog. Capisco la necessità di vedersi stimolati da una stretta comunità di conoscenti online (tipo il diario di chi fa dei digiuni corti, medi o lunghi, http://www.arnoldehret.it/old/modules.php?name=Forums&file=viewforum&f=14 ). Quindi se uno prova a cercare con google “blog, digiuno serale”, “blog, diario alimentare paleo”, “blog, senza glutine”, “blog Gaps”, … trova di tutto e di più, rispetto a quello che vi riesco a dire qui.
Se dovessi segnalare un solo blog che può andare bene per tutti (cosa assurda...!) parlerei di quello di Gabriele: “Non sono un medico né uno scienziato, ma uno dei maggiori consumatori al mondo di olio di cocco, latte di cocco, burro di cocco (ho detto cocco??), brodo d’ossa, zenzero e curcuma. Sempre con grande umiltà e massima ironia.” http://www.codicepaleo.com/category/colesterolo-2/
Ma si sbaglia chi pensa che io voglia fare pubblicità al crudismo, o alla dieta chetogenica in particolare, o alla paleo (anche se difendo qui chi la fa: http://www.stampalibera.com/?a=27693 ).
Non è assolutamente vero che io faccio il tifo per una sola cosa, tutto va bene al fine di capire e di sperimentare.
Per esempio ci si potrebbe persino decidere a seguire la dieta consigliata da Ray Peat (http://www.mangiaconsapevole.com), che ti riempie di latte commerciale (sigh!). E questo pure è positivo, infatti capiterà una volta che chi la segue poi per un attimo tolga il latte, e la differenza sarà così notevole che se lo ricorderà per il resto della sua vita: le sinusiti, la pesantezza di stomaco e il muco che il consumo di latte commerciale gli causavano! E però sarà in grado di conservare gli altri consigli di quel regime, mangiare poco la sera, l’utilizzo di cocco, olio di cocco, avocado, l’andarci con le pinze con le quantità di carboidrati. Se uno legge qua, sempre sul blog di Gabriele di Firenze, http://www.codicepaleo.com/esperienza-paleochetogenica, vede bene che si potrebbe pensare di provare un regime simil-chetosi e paleo vegetariano. Un esperimento come un altro.
Come ripartire? Con quali idee e concetti riuscire ad allontanarsi dal glutine? La strada che Teresa Tranfaglia indica nel suo libro del 2004 consiste in questo: niente zucchero, niente glutine, abbasso il latte animale (e le vaccinazioni ...), niente cibi industriali pensati come surrogati per il celiaco!
Sul fronte dell’abbandono dei cereali, potrebbe interessare questa introduzione del mio conterraneo Raffaele Pilla: https://www.youtube.com/watch?v=rurBPNSjQiw&feature=youtu.be
Altrimenti il crudismo, o la Gaps (http://gapsitalia.blogspot.it), la dieta chetogenica (http://dietachetogenica.blogspot.it/), la Dieta dei Carboidrati Specifici di Elaine Gottschall (http://langolodelpersonalcoaching.blogspot.de/2014/02/intestino-sano-con-la-dieta-dei.html), il regime Seignalet (http://www.lazonalibera.it/viewtopic.php?f=15&t=1684), la Paleo contro la rettocolite (http://www.leonardorubini.org), il fruttarianesimo (http://contiandrea.com), insomma uno deve fare tutti gli esperimenti e vedere cosa funziona di più e cosa di meno.
Altri criteri che consiglio per la ricerca su google? Cercatevi un argomento su cui avete una certezza, per esempio il discorso che l’avocado rallenti l’assorbimento di carboidrati. Mettetevi su google e valutate i siti che hanno trattato questo argomento. Idem per l’olio di cocco. Idem per il discorso che è la cattiva digestione dei cereali a far salire alle stelle il colesterolo (che è una difesa dall’infiammazione totale generata nel corpo …).
Se uno conosce bene il digiuno ad acqua sa che l’alimentazione determina il 60% circa di come si sviluppa la salute globale e l’efficienza psico-fisica di una persona. Ho le mie perplessità sul fatto di cominciare una divulgazione che vada bene per tutti con le idee che vanno bene per me. Ma per rispondere alla tua domanda, Corrado, secondo me la direzione verso la quale cercare è verso l’assenza di fame e di sete. Cioè uno prende un pasto solo e non sente più fame per quel giorno. Però questa è un’idea mia.
Che le patate diano un senso di fame residua pazzesca l’ho dovuto sperimentare io osservando la mia mente e la mia fame. E sono contento di averlo osservato prima di averlo letto (http://www.arnoldehret.it/old/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&p=78905#78905). Quindi a volte il fatto di leggere troppo non va nemmeno troppo bene.
Siccome mangiare la sera non lo vedo come un fatto fisiologico ideale, mi sono osservato e mi sono cercato dei pasti che mi saziano, appunto cocco, avocado, broccoletti di bruxelles con miso, e che mi danno la sensazione pure a distanza di 6 o 7 ore che non c’è più fame indotta dalla digestione o fermentazione precedente ... Dunque mangiare la sera riesco ad evitarlo. Altrimenti bisognerebbe mangiare carne e verdure la sera, per non ubriacare il sistema insulinico in un momento in cui l’organismo non processa più gli zuccheri.
Il sito di Gabriele ci regala anche un ottimo articolo sul glutine: http://www.codicepaleo.com/glutine dove viene presentato il discorso dell’interferenza sulla permeabilità intestinale attraverso la zonulina.
A qualcuno potrebbe interessare un sito dove la svolta del no al glutine è inserita in un approccio salutista a 360 gradi, in questo caso consiglierei http://www.emergenzautismo.org/content/category/4/34/48 (la loro svolta celiaca è molto attenta verso un approccio naturale, e non industriale, alle scelte alimentari).
SULL’AUTORE ED I CO-AUTORI DEL LIBRO
Lorenzo Acerra, chimico industriale è autore dei seguenti libri, tutti editi dalla Macro Edizioni
Teresa Tranfaglia è l’autrice dei libri
Corrado Penna è il co- traduttore dei libri
Fonte: http://scienzamarcia.altervista.org/glutine.doc
Sito web da visitare: http://scienzamarcia.altervista.org
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