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LIBRO BIANCO
Sulla condizione delle famiglie con ammalati rari o disabilità psicofisica grave di genesi sconosciuta
(presentato il 30 marzo 2005)
(Note aggiunte: marzo 2006)
Queste pagine nascono dal lavoro di un gruppo di familiari di ammalati rari, o di malattie cosiddette “orfane”, o peggio di ragazzi che negli anni non hanno avuto una diagnosi precisa se non “disabilità psicofisica grave di genesi sconosciuta”.
Dal 14 febbraio del 2001 questi genitori si sono incontrati con cadenza settimanale in un gruppo di auto aiuto. In esso hanno maturato la consapevolezza di una situazione comune al di là delle grosse differenze delle patologie, hanno promosso incontri con esponenti dei servizi sul territorio, hanno cercato di trovare i giusti interlocutori, hanno evidenziato la assoluta urgenza di far EMERGERE il gravissimo problema di abbandono di cui soffrono, hanno cercato e studiato i provvedimenti legislativi che li riguardano.
Di qui la necessità di realizzare questo “LIBRO BIANCO” nella speranza di riuscire a sensibilizzare tutti coloro che dovrebbero tutelare i cittadini più svantaggiati, ma che soprattutto sembrano IGNORARE la gravità e l’urgenza del problema.
Pertanto il “LIBRO BIANCO” è destinato:
alla Regione Liguria che il 22-11- 2002 ha emanato un documento (delibera Regionale 1413) di cui non riusciamo a scoprire attuazione pratica e neppure consapevolezza in chi dovrebbe attuarla.
alla ASL che dovrebbe tutelare la salute psicofisica di tutti i cittadini, senza escludere chi è in situazione più grave degli altri
al Comune di Genova per i servizi alle persona secondo quanto previsto al CAPO III art 14 della Legge 328 (8-11-2000)
all’Ufficio Scolastico Regionale per ciò che attiene il problema dell’integrazione scolastica del disabile “raro”
alla Provincia per ciò che attiene il problema dell’occupazione del disabile “raro”
ai Centri di Riferimento individuati dalla delibera 1413
Il nostro lavoro è solo iniziale, senz’altro parziale perché si rifà all’esperienza di uno sparuto gruppetto di malattie rispetto alle oltre 5.000 differenti situazioni “rare”, ma crediamo sufficiente a focalizzare l’attenzione sulla situazione di molte famiglie, per evitare che esse abbiano l’onore della cronaca e dei commenti dei politici e dei mass-media solo quando la DISPERAZIONE le mette in luce…
Esso comprenderà una parte descrittiva del problema ed una propositiva delle soluzioni.
Speriamo che serva a far emergere anche tutte quelle altre situazioni sommerse in attesa di attenzione e soluzione.
Sommario
PARTE PRIMA. L’ANALISI
PARTE SECONDA. LE PROPOSTE
APPENDICI
PARTE PRIMA. L’ANALISI
1. Breve storia del gruppo di auto-aiuto
A partire dal 14 febbraio 2001 un gruppetto di genitori ha cominciato ad incontrarsi, ospitato del Centro Civico Buranello grazie alla Circoscrizione II Centro Ovest che da allora non ha mai tolto il suo appoggio all’iniziativa.
Con cadenza settimanale si sono susseguite riunioni che, mano a mano hanno preso la duplice funzione di supporto personale e momento di informazione e formazione sui problemi che emergevano.
Il gruppo, infatti, supportato da una psicologa consulente clinica volontaria, ha cominciato un lavoro sui sentimenti affrontando e riconoscendo le problematiche legate ad essere genitori di ragazzi con handicap e malattie croniche, per di più rare od “orfane”.
Oltre al lavoro su se stessi, da subito è emersa la preoccupazione di collegarsi con le strutture esistenti per capire come e dove trovare appoggio. Il primo anno abbiamo incontrato il Sig. Piombo della Consulta handicappati, rappresentanti di Cooperative per disabili e di gruppi sportivi di Sampierdarena.
Nel frattempo si è aggiunta, a titolo volontario, come supporto al gruppo un’assistente sociale.
L’anno successivo abbiamo dedicato una riunione ogni tanto ad una “discussione a tema” (l’ansia, la paura, la rabbia, le relazioni con i familiari, i problemi di coppia ecc.), trovato un nome adeguato al gruppo, creato una pagina su internet (www.webst.it/echidna) incontrato un’assistente sociale del distretto sociale di Sampierdarena, l’Assessore alla Città solidale Veardo, il vicepresidente della Commissione Regionale consiliare II (servizi sociali) Massimiliano Costa, per reciproci scambi di informazioni. Abbiamo inoltre partecipato ad incontri di gruppi di autoaiuto con altre esperienze simili, contattato lo Spazio Famiglia.
Nell’anno 2003-2004 abbiamo, fra l’altro, allargato la partecipazione del gruppo ad altri familiari con nuove patologie rare, affrontato temi di comune interesse come i problemi dei fratelli, del “dopo di noi”, incontrato, per stabilire rapporti di collaborazione, scambiare informazioni e far presente l’urgenza di rendere operative le leggi esistenti, rappresentanti dell’Ufficio Scolastico Regionale, del Distretto sanitario, del Distretto sociale e dell’Ordine dei Medici e Pediatri e della ASL 3.
Abbiamo consultato l’avvocato dello Spazio Famiglia e un avvocato esperto in tutela di interdetti.
Come gruppo nel giugno del 2003 abbiamo incontrato la Commissione Regione Liguria II Sanità e Servizi Sociali: anche in quell’occasione abbiamo fatto presente la situazione in cui versano molte famiglie (vedi anche appendice).
In tutti questi incontri abbiamo trovato interlocutori che hanno dimostrato comprensione umana, partecipazione affettiva e che hanno promesso attivazione di interventi volti ad affrontare le urgenze emergenti.
Abbiamo trovato anche che molti dati non sono in possesso dei servizi e abbiamo quindi intensificato gli sforzi per poter presentare per iscritto le nostre istanze in modo che questo “libro bianco” faccia da PRO MEMORIA alle istituzioni.
Il nome che ci siamo dati “Echidna - Silenzio interrotto” è un po’ anche il nostro programma: rompere il silenzio sulla gravità della situazione dei familiari di ammalati rari e orfani, essere in grado, come il simpatico, strano e innocuo animaletto nostra mascotte, di mettere una piccola, fastidiosa, sempre presente, “spina” per le Istituzioni perché si accorgano dei diritti dei nostri figli e affrontino i problemi la cui risoluzione a loro compete…
AGGIORNAMENTO: Tra il novembre 2005 e oggi (marzo 2006) abbiamo incontrato funzionari della REGIONE LIGURIA con cui abbiamo avviato un lavoro di collaborazione per raggiungere alcuni degli obiettivi proposti da questo “Libro Bianco”. Il 19 dicembre 2005 c’è stato un primo incontro con i responsabili dei Centri di Riferimento della regione Liguria e il 7 febbraio 2006 abbiamo partecipato ad un incontro con i medici legali delle ASL componenti le commissioni di accertamento invalidità.
Dal dicembre 2005 si è attivato un dialogo proficuo con il DISTRETTO SANITARIO n.2 per arrivare alla definizione di Piani Individualizzati di Assistenza per i nostri ragazzi.
2. Cosa prevede la delibera regionale 1413 e cosa in realtà succede.
La “DELIBERA GIUNTA REGIONALE N. 1413 DEL 22/11/2002 - INDIVIDUAZIONE DELLA RETE REGIONALE PER LA PREVENZIONE, SORVEGLIANZA, DIAGNOSI E TERAPIA DELLE MALATTIE RARE.” Ha deliberato l’istituzione del”la Rete Regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare, composta dai presidi e dai Centri Regionali di Riferimento elencati nell’allegato”.
In questo documento si elencano una serie di funzioni garantite dal centro stesso :
[N.B. Durante l’incontro con la Commissione Regionale è stato chiesto a noi genitori quanti sono gli ammalati rari…]
Ø e aggiornamento
Ø di protocolli e linee guida
Ø per la diagnosi
Ø e il trattamento delle patologie,
Ø in collaborazione con gli altri presidi della rete, anche ai fini dell’individuazione delle prestazioni correlate strettamente alla patologia da erogarsi gratuitamente;
Delle 12 malattie diagnosticate nelle famiglie che fanno parte del gruppo, solo 5 hanno il loro centro di riferimento che, peraltro, non garantisce, a quasi tre anni dalla delibera, i sopra indicati interventi (vedi, in appendice, le storie relative a Lesch-Nyhan, Prader Willi, Mucolipidosi 3, Klinefelter)
Quanto sopra previsto sarebbe certamente utilissimo per ciascuno dei nostri ragazzi e la delibera fa chiaramente capire che sarebbe un loro DIRITTO avere tali interventi.
I centri di riferimento individuati dalla legge, solo nominalmente in seguito alla delibera, sono in realtà reparti di strutture ospedaliere già oberate di lavoro, con scarsi mezzi e, poiché l’essere individuati centro di riferimento non comporta finanziamenti aggiuntivi, non sono stati in grado, nella stragrande maggioranza dei casi, di iniziare neppure ad attivarsi sulle malattie rare.
Già nel 2002 abbiamo fatto presente che i CRITERI di individuazione dei Centri di riferimento non erano funzionali e che sarebbe stato il caso di rivederne l’attribuzione, ma nulla è stato modificato e ancora adesso una malattia metabolica con interessamento grave del sistema nervoso è “assegnata” al reparto di nefrologia per l’unico motivo che un paziente è lì seguito per trapianto renale…(v.in appendice Lesch-Nyhan)
Il fatto che in un piccolo gruppo spontaneo ci siano ben 7 malattie CON DIAGNOSI e senza centro di riferimento fa anche capire come NON sia attivato in Regione e nei presidi ospedalieri un registro delle malattie: i nostri ragazzi hanno tutti avuto a che fare con le strutture pubbliche e gli ospedali in elenco nella delibera, ma evidentemente la loro presenza non è stata “registrata” o chi l’ha “registrata” non aveva a chi mandare l’informazione a livello regionale.
Il fatto che tutti e quattro i centri di riferimento siano al Gaslini pone, inoltre, il problema degli ammalati rari maggiori di 14 anni perché la delibera contraddice la disposizione regionale in merito (vedi in appendice la storia Lesch-Nyhan e allegato carteggio con il Gaslini)
E’ importante notare che il “vantaggio” di avere riconosciuta la patologia come “rara” e averla codificata per poter usufruire di prestazioni gratuite è NULLO quando nessuno (se non il genitore che non ha voce in capitolo) sa quali siano le prestazioni appropriate non esistendo “linee guida e protocolli”. (Vedi storie in appendice)
Se questo è vero per le malattie per cui è stato individuato il centro di riferimento che dire di quelle che non hanno centro di riferimento o sono ancora alla ricerca di una diagnosi?
Rimandiamo alla parte PROPOSTE per quello che riguarda la soluzione possibile a queste inadempienze.
- Ho un codice nella borsa per prestazioni gratuite: ho chiesto “quanto potrò risparmiare?”. Mi hanno detto di ripassare fra qualche anno che ci stanno pensando…
3. Cosa prevede la legge 328 del 2000 e la situazione delle famiglie
CAPO III DISPOSIZIONI PER LA REALIZZAZIONE DI PARTICOLARI INTERVENTI DI INTEGRAZIONE E SOSTEGNO SOCIALE Art. 14. (Progetti individuali per le persone disabili): “1. Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2.: Nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.”
Come si può ben evincere dalle storie raccolte in appendice, nonostante la richiesta delle famiglie, ben poche hanno visto elaborare da parte delle strutture preposte un “progetto” di vita per i propri ragazzi soprattutto per quanto riguarda il recupero e l’integrazione sociale.
Più volte il gruppo ha interpellato i Servizi Sociali e Sanitari scoprendo che non esiste un “capitolo” che riguarda le famiglie con minori malati rari e che non è neppure chiaro a chi spetta il compito di preparare un progetto che non sia a breve scadenza lasciando il futuro dei ragazzi nella più fitta nebbia. La mancanza, in molti casi, di protocolli terapeutici e linee guida, aggrava il vuoto di intervento spaventoso se confrontato con le necessità dei ragazzi. (vedi storie in appendice)
La testimonianza non solo delle famiglie, ma anche degli operatori (es. fisioterapisti e logopedisti del Consultorio) è che le scarse risorse vengono indirizzate alla risoluzione di casi “soft” e che i gravi non trovano percorsi tanto maggiore è la gravità della situazione.
Eppure è di questi ultimi tempi, cinque anni dopo, un documento del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali in tema di LEP (Livelli essenziali delle prestazioni nel settore dell’assistenza), che per ora è soltanto una dichiarazione di intenti, ma che enumera tra le azioni irrinunciabili a favore dei disabili l’assistenza e cura alla persona, il sostegno al percorso socio-riabilitativo, le strutture residenziali (importante il”dopo di noi”) e quelle riabilitative semiresidenziali.
In materia sanitaria, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 che definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) in sanità, facendo riferimento al d.l.vo 29 aprile 1998, N°124 e al d.m. 18 maggio 2001, N° 279, prevede “prestazioni di assistenza sanitaria finalizzate alla diagnosi, al trattamento e al monitoraggio della malattia ed alla prevenzione degli ulteriori aggravamenti” ed istituisce la rete dei centri di riferimento, di cui si parla in altro punto di questo documento.
L’atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie Dpcm 14/2/2001, precedente al suddetto, prevedeva, a favore delle persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale
E’ evidente come di particolare interesse per il nostro discorso sia il fatto che il Dpcm 14/2/2001 riprenda e precisi la previsione della riforma ter (decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229), che a proposito di integrazione socio sanitaria, definiva le prestazioni, distinguendole in prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e in prestazioni sociali a rilevanza sanitaria.
La previsione “mista “ di spesa tra sanità e comuni non dovrebbe, a nostro parere, dar luogo a meccaniche divisioni di competenze o, peggio, a diatribe nelle quali ogni ente cerchi di far valere precipuamente le proprie cautele economiche, allungando i tempi di risposta ai cittadini e riducendoli al ruolo di “pallina da ping pong”, che non sa presso chi poter rivendicare le risposte che attende; dovrebbe dare luogo ad una programmazione comune di risorse minime, per consentire a chi già porta un fardello pesante di non vederlo aggravare.
Lo scambio di informazioni con i Servizi Sociali ci ha fatto capire, inoltre,che le situazioni presenti nelle nostre famiglie non le fanno considerare A RISCHIO, come le famiglie con difficoltà economiche, di immigrati o con comportamenti illeciti: gli assistenti sociali incontrano genitori solleciti nei confronti dei figli malati cronici e disabili gravi.
Noi vorremmo che fosse chiaro che le famiglie che reggono per anni e decenni situazioni quotidiane di fatica e ansia e sofferenza SONO FAMIGLIE DA AIUTARE, prima che divengano a rischio di follia, di depressione, di disfacimento come i fatti di cronaca riportano quando è troppo tardi aiutarle.
La mancanza di progetti individuali impedisce anche LA VERIFICA dei percorsi dei ragazzi che teoricamente possono ritrovarsi, nel tempo, a percorrere cammini “circolari”, a cambiare, cioè, continuamente assistenti o educatori e ricominciare ogni volta da capo .
Il nucleo familiare non si sente sostenuto a volte neppure in situazioni di gravità tale da prevedere (e pretendere) dai familiari competenze infermieristiche (vedi in appendice la storia correlata alla Sindrome di Aicardi).
La mancanza di integrazione fra il sanitario e il sociale fa sì che, in molte famiglie, la madre abbandona il posto di lavoro (nel nostro gruppo lo ha fatto il 40% delle madri) per poter assistere in modo adeguato il figlio e con tutto ciò non ha spazi sufficienti a ricuperare le proprie energie, dovendosi dedicare sia alla cura della salute del figlio che alla sua integrazione sociale.
Entrambi i genitori hanno poi difficoltà nel proprio lavoro per le molte visite specialistiche, ospedalizzazioni, contatti con i servizi ecc: ad alcuni non è stata riconosciuta l’agevolazione prevista dalla 104 (vedi storia Mucolipidosi)
Non è sufficientemente compreso, inoltre, il valore della “terapia occupazionale” per tutte quelle forme di malattia sensibili alle situazioni di stress. Qualche storia positiva, scolastica o di collocazione in centri soddisfacenti per i ragazzi, dimostra i vantaggi per la salute di un buon inserimento (v. appendice)
In caso di ricovero o incidente per il familiare che accudisce il disabile che tipo di provvedimenti sono possibili senza una conoscenza adeguata dei problemi particolari degli ammalati rari? Quando anche per patologie più semplici non sono previsti interventi di sostegno urgenti ?(vedi in appendice la storia di Laura).
Invitiamo i Servizi Sociali e quelli Sanitari a leggere con attenzione tutte le storie riportate in appendice e a riflettere sulle situazioni reali delle famiglie che si fanno carico, senza prospettive di risoluzione, della presenza di persone bisognose di continua assistenza e che desiderano continuare, finché hanno forza ed età, ad accogliere con affetto i propri familiari, ma che non possono essere lasciate sole.
Al contrario, la “competenza” e l’esperienza unica di molti genitori dell’ammalato raro, aggiornati sugli ultimi ritrovati terapeutici, sui convegni riabilitativi a livello internazionale, sulle strategie innovative relative al trattamento dovrebbe essere valorizzata dai servizi. Rimandiamo alla parte “proposte” per altre considerazioni.
4. L’inserimento scolastico
Un genitore ci ha segnalato che, venuto a conoscenza del protocollo d’intesa fra il MIUR e il Ministero della Salute “Tutela del diritto alla salute e allo studio dei cittadini di minore età, affetti da gravi patologie, attraverso il servizio d'istruzione domiciliare” del 24 ottobre 2003 ed avendo un figlio impossibilitato alla frequenza, ha cercato a lungo chi potesse darle lumi sull’attuazione dello stesso.
Con la collaborazione della Direttrice didattica ha ottenuto di avere due ore alla settimana qualche maestra a rotazione…(Vedi in appendice la storia relativa all’argininosuccinico aciduria)
Anche questo protocollo d’intesa, molto interessante sulla carta, sembra non avere molte possibilità di attuazione viste le scarse risorse assegnate alle molte buone intenzioni.
Riportiamo l’intervento preparato dal gruppo per il convegno La cultura dell’integrazione l’integrazione della cultura divenerdì 12 novembre 2004 all’Auditorium “E. Montale” del Teatro Carlo Felice –Genova
(Non ci è stata data la possibilità di leggere l’intervento in quell’occasione)
Per quello che riguarda il diritto allo studio, in appendice è indicato, caso per caso, quanto sostegno è stato dato ai nostri ragazzi: è comunque comune il disagio per mancanza di continuità didattica e mancanza di insegnanti specializzati, di facilitatori della comunicazione.
Rimandiamo alla parte “proposte” le altre nostre considerazioni.
La nostra esperienza sull’inserimento lavorativo è scarsissima poiché i nostri ragazzi grandi sono stati considerati sempre troppo particolari per poter rientrare negli itinerari già sperimentati e questo anche perché la loro formazione stessa non sempre può percorrere le vie già collaudate per altre disabilità più comuni.
La nostra analisi in questi 4 anni ci ha, comunque, confermato quanto un attività quotidiana costituisca una premessa indispensabile per la loro salute e il loro benessere.
Molte delle loro patologie si aggravano moltissimo in situazione di stress e frustrazione e quella che all’estero è chiamata “terapia occupazionale” diventa premessa indispensabile per il loro benessere.
Abbiamo constatato che,oltre a mancare il vero e proprio inserimento lavorativo, mancano centri diurni in cui fare progetti occupazionali, nei pochi che esistono le liste di attesa sono lunghe.
Anche per quanto riguarda il mondo dell’occupazione, per i gravi e gravissimi non si prevedono progetti di vita: alle famiglie si propongono pacchetti di “800 ore” e l’orizzonte del futuro è sempre avvolto dalla nebbia più fitta.
Questo produce ansia e stress notevoli anche ai familiari, oltre che agli ammalati.
Se per qualsiasi giovane la mancanza di occupazione è sofferenza e disagio, per un disabile che è spesso anche escluso da attività sportive, socializzazione, attività culturali e integrazione nel territorio, è aggravamento di comportamenti patologici, è sofferenza.
Ancora una volta sono le famiglie a dover riempire il tempo: per anni.
E quando chiedono aiuto perché il carico è divenuto eccessivo sono invitate a “capire” i problemi delle istituzioni a cui si rivolgono… (vedi storie in appendice).
Spesso le famiglie si scontrano con la “rigidità” delle regole che si danno i Centri Diurni o che esistono nel mondo del lavoro e la rarità delle manifestazioni cliniche di alcune malattie non ha fatto sviluppare competenze sufficienti per la gestione di situazioni che sono quindi rifiutate.
Ciascuno può capire che è assurdo dire a un genitore che suo figlio è ESCLUSO da attività ricreative o sportive o culturali e da percorsi di occupazione perché non si adatta, quando il non adattarsi è un sintomo della sua patologia…
Non presumiamo di avere soluzioni né tanto meno spetterebbe a noi studiarle e organizzarle, ma il lavoro di confronto di questi 4 anni ci ha permesso di individuare delle possibili proposte che volentieri offriamo agli interlocutori.
La nostra condizione di genitori non ci può infatti limitare alla “denuncia” o alle teorizzazioni , la concretezza diventa essenziale e al di là delle parole vorremmo vedere attuazioni e indicazioni percorribili.
Sarebbe utilissimo sia per i medici diversi e i diversi presidi sanitari di cura e riabilitazione che vengono a contatto con i nostri ragazzi, visto che è così difficile fare incontrare fra loro i differenti operatori, avere una sorta di PORTFOLIO dell’ammalato raro in cui scrivere la sua storia medica e riabilitativa e su cui trascrivere quelle “linee guida” e “protocollo terapeutico” laddove esso è stato individuato in Italia o all’estero.
Questo documento, in cui trascrivere anche gli accertamenti che servono per le varie “agevolazioni” legate all’invalidità, potrebbe risparmiare alcune delle innumerevoli visite a cui continuamente devono essere sottoposti i nostri ragazzi: i difetti genetici non si risolvono nel tempo: è molto poco scientifico volerli continuamente verificare.
Come il “portfolio” introdotto recentemente nella scuola, questo documento “aperto” e in via di espansione nel tempo, dovrebbe costituire una sorta di archivio dell'apprendimento, della crescita e dei cambiamenti avvenuti. Offrire una documentazione significativa relativa alle competenze acquisite.
Offrire informazioni ai genitori stessi, agli educatori, agli assistenti sociali, ai medici, insomma a tutti gli operatori che sono nel progetto per dichiarare che cosa i disabili hanno imparato e sono capaci di fare.
Contenere anche esempi di tappe acquisite, di lavori realizzati.
Sarebbe un documento utilissimo nella scuola, ma anche negli eventuali Centri Diurni o comunità di accoglienza, temporanee o stabili, per l’inserimento lavorativo e per progettare terapia occupazionale e assistenza per il tempo libero.
Seguirebbe il disabile all’ospedale diverso dal Centro di Riferimento, per un’urgenza, o sarebbe strumento utile ai diversi operatori (che cambiano anche all’interno degli stessi servizi o cooperative) che magari devono provvedere ad un intervento urgente di assistenza domiciliare.
Seguirebbero il disabile nel “dopo di noi” quando non c’è più il genitore con le sue cartelle cliniche e la sua esperienza a raccontare le esigenze particolari dell’ammalato raro.
Servirebbe a individuare percorsi nuovi, quando quelli vecchi non servono o sono “esauriti” e a conservare strategie “vincenti” per i momenti difficili.
Servirebbe sia per fare sul serio un “progetto” che alla sua VERIFICA.
Alle volte, infatti, i genitori si vedono riproporre da nuove figure vecchi”pacchetti” di interventi che già si sono rivelati fallimentari, ma di cui non hanno “documentazione” o si vedono rifiutare proposte di interventi riabilitativi “ad hoc” di cui gli operatori non hanno documentazione
Le storie in appendice raccontano anche di queste esigenze.
Un centro istituzionale di riferimento e documentazione per gli ammalati rari (attuazione del DM 279 e della delibera regionale 1413)
In alcune Regioni, oltre ad istituire (come previsto dal Decreto del Ministero della Sanità n. 279 del 18 maggio 2001 “Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124”), la rete dei centri di riferimento per le varie malattie rare, è stato costituito un Centro Regionale di coordinamento della Rete (vedi ad es. Regione Piemonte).
Il Decreto prevedeva che i presidi di riferimento fossero “individuati tra quelli in possesso di documentata esperienza in attività diagnostica o terapeutica specifica per le malattie o per i gruppi di malattie rare, nonché di idonea dotazione di strutture di supporto e di servizi complementari, ivi inclusi, per le malattie che lo richiedono, servizi per l'emergenza e per la diagnostica biochimica e genetico - molecolare.”
Abbiamo visto che solo una delle famiglie del nostro gruppo è seguita da un presidio di riferimento in grado di fornire alcune delle prestazioni “garantite” e che è estremamente complesso ipotizzare che ciò possa avvenire anche in un futuro prossimo visto che l’individuazione stessa dei presidi, che non sia solo sulla carta, pone grosse difficoltà.
Abbiamo sicura esperienza che le famiglie, avendo speso molto tempo e denaro (cosa che nessun altro è disposto a fare…) anche nella ricerca nazionale e internazionale dei luoghi e dei modi per aiutare i propri congiunti, sono spesso le vere “esperte” della malattia.
Abbiamo constatato il dramma di chi per anni cerca una diagnosi e non ha punti di riferimento, per scoprire poi che alcuni interventi specifici vanno fatti ad età particolari (vedi in appendice testimonianza Klinefelter)
Riteniamo che un centro di riferimento che possa effettivamente coordinare gli interventi (es. campagne di informazione/formazione per medici e operatori del sociale, insegnanti, cooperative, familiari), raccogliere la documentazione, mettere in contatto le famiglie fra loro o con le associazioni (dove esistano) e orientarle sui diritti relativi al loro stato e sugli effettivi centri regionali, interregionali, nazionali o internazionali dove trovare la possibilità di diagnosi, protocolli riabilitativi e terapia, sia una strada più realistica per cominciare a rispondere al problema della cura delle malattie rare.
Riteniamo che dal momento della diagnosi o della consapevolezza da parte della famiglia e degli operatori sanitari di una patologia di genesi sconosciuta, i genitori abbiano la necessità di poter trovare un supporto psicologico forte per affrontare e organizzare la propria nuova drammatica situazione: già trovare un centro in grado di orientarli potrebbe sostenerli, ma non è da scartare l’idea di prevedere veri e propri servizi dedicati.
L’accompagnamento della famiglia attraverso l’attuazione della 328 e attraverso un monitoraggio che assicuri interventi di supporto sporadico o continuativo in caso di necessità.
Abbiamo visto che la legge 328 vuole realizzare la piena integrazione del disabile e sappiamo, poiché nel nostro gruppo di auto aiuto sono presenti anche familiari “non rari”, che questo proposito si scontra con continue difficoltà, non ultima quello della scarsità delle risorse.
In una città come la nostra molto spesso quando si parla di disabili si pensa ad ANZIANI, perché ve ne sono in gran numero.
Si sono attivati percorsi di sostegno alle famiglie colpite da morbo di Alzheimer con momenti di formazione per i congiunti.
Questo dimostra che non è impossibile un’attenzione e un “accompagnamento” della famiglia alla riorganizzazione dei propri tempi e modi di vita in presenza di situazioni gravi e gravissime e un supporto alla stessa.
E’ evidente che quando in una famiglia nasce un bambino disabile o viene diagnosticato tale dopo qualche anno, la famiglia stessa non percepisce immediatamente il significato di tale situazione perché, fino a una certa età, tutti i bambini hanno continuo bisogno di assistenza. Non sempre quindi si interpellano i servizi e si attivano supporti.
Quando poi ci si rivolge agli operatori si scopre che non esistendo un capitolo dedicato alle famiglie, in pratica non esistono fondi mirati al sostegno di minori disabili e solo la scuola prevede un qualche progetto loro dedicato. I servizi sanitari spesso si limitano a “certificare” la diagnosi.
Per un reale accompagnamento sociosanitario della famiglia,che può anche non essere in condizioni di povertà e con tutto ciò non trovare da sola le vie giuste per un progetto di piena integrazione, crediamo essenziale:
Può sembrare banale doverlo segnalare, ma purtroppo non lo è: è molto diverso pensare all’integrazione e al tempo libero di un disabile di 15 anni, con la sua voglia di andare, fare come gli altri, vivere, da quello di un anziano!
Il Comune di Genova, con una delibera del 2 maggio 2002, da noi vista con favore e speranza, prendendo atto del contenuto del Dpcm 14/2/2001 di cui abbiamo fatto cenno nella prima parte del nostro scritto, istituisce un gruppo di lavoro che elabori strategie operative, le quali vadano a confluire in un “gruppo di regia”con l’Unità Sanitaria Locale 3 Genovese, il quale ”….tratterà le tematiche relative a tutte le aree dell’integrazione socio-sanitaria in maniera unitaria, avvalendosi via via dell’apporto degli uffici e delle unità operative o dipartimenti delle singole aree”. L’area della disabilità è tra quelle individuate, per cui speriamo che al più presto possiamo accorgerci concretamente dell’esistenza di tale iniziativa.
Siamo fin troppo a conoscenza del fatto che si parli del principio della “esigibilità sostenibile” dei diritti e delle prestazioni, perché essa ci viene ricordata da sempre, sia pure senza usare questa espressione, al momento in cui esprimiamo le nostre richieste e ci viene ricordata la scarsità delle risorse in campo. Ma auspichiamo che essa venga confrontata con l’esigenza di una “vita sostenibile” per i nostri ragazzi.
Chiamiamo la regione e gli enti locali a fare, in questo modo, una operazione ascrivibile non soltanto all’adempimento dei propri compiti istituzionali, ma anche di carattere culturale, contribuendo con i fatti alla tutela di diritti irrinunciabili in un momento come questo, segnato da trasformazioni e messe in discussione di normative e concezioni.
E’ importantissimo prevedere e predisporre interventi di emergenza: anche chi non usufruisce di assistenza domiciliare può trovarsi ad averne bisogno.
Anche le mamme “in gamba” possono rompersi un braccio e nessun luogo è attrezzato come la propria casa per un disabile “raro”…
Ci giunge notizia di esperienze e tentativi di integrazione operativa e concreta, a livello socio sanitario, e in particolare, per quanto riguarda la nostra regione, di un accordo tra il Comune di La Spezia e la ASL N°5, per la formulazione e implementazione di un progetto, che ha già cominciato a funzionare, volto al sostegno delle famiglie di minori disabili. Tale progetto vede una operatività coordinata di personale dell’ente locale e della ASL, che trova un punto di riferimento, per ogni singolo progetto individuale, in una figura educativa, che affianca il minore e la famiglia nella vita quotidiana, facilitando altresì l’accesso alle prestazioni sia sociali che sanitarie.
Crediamo quindi POSSIBILE una collaborazione che per tutte le situazioni di disabilità appare fondamentale, ma che per i casi rari ci sembra indispensabile.
La nostra proposta è quindi insistere sulla strada della collaborazione e integrazione dei servizi.
I nostri recenti (2006) incontri con il distretto sanitario ci fanno sperare nella possibilità di arrivare tramite le UVM (unità valutazione multidisciplinare) a Piani Individualizzati Assistenziali e siamo in attesa di veder concretizzato un intervento socio-sanitario.
Il dialogo reale e costante con i gruppi di famiglie favorendone la formazione e l’incontro.
L’esperienza di questi anni, positiva per i genitori che fanno parte del gruppo, ci spinge a suggerire alle istituzioni che favoriscano l’incontro tra famiglie prevedendo spazi e tempi, consapevoli che le situazioni degli ammalati rari non sono sempre rappresentate nelle associazioni di familiari più grandi (e per questo considerate “più rappresentative”).
Se nascesse il centro di riferimento Malattie Rare potrebbe collaborare con i servizi territoriali (Distretto Sanitario e Distretto Sociale) per la promozione di momenti per le famiglie.
Ribadiamo che è impossibile pensare a progetti per i nostri ragazzi senza il coinvolgimento dei familiari e l’apporto della loro esperienza.
La promozione di una cultura della vera integrazione attraverso la diffusione delle informazioni che permettano di superare gli “stereotipi” del disabile
Solo con questo dialogo sarà possibile superare la “presunzione” di alcuni operatori stessi, di poter “incasellare” e far adattare ragazzi con situazioni molto particolari al “già esistente”.
I genitori che si sentono interpellati a fare in modo che il proprio figlio “si adegui” a percorsi e stili di progetti che vanno bene ad altri e che hanno documentata consapevolezza che l’”inadeguatezza” è un sintomo della loro patologia, sono doppiamente frustrati.
Nessuno si sognerebbe di chiedere ad un tetraplegico di “integrarsi” partecipando ad un’attività per lui predisposta all’ultimo piano di un edificio senza ascensore e con scale strette! Non ha quindi senso chiedere a chi ha nella sua patologia compulsività verso il cibo di fare un percorso di “autocontrollo” in una mensa o a chi soffre di coprolalia di non usare un linguaggio volgare!
La flessibilità e l’elasticità, che certo fanno bene a tutti, per gli ammalati rari sono premessa indispensabile all’integrazione.
Ogni volta che il genitore fa esperienza dell’ottusità burocratica, fa in realtà, esperienza di esclusione sociale ed emarginazione.
La presa in carico istituzionale per i soggetti privi di diagnosi che assicuri anche a loro percorsi di riabilitazione e cura e che preveda capitoli di spesa anche per la ricerca, la cura e l’integrazione sociale dell’ammalato raro
Crediamo che se fosse attivato quanto finora detto, anche i soggetti privi di diagnosi potrebbero avere una effettiva “presa in carico” da parte delle strutture che ne hanno il dovere.
La visibilità dei problemi potrebbe dare una spinta alla ricerca stessa per la cura e l’integrazione dell’ammalato raro. Abbiamo visto che solo incontrandosi fra famiglie, facendosi carico l’un l’altro dei reciproci problemi e ascoltandosi è stato possibile ad alcune famiglie:
Questo è avvenuto a costo zero!
Ma se continuiamo a non essere ascoltati va in parte sprecato…
Sappiamo che per i ricercatori stessi, oltre alla mancanza di fondi, è problematica la scarsità di casistiche e di esperienze.
Un intelligente sostegno alle famiglie sarebbe un modo per supportare anche la ricerca e la prevenzione delle disabilità stesse che hanno elevati costi sociali.
Chiediamo una vista lunga a tutti coloro che lamentano scarsità di risorse e devono sempre inseguire costose emergenze!
APPENDICE
Presentiamo brevemente il quadro clinico delle malattie con cui fanno i conti quotidianamente i familiari del nostro gruppo seguite dalle testimonianze dei genitori: questi sono i FATTI per cui chiediamo attenzione e risposte.
Lo stile e la lunghezza delle testimonianze varia, perché ciascuno ha vissuto in modo diverso sia i percorsi clinici, sia l’impatto con chi si occupa per mestiere dei problemi dei nostri ragazzi.
In poche righe non si può condensare una vita fatta di anni di lotta e di sofferenza.
Contiamo sull’intelligenza del lettore perché sia colto quanto necessario a cambiare in meglio la condizione delle famiglie e, soprattutto degli ammalati rari e disabili con patologia psicofisica grave di genesi sconosciuta.
La malattia di Alessandro
Sebbene Alessandro abbia compiuto 16 anni, una diagnosi certa della malattia non è stata ancora fatta.
In gravidanza e durante il parto non si riscontrarono episodi particolari che possano ricondurre a sofferenze del feto o del nascituro.
Le prime sintomatologie si avvertirono all’età di 10 mesi, e più precisamente furono rilevati dei ritardi neurologici sulle competenze posturo-cinetiche.
La prima diagnosi formulata all’età di circa 2 anni fu “tetraparesi spastica”
All’età di 3 anni comparve il primo episodio di epilessia, e tutt’oggi il ragazzo soffre di episodi convulsivi generalizzati di breve durata con frequenza 6/8 mesi; è sottoposto a terapia antiepilettica.
Lo sviluppo evolutivo di Alessandro non è stato in linea con l’età cronologica, ed il quadro clinico neurologico si caratterizza con un grave ritardo di acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio, dell’apprendimento e relazionale.
Successivamente ulteriori accertamenti ecoencefalografici, neurologici, metabolici e genetici ed in ultimo RMC non hanno evidenziato anomalie riconducibili ad una patologia certa.
Il quadro clinico del ragazzo fa presupporre una patologia genetica ancora sconosciuta o non accertata, e pertanto sono in corso ulteriori e nuovi accertamenti genetici.
Forse anche per la mancanza di una diagnosi chiara , Alessandro non ha ricevuto durante il suo percorso formativo un adeguato sostegno, sempre insufficiente è stato il sostegno scolastico e anche le richieste di un affido educativo, che gli permetterebbe di avere dei contatti con persone estranee alla famiglia appagando quella sua esigenza vivissima di avere degli amici, SONO SEMPRE STATE VANE.
La SOLITUDINE è il grave Handicap di Alessandro.
Margherita
Normativa di riferimento: l. n. 833/1978 art. 26; Provv.7/5/1978. linee guida dl Ministero Sanità per le attività di riabilitazione, l. n.104/92, l. n. 162/1998, relative leggi regionali
La malattia di Jessica
Jessica viene alla luce con parto cesareo nel 1991 e sembra, alla nascita, una bimba senza particolari problemi.
Col passare dei mesi si incominciano però a notare delle avvisaglie (quali ad esempio il restare coricata nella stessa posizione senza muoversi per diverso tempo, la difficoltà a controllare il capo) che inducono noi genitori a credere all’esistenza di qualche problema connesso allo sviluppo psicomotorio della Jessica, ancorchè la pediatra durante le visite di routine cercasse di rassicurarci.
Il ricovero della Jessica c/o l’Istituto Giannini Gaslini per accertamenti diagnostici viene finalmente deciso dalla pediatra solo in presenza di conclamato ritardo nello sviluppo psicomotorio, che si può così sintetizzare:
A questo ricovero, che conferma in sostanza l’evidente grave ritardo della nostra bimba nello sviluppo psicomotorio, altri ne seguiranno fino a quando non viene diagnosticata alla Jessica una encefalopatia congenita non evolutiva a maggiore espressione nel settore cognitivo (assente la funzione verbale e il controllo degli sfinteri, frequenti stereotipie ed autonomia motoria con scarsa coordinazione cinetica globale, manifestazioni autolesive).
Un ulteriore ricovero verrà effettuato nell’anno 2000 per valutare alcuni sporadici episodi di crisi convulsive sfociate in crisi epilettiche, che ringraziando il cielo non si sono più ripetuti.
Jessica da molto tempo viene seguita dall’ANFFAS e dal Consultorio di Sampierdarena ed attualmente frequenta la 5 classe elementare del Polo di San Francesco da Paola.
Per due o tre anni ci è stato dato dalla Cooperativa SABA l’affido di una ragazza che veniva due giorni alla settimana per due o tre ore ad assistere la Jessica, permettendo ai membri della famiglia e soprattutto alla madre di dedicarsi un poco a se stessa; poi ci è stata tolta.
La famiglia di Jessica è composta di quattro persone, padre che lavora, sorella maggiore che fino a poco tempo fa studiava ed ora lavora, madre casalinga su cui ricade in massima parte il peso della sua assistenza, per cui anche per poche ore alla settimana una persona che si occupi della nostra Jessica sarebbe oltremodo necessaria.
Poiché si parla tanto di assistenza ai disabili e di aiuto alle loro famiglie, si fanno leggi sia a livello nazionale che regionale, viene da chiedersi se i buoni propositi che hanno ispirato i Legislatori siano stati poi concretamente attuati e cioè calati in quella realtà grave che è la disabilità ed i problemi ad essa connessi che moltissime famiglie si trovano giornalmente a dover fronteggiare da sole o con pochissimo aiuto anche dalle Istituzioni o da Centri istituzionalmente preposti.
Sarebbe quindi oltremodo utile che le famiglie con componenti portatori di handicap (anche con patologie non ben definite come quelle della Jessica) potessero affidarsi a Centri specifici di riferimento ( che purtroppo esistono solo per talune tipologie di sindromi) e che alle stesse sia concretamente concessa quell’assistenza domiciliare (previa verifica di sussistenza del diritto), che purtroppo esiste solo nello spirito della legge, perché soltanto l’amore e l’affetto che i familiari ricevono e danno ai loro componenti con problemi spesso non basta.
Pertanto voglio concludere con una massima: “ Il grado di civiltà di un popolo si misura dal livello di considerazione in cui sono tenute le persone meno fortunate “.
Lucia e Serafino
La malattia di Eva
Eva è del ’74. Fino alla pubertà era una ragazzina normale, molto brava in tutto.
Poi si è ammalata.
Cos’ha? La diagnosi è stata
Da allora la sua vita e la nostra è cambiata completamente.
Credo si possa definire schizofrenia.
Attualmente i suoi problemi sono
E’ stata gestita dalla famiglia per molti anni, poi tramite la Consulta Handicappati ho fatto domanda per un affido educativo e ha cominciato a venire una ragazza in casa.
Due volte l’anno è visitata da una neuropsichiatria della Salute Mentale che prescrive e “aggiusta” i farmaci.
Quattro anni fa ha cominciato a frequentare l’ENDFORM e ci è andata per 1 anno e poi per due anni al centro del CIF.
L’anno scorso ho saputo che il ciclo era terminato, ma non si sapeva dove sarebbe stata inserita per il futuro.
Adesso va, accompagnata e ripresa da me al Centro Arcobaleno della Cooperativa SABA, ma non so se è fissa.
Quando lo sarà potremo risolvere il problema del trasporto.
Inoltre il Comune ci ha dato un affido dalle 16 alle 19 dal lunedì al venerdì.
In estate andiamo in campagna per due mesi con lei.
Non ha codice né centri di riferimento
Si tratta di un’encefalopatia malformativa descritta da Aicardi et al. nel 1969. Interessa solo i soggetti femminili ed è dovuta ad una mutazione dominante legata al cromosoma X.
E’ caratterizzata da:
La prognosi di questi malati è severa, sia per la persistenza e farmacoresistenza delle crisi, sia dal punto di vista dello sviluppo psicomotorio.
Eleonora è nata a Genova il 06 dicembre 1988,
Nelle prime ore di vita compare la prima crisi convulsiva e da quel momento viene
sottoposta ad una serie di esami
A 3 mesi ci viene data la diagnosi: Sindrome di Aìcardi,
Si tratta di una malattia molto rara, su base genetica, che sembra dipendere dal gene dominante del sesso.
Questa patologia presenta:
Le crisi convulsive sono pluriquotidiane di "grandemale" nonostante la dose massiccia di barbiturici.
Eleonora è pressoché in uno stato di coma vigile, non ha una autonomia posturale quindi non può stare seduta e non deambula.
Presenta una lussazione dell'anca, provocata probabilmente dai forti spasmi epilettici, gravi malformazioni costo-vertebrali, una severa scogliosi che provoca una compressione bronco-polmonare con conseguenti crisi respiratorie e infezioni .(Broncopolmoniti ricorrenti)
La grave distrofia che presenta, da' origine alle difficoltà di deglutizione con conseguenti Ab-ingestis.
Non può essere alimentata naturalmente e da due anni è in nutrizione enterale via sondino naso-gastrico, che deve essere sostituito, circa ogni sessanta giorni. Eleonora è una bambina dolcissima: cosa fare per lei?
Possiamo cercare di alleviare ìa sofferenza il più possibile e quindi, noi genitori, chiediamo un'adeguata assistenza medico-infermieristica domiciliare, per evitare continui ricoveri e gli spostamenti per le varie prestazioni, che causano parecchi disagi, date le sue gravi condizioni.
Rosanna (mamma di Eleonora)
Aggiornamento: Eleonora è attualmente seguita presso l’Ospedale Galliera dal Centro di Neuropsichiatria infantile e la mamma è stata fra le promotrici delle iniziative VOLTE A CONSERVARE E POTENZIARE TALE SERVIZIO.
La Sindrome di Asperger
Le caratteristiche essenziali del Disturbo di Asperger sono:
Danneggiamento severo e sostenuto nell’interazione sociale
Sviluppo di modelli limitati, ripetitivi di comportamento, interessi e attività
Il disturbo deve provocare danni clinicamente significativi in importanti aree di funzionamento sociali, professionali od altre.
Al contrario del Disturbo Autistico, non c'è nessun ritardo, clinicamente Significativo, nel linguaggio (per es.: parole singole sono usate dall’età di 2 anni, frasi comunicative sono usate dall’età di 3 anni).
Non ci sono ritardi clinicamente significativi nello sviluppo conoscitivo o nello sviluppo delle abilità individuali appropriate all’età, comportamento adattabile (eccetto che nell’interazione sociale), e curiosità per l'ambiente nell’infanzia.
La diagnosi non può essere fatta se sono soddisfatti i criteri di altri specifici Disturbi Pervasivi dello sviluppo o della Schizofrenia.
Caratteristiche associate e disturbi Il Disturbo di Asperger è qualche volta osservato in associazione a condizioni mediche generali. Possono essere notati vari sintomi o segnali neurologici non specifici. Le tappe evolutive motorie possono essere differite e spesso è osservata goffaggine motoria.
Prevalenza Le informazioni sulla diffusione del Disturbo di Asperger sono limitate, ma sembra essere più comune nei maschi.
Decorso Il Disturbo di Asperger sembra insorgere più tardi del Disturbo Autistico, o almeno essere riconosciuto più tardi. Dilazioni motorie o goffaggine motoria possono essere notate nel periodo prescolare. Le difficoltà nell’ interazione sociale possono essere più evidenti nel contesto scolastico. È durante questo periodo che possono apparire, o essere riconosciute come tali, particolari idiosincrasie o interessi circoscritti (per es.: il fascino per gli orari dei treni). Da adulti, gli individui con tale condizione possono avere problemi di empatia e modulazione dell’interazione sociale. Questo disturbo apparentemente segue un corso continuo e, nella stragrande maggioranza dei casi, la durata è per tutta la vita.
Familiarità Anche se i dati disponibili sono limitati, sembra esserci una frequenza aumentata del Disturbo di Asperger fra i membri di famiglia di individui che hanno il disturbo.
Diagnosi differenziale Il Disturbo di Asperger non si diagnostica se qualche criterio è soddisfatto per un altro Disturbo Pervasivo dello Sviluppo o per la Schizofrenia. Il Disturbo di Asperger deve essere distinto anche dal Disturbo Ossessivo-coercitivo e dal Disturbo di Personalità Schizoide. Il Disturbo di Asperger e il Disturbo Ossessivo-coercitivo hanno modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento. Al contrario del Disturbo Ossessivo-coercitivo, il Disturbo di Asperger è caratterizzato da un danneggiamento qualitativo nell’interazione sociale e da un modello più limitato di interessi e attività. Al contrario del Disturbo di Personalità Schizoide, il Disturbo di Asperger è caratterizzato da comportamenti ed interessi stereotipati e da interazione sociale maggiormente danneggiata.
Alla nascita Luca si presentava al mondo come un bimbo sano e comunicativo, con i suoi gridolini. Intorno ai due anni e mezzo il linguaggio si presentava incompleto, si faticava a nutrirlo poiché rifiutava il cibo. Aveva movimenti ripetitivi e violenti, con attacchi di aggressività.
Ci rivolgemmo alle strutture ospedaliere per avere una diagnosi.
Dopo un anno di visite e analisi non sapevano darci una spiegazione di come potevamo aiutarlo e cosa dovevamo fare. Ci dissero che dovevamo aspettare ancora per vedere gli sviluppi futuri.
Fummo costretti a rivolgerci ad altre strutture fino ad approdare in Toscana dove, attraverso esami e controlli periodici arrivammo alla diagnosi per Luca: una forma di autismo, la Sindrome di Asperger.
Lo so che la parola può fare paura, ma adesso sappiamo il perché del suo comportamento e ci adeguiamo ai suoi ritmi di crescita.
Sono sola perché rimasta vedova, eppure ho avuto problemi nell’avere un affido educativo perché nelle strutture manca il personale e solo ora abbiamo finalmente ottenuto quello che avevamo chiesto (tempo di attesa 1 anno). Ora spero che non ci siano problemi per il sostegno scolastico: quest’anno Luca inizierà la scuola media e io ho esperienza del fatto che ha bisogno di sollecitazioni continue nel suo cammino di apprendimento.
La Sindrome di Goldenhar
[RN0910 - Nessun centro di riferimento in Liguria]
Siamo Donatella e Pino, genitori di Tommaso,un bellissimo bimbo nato nell'ottobre 2001 affetto dalla Sindrome di Goldenhar. Una Sindrome molto rara di tipo polimalformativo, caratterizzata da microsomia emifacciale, microtia, anomalie oculari, anomalie vertebrali ed anomalie cardiache; a queste spesso associate altre anomalie in numero considerevole.Il quadro che si delinea è spesso molto severo.
Nel nostro caso, il bimbo è stato colpito in modo serio, ma tale da non comprometterne la vita ed una qualità della stessa "accettabile".
Ovviamente ci siamo subito attivati per garantire al nostro piccolo tutte le cure necessarie attraverso una profonda ricerca dei migliori specialisti,oltre a ciò abbiamo avvertito la necessità di poter conoscere altre famiglie col nostro stesso problema.
Al momento siamo circa 65 famiglie in tutta Italia,abbiamo fondato un "Gruppo" il cui nome è "GRUPPO ITALIANO SINDROME di GOLDENHAR", abbiamo attivato un sito internet www.goldenhar.it e, cosa decisamente importante abbiamo costituito una "éQUIPE" di Collaboratori Scientifici coordinati dal Prof. AMNON COHEN Primario di Pediatria all'O.C.San Paolo-SAVONA. Fanno parte di questa, primari Italiani e Francesi con PROVATA esperienza
nel trattamento delle problematiche presenti nella Goldenhar.
Il prossimo passaggio ci vedrà impegnati nella costituzione di una ASSOCIAZIONE specifica per la patologia in questione.Purtroppo in questo lavoro non siamo stati aiutati dalle istituzioni (per l'Istituto Superiore di Sanita' i casi in archivio sono 3 !!!!!!!!!!!!), dalla non applicazione di Leggi dello Stato sulle Malattie Rare e dalla non corretta applicazione della Legge sulla Privacy.
Le Nostre richieste sono:
Creazione a livello Regionale di una banca dati.
Individuazione dei "Centri di Riferimento Regionale"per le M.R.(Per la Goldenhar non è stato individuato)
(La Legge sulla Privacy non deve essere né un pretesto e né un ostacolo!)
GRAZIE.
Pino e Donatella
La Sindrome 49xxxxy - (Variante della S. Klinefelter)
[RN0690 – C.R. Neuropsichiatria Gaslini]
Presenti nel caso in oggetto:
K.F.. e’ nato nel 1992, solo recentemente gli é stata diagnosticata la Sindrome 49xxxxy
che e’ la variante più grave e più rara della sindrome di KF sindrome di genesi ignota, non ereditaria, dovuta a cromosomi x sovannumerari .
Tale diagnosi e’ stata possibile solo dopo infinite insistenze dei genitori insospettiti
dal continuo manifestarsi di nuove patologie, nonostante specialisti e strutture avessero
fin dalla nascita escluso la presenza di malattia genetica .
L’ importanza di una diagnosi precoce é fondamentale in quanto la prognosi può essere migliorata significativamente con interventi terapeutici mirati e al momento opportuno, come pure rende possibile il target di monitoraggi da ripetere periodicamente tra i quali ad esempio la densità ossea e il tasso ormonale.
Dopo la nascita ha trascorso tre mesi e mezzo in terapia intensiva, dove gli e’ stata praticata la ventilazione forzata contemporaneamente all’ alimentazione tramite sonda gastrica, in conseguenza di : grave di-stress cardio respiratorio, displasia broncopolmonare, cianosi intensa, dispnea importante, compromissione del circolo periferico, torpore con mediocre reattività.
In seguito ha conseguito, in parte, le tappe della deambulazione e del linguaggio con gravi difficoltà e ritardo, nonostante i continui interventi fisiatrici e le sedute logopediche molto spesso totalmente a carico della famiglia .
In questi anni ha ripetutamente e necessariamente dovuto far ricorso a dosi massicce di antibiotici e cortisone al fine di superare gravi crisi respiratorie .
Nel 1997 l’aggravarsi dello strabismo divergente ha reso necessario intervento chirurgico ad entrambi gli occhi .
L’attività prescolastica e scolastica (con programmazione individualizzata) é ed é stata effettuata con il supporto di insegnante di sostegno, purtroppo con gravi insufficienze di disponibilità oraria e non sempre con continuità .
Le significative difficoltà di apprendimento richiedono specifici interventi di supporto in tutti gli ambiti .Specialisti ed insegnanti , assicurano che un’ opportuno e continuo affiancamento con
un adeguato ulteriore supporto permetterebbe progressi considerevoli purché effettuato prima che si chiudano le cosiddette “ Finestre dell’ Apprendimento “ .
Il mancato recupero, almeno delle minime funzioni necessarie alla vita quotidiana,
costerebbe ben di più alla società in futuro, anziché operato per tempo .
Giorgio
[RCG120– Centro rif. Regionale U.O.Nefrologia Gaslini]
Il nome, così difficile da scrivere e da pronunciare, è quello di due medici americani che nel 1964 osservarono e descrissero le caratteristiche cliniche (coreoatetosi, spasticità, iperuricemia) e lo strano, devastante comportamento (momenti di irrefrenabile spinta alla autoaggressione fino alla automutilazione) in alcuni pazienti. Descrissero anche la caratteristica familiare della malattia, a trasmissione ereditaria da madre a figlio. Pochi anni dopo, nel 1967, altri studiosi americani scoprivano qual era l’ “errore della natura” che spiegava in parte la sindrome: mancava, per un errore genetico, un enzima (chiamato con la sigla HPRT). In questi pazienti l’HPRT era assente o, se era presente, non funzionava correttamente. Purtroppo questa conoscenza spiegava soltanto come questi pazienti soffrissero di gotta (dovuta ad accumulo di acido urico) e di tutti i problemi renali ad essa connessi. La causa della malattia neurologica rimaneva un mistero e lo è in gran parte anche oggi, dopo quasi 40 anni. La sindrome di Lesch-Nyhan è una malattia rara, per fortuna; si parla di un caso su 380.000 bambini. La sua rarità, però, rende anche difficile la ricerca. Questa ed altre malattie, che per la loro rarità vengono troppo spesso trascurate, sono definite “malattie orfane”: i pazienti sono sparsi qua e là nel mondo, ed è difficile comporre una raccolta dei casi e vedere in che cosa sono uguali o diversi, sia da un punto di vista clinico sia metabolico. Per questo sono essenziali la comunicazione e la collaborazione fra famiglie, medici e ricercatori.
La caratteristica della LN è una spinta compulsiva all’autolesionismo. Pazienti di due anni si morderanno le dita e le labbra, sbatteranno la testa e le braccia e si lanceranno intorno nel tentativo di farsi male. Mentre mordersi le dita e le la bocca sono strade comuni per l’autolesionismo, il numero di modi in cui l’autolesionismo può verificarsi è limitato solo dalla creatività del paziente e la gamma delle opportunità.
Per i nostri comuni punti di riferimento del comportamento normale, il comportamento Lesch-Nyhan è inesplicabile e non intuitivo per il fatto che essi chiaramente non vogliono nuocere a se stessi o agli altri.
I pazienti esperimentano il dolore allo stesso modo di chiunque. Quando si fanno male, piangono addolorati. Pregano di essere legati in modo che non sia possibile per loro farsi male. Sono a loro agio solo quando tutte le possibili strade di autolesionismo sono state rimosse. Sono pieni di rimorso per le offese interpersonali che hanno causato, sono sconvolti per aver detto di non voler fare un’uscita e sono depressi dopo aver fatto poco in un test.
Perciò se l’autolesionismo è la caratteristica della LN non può essere il modo migliore per catalogare il comportamento dei pazienti Lesch-Nyhan. Potrebbe essere più accurato pensare che i pazienti facciano l’opposto di quello che vorrebbero. Non vogliono mordersi tuttavia lo fanno, apprezzano l’aiuto che ricevono da chi si prende cura di loro, tuttavia li colpiscono, vogliono continuare con l’uscita, tuttavia riescono a farsi lasciare indietro, vogliono avere successo, tuttavia falliscono deliberatamente.
I pazienti Lesch-Nyhan non possono essere adeguatamente gestiti a meno che chiunque interagisce con il paziente capisca la natura del disordine.
Al primo impatto genitori, operatori, insegnanti e professionisti della sanità sono impreparati a gestirli.
Mantenere lo stress al minimo porta il comportamento LN al minimo.
Siamo i genitori di Michele, nato nel 1989 che, oltre a tutto quanto raccontato sopra ha avuto la sfortuna di andare in insufficienza renale fin dai primi mesi di vita e a doversi quindi sottoporre a dialisi peritoneale a domicilio per circa 1 anno e mezzo e subire poi trapianto renale nel 1998.
Il suo inserimento nella scuola e la sua vita sociale sono stati buoni al di là di ogni previsione nonostante la gravità dei problemi, grazie anche al costante accompagnamento trovato dalla famiglia in questo campo dagli operatori del C.E.M.
Nonostante ciò Michele, oltre le 18 ore di scuola e le 12 ore settimanali di un educatore che lo aiuta nei compiti e nel tempo libero, è totalmente gestito dalla famiglia con grande dispendio di energie (sono 30 ore di sostegno su 168 la settimana, poiché anche le notti sono spesso da gestire; naturalmente, nel periodo estivo si riduce della metà il tempo extra familiare).
La mamma ha lasciato anticipatamente il lavoro e se per ora tutto procede, non è pensabile che il ritmo di vita imposto da questa patologia possa essere retto da soli all’infinito.
Il Centro di Riferimento individuato dalla Regione è l’U.O. di Nefrologia del Gaslini dove il ragazzo è seguito dall’età di 8 mesi per i suoi problemi renali, ma dove sicuramente non sono possibili le competenze relative ai gravi problemi neurologici e comportamentali.
Per la comprensione della malattia e in vista della formulazione di protocolli terapeutici e linee guida, con un’altra ventina di famiglie italiane, facciamo riferimento all’Istituto per le Malattie Rare Mauro Baschirotto (BIRD) di Costozza (Vicenza) dove sono anche in corso più progetti di ricerca sulla Sindrome.
Moltissimo aiuto ci è venuto dallo scambio di informazioni con le altre famiglie italiane che gestiscono altri ragazzi di età diverse: per questo motivo ci siamo trovati a consigliare ad una famiglia di Rimini che non aveva trovato consulenza da nessuna parte, le competenze acquisite dal Centro Disabili di Odontoiatria del Gaslini.
Dal carteggio che alleghiamo dobbiamo constatare che l’Istituto Gaslini ignora la Delibera Regionale 1413 da noi citata e ciò ci pone l’interrogativo del che senso ha avere un centro di riferimento che non sa di esserlo o non può esserlo.
Testo della lettera al Gaslini:
Oggetto: Cure dentali ammalato raro
Come genitore di un paziente del Gaslini e come portavoce del gruppo dei genitori affetti dalla Sindrome di Lesch-Nyhan dell’Associazione Malattie Rare Mauro Baschirotto, volevo segnalare alla Vostra attenzione un’incomprensibile mancanza di assistenza che interessa un nostro membro che si è rivolto al Centro Disabili di Odontoiatria su nostra segnalazione.
La Sindrome di Lesch-Nyhan (RCG120), per la quale il Gaslini è centro di riferimento secondo la DELIBERA GIUNTA REGIONALE N. 1413 DEL 22/11/2002, è una rarissima patologia che, oltre a provocare tetraparesi distonica, altre complicanze neurologiche e problemi nefrologici, è caratterizzata da un comportamento autoaggressivo che porta il paziente a mordersi labbra, interno delle guance e lingua.
Sul sito delle famiglie Lesch-Nyhan è riportato, a tal proposito, uno studio pubblicato dal Centro di cure odontostomatologiche per disabili, su un caso clinico tuttora seguito dal dott. Calcagno.
I tutori di M.M., un ragazzino affetto dalla Sindrome e residenti a Montegridolfo, dopo peregrinazioni infruttuose, avrebbero trovato quindi nel Centro un valido punto di riferimento per risolvere alcune questioni che riguardano la cura dei denti di Mattia, ma pare ci siano delle difficoltà a prendersi in carico il caso, essendo Mattia del 1990.
Poiché è nota la sensibilità dell’Istituto verso le problematiche dei minori emarginati di tutto il mondo, ci appare incomprensibile la possibile esclusione all’assistenza di Mattia, tenendo conto che in Italia l’unico altro Centro di riferimento ospedaliero indicato dal Ministero per questa patologia è a Cagliari.
Spero quindi sia possibile avere al più presto una pronta risposta positiva dalla Direzione, che risparmi ulteriori sofferenze e attese a un ragazzino già così fortemente provato.
Distinti saluti
La risposta
Con la presente rispondo alla lettera del 13 dicembre u.s. inviatami dalla Associazione Malattie Rare "Mauro Baschirotto" Onlus e alla comunicazione del 22 novembre u.s, della Consulta Regionale per la tutela dei diritti della Persona Handicappata a proposito delle cure a pazienti disabili che abbiano superato l'età pediatrica di 14 anni da parte del Centro Odontoiatrico specializzato dell 'Istituto Giannina Gaslini.
La limitazione a 14 anni di età per i pazienti assistibili dal nostro Istituto non deriva, come ipotizzato nella lettera in riscontro, da una politica autonoma di quest'ultimo, ma da precise normative sia ministeriali (circolare n. 500.2 del 4/7/1987 del Ministero, allora, della Sanità) sia regionali (legge Regione Liguria n. 24 del 5/5/1994).
Non risultano, allo stato, disposizioni legislative di modifica del sopraindicato parametro
.Ci rendiamo perfettamente conto dei problemi dei disabili che hanno superato l'età pediatrica e ne siamo profondamente dispiaciuti.Come da noi già richiesto in passato, occorre una modifica normativa da parte della Regione Liguria per alzare il suddetto limite di età
Provvederemo a reiterare la nostra richiesta.
Molti distinti saluti
Dr Ugo Serra
Ancora una volta la particolarità dell’ammalato raro non è considerata, e la particolarissima competenza sviluppata sulla gestione della Sindrome (che ha avuto persino l’unica pubblicazione italiana in materia di ortodonzia e Lesch-Nyhan) non può essere condivisa!
Gli altri due casi di Sindrome di Lesch-Nyhan liguri sono maggiorenni…come potranno riferirsi al loro presidio regionale? Uno dei due ha avuto la diagnosi 3 anni fa, a chi indirizzarlo?
Nel corso di questi anni abbiamo più volte cercato di arginare le lesioni alle labbra e alla lingua di Michele con apparecchi preparati dal Reparto di Ortodontia del Gaslini che sono a carico nostro.
Anche recentemente (dopo l’entrata i vigore della Delibera Regionale, quindi) il Gaslini ci ha fatturato 76 € per un apparecchio che non abbiamo ancora pagato in attesa di trovare l’iter giusto perché sia considerato “diritto alla salute” difendersi dalle lesioni.
Dovrà essere il nefrologo a prescrivere l’apparecchio per i denti di Michele?
Speriamo di scoprirlo presto.
Paola e Franco
Aggiornamento: è stato il nefrologo a fare la richiesta per l’apparecchio attualmente in uso da parte di Michele, ma il tutto è stato fornito gratuitamente dall’Ospedale.
L’altro malato di Lesch-Nyhan genovese non ha potuto però accedere alle cure di Ortodonzia perché troppo grande di età.
SINDROME DI PRADER WILLI
[RN1310 Centro Rifermento Regionale a Genova: Istituto Gaslini]
La sindrome di Prader-Willi (PWS) è una malattia genetica causata da un’alterazione del cromosoma 15. Colpisce in eguale misura entrambi i sessi con un’incidenza di circa 1:10.000 nati ma la sua reale prevalenza è comunque sottostimata a causa della scarsa conoscenza della malattia.
Il quadro clinico è spesso incompleto nei primi anni di vita ed alcuni segni caratteristici si manifestano solo negli anni La diagnosi infatti viene effettuata ancora con ritardo pur in presenza di criteri diagnostici abbastanza attendibili.
In una prima fase, che va dalla nascita fino all’età di 2-3 anni, è caratteristica l’ipotonia neonatale, le difficoltà di alimentazione, il ritardo psicomotorio e il criptorchidismo dei genitali (nel maschio). Possono essere presenti alcuni tratti somatici, che però si renderanno più evidenti con il tempo.
L’ipotonia è presente alla nascita, potendosi per altro evidenziare già in utero con ridotti movimenti fetali, ed è responsabile di una suzione poco valida che rende a volte necessaria una alimentazione con sondino. Essa comincia a migliorare dopo gli 8-11 mesi di età.
Nella seconda fase, che va dai 3 anni in poi, si assiste ad un aumento incontrollato dell’appetito associato a ridotta sensazione di sazietà che spinge il paziente a rubare il cibo e ad alimentarsi di tutto quanto possa essere facilmente disponibile (sia in casa che fuori): in pochi anni si instaura una obesità di grado elevato particolarmente resistente al trattamento dietetico e farmacologico.
Essa condiziona la comparsa di gravi complicanze particolarmente respiratorie e cardiovascolari e di alterazioni metaboliche tra cui il diabete mellito non insulino-dipendente e le dislipemie, in grado di peggiorare notevolmente la prognosi di tali pazienti.
Lo sviluppo puberale, in entrambi i sessi è quasi del tutto assente o ritardato ed è presente un ritardo mentale di grado variabile ma generalmente non grave.
Con il tempo diventano più evidenti le turbe del carattere e del comportamento e si alternano momenti di tranquillità a momenti di irascibilità e scatti d’ira incontrollabili. Generalmente questi atteggiamenti sono scatenati dalle limitazioni dell’introito calorico alle quali i pazienti dovrebbero rigidamente attenersi.
Può essere presente una instabilità della temperatura corporea e un’elevazione della soglia del dolore.Una peculiare abitudine di questi bambini è quella di “stuzzicarsi” di continuo ogni minima escoriazione della pelle determinando così la formazione di lesioni cutanee che vanno incontro facilmente a sovrainfezioni batteriche. La saliva è densa e viscosa associata a importante carie dentaria. Le mani e/o i piedi possono essere caratteristicamente piccoli (acromicria ).
L’impatto con la crudeltà delle manifestazioni : per quanto riguarda la Sindrome di Prader-Willi le manifestazioni sono veramente disarmanti. Infatti non si tratta solo delle malformazioni fisiche , bassa statura, acromicria, mani e piedi piccolissimi, scoliosi e lordosi, che da sole basterebbero a rendere difficile l’esistenza di queste persone, ma il dramma è il comportamento soprattutto la compulsione alimentare.
Se non sono seguiti costantemente, se non collaborano nel seguire le linee guida, se non sono occupati e impegnati nell’intero arco della giornata in attività per loro piacevoli, se l’ambiente non ha regole elastiche, la malattia prende il sopravvento e si distruggono da soli mangiando continuamente e di tutto fino a morirne. Dal 1991 a oggi ho conosciuto 6 giovani che sono morti a meno di 30 anni. E le famiglie facevano il possibile per fargli seguire le linee guida, inascoltati da medici e operatori sociali, ma non c’è stato nulla da fare, sono morti di obesità.
Per i PW le difficoltà cominciano da subito in tutte le fasi della vita: infanzia, adolescenza, età adulta.
L’impatto con gli Enti preposti: un calvario che per adesso non mostra una inversione di tendenza. L’ammalato non viene preso in carico dai “servizi” nell’intera peculiarità dei suoi bisogni quale ammalato “raro” ma si guarda più che altro alla disponibilità delle strutture esistenti , liste di attesa, mancanza di fondi, mancanza di strutture adeguate, LEA, redditi familiari ecc.
Tutti discorsi validi a scaricare le responsabilità dei responsabili dei servizi, ma inadeguati ad affrontare giornalmente le manifestazioni delle patologie dei ns figli ed emarginanti per loro e i loro “diritti”.
Infatti le esigenze dei nostri figli ammalati sono continuamente sottoposte a verifiche, timbri, autorizzazioni, ma stranamente non si trova un responsabile dei “servizi” che dica “sì questo problema è di mia competenza, sta a me occuparmene, ne sono responsabile” la maggior parte vorrebbe fare ma non può per vari motivi.
Per onestà devo dire che noi sopravviviamo soprattutto per la buona volontà di alcuni rari operatori che tengono al loro lavoro e lo svolgono anche con passione. Ma non è sufficiente. Le regole devono essere codificate e si deve avvisare la famiglia dell’ammalato raro di quali sono i progetti di vita e di impiego possibili, accade spesso che le famiglie perdano la volontà di battere in continuazione contro i muri dell’incomprensione, chi ne farà le spese sarà un essere ammalato, isolato, indifeso. Nel mio quartiere, durante la mia giovinezza ho spesso incontrato persone che avevano handicap fisici o mentali, alcuni nel corso degli anni anni sono semplicemente “spariti” altri sono invecchiati nel quartiere sempre emarginati e considerati “un po’ matti” da tutti, alla morte dei genitori sono presto degradati nel fisico e nella autonomia. Qualcuno di loro gira ancora per le vie del quartiere e vedendoli così ridotti , avendo anch’io questo tipo di problema mi sento stringere il cuore e in loro vedo mio figlio. Non vogliamo che questo continui ad accadere.
Cosa fare da subito: dare alle famiglie degli ammalati rari un sostegno valido, ascoltare le loro problematiche considerando la particolarità delle manifestazioni dei loro figli. Andare al di là delle regole normali perché si tratta di situazioni eccezionali.
Applicare protocolli, progetti di vita ecc. che non devono avere durata semestrale o annuale ma che devono prevedere il fatto che le malattie rare sono di origine genetica e quindi croniche, alcune hanno un impatto sociale, nell’ordine pubblico ecc.
Non si deve abbandonare le famiglie perché se è vera la centralità dell’essere umano e dei suoi diritti costituzionali, è vera anche l’indifferenza della società verso certe situazioni croniche e apparentemente senza soluzione. Non occuparsene in piena coscienza vuol dire emarginare i più emarginati.
Vediamo molto spesso i servizi socio sanitari occuparsi anche con notevole dispendio di risorse delle frange più deboli della nostra società, parlo degli immigrati, ex detenuti, prostitute, nomadi, tossicodipendenti. Certo tutti casi degni di soccorso, per loro si fanno progetti che possono portare anche alla soluzione di alcuni casi in quanto la situazione non è irreversibile non è cronica, questo non vale per i nostri figli loro e noi genitori siamo condannati ad essere invisibili non abbiamo diritto a dei progetti SOCIO SANITARI.
Sì, socio sanitari, questa è la parola che spaventa, fa aprire le braccia agli addetti, fa balenare immediatamente la mancanza di fondi. Semplicemente non c’è una collaborazione codificata fra sanità e comune (parlo per Genova). La sanità ha le sue strutture, il Comune ha i suoi interventi tramite le cooperative. Il tutto è separato non si sa bene né perché né da quale legge.
Quindi per concludere creare un intervento socio sanitario per le malattie rare che sia in grado di accompagnare la famiglia nel duro cammino di ogni giorno, che abbia anche un supporto mediatico comune per evitare continue visite di accertamento una volta stabilito il tipo di patologia rara.
Questo va fatto in tutte e tre le fasi della vita e cioè nell’infanzia, adolescenza, età adulta.
Per una volta vorremmo tanto che qualcuno ci chiamasse ogni tanto, non so ogni 2 -3 anni e ci chiedesse “come va? Possiamo fare qualcosa di più o meglio? “.
Forse pensare questo è pura follia, ma la speranza c’è ed è la speranza che ci fa continuare a vivere.
E infine la storia personale:
Nel 2001 Delibera ASL 3 che finanziava circa 1 anno di Terapia Occupazionale presso il centro in via di costituzione Altro Sole.
Aprile 2002 sospensione della prestazione a causa del non ottenimento da parte del centro dell’OK della commissione Comunale per le barriere architettoniche, superata la quale non andava bene la destinazione d’uso dell’immobile, è stata cambiata la destinazione d’uso ma la pratica è ancora ferma. Rivoltomi al Difensore Civico, la Dott.ssa Derege scriveva alla responsabile UOPD ASL3, sollecitandola a riattivare un progetto di riabilitazione per Giorgio presso l’Altro Sole, questa rispondeva di non poterlo fare per via del mancato OK della commissione. Alle argomentazioni mie e di mia moglie, durante un colloquio, rispondeva che non si trattava di mancanza di fondi dell’ASL o di volontà ma era proprio una questione di principio, l’Altro sole non è un Centro Diurno a tutti gli effetti in quanto manca del medico dell’infermiera e di altre caratteristiche tipiche dei Centri diurni convenzionati con l’ASL .
Vista l’impossibilità di procedere in questo senso, con l’aiuto e suggerimento del Dott.Conte nel Maggio 2002 abbiamo chiesto di attivarsi all’assistente sociale di competenza del Distretto di Rivarolo con la domanda per la SAVI, a Ottobre ricevuto risposta verbale negativa perché Giorgio usufruisce già del trasporto.
Indagato in Via ILVA e scoperto che la domanda era stata completamente sbagliata dall’assistente sociale, inoltre Giorgio era stato segnalato per la SAVI come lavoratore dipendente tanto è vero che a Gennaio il distretto di Rivarolo mi ha chiesto il 101 di Giorgio. Per chiarire la cosa ho dovuto recarmi personalmente nell’ufficio apposito di Via Ilva .
Successivamente ,dopo essermi pagato € 800 al mese per 3 anni ho ricevuto un contributo per 10 mesi di € 240 dal comune per un progetto cerebrolesi, di questo devo rendere atto dell’impegno costante del dott. Conte della ASL.
A fronte di questa situazione cosa devo fare per far valere i diritti di Giorgio? Come posso ottenere dall’ ASL che si occupi finanziariamente della terapia occupazionale di Giorgio presso l’Altro Sole, che del resto accoglie persone la cui retta è pagata da vari enti pubblici (Comune di Genova, Centro Studi - progetto Orizont , Borse lavoro varie)
I risultati di questi anni di terapia occupazionale di Giorgio presso l’Altro Sole sono stati importanti, meglio di qualsiasi altra cura, in un anno è dimagrito più di 30KG. Non dimentichiamo che la Sindrome di Prader-Willi ha come maggiore conseguenza l’obesità, con conseguente morte per obesità. Ma soprattutto il fatto positivo è che Giorgio si è trovato per la prima volta in un ambiente in cui era gradito e nel quale stava volentieri. Gli operatori hanno compreso i problemi comportamentali di Giorgio e hanno fatto tesoro delle linee guida che impone la Sindrome di Prader-Willi.
Ormai i responsabili del servizio ASL, Direttore Generale ASL, Comune di Genova, Distretto di Rivarolo, Consulta Handicappati, Tribunale diritti Malato, Difensore civico, Dott.ssa Banchero, molti funzionari regionali e comunali, sono al corrente del problema, ma questo ricade ancora sulle spalle della famiglia, la voglia di spiegare e parlare, ripetere gli stessi temi a un uditorio sordo sta finendo. Come inevitabile conseguenza di questo sfinimento ci sarà una resa da parte nostra, con una scarsa probabilità per Giorgio di convivere con la Sindrome di Prader-Willi e relativa inesorabile vittoria di quest’ultima.
(senza codice e senza centro di riferimento)
Non è nell’elenco delle malattie Rare e non è certamente più rara di altre malattie fin qui presentate.
Eppure alla famiglia del gruppo è stato difficilissimo trovare riferimenti per la cura e per avere contatti con altri familiari.
Orphanet la mette fra le malattie rare, il Ministero della Sanità non l’ha codificata.
Il tipo di malattia, come nel caso della Prader Willi o della Lesch-Nyhan (vedi), se affrontata senza linee guida chiare per gli operatori, gli insegnanti, i familiari stessi, può provocare grave stess all’ammalato, depressione e peggioramento dei sintomi .
Il sostegno della famiglia per la gestione della vita quotidiana è importantissimo.
Le diagnosi differenziate fra tic cronici, motori o vocali complessi e la Sindrome Gilles de la Tourette completa è, a volte, difficile da stabilire. Per questa ragione l’incidenza della Tourette varia fra 1 e 5:10.000.
Per le forme familiari (circa 1/3 dei casi) il modo di trasmissione resta controverso.
D.G. di anni 15, affetto da Sindrome di Gilles de la Tourette conclamata dal 2001.
Tale Sindrome è sostenuta da una mancanza di un neurotrasmettitore "la dopamina", che causa movimenti involontari e bruschi di tutte le par ti del corpo: capo, collo, braccia,gambe,tronco,bocca, muscoli, e non trascorre né giorno, néora senza che questi fenomeni si manifestino.
Tali movimenti sono accompagnati da emissione di grida talvolta deboli, talvolta forti udibili dalle persone circostanti; è frequente la coprolalia cioè la pronuncia di frasi o espressioni oscene rivolte ai familiari.
La cura di questa Sindrome consiste nella somministrazione di neurolettici che sono psicofarmaci usati appunto per arginare questi movimenti.
La ricerca riguardo alla Tourette in Italia, è pressoché nulla; esiste un'associazione l'AIST (Associazione Italiana Sindrome di Tourette e disturbi correlati) con sede a Zingonia (BG) presso il Policlinico S. Marco, (struttura privata, convenzionata per alcune prestazioni) che si presenta come un punto di riferimento per chi ne è colpito, vuole curarsi meglio o saperne di più.
Non esistono attualmente in Italia associazioni di genitori per condividere nel quotidiano la gestione di questa malattia,: si auspica di formarne almeno una!
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Aggiornamento: D.G. è attualmente seguito presso l’Ospedale Galliera dal Centro di Neuropsichiatria infantile e la mamma è stata fra le promotrici delle iniziative VOLTE A CONSERVARE E POTENZIARE TALE SERVIZIO.
Sindrome da X fragile
[RN1330 - Centro Riferimento reg Ist. Gaslini Neuropsichiatria]
La Sindrome dell’ X-Fragile (FraX) è la causa di ritardo mentale ereditario più frequente. Circa 1:4000 maschi nella popolazione generale sono affetti dalla sindrome. La malattia è dovuta all’alterazione (mutazione) di un gene situato sul cromosoma X. Il nome “X-Fragile” deriva dal fatto che la mutazione del DNA provoca una modificazione della struttura del cromosoma X che visto al microscopio presenta una “strozzatura” nella regione terminale del cromosoma X (q27.3), dove è situato il gene FMR1. Il primo segno della malattia è il ritardo nello sviluppo psicomotorio, in particolare nell'apprendimento del linguaggio. Il ritardo mentale è di grado variabile e spesso si associa ad anomalie comportamentali come irrequietezza, instabilità psicomotoria e incapacità a fissare l'attenzione. Queste caratteristiche persistono con l'avanzare dell'età. Il comportamento delle persone affette da FraX può andare da un carattere estroverso e sociale a comportamenti simili all'autismo (iperattività, incapacità di fissare negli occhi gli altri, avversione all'essere toccati, comportamento stereotipato). Molte persone affette da FraX hanno tratti somatici tipici: viso stretto e allungato con fronte e mandibola prominenti, orecchie più grandi e più basse della media e, nei maschi, ingrossamento dei testicoli (macrorchidismo). Le persone affette da FraX possono presentare anche altri sintomi, come l'iperestensibilità delle articolazioni, il piede piatto e il prolasso della valvola mitrale (un'anomalia di una valvola cardiaca). Non esiste attualmente un trattamento specifico per la FraX. La terapia rimane quindi quella di tipo riabilitativo, sia motorio sia psicopedagogico. Una buona assistenza psicopedagogica da parte di educatori specializzati può migliorare sensibilmente le potenzialità del bambino e aiutarlo a vivere i rapporti con gli altri in modo più armonico. Patologie associate quali epilessia, prolasso della valvola mitrale o altre, dovranno essere affrontate dal medico con adeguate terapie.
Sindrome Wolf-hirschhorn
[RN0700 –Nessun Centro di Riferimento in Liguria]
La sindrome di Wolf-Hirschhorn (WHS) è una sindrome malformativa nota dal 1965 che presenta un quadro clinico ampio e variabile. I soggetti con WHS, di regola, mostrano problemi di scarso accrescimento sia nel corso della gravidanza sia nella successiva vita post-natale, ritardo di acquisizione delle prime tappe di sviluppo tipiche di ogni bambino, come stare seduto autonomamente o fare i primi passi o dire le prime parole, e successivo ritardo intellettivo. Essi tendono inoltre ad assomigliarsi notevolmente l'uno all'altro : particolarmente caratteristica è la struttura della fronte, degli occhi e del naso che nel passato è stata definita come " conformazione ad elmo di guerriero greco". Nei pazienti con WHS può poi essere messa in luce una vasta gamma di vere e proprie malformazioni a carico del sistema nervoso centrale, di occhi, palato, cuore, apparato scheletrico, gastro-intestinale, genitale ed urinario. Dopo che la diagnosi di WHS è stata accertata è quindi importante che tutti questi difetti genetici siano ricercati con cura.
Il neonato con WHS tende ad avere un peso alla nascita basso, intorno ai 2 Kg, ed a crescere secondo un ritmo più lento dell'atteso. Sono spesso presenti problemi, anche gravi, di alimentazione spontanea che possono portare all'utilizzo di modalità particolari di nutrizione ed alla necessità di un trattamento riabilitativo specifico. In relazione a queste difficoltà si possono verificare episodi di infezione broncopolmonare da ingestione di alimenti (BCP ab ingestis). In generale i soggetti con WHS possono avere infezioni anche ricorrenti sia a carico delle alte che delle basse vie aeree. Frequente è la comparsa di crisi convulsive, in alcuni pazienti, di difficile controllo con le terapie mediche. E' infine possibile osservare la presenza di problemi funzionali agli occhi, come strabismo e miopia, ed alla colonna vertebrale
la maggioranza dei soggetti affetti non presenta immediati rischi per la propria sopravvivenza. E' segnalata la possibilità di un precoce decesso, di regola in relazione all'eventuale presenza di gravi malformazioni a carico degli organi vitali, ad esempio il cuore, o di importanti complicanze mediche, gravi broncopolminiti ab ingestis. L'impegno maggiore del trattamento di questi pazienti è rivolto alla stimolazione ed alla riabilitazione in ambito psico-motorio ed intellettivo oltre al controllo dei possibili problemi medici rilevati. Va detto con chiarezza che l'evoluzione dei soggetti con WHS in ambito psico-motorio ed intellettivo non è di tipo degenerativo ma molto lentamente migliorativo.
Mi presento come se fossimo al gruppo di auto-aiuto: siamo una coppia di genitori, io mi chiamo Giulio, mia moglie Tea.
Sono io, il papà, che frequenta il gruppo da quando è nato: mi è subito piaciuta l’idea di confrontarci con altre famiglie con problemi, anche perché l’unione fa la forza.
Quando ci siamo sposati mia moglie ed io non pensavamo di dover affrontare queste montagne di difficoltà in quanto, nel nostro pensiero, volevamo una bella famigliola con bambini magari biondi e con occhi azzurri e invece no, la sorte ci ha regalato un primogenito mai diagnosticato.
Il nostro cammino è stato molto gravoso nel senso che Alessandro è stato un primogenito con tanti problemi. Si può dire che eravamo separati in casa, mia moglie in ospedale, per lo più Gaslini e io dai miei suoceri e avanti e indietro per ospedali.
Arriva Daniele, anche lui con problemi, ma con segni che di primo acchito non volevamo credere, uguali ad Alessandro: palatoschisi e ipospadia. Nascita piccola, crescita piccola.
A questo punto abbiamo iniziato a parlarne con i medici genetisti del Galliera , e Gaslini, in primo tempo con modi quasi maleducati (vista la situazione). Mano a mano, col tempo, i modi secondo me, si sono fatti meno bruschi, fino a che le relazioni con il sanitario sono diventati,oserei dire, di consulenza.
Questo anche grazie al gruppo con cui condivido quello che potrebbe definirsi " una scuola" non di vita, perché ogni genitore è medico, se non di più, del proprio figlio.
Parlando di Daniele e con l'esperienza che ci siamo fatti, è finalmente arrivata la diagnosi questa volta giusta.
Ci siamo associati all’Associazione Italiana Sindrome Wolf-hirschhorn, però in Liguria siamo gli unici casi noti.
Quindi faccio di tutto per avere quello che mi spetta, tipo l’assistenza domiciliare, questa la avevamo in quanto i due fratelli Alessandro e Daniele si sono accavalati per tre anni e quando, per tagli, il comune me l'ha tolta non ho fatto casino più di tanto, (scusate la frase), perché Daniele è gestibile dalla famiglia anche se fino all’età di cinque anni erano presenti convulsioni.
Da quell’epoca è sempre comunque controllato con EEG e farmaci non ne assume più né a casa né a scuola.
Avendo sentito dire che il “progetto cerebrolesi” sarebbe stato allargato ad altre patologie, ho provato a parlarne al distretto sanitario con l’assistente sociale di riferimento. Fatta la domanda è stata accolta con mia grande gioia ,non ci facevo su il cuore e adesso ho una educatrice in fascia "b". E’ quanto abbiamo ottenuto.
Facendo parte di questo gruppo mi sono ripromesso, se possibile, di aiutare altri genitori perché non si trovino nelle nostre difficoltà.
Mi sembrava, allora, di parlare, con dei muri di gomma: è una brutta sensazione.
Giulio
Aggiornamento: Daniele è attualmente seguito presso l’Ospedale Galliera dal Centro di Neuropsichiatria infantile e il papà è stato fra i promotori delle iniziative VOLTE A CONSERVARE E POTENZIARE TALE SERVIZIO.
L’argininosuccinico aciduria
[DISTURBI DEL CICLO DELL'UREA - RCG050 - NON HA PRESIDI IN NESSUNA REGIONE D’ITALIA]
I neonati possono presentare i primi segni di iperammoniemia entro le prime 24/48 ore di vita. I sintomi tipici nel neonato sono scarso appetito, vomito, respirazione anomala, letargia, convulsioni e coma.
I pazienti affetti da disturbi del ciclo dell'urea devono controllare l'assunzione di proteine. Riducendo la quantità di proteine si impedisce un eccessivo carico di azoto, e quindi un accumulo di ammoniaca. Medici e dietologi possono fornire informazioni personalizzate su diete povere di proteine per ogni paziente. Tuttavia la sola dieta non sempre basta per controllare il disturbo del metabolismo: potrebbe quindi essere necessaria un'ulteriore terapia.
Pietro è nato quasi 8 anni fa.
Nel 3° giorno dopo la nascita ha avuto una convulsione ed è andato in coma.
Ricoverato d’urgenza al Gaslini ha avuto la diagnosi di argininosuccinicoaciduria ed è stato subito sottoposto a dialisi peritoneale, ma ormai l’ammonio aveva provocato danni irreversibili al sistema nervoso centrale. E’ stato in coma 9 giorni. Adesso è in terapia con arginina (l’amminoacido che il suo organismo non è in grado di produrre), ma non è in grado di stare seduto non sorretto, né di camminare e non parla. E’ in carrozzella e per le complicanze della sua situazione respiratoria e immunitaria i medici ci hanno caldamente raccomandato, per la sua sopravvivenza, di non fargli fare vita comunitaria escludendo che possa frequentare la scuola.
Dalla nascita è seguito dalla famiglia, fra frequenti ricoveri. In famiglia ci sono altri fratelli di poco più grandi.
Quest’anno è stato iscritto regolarmente a scuola dopo che avevo saputo dall’assistente sociale del Gaslini dell’esistenza del protocollo d’intesa fra il MIUR e il Ministero della Salute “Tutela del diritto alla salute e allo studio dei cittadini di minore età, affetti da gravi patologie, attraverso il servizio d'istruzione domiciliare” del 24 ottobre 2003.
Sul territorio nessuno sapeva darmi indicazioni sull’applicazione del protocollo e, dopo l’interessamento personale della Direttrice Didattica, Pietro ha ottenuto di essere seguito 2 ore alla settimana fino al prossimo Maggio.
Vengono a casa, a turno, insegnanti non specializzate che hanno assunto informazioni sulle sue possibilità dall’ANFFAS e dall’Istituto Chiossone, dove il bambino è conosciuto.
Non ho visto nessun piano didattico vero e proprio, né pagelle ovviamente.
Le maestre che vengono sono certamente ottime persone, ma a me rimane spesso l’interrogativo se è tutto quanto spetta a mio figlio.
D’altra parte anche quando richiedo ausilii per facilitare la vita in casa, sono richiamata alla pazienza e alla moderazione (se passano la carrozzella e lo stabilizzatore, cosa mi faccio venire in mente anche il montascale?).
Da due anni, grazie alle informazioni avute tramite Chiossone, ho un affido educativo. In precedenza di 9 ore alla settimana, adesso ridotte a 6 (perché ci sono stati tagli, dicono).
Grazie a questo servizio ho qualche ora per gli altri figli.
Cristina
[RCG090 Centro di Riferimento Regionale Ist. Gaslini U. O.PEDIATRIA III]
La mucolipidosi di tipo III è una polidistrofia pseudo-hürleriana simile alle forme sfumate della malattia di Hürler: Scheie o Hürler-Scheie. E’ dovuta ad un deficit di UDP-N-acetilglucosamina: l'enzima lisosomiale N-acetilglucosaminil-1-fosfotransferasi, che indirizza l'azione di diversi enzimi lisosomiali. Si tratta di una malattia molto rara, a trasmissione autosomica recessiva. I sintomi evocatori sono quelli articolari, che consentono di formulare la diagnosi nell'infanzia. La
sintomatologia ossea ricorda quella della malattia di Hürler, ma i dismorfismi facciali sono più sfumati e l'altezza supera i 150 cm.
L'intelligenza può essere normale, ma si registra frequentemente un ritardo della scolarità, che potrebbe essere legato ad un problema uditivo. Durante l'evoluzione della malattia appaiono opacità corneali, compatibili con una sopravvivenza prolungata. La diagnosi di laboratorio si basa sul rilievo di un aumento dell'attività delle idrolasi acide nel siero e una loro parallela diminuzione nei fibroblasti in coltura, oltre che, in casi eccezionali, su un deficit primitivo di fosfotransferasi. La mucolipidosi di tipo III è geneticamente eterogenea: MLIII classica (gruppo A) con alterazioni del gene alfa/beta, e MLIII variante con alterazioni del gene gamma (cromosoma 16p). È possibile effettuare la diagnosi prenatale (trofoblasto o liquido amniotico). La terapia è sintomatica, essenzialmente ortopedica. Può rendersi necessario l'uso di un apparecchio acustico e il ricorso alla logopedia. Segni possibili:
Scrivere su un libro bianco , trovo che non sia cosa facile, soprattutto perché devo riassumere in poche righe tutto lo sconforto, lo sgomento e la rabbia che si provano quando si è costretti ad affrontare realtà difficili come le nostre, incontrando spesso, dall’altra parte, persone che ignorano completamente i nostri disagi e anche i nostri diritti.
Riassumendo posso raccontarvi di avere due splendidi bambini a cui è stata recentemente scoperta la Mucolipidosi, una delle tante malattie rare che comporta una diagnosi severa e progressiva, e per la quale non esiste una cura. I miei figli necessitano di continui controlli ospedalieri, ricoveri e fisioterapia giornaliera. E’ stata riconosciuta loro l’invalidità al 100%, ma quando ho chiesto di avere la legge 104 per potermi assentare dal lavoro, mi hanno risposto che dovevo aspettare che i miei figli compissero 18 anni, oppure ritornare quando avessero smesso di camminare….perché, come mi ha spiegato il presidente della commissione “ noi facciamo una valutazione sullo stato di salute dei bambini, non sulla diagnosi della malattia….e poi abbiamo problemi di budget !!! Sa signora , lei capisce.”
Pensando di non aver capito molto mi sono rivolta agli assistenti sociali della mia cittadina, chiedendo informazioni che riguardavano la nostra nuova condizione di invalidi. Ho chiesto notizie sulla riduzione delle tasse scolastiche, sulla riduzione dei trasporti….ma nulla, nessuno sapeva dirmi niente…anzi una gentilissima signora mi ha consigliato :” Signora torni quando i suoi figli non potranno più camminare….Sa, noi abbiamo il pulmino per i disabili che non deambulano….”
Certa di non aver ancora fatto tutto il possibile, ho chiamato l’ufficio degli invalidi civili, e ho chiesto quali fossero i diritti e gli aiuti per i miei figli.
Per tutta risposta un severo impiegato mi ha spiegato che NON AVEVAMO NESSUN DIRITTO E NESSUN AIUTO, se non il riconoscimento della diaria scolastica ( euro 244 )…….
Credo che la mia storia parli da sola…..
Cristina
Aggiornamento: dopo l’incontro con il Sindaco e l’assistente sociale della cittadina di Cristina da parte di alcuni membri del gruppo Echidna pare si sia avviato un lavoro per predisporre un progetto di assistenza alla famiglia per far fronte ai problemi di trasporto e riabilitazione (attuali) e provvedere ai futuri disagi che il peggioramento dei sintomi in atto fanno pronosticare. La legge 104 e il riconoscimento della indennità di accompagnamento sono stati applicati a uno solo dei due fratelli con identica diagnosi.
La storia di Laura
Laura è nata a Genova nel ‘48 con parto asfittico, in casa, mediante l’uso del forcipe subendo una grave lesione cerebrale, inizialmente non diagnosticata.
Dopo che i genitori ebbero rilevato un ritardo nel suo sviluppo iniziò una lunga serie di peregrinazioni da medici e luminari della Genova del tempo e non solo, ma con scarsi risultati.
Mia sorella Laura ebbe una regressione dopo la mia nascita, avvenuta il ‘51.
Negli anni Cinquanta frequentò per un quinquennio la Scuola speciale Morselli, vicino a Corso Firenze, restando sempre in classe preparatoria, senza essere mai ammessa alla prima elementare. Ricordo che riempiva quaderni e quaderni di aste e che le venivano inculcate le buone maniere (che in parte mantiene tuttora). Alla fine di tale periodo la Direzione convocò i nostri genitori pregandoli garbatamente di ritirarla. A nostra madre ed a nostro padre parve che il mondo crollasse addosso. La ritirarono e da allora puntarono tutto sulla famiglia responsabilizzando molto me, fratello, sul quale puntarono moltissimo, anche se papà pensava anche ad una sistemazione esterna.
Laura da allora visse solo in casa, curata ed accudita dalla famiglia, nella quale viveva ancora pure la nonna materna, attivissima.
Mamma rinunciò a riprendere il proprio lavoro di impiegata che aveva lasciato poco prima del matrimonio.
Papà si impegnava moltissimo nel lavoro per migliorare la nostra modesta condizione economica; mamma si prodigava in famiglia riuscendo a mantenere anche uno spazio per gli svaghi, le gite, il cinema, le conferenze etc.
Noi vivevamo in un ambiente severo, ma sereno, entrambi molto curati. Io ebbi modo di effettuare liberamente le mie scelte scolastiche, culturali e di impegno sociale.
Laura continuò a vivere in casa.
Nel luglio del ‘92 mamma morì e le cose poco dopo dovettero cambiare.
Iniziò una seconda serie di vicissitudini burocratiche ed amministrative che sarebbe troppo lungo anche riassumere; basti dire che dovemmo farla interdire: io fui nominato tutore e papà protutore.
Dopo lunghe vicissitudini, durante le quali dovemmo richiedere persino l’intervento del Difensore civico regionale, Laura fu finalmente riconosciuta incapace d’intendere e di volere e invalida civile al 100% non recuperabile e le furono accordati la pensione d’invalidità e l’indennità d’accompagnamento.
Dovemmo prendere un primo aiuto domiciliare e poi un secondo.
Nel marzo del ‘99 morì anche papà ed io, su pressione di alcuni cugini, chiesi ed ottenni presto un intervento domiciliare dell’ANFFAS Genova (per complessive quattro ore alla settimana) che Laura dimostrò di gradire. In seguito all’abolizione dell’assistenza domiciliare mia sorella venne inserita nel Centro diurno di Mignanego, poi in quello di Cesino e quindi di nuovo in quello di Mignanego, nei quali si inserì agevolmente e fu ben assistita, registrando pure diversi miglioramenti nel comportamento. Accompagnata da me tutte le mattine al pulmino e ritirata alle 16,39 dalla badante.
Essendole però stata concessa la reversibilità delle pensioni dei nostri genitori, le venne sospesa la pensione d’invalidità ed iniziarono trattenute sull’assegno di accompagnamento per il recupero di somme “indebitamente” percepite.
Le mie condizioni di salute però (io sono diabetico da quasi trent’anni, ma, all’epoca mi trascuravo alquanto) peggiorarono: ebbi una grave crisi ed un ricovero di urgenza lo scorso 20 giugno.
Finii in coma diabetico, in rianimazione, ebbi l’amputazione di due dita del piede sinistro e rimasi fuori casa per più di tre mesi.
In tale frangente si ebbe una situazione di crisi assai grave durante la quale il giudice tutelare, da me avvertito appena fui in grado di farlo, nominò un procuratore nella persona di un legale per fortuna molto cortese e preparato.
Tramite gli interventi, richiesti dalla badante, rimasta sola in casa, alle strutture di base del servizio disabili della ASL, Laura fu sistemata provvisoriamente allo Speciale di Quarto e al centro diurno di via Parini.
In seguito, grazie alla disponibilità dell’ANFFAS e a causa della indisponibilità di Quarto, fu trasferita provvisoriamente alla casa famiglia di Stella, santa Giustina, dove è tutt’ora con rinnovi provvisori e in attesa di una sistemazione definitiva.
Ora mi è stata riconosciuta una invalidità parziale al 67% e mi è stata indicata l’opportunità di non avere, vista la mia situazione di salute, il carico completo della cura e dell’assistenza di mia sorella e sarebbe quindi prezioso un PROGETTO di VITA per Laura che tenesse conto di questa nuova realtà
Alfredo
A più di vent’anni dalla prima diagnosi di sindrome di Rett, sono ancora molti i lati oscuri di una malattia di cui solo le bambine, possono essere affette.
Ma sono ancora molte le riserve intorno alle cifre che statisticamente non rilevano le diagnosi errate o incomplete stilate in tutti questi anni e che per troppo tempo hanno confuso la malattia come un’atipica e del tutto anomala forma di autismo infantile.
La scienza l’ha definita “malattia neurodegenerativa dell’evoluzione progressiva” i cui sintomi (lento reggresso psicomotorio, assenza del linguaggio, stereotipia accentuata delle mani), compaiono all’incirca fra il primo e secondo anno di vita dopo una gravidanza apparentemente normale.
L’origine è certamente genetica, ma le cause sono ancora sconosciute.
Gli svedesi Hagberg e Witt-Engerström tracciando le linee generali della Sindrome di Rett, hanno delineato la sua evoluzione e gli stadi clinici che la caratterizzano:
Fase 1 [fra i 6 e i 18 mesi].
Durata mesi: 3
Fase 2 [fra 1 e 3 anni di età].
Durata settimane - mesi:
Fase 3, stadio pseudostazionario [fra i 2 e i 10 anni].
Durata mesi-anni:
Fase 4 [all'incirca dopo i 10 anni].
Durata anni:
La malattia genera indubbiamente non poche difficoltà legate a numerosi handicap. È necessario tuttavia precisare che il quadro evolutivo della patologia non segue mai un percorso preordinato per tutti i soggetti. I quadri clinici di deterioramento, di miglioramento o di stasi dell'evoluzione patologica sono variabili e diversi fra loro.
La storia di Silvia
Silvia è una bella bimba bionda con due grandi occhi blu spalancati sul mondo, ha tre anni e una sospetta sindrome di Rett.
La guardo mentre dorme e fatico ancora adesso a credere che sia una bimba malata …
Tre anni fa
Silvia nasce a termine di una gravidanza senza alcun problema con parto spontaneo; pesa 3,580 kg per una lunghezza di 52 cm – indice Apgar 9 alla nascita e 10 dopo 5 minuti.
Si attacca subito al seno e dorme tranquilla.
Tutto procede per il meglio fino a quando verso i 6-7 mesi di vita io e il suo papà ci rendiamo conto che forse qualcosa non va; pur non essendoci problemi di salute particolari (neanche un raffreddore) Silvia non riesce a mantenere la posizione più o meno eretta, declina sempre il capo e al contrario della sorella maggiore (Martina, che ora ha 8 anni e non ha nessun problema) alla stessa età non riesce a stare seduta. Compaiono inoltre i primi movimenti stereotipati delle mani, portate continuamente alla bocca e tenute in posizioni innaturali.
Ad un primo controllo neuropsichiatrico al consultorio di riferimento viene riscontrata una forte ipotonia e un generale ritardo psicomotorio e viene consigliato un ricovero al Gaslini per un check up generale.
Dal ricovero alla neuropsichiatria infantile del Gaslini, dove vengono fatti tutti gli esami del caso, non emergono nuove situazioni se non la conferma del "grave ritardo psicomotorio"; in quell'occasione viene fatto un prelievo di sangue al fine di verificare la sussistenza di due malattie genetiche più o meno compatibili con i sintomi di Silvia: la sindrome di Angelman e la sindrome di Rett. Il prelievo viene fatto a maggio, i risultati (dopo traversie varie) ci vengono resi noti a novembre per Angelman e a maggio successivo per Rett: entrambi negativi.
Durante il lunghissimo anno di attesa non siamo rimasti ovviamente a guardare ma, in particolare attraverso Internet, ci siamo informati sulle due patologie; Angelman ci sembrava veramente molto distante da Silvia mentre Rett si avvicinava per molti aspetti ai sintomi manifestati dalla bambina. Sempre tramite Internet siamo venuti a conoscenza dell'esistenza di un centro specializzato e di riferimento per la sindrome di Rett: il reparto di neuropsichiatria infantile del Policlinico Le Scotte di Siena e considerato che la diagnosi a volte può essere solo clinica in quanto non è raro che l'esame genetico possa dare risultato negativo (come nel caso di Silvia), di nostra iniziativa abbiamo portato Silvia a Siena per una prima visita. Da quella prima visita sono passati quasi due anni, portiamo regolarmente Silvia a Siena e abbiamo (temporaneamente) abbandonato i controlli al Gaslini. Il reparto è accogliente, il personale sia infermieristico che ausiliario disponibile e il medico che segue Silvia, esperto nella diagnosi di Rett, cordiale e particolarmente sensibile ai problemi delle famiglie (e queste oggi mi sembrano già delle conquiste).
Dal punto di vista riabilitativo dopo un lungo periodo di fisioterapia presso il CEM (centro educazione motoria) di Genova siamo riusciti a inserire Silvia al Centro La Nostra Famiglia di Varazze (centro convenzionato con la ASL genovese) dove ha iniziato dal febbraio di questo ultimo anno una terapia che prevede interventi di fisioterapia, psicomotricità e logopedia (tengo a precisare che a Genova non era possibile seguire un progetto terapeutico similare).
Frequenta inoltre l'asilo nido dove è seguita e coccolata da tutte le assistenti e da Rosella la sua "assistente personale".
Ho cercato l'impossibile che si può trovare in libreria e su internet sulle leggi a tutela delle persone con handicap e degli aiuti che la famiglia dei bambini con handicap può e deve aspettarsi. In totale autonomia abbiamo inoltrato la domanda per il riconoscimento dell'handicap grave (legge 104) e dell'invalidità; a Silvia è stata riconosciuta la legge 104 con handicap grave e l'invalidità con indennità di frequenza ma non l'accompagnamento che porterebbe peraltro altri benefici. Certo è una bimba sorridente e molto affettuosa ma non è assolutamente una bimba autonoma: non cammina da sola (fa qualche passo solo se aiutata e in maniera disarticolata), non mangia da sola, non si lava, non si veste, non parla, non gioca, … Abbiamo pensato di chiedere l'aggravamento per riuscire a ottenere l'accompagnamento; aggravamento non in senso assoluto (anzi almeno dal punto di vista motorio qualche progresso c'è stato sicuramente) ma in relazione alla maggiore età che comporta uno sforzo maggiore nel seguirla; non vorrei però sentirmi dire quello che in sede differente mi è già stato riportato "ai bambini piccoli viene riconosciuta la sola indennità di frequenza perché, in quanto piccoli, avrebbero comunque bisogno di aiuto" ?!?
Se fosse davvero così AIUTO lo gridiamo noi! Non è possibile pensare che sia la stessa cosa!
OGGI non abbiamo ancora una diagnosi definitiva, a Siena continuano gli accertamenti genetici e non per arrivare a confermare o meno il sospetto che oggi ancora sussiste: Silvia è una bimba Rett o no? Sicuramente ci siamo resi conto che probabilmente una diagnosi certa aiuterebbe soprattutto noi ad aiutare lei e a migliorare per quanto possibile la sua qualità di vita.
La mamma e il papà di Silvia
Aggiornamento: dopo la presentazione del Libro Bianco al gruppo di auto aiuto si sono aggiunte nuove famiglie oltre quella di Silvi, con altre situazioni rare o rarissime e non tutti hanno ancora scritto la loro storia, ma tutte si sono riconosciute negli elementi comuni trattati in queste brevi note: bisogno di progetti, di continuità, di piani riabilitativi di riconoscimento, di superamento delle rigidità burocratiche, bisogno di speranza nella solidarietà sociale.
Fonte: http://www.webst.it/echidna/libro_bianco.doc
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