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LA MALATTIA
Nome Inglese: Lafora Disease (#254780 codice OMIM). Descritta per la prima volta nel 1911 da Gonzalo Rodriguez-Lafora (1886-1971) neurologo spagnolo.
CHE COS’E’ LA MALATTIA DI LAFORA
E' una malattia neurologica progressiva caratterizzata da crisi epilettiche, mioclono, sintomi cerebellari e deterioramento psichico.
La malattia di Lafora si riscontra comunemente nei paesi mediterranei (Spagna, Francia e Italia), in aree ristrette dell'Asia Centrale, in India, Pakistan, Nord Africa in gruppi etnici isolati degli Stati Uniti del sud e in Canada.
COME SI MANIFESTA
L'esordio si verifica durante l'adolescenza, con crisi generalizzate tonico-cloniche o clono-tonico-cloniche, mioclonie a riposo e durante l'attività, mioclono negativo e crisi occipitali focali associate ad amaurosi transitoria. Il decorso è caratterizzato da un significativo e rapido deterioramento cognitivo, i cui sintomi primari possono precedere le anomalie motorie, e dal progressivo aumento di intensità delle convulsioni e delle mioclonie. Il quadro clinico e l’evoluzione variano da paziente a paziente
LE CAUSE
La malattia di Lafora è dovuta ad alterazioni che colpiscono uno dei due geni noti situati entrambi sul cromosoma 6 chiamati EPM2A (scoperto nel 1998) ed EPM2B (o NHLRC1 scoperto nel 2003) e che causano un cattivo funzionamento nelle proteine da loro prodotte, rispettivamente laforina e malina. (vedi schema B). La funzione di queste proteine non è ancora ben chiara, sebbene si pensi che siano coinvolte nel metabolismo del glicogeno dal momento che la loro mancanza provoca l'accumulo di zuccheri in vari tessuti dell'organismo. Un gruppo ristretto di pazienti non presenta variazioni in questi due geni per cui probabilmente c'è almeno un altro gene coinvolto nella malattia.
COME SI TRASMETTE
La malattia si trasmette geneticamente con una modalità chiamata autosomica recessiva. In altre parole, un individuo presenta i sintomi della malattia solo se possiede un'alterazione in entrambe le copie del gene (ad eccezione dei cromosomi sessuali, ognuno di noi possiede 2 copie di ogni cromosoma -una materna e una paterna, e quindi 2 copie di ogni gene). Chi invece ha una copia del gene normale e una alterata è un portatore sano, e generalmente non presenta alcun sintomo. Quindi un bambino malato può nascere solo se riceve una copia difettosa del gene da ciascuno dei genitori, entrambi portatori sani dell'alterazione genetica. Una coppia di portatori sani avrà il 25% di possibilità, ad ogni gravidanza, di concepire un figlio o una figlia malati, il 50% di possibilità di avere un figlio o una figlia portatori sani, il 25% di avere un figlio o una figlia sani e non portatori.
LA DIAGNOSI
La diagnosi di Malattia di Lafora può essere ipotizzata in base ai precedenti familiari, l'età d'esordio, le modalità caratteristiche di presentazione dei sintomi, il rapido deterioramento della funzione cognitiva e le significative peculiarità dell’elettroencefalogramma (EEG). Si deve partire dalla valutazione dei sintomi clinici epilettologici e del possibile deterioramento cognitivo. Sarà quindi indispensabile eseguire un’accurata anamnesi, una valutazione neuropsicologica e uno studio neurofisiologico che comporta in prima battuta la registrazione EEG con videoregistrazione e poligrafia e lo studio di potenziali evocati.
Gli esami neuroradiologici possono contribuire poco al raggiungimento della diagnosi; non esistono, inoltre, marker della malattia riscontrabili negli esami ematochimici e metabolici.
La diagnosi può essere facilmente confermata sulla biopsia cutanea della regione ascellare, che evidenzia la presenza di corpi di Lafora (accumuli di poliglucosani) (vedi figura A) nelle cellule dei dotti sudoripari . Il test genetico è molto utile dal punto di vista diagnostico dal momento che mutazioni nei geni EPM2A e EPM2B si riscontrano in più del 90% dei casi.
ESISTE UNA TERAPIA
Non esiste allo stato attuale una terapia in grado di arrestare o rallentare la progressione della malattie. Tuttavia è possibile limitare la sintomatologia epilettica con farmaci antiepilettici. In particolare l’acido valproico risulta essere il farmaco di prima scelta e di base in tutti i trattamenti a cui si possono aggiungere combinazioni diverse che si basano soprattutto sull’utilizzo di farmaci efficaci nelle epilessie miocloniche quali l’etosuccimide, la lamotrigina e il levetiracetam ma altre combinazioni sono possibili e a volte la risposta del paziente, sempre parziale , è molto individuale.
Negli ultimi anni, lo Zonisamide ha mostrato significanti effetti positivi sul controllo delle crisi e sulla riduzione delle mioclonie.
Il supporto psicologico e sociale è di fondamentale importanza.
RICERCA
Attualmente vi è un fiorire di ricerche per meglio comprendere la malattia di Lafora. Una parte degli studi si concentrano sulla genetica dal momento che c'è almeno un altro gene non ancora identificato che contribuisce alla malattia. Inoltre, alcuni gruppi stanno cercando di capire la funzione di laforina e malina e la loro relazione con il metabolismo degli zuccheri e delle manifestazioni cliniche. Infine, studi di terapia genica sono anche in corso per cercare di sostituire, in un modello di malattia murino, il gene malato con quello sano.
TRATTAMENTO SPERIMENTALE CON DIETA CHETOGENICA
La dieta chetogenica è una modalità terapeutica sperimentale per trattare la malattia di Lafora.
Dieta chetogenica classica
Si tratta di un regime nutrizionale contenente un’elevata percentuale di grassi e una ridotta quota di proteine e carboidrati. Essa si propone di indurre uno stato di chetosi cronica con lo scopo di simulare lo stato metabolico del digiuno. Con questa dieta si obbliga l'organismo ad utilizzare i grassi invece che il glucosio come fonte di energia mantenendo deliberatamente elevato lo sviluppo di corpi chetonici. Tutti i tipi di dieta contengono un’elevata percentuale di grassi e bassa di proteine e carboidrati ma nel tipo classico il rapporto tra i costituenti è così definito:4 gr grassi : 1 gr (proteine + carboidrati).
L’utilizzo della dieta chetogenica nella malattia di Lafora non è solamente finalizzato ad un potenziale effetto antiepilettico ma anche su un possibile effetto preventivo. Infatti i corpi di Lafora sono costituiti da densi aggregati di poliglucosani che differiscono dal glicogeno normale per anomale ramificazioni. L’utilizzo della dieta chetogenica permette di avere a disposizione dell’organismo una ridotta quota di carboidrati, componente indispensabile nella costituzione del glicogeno e di conseguenza una potenziale riduzione nella formazione dei corpi di Lafora che sono degli accumuli patologici di glicogeno.
Visto il possibile effetto preventivo la dieta chetogenica dovrebbe essere seguita per tutta la vita dei pazienti e per questo il rapporto dei nutrienti è di 3:1 (3gr grassi e 1gr proteine e carboidrati) che risulta essere più tollerato dai pazienti e più accettabile come gusto.
Diventa necessaria una valutazione del nutrizionista che prevede:
La dieta chetogenica è solitamente ben accettata dai pazienti.
Inizialmente verrà impostata una dieta con alimenti mentre con il progredire della malattia potrebbe essere necessario ricorrere a preparati appositi per dieta chetogenica.
Tali preparati possono essere utilizzati anche per integrare la dieta con alimenti.
In corso di dieta chetogenica:
- a domicilio non è indispensabile rilevare la glicemia
- si consiglia il controllo della chetonemia settimanalmente o comunque in concomitanza con la recrudescenza delle crisi
- in presenza di sintomatologia dubbia contattare il medico di riferimento
- per terapie estemporanee in caso di patologie concomitanti chiedere sempre al medico referente
- prestare attenzione ai prodotti per l’igiene del cavo orale (dentifricio, emollienti per labbra,…) che non contengano zucchero
L’EPILESSIA
La crisi epilettica è definita come la comparsa parossistica di segni e sintomi dovuti ad una abnorme attività neuronale nel cervello. Sotto il termine “epilessia” si raccolgono numerose e distinte sindromi epilettiche che possono avere numerosi tipi di manifestazioni.
La localizzazione di scariche elettriche in particolari aree cerebrali determina le diverse manifestazioni che possono scaturire dalla scarica elettrica stessa.
Si avranno quindi delle crisi parziali quando la scarica interessa solo una limitata parte del cervello, delle crisi generalizzate quando l’esordio coinvolge tutto l’encefalo e delle crisi parziali con secondaria generalizzazione se la scarica, originatasi in una confinata parte, si estende successivamente a tutto il cervello.
TIPI DI CRISI E NORME DI PRONTO INTERVENTO
La prima cosa da fare durante la comparsa di una crisi epilettica è mantenere la calma: ciò sarà più facile tenendo presente che , indipendentemente dal tipo e dall’intensità di tale manifestazione, la persona non prova alcun dolore e che questa, salvo rari casi, termina spontaneamente. Inoltre, qualsiasi sintomo (deviazione di sguardo o della bocca, irrigidimento di un arto, incontinenza, ecc) scomparirà una volta terminata la crisi.
Risulta invece molto utile osservare attentamente quello che accade durante il suo svolgimento, quanto dura ciascuna manifestazione e annotarne la sequenza, per poter riferire successivamente allo specialista quanti più particolari possibili. Tali informazioni sono infatti molto importanti per inquadrare correttamente il tipo di crisi.
Risulta utile a tale scopo compilare un diario delle crisi con la descrizione delle stesse. (vedi allegato esempio diario crisi)
CRISI non convulsive
Durante queste crisi non è necessario intervenire in alcun modo, se non impedendo che il soggetto si procuri delle lesioni muovendosi in situazioni di pericolo.
ASSENZE
Queste crisi generalizzate sono caratterizzate da una breve perdita di coscienza.
Il soggetto appare come “distratto”, “assente” per pochi secondi e in genere sospende ogni attività motoria. In caso di crisi ravvicinate o di stato di male-assenza (assenza molto prolungata) la persona deve essere protetta da possibili fonti di pericolo.
CRISI focali/parziali
In caso di perdita di contatto con l’ambiente, in modo parziale o totale, la persona può apparire tipicamente confuso, vaga senza meta o agisce come se non capisse cosa sta facendo (solleva oggetti, si sveste, ecc.) tali comportamenti vengono definiti automatismi.
CRISI TONICHE (irrigidimento) e ATONICHE (rilassamento)
La persona che presenta questo tipo di crisi generalizzata alternativamente si irrigidisce o rilassa la muscolatura e, qualora si trovi in piedi, cade al suolo; si riprende in genere rapidamente, presentando, a volte, uno stato confusionale. Le crisi di caduta sono ovviamente tra le più pericolose per l’incolumità della persona e richiedono particolare attenzione da parte dei genitori che devono sorvegliare attentamente la persona e creare un ambiente sicuro.
CRISI TONICO-CLONICHE GENERALIZZATE
Questo tipo di crisi generalizzate provoca la perdita di coscienza con emissione di un grido e, di solito, la caduta a terra che è molto difficile da evitare.
Dapprima si assiste alla fase tonica (15-20 secondi), in cui il corpo, dopo una serie di contrazioni muscolari generalizzate e simmetriche, si irrigidisce in estensione; ad essa segue la fase clonica, in cui si manifestano movimenti involontari e ritmici a carico del capo, del tronco e degli arti, con frequenza delle contrazioni che diminuisce progressivamente fino a scomparire entro 30-40 secondi. La posizione da far assumere alla persona colta da crisi convulsiva è sul fianco.
Generalmente la crisi tonico-clonica dura meno di un minuto e si interrompe spontaneamente; il paziente che riprende conoscenza può essere confuso, avere difficoltà a parlare, oppure può essere lucido e non rendersi conto di quello che è successo.
Quando ci si trova di fronte ad una persona che presenta tale tipo di crisi è opportuno attuare i seguenti accorgimenti:
Può accadere che una crisi epilettica duri più di 3-5 minuti, oppure che a un episodio ne segua un altro senza che il paziente riprenda conoscenza; in questo caso è necessario intervenire farmacologicamente:
CONSIGLI PER CHI ASSISTE IL MALATO
La malattia di Lafora non colpisce solo la persona ammalata, ma tutto il suo nucleo familiare. Il carico emotivo personale è enorme, e chi assiste il paziente ha bisogno di sviluppare un insieme di strategie per far fronte all'evoluzione della malattia. Capire le proprie emozioni può essere di aiuto nella gestione del paziente, così come può essere utile per se stessi.
Famiglia
La famiglia deve diventare la più importante fonte di aiuto. È importante accettare il supporto che può venire da altri membri del nucleo familiare, affinché il carico non pesi solo su di una persona.
Condividere i propri problemi
È necessario condividere le proprie esperienze e i propri stati d'animo con le altre persone; quando si mantiene dentro di sé tutti i problemi, può risultare più difficile assistere la persona. La condivisione con altri che vivono gli stessi problemi può aiutare a percepire come normali e naturali le proprie reazioni. È utile accettare gli aiuti esterni, anche se si avverte la preoccupazione di creare ad altri dei problemi o difficoltà, cercando di organizzarsi in anticipo per poter avere chi possa
sostituire la persona che assiste in caso di emergenza.
Mantenere del tempo per sé
È essenziale conservare del tempo per sé. Questo, a sua volta, permetterà di mantenere vivi i propri contatti sociali, di portare avanti i propri interessi e soprattutto di provare anche piacere nella propria vita.
Considerare i propri limiti
È necessario non chiedere troppo a se stessi. La maggior parte delle persone capisce quali sono i propri limiti solo quando il carico dell'assistenza sta per sopraffarli. Se la situazione è prossima a diventare tale, occorre intervenire chiedendo un adeguato aiuto per prevenire che ciò accada ed evitare una possibile situazione di crisi. Non incolparsi o non biasimare il paziente per i problemi che sorgono. Occorre ricordare che la causa di tutto ciò è rappresentata dalla malattia.
Occorre avere in mente che le relazioni interpersonali sono fonte di supporto per chi assiste, e possono essere utili anche per la persona ammalata.
Ricordare a se stessi che si è importanti
È utile ricordare a se stessi che si è importanti, e che lo si è anche per il paziente. Senza la propria assistenza il malato sarebbe perduto. Questa è un'altra ragione per cui è essenziale prendersi cura di
se stessi.
Ricercare e accettare aiuto e consigli
Imparare ad accettare un aiuto può rappresentare per alcune persone una novità. Tuttavia, anche se familiari, amici o vicini possono voler fornire un aiuto, possono non sapere che cosa è in realtà utile o ben accetto. Una parola, un suggerimento, un'indicazione possono consentire loro di essere e di sentirsi utili; inoltre ciò sarà di aiuto per la persona ammalata e fornirà un insperato sollievo nello
svolgimento dei compiti assistenziali.
Un gruppo di auto-aiuto può essere di supporto e rappresentare un momento di condivisione di problemi e soluzioni e un'occasione per un reciproco supporto.
Inoltre, è importante conoscere le sedi ove è possibile ottenere aiuto dal punto di vista medico, organizzativo, personale, presenti nel territorio in cui si risiede. Il proprio medico, infermiere o assistente sociale possono identificare e indirizzare verso le risorse necessarie.
COME AFFRONTARE I CAMBIAMENTI DERIVANTI DALLA MALATTIA
Socialità
Sopraggiungendo una disabilità mentale e cognitiva è necessario tenere conto che per le persone con queste problematiche è necessario il contatto con gli altri. Mantenere quindi i rapporti con gli amici diventa di fondamentale importanza. Molte persone tendono a isolarsi e a rimanere confinati in casa; il rischio è quindi di perdere i propri contatti sociali e le relazioni interpersonali. Questo isolamento, a sua volta, peggiora la situazione e rende ancora più gravosa l'assistenza alla persona ammalata. Occorre pertanto considerare il mantenere una vita sociale e delle amicizie come una
vera e propria priorità.
Nelle prime fasi della malattia, dove l’autonomia personale può essere ancora preservata ma potrebbe iniziare ad essere alterata la capacità critica della persona, è bene tenere sotto controllo le relazioni sociali per evitare che persone malintenzionate possano approfittare dei limiti della persona.
Comunicazione
Il deterioramento cognitivo della persona non deve però indurre a parlare con un linguaggio infantile, spesso il paziente capisce molto più di quanto si supponga.
Il rapporto con la persona affetta da malattia di Lafora richiede spesso molta pazienza. Le cose vanno costantemente ripetute. Non si deve mai chiedere troppo in una volta ma bisogna procedere lentamente e gradatamente, mostrando come va eseguita un’azione che alla persona potrebbe risultare completamente nuova. E’ necessario verificare la comprensione e controllare come viene eseguita l’azione.
Non bisogna essere parchi di complimenti: ogni buona parola infonde loro fiducia in se stessi e li incita a progredire, reagiscono con estrema sensibilità alle dimostrazioni d’affetto e alla lode.
Il deterioramento cognitivo rappresenta l'esito dell’andamento progressivo della malattia.
I primi segni che la famiglia può notare sono rappresentati da difficoltà nella capacità di ricordare eventi recenti e nello svolgimento di compiti quotidiani routinari e consueti. La persona in questione può anche manifestare confusione, modificazioni della personalità e del comportamento, compromissione della capacità di giudizio, difficoltà nel trovare le parole o nel concludere un discorso.
E’ importante continuare a trattare la persona come si è sempre fatto anche se sono mutate le sue condizioni.
L'assistenza può essere talvolta molto difficile; tuttavia, vi sono diversi accorgimenti utili per far meglio fronte alla situazione.
Stabilire una routine e mantenere uno standard di normalità
Lo stabilire una routine, nella vita dell'ammalato, può diminuire il numero di decisioni da prendere e contribuire a mantenere un ordine e una struttura nella sua vita quotidiana, che sarebbe altrimenti confusa.
Sostenere l'autonomia del paziente
È necessario che la persona rimanga indipendente il maggior tempo possibile per preservare la sua autostima.
La malattia di Lafora è una malattia invalidante che va a compromettere l’autonomia della persona.
Un obiettivo che ci si deve comunque porre è quello di mantenere il più possibile l’autonomia personale utilizzando presidi o accorgimenti che possano supportare o agevolare il soggetto nello svolgimento delle attività quotidiane.
Aiutare la persona a conservare la propria dignità
Occorre tenere in mente che il paziente assistito è ancora un individuo che sperimenta emozioni e sentimenti; pertanto ciò che viene detto può avere, per lui, un effetto disturbante. Occorre evitare
discussioni circa le condizioni del paziente in sua presenza.
Preservare l’autostima
All’esordio della malattia con il graduale deterioramento e la perdita di alcune capacità diventa importante aiutare la persona ad imparare a tollerare le frustrazioni derivanti dalla nuova condizione. Vanno quindi sostenute le capacità residue, facendo spesso complimenti e potenziando gli aspetti positivi cercando di limitare commenti o di sottolineare gli insuccessi.
Evitare scontri
Qualsiasi tipo di conflitto causa uno stress inutile sia alla persona che assiste sia al malato. Occorre evitare di far notare gli insuccessi, cercando di mantenere una calma compostezza. L'indisporsi può solo peggiorare la situazione:
occorre infatti ricordare che quanto accade dipende dalla malattia, e non dal paziente.
Stabilire compiti semplici
È utile proporre compiti semplici; non bisogna porlo di fronte a troppe scelte.
Mantenere il senso dell'umorismo
Ridere con la persona con deterioramento cognitivo, ma non di lui. L'umorismo può essere un ottimo modo per trarre sollievo da situazioni stressanti.
Fare attenzione alle norme di sicurezza
La perdita della coordinazione fisica accresce la possibilità di incidenti; pertanto occorre rendere l'abitazione in cui vive il malato la più sicura possibile.
E’ possibile ad esempio utilizzare copri-spigoli, paracolpi intorno al letto, rimuovere tappeti o arredi che possano diventare un’ ostacolo.
Incoraggiare il mantenimento di una buona forma fisica
In molti casi, questo atteggiamento può aiutare la persona a conservare le proprie abilità fisiche e mentali più a lungo. Il livello di esercizio più appropriato dipende dalle condizioni individuali.
È opportuno consultare il proprio medico per avere indicazioni più specifiche.
Aiutare il paziente a fare il migliore uso delle abilità residue
Lo svolgimento di alcune attività pianificate può rafforzare e promuovere un senso di dignità e di valore personale, dando uno scopo e un significato alla vita.
Occorre ricordare, tuttavia, che le abilità possono cambiare nel corso del tempo; ciò richiederà un'attenzione e una flessibilità particolari nella pianificazione delle attività.
Mantenere aperta la comunicazione
Con l'avanzare della malattia, la comunicazione con il malato può diventare più difficile. Può essere d'aiuto per chi assiste il paziente:
* parlare chiaramente, lentamente, viso a viso, e guardando la persona negli occhi;
* mostrare affetto e calore attraverso il contatto fisico, se questo è gradito dalla persona;
* prestare attenzione al linguaggio del corpo: la persona le cui capacità di linguaggio verbale sono compromesse può comunicare attraverso messaggi non-verbali;
* essere consapevoli del proprio linguaggio corporeo;
* individuare quale combinazione di parole-chiave (parole facili da ricordare che ne possono suggerire altre), suggerimenti e spiegazioni è necessaria per poter comunicare efficacemente con la persona ammalata;
* assicurarsi che il paziente sia attento prima di rivolgergli la parola.
ALCUNI CONSIGLI PRATICI PER FAVORIRE LO SVOLGIMENTO DELLE VARIE ATTIVITA’ DI VITA QUOTIDIANE
Igiene personale
Il paziente può dimenticare di lavarsi o, più avanti, non rendersi conto di questa necessità, o può avere dimenticato quello che deve fare o avere difficoltà a svolgere le azioni necessarie. In questa situazione, è importante rispettare la dignità della persona quando gli si offre aiuto.
Suggerimenti:
* mantenere nel campo dell'igiene personale, per quanto possibile, le precedenti abitudini;
* tentare di rendere il "bagno" una situazione rilassante e piacevole;
* permettere al paziente di fare da solo, per quanto possibile;
* se la persona appare imbarazzata, tenere alcune parti del corpo coperte, mentre la si aiuta a fare il bagno;
* fare attenzione alle norme di sicurezza; può essere utile impiegare punti di appoggio ben fissati (come delle sbarre) alle quali potersi afferrare, superfici antiscivolamento, o girelli;
* Per l’igiene personale si suggerisce l’utilizzo di spugne (con impugnatura anatomica o guanto), spazzolini elettrici, spazzole per capelli con impugnatura anatomica.
* Non utilizzare forbici, lamette o altri oggetti taglienti ma preferire limette e rasoi elettrici.
* In fase avanzata della malattia potrebbe essere necessario effettuare l’igiene completa a letto. Nel caso prestare particolare attenzione ai prodotti utilizzati (manopole morbide, creme idratanti e/o protettive) come prevenzione delle lesioni cutanee.
Abbigliamento
Il paziente può dimenticare come si fa a vestirsi e può non riconoscere la necessità di cambiare i propri indumenti. Può inoltre avere difficoltà a indossare alcuni indumenti.
Suggerimenti:
* evitare vestiti con chiusure complicate e utilizzare un abbigliamento comodo (esempio senza troppi lacci, cinture, bottoni..);
* incoraggiare l'indipendenza del soggetto nel vestirsi da solo il più a lungo possibile;
* far ripetere le azioni più volte, se necessario;
* utilizzare scarpe e ciabatte con suole non scivolose.
Servizi igienici e incontinenza
La persona può perdere la capacità di riconoscere il bisogno di andare alla toilette, dimenticare dove questa si trova o che cosa fare una volta che vi è giunto.
Suggerimenti:
* lasciare la porta della stanza da bagno aperta, in modo che per la persona sia più facile ritrovarla;
* utilizzare per il paziente abiti che si possano togliere rapidamente;
* limitare le bevande prima che la persona si corichi alla sera;
* lasciare una comoda accanto al letto;
Alimentazione
I pazienti spesso dimenticano se hanno mangiato, o come usare le posate. Nelle ultime fasi della malattia il paziente può aver bisogno di essere imboccato. Possono poi insorgere altri problemi fisici, come difficoltà nella masticazione e nella deglutizione.
A chi sceglie di utilizzare la dieta chetogenica, come modalità terapeutica della malattia di Lafora, è necessario evidenziare che va seguita a lungo, stravolge le abitudini alimentari del soggetto e la sua gestione coinvolge l'intero nucleo famigliare.
Diventa inoltre importante poter e saper variare, in base alle indicazioni fornite dall’equipe nutrizionistica, le combinazioni di alimenti consentiti dalla dieta per avere la massima compliance del paziente.
Suggerimenti:
* utilizzare posate in materiale e con forma non pericolosi (esempio: punte arrotondate)
* far impiegare le dita per mangiare; questa procedura può facilitare il compito al paziente e può non risultare particolarmente sconveniente;
* preferire bicchieri di plastica con impugnatura e tappo salvagoccia e piatti in materiale anti urto per evitare che l’accidentale caduta di tali stoviglie rappresenti una situazione pericolosa o semplicemente frustrante
* tagliare il cibo in piccoli pezzi, per prevenire episodi di soffocamento. Nelle ultime fasi della malattia può essere necessario triturare il cibo o utilizzare alimenti semi-solidi o liquidi;
* ricordare al paziente di mangiare lentamente e di introdurre piccole quantità per evitare la sensazione di soffocamento
* essere consapevoli del fatto che la persona può non essere più in grado di avvertire la temperatura (calda o fredda) degli alimenti o semplicemente non essere in grado di comunicarlo mentre è imboccata, e può scottarsi la bocca quando assume cibi o bevande calde;
* controllare sempre la temperatura dei cibi o bevande calde
* servire una porzione di cibo alla volta
* per far sedere a tavola la persona preferire una sedia adeguata con braccioli e schienale
* quando il paziente ha difficoltà a deglutire, consultare il proprio medico affinché egli suggerisca delle tecniche volte a facilitare questa funzione;
Nei soggetti in cui la progressione della malattia interessa la funzione della deglutizione potrebbe essere necessario ricorrere a presidi quali il SNG o la PEG
CONSIGLI PRATICI PER L’ASSUNZIONE DELLA TERAPIA
All’insorgere di problematiche di deglutizione rispetto all’assunzione della terapia potrebbe diventare necessario:
Mobilizzazione
Inizialmente l’autonomia in tale attività di vita può essere preservata per cui è necessario solo adottare alcuni degli accorgimenti per rendere sicuro l’ ambiente.
La presenza di mioclonie sempre più importanti e dell’atassia possono rendere difficoltosa la deambulazione e quindi potrebbe essere necessario inizialmente avere il sostegno di una persona che aiuti negli spostamenti il paziente mentre in fase avanzata della malattia può diventare indispensabile l’utilizzo di carrozzina adeguata.
Fotosensibilità
Risulta importante tener conto di questo aspetto per attuare alcuni accorgimenti che possano ridurre il rischio di crisi.
Guardare la televisione è uno dei più comuni stimoli che possono indurre una crisi per chi soffre di un’epilessia fotosensibile, diventa quindi importante sedersi lontano dal teleschermo quando si guarda la televisione per ridurre il rischio di crisi.
Suggerimenti:
* Se possibile, scegliere un tipo di schermo del televisore è preferibile scegliere uno schermo LCD (liquid crystal display).
* guardare la TV in una stanza bene illuminata
* mettere una piccola lampada sopra o comunque vicino al televisore
* non sedersi troppo vicino al televisore, mantenendo una distanza minima di almeno 2,5 mt
* usare il telecomando a una distanza di sicurezza per cambiare i canali televisivi se ci si deve avvicinare al televisore, coprire un occhio con il palmo della mano. Questo accorgimento riduce il numero di cellule del cervello stimolate dalla luminosità dello schermo
Anche l’utilizzo del computer può aumentare il rischio di crisi soprattutto se le immagini contengono flash, luminosità intermittenti o immagini ripetitive o con contrasto alto.
I videogames possono aumentare il rischio di scatenare delle crisi se si ha un’epilessia fotosensibile. Ci sono degli accorgimenti da adottare per minimizzare il rischio:
* prima di giocare controllare che per quel videogame non ci siano avvertenze particolari. In alcuni giochi ci sono delle avvertenze sulla confezione, in altri all’interno delle istruzioni di gioco.
* evitare di giocare quando si è stanchi poiché la stanchezza e/o la privazione di sonno possono aumentare il rischio di crisi
* fare pause frequentemente
* giocare lontano dai pasti
* giocare ai videogames in una stanza ben illuminata
* stare il più lontano possibile dal monitor del gioco
* se possibile, usare schermo LCD ricordandosi di ridurre la luminosità e il contrasto.
* per alcuni soggetti può essere utile coprire un occhio, utilizzando ad esempio una benda oculare, mentre si gioca per ridurre l’effetto stimolo dello schermo.
In presenza di sintomatologia quale vertigini, visione offuscata, perdita di coscienza o spasmi muscolari interrompere immediatamente il gioco.
Fissare a lungo alcuni disegni/immagini con un contrasto alto possono aumentare il rischio di crisi ad esempio le strisce bianco e nere, alcuni materiali o tappezzerie particolarmente ricche di disegni , la luce del sole attraverso le persiane o i rami degli alberi…
Utilizzare occhiali da sole può minimizzare il rischio di scatenare crisi causate dalla luce solare.
In presenza di luci intermittenti proteggere gli occhi con la mano e allontanarsi dalla fonte di luce.
Insonnia
Il paziente talvolta può essere agitato durante la notte: questo può rappresentare il problema più acuto per chi assiste questi pazienti.
Suggerimenti:
* scoraggiare il sonno durante il giorno;
* mettere, per quanto possibile, il paziente a suo agio al momento di andare a letto.
Allucinazioni
Se il paziente manifesta allucinazioni
Suggerimenti:
* non discutere circa la veridicità delle esperienze visive o uditive riferite dal paziente;
* quando la persona è spaventata, tentare di rassicurarla; una voce calma o il contatto di una mano possono servire a tal fine;
* distrarre il paziente richiamando la sua attenzione su un oggetto reale che si trova nella camera;
TESTIMONIANZA
“PERCHE’ E’ CAPITATO A ME…?”
La difficoltà maggiore è senza dubbio accettare la malattia, sapere di essere legati ad un percorso di vita che difficilmente potrà essere modificato. Spesso mi sono chiesto il “perché”, cosa abbiamo fatto di così grave, noi, i ragazzi e tutti coloro che gravitano intorno alla nostra famiglia e ai nostri affetti, da dover scontare in questo modo questa condanna. La prima risposta che viene in mente è: perché è una lotteria, perché c’è chi nasce con i capelli rossi e chi con gli occhi verdi…chi con la Lafora. Poi tornando a riflettere capisco che non è così; essere umani, vivi, è essere anche portatori “sani” (il termine forse andrebbe rivisto) di almeno una dozzina di malattie rare, e nel giro delle combinazioni può succedere che due portatori “sani” di malattia di Lafora si incontrino, si amino, decidano di mettere su famiglia ed abbiano dei figli. Ma nonostante ciò la ragione difficilmente prende il sopravvento sul mio “perché”, anche se mi dico che forse non siamo venuti al mondo solo per essere felici e che non tocca sempre e solo agli altri… ai bambini denutriti con la pancia gonfia, alle vittime della guerra, del terrorismo, della dissenteria, dei viaggi della speranza, e mille altre vittime di non meno importanti “perché è capitato a me?”. Quello che stiamo passando noi lo stanno vivendo anche molti altri, magari in ragione maggiore della nostra, non dobbiamo sentirci vittime. Ecco allora che dopo il “perché” ci deve essere qualcos’altro, penso che siamo nati in un paese ricco, qui è possibile lottare contro la malattia, qui abbiamo medici, laboratori, sostegno, ricerca che ci possono aiutare, qui possiamo e dobbiamo sperare, in fondo un po’ di fortuna è toccata anche a noi. Penso ancora, scacciando il mio “perché”, che non dobbiamo dolerci nel pensare al futuro incerto e lontano, ma rallegrarci di saper sfruttare al massimo i buoni momenti che i figli ci dedicano al grido di “Viva la vita sempre, viva il giorno per giorno”. Per queste riflessioni che mi hanno aiutato e mi aiutano tutt’ora a convivere con la malattia di Lafora devo ringraziare le persone che ho incontrato lungo il cammino, che mi hanno sostenuto come hanno saputo e potuto fare, chi con un articolo scientifico, chi con una buona e saggia parola, chi con una pagina web o una breve telefonata. Grazie a tutti e grazie a te Maria, e Vincenzo.
GLOSSARIO
ALLUCINAZIONE: sensazione o percezione senza oggetto. L’allucinazione può essere “semplice” (scintillio luminoso, brusio, ..) o complessa (scena come al cinema, musica, ..)
ATASSIA: (dal greco ataxiā, disordine) è un disturbo consistente nella progressiva perdita della coordinazione muscolare che quindi rende difficoltoso eseguire i movimenti volontari.
AUTOMATISMO: azioni psicomotorie involontarie compiute durante la crisi. Possono essere semplici (esempio: movimenti di masticazione, suzione, deglutizione) o complesse (atto di vestirsi o svestirsi, deambulazione, talora fuga)
AUTOSOMICA RECESSIVA: detto di patologia che si esprime solo quando l'alterazione del DNA è presente in entrambi gli elementi di una coppia di cromosomi. E' cioè necessario che vi siano due copie del gene affetto perché la malattia si manifesti.
CRISI ATONICA: improvvisa perdita del controllo del tono muscolare che può causare la caduta a terra
CLONIA: La maggior parte di noi ha sperimentato uno scatto improvviso in fase di addormentamento. Anche se questa contrazione muscolare improvvisa non è epilessia, è simile a quella sperimentata da chi ha crisi miocloniche.
MIOCLONIA: può essere definita come una contrazione brusca, rapida, aritmica ed involontaria di una porzione di muscolo (mioclonia parcellare), di un intero muscolo o di un gruppo di muscoli.
Le scosse possono essere simmetriche, ripetitive, ad intervalli regolari o irregolari. Esse compaiono a riposo o durante l’attività volontaria e possono essere sollecitate da stimoli emotivi, cognitivi, tattili, acustici o visivi.
Gli spasmi mioclonici possono manifestarsi anche come una breve assenza di contrazione. Le contrazioni sono chiamate mioclono positivo, i rilassamenti o perdita di tono mioclono negativo.
CLONO: è costituito da una contrazione ripetitiva di un muscolo il cui tendine viene mantenuto in tensione. Esso è quasi sempre espressione di abnorme vivacità dei riflessi.
CRISI MIOCLONICA: brevi e forti contrazioni improvvise che possono colpire tutta o solo una parte del corpo. La contrazione muscolare potrebbe essere così intensa da far cadere la persona.Le crisi miocloniche possono interessare tutto il corpo, ma solitamente si localizzano a uno o entrambi gli arti, al cingolo e qualche volta al capo. Talvolta la contrazione muscolare è così intensa da provocare la caduta.
Le crisi miocloniche solitamente si verificano al mattino. Le crisi sono brevi, ma possono risultare molto frustranti (esempio possono causare il rovesciamento di bevande o simili incidenti)
DISARTRIA: tale termine indica i disturbi dell’emissione vocale delle parole dovuti a paralisi della muscolatura necessaria per l’articolazione , oppure a cattiva coordinazione dei movimenti, oppure a disturbi di tipo extrapiramidale.
FOTOSENSIBILITA’: La Fotosensibilità è una risposta anomala del cervello in reazione alla Stimolazione Luminosa Intermittente (SLI) o ad uno stimolo luminoso di varia natura, che si manifesta o solo come alterazione dell’EEG o anche con una crisi clinicamente riconoscibile.
La fotosensibilità si ritrova spesso nei pazienti affetti da forme di Epilessia Generalizzata ma può essere osservata anche in individui sani.
FARMACO RESISTENZA: Le epilessie sono malattie neurologiche caratterizzate dal ripetersi di episodi (crisi) riconducibili ad una scarica eccessiva di gruppi di cellule nel sistema nervoso centrale.
Nelle epilessie, questi episodi si accompagnano spesso ad alterazioni della coscienza, movimenti involontari e, talora, convulsioni.
In circa il 30-40% delle persone affette da epilessie si osserva uno scarso controllo delle crisi nonostante l’assunzione di uno o più farmaci alle dosi massime tollerate, dando luogo ad un fenomeno denominato “farmacoresistenza”.
Tale fenomeno è probabilmente legato alle molteplici cause della malattia ed alla possibile presenza di lesioni o anomalie a carico del sistema nervoso centrale. E’ inoltre possibile che anche fattori genetici contribuiscano a determinare la farmacoresistenza, alterando la distribuzione dei farmaci nel cervello o modificando le strutture nervose (soprattutto quelle con funzione di recettori) sulle quali i farmaci stessi agiscono.
SCOTOMA: riduzione del campo visivo (per cui la vista risulta cancellata in alcune aree).Vengono distinti, secondo la loro natura, in scotomi positivi, che si proiettano come macchie scure o colorate sopra gli oggetti fissati, e scotomi negativi, caratterizzati dall’assenza della visione in corrispondenza della loro proiezione nello spazio. In rapporto alla loro entità, si parla di scotomi assoluti, quando ogni percezione visiva è perduta, e di scotomi relativi, se la percezione è perduta solo per i colori (o per alcuni colori), mentre il bianco è percepito. In particolare, lo scotoma scintillante, della durata di alcuni minuti, consiste nella comparsa nel campo visivo di una particolare sensazione luminosa che assume quasi sempre l’aspetto di un arco di cerchio fiammeggiante, formato dalla connessione di varie linee spezzate.
SNG (sondino nasogastrico) catetere in gomma o in silicone che viene introdotto attraverso le vie nasali fino a raggiungere lo stomaco. Si utilizza per l'alimentazione enterale.
Fonte: http://www.lafora.it/Guida%20malattia%20di%20Lafora-doc.doc
Sito web da visitare: http://www.lafora.it
Autore del testo: A cura della
ASSOCIAZIONE ITALIANA LAFORA
Testo redatto da:
Simona Stefania Lunghi
infermiera professionale
NPI - Istituto Neurologico “C. Mondino” Pavia
Pavica Nisandzic
infermiera pediatrica
NPI - Istituto Neurologico “C. Mondino” Pavia
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