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L’ipotalamo
è un’importante formazione che può dar luogo a processi di integrazione.
Nell’ipotalamo anteriore esiste un centro termolitico, cioè un gruppo di neuroni sensibili ad aumenti di temperatura di 1-2° C e capaci di reagire a questi aumenti con l’attivazione dei meccanismi di attivazione termica. Lesioni a livello dell’ipotalamo anteriore determinano ipertermia.
Nell’ipotalamo posteriore e laterale esiste un centro termogenetico, costituito da neuroni che risentono della diminuzione della temperatura ambiente reagendo con l’attivazione di meccanismi conservativi e produttivi del calore, che si oppongono alla diminuzione della temperatura corporea. Si ritiene che l’attività di questo centro, che agirebbe modificando l’attività muscolare (aumentando cioè il tono muscolare e provocando il brivido) sia stimolata non soltanto dall’abbassamento della temperatura del sangue che lo irrora, ma anche, e soprattutto, con meccanismo riflesso, da impulsi che partono dai termorecettori cutanei del freddo. Quest’ultimo meccanismo è importante in quanto stimolerebbe l’attività del centro della termogenesi e la produzione di calore, prevenendo un abbassamento della temperatura centrale. Al di sotto di 34°C di temperatura corporea, le funzioni vitali sono compromesse e sotto 30°C l’attività dei centri ipotalamici è praticamente soppressa e l’individuo si comporta come un peciloterma.
In determinate circostanze il controllo ipotalamico della temperatura corporea risulta spostato a livello più alto: ciò in particolare si osserva nella febbre dovuta il più delle volte alla liberazione di tossine che agiscono sui centri termoregolatori dell’ipotalamo attraverso fattori “pirogeni” dei leucociti circolanti.
Nella parete laterale e preottica dell’ipotalamo, sono localizzati i recettori che inducono una reidratazione volontaria tramite il meccanismo comportamentale della sete. Il comportamento dipsico è influenzato anche da stimoli esterni che “misurano” gli apporti idrici e minerali, senza bisogno dei recettori interni, provocando un’informazione nervosa innata (a livello dei centri integratori ipotalamici) e una acquisita (apprendimento).
Elaborazione delle Risposte
1.1. neurotrasmettitori ad azione periferica:
collegati rispettivamente all’attività del sistema nervoso autonomo simpatico (o ortosimpatico) e parasimpatico sono entrambi legati allo stile di vita. La loro azione si manifesta sulla muscolatura liscia innervata dal simpatico e parasimpatico provocando la contrazione e la distensione dell’organo.
La noradrenalina o norepinefrina (NE) e l’adrenalina vengono prodotti dal nostro organismo in risposta a momenti di particolare tensione che richiedono un'attenzione massima sia fisica che mentale. In realtà essi sono normalmente presenti nel nostro sangue, ma è proprio quando dal cervello arrivano segnali di 'allerta' che il loro livello sale notevolmente. Pertanto la loro produzione è aumentata anche in funzione dello stile di vita (lavoro fisico, attività sportiva, stress, fumo, uso di caffè ecc): stimolano il cervello, regolano diverse funzioni cognitive come la memoria, la vigilanza, l’apprendimento, l’attenzione ed agiscono sulla carica energetica, aumentano la motivazione e l’iniziativa: soprattutto, senza noradrenalina nel cervello ci si sente sempre stanchi.
L’acetilcolina può svolgere funzioni oltre che sul sistema nervoso periferico (parasimpatico) anche sul sistema nervoso centrale, p.e. la liberazione dell’ormone antidiuretico (ADH) e degli ormoni follicolo stimolanti e luteinizzanti. A livello del sistema nervoso periferico la sua azione si estrinseca nella sinapsi attivando la comunicazione tra neuroni o tra neurone e cellula muscolare (pertanto è coinvolta nella trasmissione muscolare). La sua azione può essere bloccata dal curaro.
1.2. neurotrasmettitori ad azione centrale:
La loro produzione è un chiaro esempio di “relazioni tra produttori di neurotrasmettitori e fattori ambientali”. La produzione di noradrenalina è in relazione allo stile di vita (lavoro fisico, stress, fumo, caffè ecc) mentre la produzione di dopamina e serotonina è condizionata dalla presenza nella dieta di maggiori o minori quantità degli aminoacidi precursori (tirosina per la dopamina, e triptofano per la serotonina). La tirosina è un amminoacido non essenziale che si trova nei cereali (frumento, farro, miglio), nelle verdure a foglia larga (spinaci e lattuga), nelle aringhe, avocado, banane, fagioli, formaggio, latte non scremato, yogurt, mandorle, nocciole, semi di zucca, uova, dolci (merendine confezionate ripiene di marmellata, crema di nocciole e cacao). Può essere utile in condizioni di stress, affaticamento, freddo, lavoro prolungato, può essere utile nella cura della depressione, per aumentare la capacità di memoria e la prontezza mentale, e quindi per le prestazioni intellettuali e fisiche. La carenza di questo aminoacido è causa di carenza proteica totale. Nell’uomo il triptofano è uno degli amminoacidi essenziali, cioè va assunto tramite l'alimentazione, dato che l'organismo umano non è in grado di sintetizzarlo. È contenuto nella banane, nella carne, datteri, latte, latticini, arachidi, pesce, tacchino, cioccolato, avena, riso. Può essere considerato un antidepressivo e ansiolitico, induttore del sonno (in quanto precursore della serotonina) e quindi regolatore dell’umore, del sonno e dell’appetito e i suoi livelli si alzano o si abbassano in risposta allo stress, alla paura e ai cambi di umore. È in grado di attenuare il dolore cronico e può essere utilizzato nel trattamento dei comportamenti violenti, maniaci, compulsivi ed ossessivi legati a nevrosi. La sua carenza è causa di carenza proteica totale (rara nei Paesi a alto ISU).
2.1. ormoni steroidi (cortisolo, colesterolo, ormoni sessuali, aldosterone)
2.2. ormoni trofici (ormone tireotropo, TSH, adrenocorticotropo, ACTH, follicolo-stimolante, FSH, e ormone luteinizzante, LH): agiscono su altre ghiandole endocrine e determinano sintesi proteiche e sono indispensabili per lo sviluppo del neonato o l’accrescimento dell’individuo e dei suoi organi.
2.3. ormoni metabolici (insulina, glucagone, vasopressina): integrano le funzioni chimiche e fisiologiche per mantenere certe costanti dell’ambiente interno, per assicurare l’equilibrio metabolico e adattare l’organismo ai cambiamenti che si verificano nell’ambiente.
2.4. ormoni polipeptidici (ormoni dell’ipotalamo e dell’ipofisi)
ESEMPI DI INDICATORE DI VARIABILITA’ FISIOLOGICA
(si tratta di “caratteri”funzionali che presentano una grande complessità di valutazione in quanto, oltre ad avere una base genetica complessa, sono espressione delle differenti strategie adattative messe in atto dall’organismo in condizioni ambientali molto diverse, con la finalità di rendere ottimale il sistema di adattamento all’ambiente, e con i possibili riflessi di tali strategie su altri aspetti della biologia, ma anche della cultura, e quindi sull’intero processo evolutivo della popolazione.
La maturità sessuale
La maturità sessuale viene raggiunta alla fine della pubertà e coincide con la maturazione degli organi sessuali e quindi con la capacità dell’organismo di procreare. La pubertà è la fine dell’adattamento alla vita extrauterina e l’inizio del periodo di completa maturazione che porta la donna e l’uomo alla capacità di procreare. Tale processo ha inizio nelle ragazze tra i 9 e i 12 anni, mentre nei maschi tra i 10 e i 13. La comparsa del menarca nella femmina indica che lo sviluppo dell’utero ha raggiunto lo stadio definitivo e che l’organo si trova in uno stato di completa maturità. Prima della pubertà si cresce 4-5 cm l’anno, successivamente con la maturazione sessuale si ha un aumento spiccato della velocità di crescita. Le femmine hanno uno scatto di crescita anticipato rispetto ai maschi e quando inizia è veramente molto rapido. Nei tre anni centrali dell’evoluzione puberale la statura aumenta di circa 20 cm nella femmina e di 26 cm nel maschio. La pubertà inizia quando si ha un’attività “a cascata” dell’asse endocrinologico ipotalamo-ipofisi-gonadi. Il motivo preciso dell’inizio di tale attività ipotalamica, il “disruptor”, è sconosciuto. L’ipotalamo è influenzato da numerosi fattori psicologici e ambientali, stimoli olfattivi, visivi e chimici. Esiste una connessione neuronale dalla retina all’ipotalamo (tramite la produzione della proteina melanopsina), che regola l’attività ipotalamica in conseguenza delle variazioni giornaliere della quantità di luce. La quantità di luce agisce bloccando la secrezione di melatonina, e questa diminuzione annulla il tono inibitorio esercitato dalla stessa sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. Infatti la melatonina è la sostanza antagonista degli ormoni gonadotropi ipofisari, ed elevati quantitativi di melatonina nell'individuo in età prepuberale ne impediscono la maturazione sessuale tanto che all'inizio della pubertà i livelli di melatonina decrescono notevolmente.
La melatonina è una molecola naturale (secondo alcuni si tratta di un ormone ma questo non è corretto perché è secreta anche da altri organi, ipofisi, tiroide) secreta dalla ghiandola pineale o epifisi, posta alla base del cervello. La sua produzione inizia verso sera, raggiunge il massimo verso le 2-4 della notte e verso la mattina scende a valori minimi che conserva per tutto il giorno. Quando la retina non è più colpita dalla luce, l’epifisi è stimolata a produrre melatonina. La produzione di melatonina decresce anche con l’avanzare dell’età, tanto che una sua carenza è segnale di invecchiamento. È una sostanza derivata dalla serotonina (e quindi dal triptofano), contenuto naturalmente soprattutto nelle banane. Inizialmente proposta come sostanza antinvecchiamento, poi come sostanza antitumorale (cura Di Bella), è ormai assodato il suo ruolo nella normalizzazione del sonno (e quindi il suo impiego per evitare i fastidi del jet-lag). Proprio in questo campo se ne fa largo uso, soprattutto in casi di insonnia non grave o in soggetti anziani (nei quali non presenta controindicazioni). Per quanto riguarda i suoi “poteri antinvecchiamento” la melatonina riduce i radicali liberi meglio di altri antiossidanti. Ha un potere doppio rispetto alla vitamina E e cinque volte superiore al glutatione; particolarità importante è che essendo solubile in acqua e nei grassi può agire contro i radicali liberi in ogni ambiente (la vitamina C non è solubile nei grassi e la E in acqua). Inoltre stimola il sistema immunitario, ma, se presa per lunghi periodi, ha effetto depressivo e sembrerebbe anche causare infertilità. Favoriscono la produzione di melatonina la vitamina B6 e quella B3, mentre la deprimono l’alcol, il fumo, i tranquillanti, la caffeina, la vitamina B12, l’ibuprofene (antiinfiammatorio) e altri farmaci.
Quale sia il fattore responsabile dell’inizio della maturazione sessuale non è ancora del tutto chiaro, anche se ormai sembra accertato che fattori genetici e ambientali svolgano un ruolo di grande importanza. La crescita e la maturazione sessuale sono state studiate in correlazione con le caratteristiche climatiche, l’altitudine, gli stimoli luminosi, l’alimentazione, lo stress psicosociale, con le condizioni socio-economiche, con la numerosità della famiglia (carenza affettiva), con la disoccupazione del padre, con il lavoro minorile. È stata studiata l’influenza dell’urbanizzazione, e dimostrato che le ragazze di città maturano prima di quelle delle zone rurali: le spiegazioni di questo fanno riferimento all’illuminazione più continua garantita dalla luce artificiale, oppure ad una maggiore stimolazione psicosessuale. Una generica riduzione delle malattie, un aumento della stimolazione psicosessuale nella vita moderna nelle grandi città, la migliore alimentazione, il più elevato livello socio-economico-culturale, un aumento della temperatura media del clima sono ritenuti fattori acceleranti dello sviluppo puberale, mentre gli stress psicosociali, le guerre, i deficit alimentari, le malattie, la vita in ambiente rurale e l’eccesso di lavoro fisico avrebbero l’effetto opposto. La precocità dello sviluppo puberale comporta una riduzione del tempo a disposizione per la crescita staturale, che sarà tanto più marcata quanto più precoce è la pubertà, con conseguenze sulla statura definitiva. Inoltre si producono problemi di tipo psicologico con disturbi comportamentali derivanti dall’avere un’immagine differente dai coetanei, in assenza di un adeguato sviluppo emozionale e cognitivo. Alcuni ragazzi possono essere anche avvantaggiati dalla loro precocità, ma altri, e soprattutto le femmine, provano imbarazzo per la maturazione precoce del loro corpo. Il fenomeno dell’anticipo puberale è in costante aumento e questo ha preoccupanti ripercussioni sociali, fisiche e psicologiche. In particolare il bambino si vede ridurre il suo tempo di infanzia necessario per la maturazione psiconeurobiologica idonea alla vita adulta. Per secular trend della statura si intende il processo per cui la statura in media è andata aumentando di 1-2 cm ogni decennio (10 cm in un secolo) dapprima (all’inizio del secolo scorso) nei Paesi ad alto ISU e successivamente in tutto il mondo, specialmente nei Paesi a basso ISU.
La funzione tiroidea
La tiroide è una ghiandola endocrina (pesa circa 25g) posta alla base del collo, davanti alla laringe, che produce gli ormoni tiroidei, sotto forma di tiroxina o tetraiodotironina (T4, tirosina + 4 atomi di iodio) e triiodiotironina (T3, tirosina + 3 atomi di iodio), quest’ultima è la forma più attiva, avendo un'affinità 10 volte maggiore per il recettore degli ormoni tiroidei. È sintetizzata nelle cellule follicolari della tiroide a partire da una grossa glicoproteina nota come tireoglobulina, accumulata nella colloide dei follicoli. T3 costituisce circa il 20% del prodotto totale della tiroide e l’80% viene mantenuto nella forma T4, pronto ad essere convertito in T3 secondo le necessità dell’organismo. L’ormone tiroideo regola numerose funzioni del metabolismo, tra cui lo sviluppo del sistema nervoso centrale e l’accrescimento corporeo e scheletrico oltre che lo sviluppo sessuale; inoltre controlla l’attività cardio-circolatoria ed è coinvolto nella termogenesi. La tiroide è soggetta a stretto controllo ormonale da parte dell’ipofisi mediante l’ormone tireotropo (TSH): quando si abbassano i livelli di ormone tiroideo, il TSH induce la tiroide a liberarne maggior quantità, quando invece l’ormone tiroideo in circolazione è troppo, l’ipofisi “mette a riposo” la ghiandola tiroidea. La corretta funzione della ghiandola tiroidea è garantita da un adeguato apporto nutrizionale di iodio. Lo iodio, sotto forma di ioduro, viene assorbito dalla tiroide e combinato chimicamente con l’aminoacido tirosina per sintetizzare l’ormone tiroideo.
Un malfunzionamento della tiroide può causare un suo aumento di volume e portare al gozzo, che consiste in un abnorme rigonfiamento del collo, che può diventare anche molto voluminoso. Il gozzo può presentarsi sia in caso di ipertiroidismo che di ipotiroidismo. La funzione della ghiandola può essere normale (gozzo eutiroideo) o alterata (gozzo iperfunzionante o ipofunzionante). L’ipertiroidismo si manifesta quando la ghiandola tiroidea funziona in eccesso rilasciando troppo ormone nell’organismo ed è la patologia endocrina maggiormente frequente dopo il diabete mellito. L’ipotiroidismo si sviluppa quando gli ormoni tiroidei sono insufficienti; in genere questo avviene quando si è sottoposti a radiazioni (radio-iodio) o in seguito a malattie metaboliche da accumulo, o in presenza di una carenza o eccesso di iodio o in seguito a lesioni dell’ipotalamo. Lo sviluppo di noduli tiroidei è solitamente un fenomeno di natura benigna, e il tumore alla tiroide è più diffuso tra le donne rispetto agli uomini e la sua incidenza aumenta con l’età.
Si hanno diversi tipi di gozzo: il gozzo endemico (esogeno, legato a particolari condizioni geografiche - per esempio alla carenza di iodio nelle acque - o ad abitudini alimentari - assunzione di verze, cavoli e rape, cipolle, noci e soprattutto manioca, solo per citare alcuni degli alimenti ad alta concentrazione di tiocomposti, perciò detti "gozzigeni"), e quello sporadico (da insufficienza funzionale tiroidea per difetto enzimatico).
Fino a tempi recenti, il gozzo adenomatoso o nodulare (a causa della struttura ghiandolare ben visibile) era largamente diffuso (endemico) tra le popolazioni di aree povere di iodio, impossibilitate ad assumere questo minerale attraverso la dieta. Nei paesi più sviluppati, tuttavia, l'introduzione di alimenti ricchi di iodio e l'aggiunta di esso nell'acqua potabile, come conseguenza di più accorte politiche di gestione della salute pubblica, hanno permesso di sradicare quasi del tutto questo problema. Risulta ancora essere endemico in nazioni economicamente depresse come l’India e diversi paesi dell' Asia centrale e dell’Africa, o nelle regioni povere distanti dal mare (da dove proviene lo iodio). Come detto, nel mondo la causa più comune di gozzo è la carenza di iodio, un elemento chimico che la tiroide usa per produrre i suoi ormoni. Circa 1,6 miliardi di persone nel mondo normalmente non assumono abbastanza iodio con la dieta (dato OMS). Anche numerosi farmaci possono essere all'origine di un gozzo, p.e. acido paraminosalicilico
Seguire una dieta alimentare mediterranea, a base di cereali (meglio se integrali), verdure, legumi, pesce, olio extravergine di oliva, frutta di stagione. Limitare l’uso della carne e dei grassi di origine animale. Evitare i cibi conservati e preconfezionati, fast food, insaccati, fritture, zucchero raffinato, alcool, caffè e tabacco. Per salare al posto del sale si possono utilizzare le Alghe Marine in fiocchi o polvere. Eliminare dalla dieta tutti i cibi gozzigeni: Cavolo, Cavolfiore, Cavolini di Bruxelles, Noci, Mandorle, Noccioline, Semi di colza e senape, Soia e tutti i suoi derivati, Mais dolce, Miglio, Tapioca. Le alghe brune naturalmente ricche in Iodio dovrebbero essere introdotte nella dieta quotidiana.
La manioca: (Manihot esculenta) o cassava è invece un esempio di alimento contenente sostanze gozzigene, cioè in grado di bloccare l'assorbimento di iodio (v. capitolo).
Iodio
Lo iodio è un micronutriente troppo spesso sottovalutato. In Italia sono cinque milioni i soggetti che hanno problemi di gozzo, cioè presentano un ingrossamento della tiroide (nell'Italia meridionale il 25% dei ragazzi delle scuole dell'obbligo). La cartina sottostante rappresenta invece la situazione mondiale. La causa è principalmente il deficit di iodio ambientale che determina una scarsa produzione di ormoni tiroidei a cui l'organismo tenta di porre riparo con una superstimolazione della tiroide. È quindi il caso di conoscere da vicino questo elemento.
Ingrossamento della tiroide - Situazione mondiale |
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Lo iodio è un elemento chimico di simbolo I, numero atomico 53, punto di fusione 113,5 °C, punto di ebollizione 184,35 °C e peso specifico 4,94 g/cm3. Appartiene al gruppo degli alogeni. Fu scoperto nel 1811 da Courtois. È molto diffuso in natura, ma presente in percentuali ridotte. Quasi tutti gli esseri viventi contengono tracce di iodio. Allo stato puro è un solido di colore scuro che sublima a temperatura ambiente, formando un vapore di colore violaceo. È elemento fondamentale di diversi minerali. Si trova in piccola quantità come ioduro nelle acque marine ed è più abbondante in alcuni depositi salini come il nitro del Cile in cui si trova come iodato di sodio. Lo iodio è poco solubile in acqua mentre lo è molto nelle soluzioni di acido iodidrico e di ioduro di potassio a cui si addiziona. È molto solubile in alcool ed etere, nel solfuro di carbonio e nel cloroformio. Dal punto di vista chimico lo iodio è simile agli altri alogeni anche se è il meno elettronegativo del gruppo. In medicina viene utilizzato come disinfettante per ferite (tintura di iodio) o per l'intestino e nelle disfunzioni tiroidee caratterizzate da carenza di iodio. Serve per preparare gli ioduri, in particolare lo ioduro di potassio, usato in farmacia, e lo ioduro d'argento usato in fotografia.
La quantità di iodio contenuta nell'organismo umano è 40 mg circa, il 60% dei quali nella tiroide (il rimanente nelle ovaie, nel sangue, nei muscoli). Nella tiroide è contenuto nella triiodotironina (T3) e nella tiroxina (T4), due ormoni che influenzano il metabolismo. Da un punto di vista clinico la carenza di iodio causa ipotiroidismo, gozzo, rischio di aborto, cretinismo. Lo iodio (assorbito nell'intestino tenue ed eliminato con le urine) è contenuto soprattutto nel pesce (sgombri, merluzzo, cozze, tonno, scampi), mentre quello contenuto nelle verdure dipende dai terreni di coltivazione.
Lo iodio presente nel suolo, con il passare del tempo, è stato progressivamente dilavato dalle piogge ed attraverso i fiumi è stato trasportato nel mare; qui, con il processo di evaporazione, passa continuamente nell'atmosfera, ricadendo nuovamente nel suolo con le piogge. Si viene pertanto a verificare quello che prende il nome di ciclo dello iodio.
(p.e. ortaggi coltivati in prossimità delle coste hanno maggiore probabilità di ricevere acqua piovana ricca di iodio, cioè il terreno di coltivazione può essere più o meno ricco di iodio)
Alcuni alimenti (cavolo, rapa, manioca, cipolla e noci) contengono sostanze gozzigene, cioè in grado di bloccare l'assorbimento di iodio. La cosa deve essere tenuta ben presente da tutti coloro che per esempio usano le noci come uno degli elementi lipidici principali (per esempio i sostenitori della dieta a zona).
L’apporto giornaliero raccomandato è di 150 mcg ma aumenta nella donna durante l'allattamento (200 mcg) e in gravidanza (175 mcg) e nei bambini. Secondo le stime attuali, un neonato su 3 mila nasce con una forma di malattia tiroidea. In età adulta, le donne sono molto più soggette alle malattie tiroidee rispetto agli uomini: una donna ha il 20% di possibilità di sviluppare problemi alla tiroide nel corso della sua vita. In caso di carenza è possibile integrare lo iodio utilizzando sali iodati, eventualmente iposodici. In un'area con deficit marcato di iodio (Garfagnana) la somministrazione di sale iodato ha riportato alla normalità la popolazione dopo dieci anni dalla primitiva osservazione. Il sale iodato (eventualmente nella sua versione iposodica) può essere utilizzato anche da tutti coloro che hanno una bassa produzione di ormoni tiroidei in seguito a un rallentamento metabolico dovuto all'età e/o a regimi alimentari ipocalorici.
Una grave carenza di iodio, come detto uno dei più gravi problemi di salute pubblica secondo l’OMS, si traduce in diverse patologie. Una carenza di ormone tiroideo durante la vita fetale e neo natale può avere effetti diversi fino all’arresto irreversibile della maturazione dell’encefalo con gravi conseguenze sullo sviluppo intellettivo configurando ritardo mentale, sordomutismo e paralisi spastica, oltre a nanismo e malformazione delle ossa. Nelle sue forme più gravi, la carenza iodica può portare a cretinismo, una condizione raramente riscontrata in Europa ma molto diffusa in molte zone geografiche del mondo specie dei Paesi a basso ISU, dove può risultare endemica.
Molto spesso la carenza di iodio è legata al suo insufficiente apporto per via alimentare e quindi sarebbe sufficiente assumere con la dieta una quantità giusta di iodio per far funzionare la tiroide in modo ottimale.
Ma un altro nutriente sta dimostrando di avere una funzione centrale nei processi fisiopatologici degli ormoni tiroidei. Si tratta del selenio, un elemento ritenuto per lungo tempo tossico e che oggi, invece, pur con le dovute cautele, viene riconsiderato per i suoi effetti benefici sulla salute. Il selenio, oltre a essere un importante elemento antiossidante, è un componente essenziale del sistema enzimatico che trasforma la tiroxina (T4) in triiodotironina (T3). Questo sistema è costituito da una classe di enzimi che trasformano a cascata le tironine iodate in una serie di prodotti, sino all’attivazione. Resta da verificare quanto il selenio sia coinvolto nella comparsa del gozzo, ma anche in altre patologie che coinvolgono il metabolismo degli ormoni tiroidei.
La funzione endocrina del pancreas
L'organismo umano possiede un sistema di regolazione che consente di mantenere entro un certo range la glicemia, ovvero la concentrazione di glucosio disciolto nel sangue. La costanza della glicemia è necessaria per la sopravvivenza del cervello, per tre motivi:
- il cervello, a differenza dei muscoli, non ha la capacità di immagazzinare scorte di glucosio.
- il glucosio ematico è praticamente l'unico carburante per il cervello.
- il cervello consuma una quantità costante di energia, a prescindere dalla sua attività (studiando, infatti, si consumano pochissime calorie)
In assenza di glucosio, dopo pochi minuti le cellule celebrali muoiono.
Il meccanismo di regolazione della glicemia è basato sul controllo di due ormoni antagonisti: l'insulina e il glucagone.
Effetti dell'insulina sul metabolismo:
Effetti del glucagone sul metabolismo:
Grazie a questo meccanismo, possiamo introdurre il glucosio (sotto forma di carboidrati) solo poche volte al giorno, durante i pasti: a mantenere costante la sua presenza nel sangue ci pensa l'asse ormonale insulina-glucagone, che utilizza come "magazzino" per il glucosio il fegato. Se la glicemia scende, come durante il digiuno, il pancreas secerne glucagone che ordina al fegato di prelevare glucosio dalle sue scorte e d'immetterlo nel sangue. Il glucagone, inoltre, spinge le cellule all'utilizzo di grassi e proteine come fonte energetica: in questo modo si predispone tutto l'organismo al risparmio del glucosio. Se invece la glicemia sale, come dopo un pasto, il pancreas secerne insulina che comanda al fegato di prelevare il glucosio dal sangue e d'immagazzinarlo. Siccome la capacità del fegato d'immagazzinare glucosio è piuttosto limitata (circa 70 grammi), i carboidrati in eccesso vengono convertiti in grassi e depositati nei tessuti adiposi. L'insulina, al contrario del glucagone, spinge le cellule a utilizzare i carboidrati come fonte energetica. Il nostro organismo si comporta pressappoco in questo modo: quando c'è abbondanza di glucosio si adopera per utilizzarne il più possibile, e quello in eccesso lo immagazzina sottoforma di grassi; quando c'è carenza cerca di conservarlo il più possibile, prelevando i grassi dalle scorte e utilizzandoli come fonte energetica. Il meccanismo dell'insulina diventa "perverso" quando ne viene secreta troppa: in questo caso la glicemia si abbassa troppo, il cervello va in crisi e invia all'organismo gli stimoli per introdurre nuovo combustibile (FAME). La quantità d'insulina secreta dal pancreas dipende dalla velocità con la quale s'innalza la glicemia, questa velocità dipende da due fattori: l'indice glicemico e la quantità dei carboidrati che assumiamo. In figura 1a è riportato il caso relativo all'ingestione di carboidrati a basso indice glicemico: la glicemia s'innalza gradualmente, viene secreta una quantità normale d'insulina che riporta gradualmente la glicemia ai livelli precedenti l'assunzione di carboidrati. In questo caso la fame sopraggiungerà dopo circa 3 ore.
Figura 1b: a seguito dell'ingestione di carboidrati AIG (ad Alto Indice Glicemico), la glicemia subisce un brusco innalzamento, viene secreta una quantità notevole d'insulina che causa un'altrettanto brusca diminuzione della glicemia. In una situazione di questo tipo la fame sopraggiungerà molto prima rispetto al caso precedente.
L'indice glicemico degli alimenti e la quantità di carboidrati non sono l'unico fattore che influenza la quantità d'insulina che viene secreta dal pancreas, poiché esiste una diversa reazione individuale, com'è stato dimostrato da Gerald Raven nel 1987. Secondo i suoi studi il 25% della popolazione ha una risposta insulinica pigra. In pratica questi fortunati individui hanno una risposta simile a quella in figura 1a anche assumendo carboidrati ad alto indice glicemico. Un altro 25% della popolazione ha una reazione insulinica eccessiva. Anche assumendo carboidrati a medio indice glicemico, queste persone hanno una reazione insulinica simile a quella di figura 1b. Il restante 50% ha un comportamento che possiamo definire "normale". In parole povere per il 25% della popolazione il meccanismo dell'insulina diventa perverso con estrema facilità. In generale il 75% della popolazione dovrebbe controllare l'assunzione di carboidrati, il che significa controllare sia l'indice glicemico che le quantità assunte, pena l'inevitabile tendenza al sovrappeso. Essere in grado di controllare questo meccanismo è fondamentale, soprattutto per i soggetti "sfortunati" che ingrassano anche solo pensando a un bignè. Questi sono i principali vantaggi che si ottengono tenendo sotto controllo la produzione di insulina:
- si prevengono disfunzioni metaboliche gravi come il diabete di tipo 2;
- si riesce a seguire una dieta ipocalorica senza avere sempre lo stimolo della fame
- si riesce a mantenere il peso forma senza troppi sacrifici
- si contribuisce a mantenere basso il colesterolo, poiché l'insulina è uno dei fattori che stimola la produzione endogena.
Per poter mantenere l'insulina entro livelli accettabili occorre seguire queste semplici regole:
- limitare la quantità di carboidrati giornaliera, adottando una ripartizione ottimale dei macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi non inferiori rispettivamente al 45%, 15% e 25%);
- assumere pasti con la corretta ripartizione dei macronutrienti (evitare i pasti a base di soli carboidrati);
- non fare pasti troppo abbondanti;
- preferire fonti di carboidrati a bassa densità, ovvero frutta e verdura.
I carboidrati AIG sono responsabili del rapido innalzamento della concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia), evento che scatena il meccanismo perverso dell’insulina. Negli ultimi anni questo tipo di carboidrati sono stati additati come i principali responsabili del sovrappeso e dell'insorgenza delle patologie ad esso collegate come l'aterosclerosi e il diabete. L'eccesso di carboidrati AIG (detti anche impropriamente "zuccheri semplici") è una dei difetti principali della dieta di molte persone, anche se quello che fa male è l'eccesso di carboidrati, a prescindere dal loro indice glicemico: prima di valutare la qualità dei glucidi che assumiamo, dobbiamo quindi valutare le quantità. I carboidrati AIG non sono sempre dannosi, anzi in alcuni casi sono addirittura consigliabili. Per esempio, dopo una attività sportiva intensa l'organismo ha bisogno di una certa quantità di carboidrati per ripristinare le scorte di glicogeno muscolare: i carboidrati AIG ripristinano queste scorte nel modo più efficiente e veloce possibile e quindi vanno utilizzati in questa situazione. La frutta, la verdura, i cereali integrali, i latticini hanno in generale un indice glicemico basso, mentre i cereali raffinati, lo zucchero (saccarosio), i dolci, le bevande zuccherate hanno un indice glicemico alto.
Bisogna abituarsi a bere solo acqua, in alternativa si possono consumare bevande dolcificate con dolcificanti sintetici o naturali con zero calorie. Per abbassare l'indice glicemico di qualunque alimento basta assumerlo insieme a proteine e/o grassi: quindi è bene assumere alimenti contenenti carboidrati ad alto indice glicemico insieme ad altri. Per questo un dolce a fine pasto, se il bilancio calorico è rispettato, è meglio di una coca cola a stomaco vuoto.
Il fruttosio è un monosaccaride, ovvero uno zucchero semplice, che ha la stessa formula bruta del glucosio (6 atomi di carbonio e ossigeno, 12 di idrogeno), ma è un composto con caratteristiche molto diverse a causa di alcune differenze nei legami tra i vari atomi. È lo zucchero principale della frutta e del miele, ed è presente anche in molte verdure. Il fruttosio si può raffinare sottoforma di cristalli bianchi e quindi può essere usato al posto del saccarosio (che ricordiamo essere formato da una molecola di fruttosio e una di glucosio) per dolcificare qualunque alimento. Il fruttosio presenta alcune caratteristiche che lo rendono particolarmente diverso dal saccarosio:
- l'indice glicemico molto più basso, pari a 23 contro 57 del saccarosio e 100 del glucosio;
- il potere dolcificante, a freddo, superiore del 33% rispetto al saccarosio;
Queste caratteristiche a prima vista sono molto interessanti e avvalorerebbero la tesi secondo la quale il fruttosio dovrebbe sostituire in toto il saccarosio. Ma non è tutto oro quello che luccica, vediamo perché. Il fruttosio viene assorbito dall'apparato digerente più lentamente rispetto al saccarosio. Inoltre, una volta assorbito, non entra in circolo nel sangue come il glucosio, ma viene portato al fegato che lo trasforma in glucosio. Qui può seguire due vie: o viene trasformato in glicogeno epatico, oppure in trigliceridi che poi vengono immessi nel sangue. Per questo motivo ha un indice glicemico così basso: non viene utilizzato, se non in minima parte, per innalzare la glicemia (il tasso di glucosio circolante). Questo è un vantaggio finché il fegato non inizia a produrre trigliceridi, che vengono immessi nel sangue innalzando la trigliceridemia, che rappresenta uno dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Morale delle favola: un basso indice glicemico non basta, bisogna comunque non eccedere per non ritrovarsi un eccesso di grassi in circolo nel sangue. Quindi è sempre bene non assumere più di 30-40 g di fruttosio nello stesso pasto. Inoltre non è vero che l'insulina è sempre dannosa: per esempio, è un importante segnale di sazietà (insieme alla leptina) che con il fruttosio viene a mancare. Il potere dolcificante del fruttosio è pari a 133 contro 100 del saccarosio.
Il DIABETE
Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da iperglicemia, cioè da un aumento degli zuccheri (glucosio) presenti nel sangue, causata da una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas o dalla combinazione di ridotta secrezione di insulina e di resistenza dei tessuti periferici all'insulina. Attualmente il diabete mellito ha assunto importanza sociale per il progressivo aumento dell'incidenza della malattia. Ciò è legato anche ad un regime di vita che in seguito al benessere economico è sempre più sedentario ed ha favorito un'alimentazione eccessiva rispetto al fabbisogno energetico. Solo negli Stati Uniti si è calcolato che ne sono affette 15 milioni di persone. In Italia quasi 2 milioni di persone. Si ha notizia di questa malattia già presso gli Egizi, nel 500 a.C., dove veniva descritta come una condizione morbosa caratterizzata da sete estrema e dalla produzione di grande quantità di urina dolce. Poiché tale disordine colpiva preferibilmente i ricchi, si pensava fosse dovuta a peccati di gola. Nella Grecia del primo secolo si utilizzò il termine di Diabete (passaggio attraverso un sifone ) per indicare il passaggio del materiale energetico attraverso le urine. Successivamente, nel 1700 circa, venne aggiunto il termine mellitus, termine latino che significa miele per differenziare la eccessiva produzione di urina dolce dalle altre cause di diuresi eccessiva. Nel 1920 venne scoperta l'insulina. Le terapie utilizzate fino agli inizi del 1900 erano basate sull'uso di svariate diete fino all'utilizzo del digiuno. Solo nel 1921 si utilizzò l'insulina, consentendo finalmente la sopravvivenza a chi ne era colpito. Nel 1950 vennero introdotti agenti ipoglicemizzanti orali.
Il Diabete di Tipo 2 è di gran lunga la forma più frequente, è tipico dell'età matura e l'insulina è prodotta a ritmo rallentato, in quantità quasi normale, ma è poco attiva sulle cellule. Questo diabete è detto Non(N) Insulino (I) Dipendente (D) perché l'iniezione di insulina esterna non è vitale, a differenza del tipo 1 detto ID (Insulino Dipendente), tipico del giovane, in cui il pancreas non produce più l'insulina o ne produce troppo poca ed è necessario, anzi vitale, fornirla dall'esterno con una, due o più iniezioni al giorno. Le cause scatenanti alla base dell'insorgenza della malattia vanno generalmente ricercate in fattori ereditari ed ambientali. Negli anni si è evidenziato che esiste un fattore di trasmissione ereditario, non ancora ben chiarito che espone a tale patologia alcune popolazioni e addirittura alcune famiglie più delle altre. In questi casi ciò che viene trasmesso non è ovviamente il diabete ma la tendenza ad ammalarsi di diabete. Alla ereditarietà si affiancano aspetti caratteristici della persona quali l'obesità. Ricordiamo che le cellule hanno bisogno di zucchero per vivere; tanto maggiore è il numero di cellule da alimentare tanto maggiore sarà il fabbisogno di insulina. Nell'obeso quindi l'insulina viene prodotta ma non più in quantità sufficiente. La vita sedentaria, lo stress, malattie che inducono l'organismo a risposte importanti ricadono nell'elenco dei fattori ambientali scatenanti. Esse impongono al pancreas un lavoro aggiuntivo poiché aumentano il fabbisogno di glucosio e quindi di insulina. Qualora il pancreas fosse indebolito da una predisposizione ereditaria al diabete queste cause accelerano l'insorgenza della stessa. Anche l'età gioca il suo ruolo. L'invecchiamento dell'organismo si riflette sulla funzionalità di tutti gli organi, non ultimo il pancreas che invecchiando non è più in grado di rispondere prontamente alle richieste ricevute. La persona affetta da Diabete di Tipo 2 è quindi generalmente una persona della seconda o terza età, con un peso superiore a quello ideale, spesso con genitori, nonni o zii diabetici.
I sintomi non sono generalmente evidenti come nel diabete di tipo 1, vengono facilmente ignorati e la scoperta del diabete è casuale durante un check-up. Per questo motivo la diagnosi di tale forma di diabete è piuttosto tardiva; può addirittura passare qualche anno tra la comparsa e la diagnosi della malattia. E' così facile riscontrare, all'atto della diagnosi, la presenza di complicanze in stato avanzato di sviluppo. Il Diabete di Tipo 2 è di gran lunga la forma più frequente, è tipico dell'età matura e l'insulina è prodotta a ritmo rallentato, in quantità quasi normale, ma è poco attiva sulle cellule. Questo diabete è detto Non(N) Insulino (I) Dipendente (D) perché l'iniezione di insulina esterna non è vitale, a differenza del tipo 1 detto ID (Insulino Dipendente), tipico del giovane, in cui il pancreas non produce più l'insulina o ne produce troppo poca ed è necessario, anzi vitale, fornirla dall'esterno con una, due o più iniezioni al giorno. Le cause scatenanti alla base dell'insorgenza della malattia vanno generalmente ricercate in fattori ereditari ed ambientali. Negli anni si è evidenziato che esiste un fattore di trasmissione ereditario, non ancora ben chiarito che espone a tale patologia alcune popolazioni e addirittura alcune famiglie più delle altre. In questi casi ciò che viene trasmesso non è ovviamente il diabete ma la tendenza ad ammalarsi di diabete. Alla ereditarietà si affiancano aspetti caratteristici della persona quali l'obesità. Ricordiamo che le cellule hanno bisogno di zucchero per vivere; tanto maggiore è il numero di cellule da alimentare tanto maggiore sarà il fabbisogno di insulina. Nell'obeso quindi l'insulina viene prodotta ma non più in quantità sufficiente. La vita sedentaria, lo stress, malattie che inducono l'organismo a risposte importanti ricadono nell'elenco dei fattori ambientali scatenanti. Esse impongono al pancreas un lavoro aggiuntivo poiché aumentano il fabbisogno di glucosio e quindi di insulina. Qualora il pancreas fosse indebolito da una predisposizione ereditaria al diabete queste cause accelerano l'insorgenza della stessa. Anche l'età gioca il suo ruolo. L'invecchiamento dell'organismo si riflette sulla funzionalità di tutti gli organi, non ultimo il pancreas che invecchiando non è più in grado di rispondere prontamente alle richieste ricevute. La persona affetta da Diabete di Tipo 2 è quindi generalmente una persona della seconda o terza età, con un peso superiore a quello ideale, spesso con genitori, nonni o zii diabetici. I sintomi non sono generalmente evidenti come nel diabete di tipo 1, vengono facilmente ignorati e la scoperta del diabete è casuale: per questo motivo la diagnosi di tale forma di diabete è piuttosto tardiva. E' così facile riscontrare, all'atto della diagnosi, la presenza di complicanze in stato avanzato di sviluppo.
Fonte: http://www.uniroma2.it/didattica/EvolEcolUm/deposito/adattamento_fisiologico.doc
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