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APPARATO SCHELETRICO
Costituisce la componente passiva dell'apparato locomotore, ed è formato da ossa e articolazioni.
Svolge funzione di: Protezione in quanto difende i più importanti organi interni dagli influssi esterni (cranio: cervello; gabbia toracica: cuore e polmoni; bacino: organi sessuali femminili e intestino); Sostegno: dà stabilità agli organi e posiziona il corpo nello spazio; Movimento: reso possibile dall’azione dei muscoli inseriti sulle ossa che, contraendosi e rilassandosi, provocano lo spostamento del corpo o delle sue parti.
Sono organi duri, resistenti, ma dotati, pur se in minima parte, di elasticità.
In base alla loro configurazione possono essere:
La superficie delle ossa può risultare del tutto o in parte liscia, o presentare delle irregolarità dette: spina, tuberosità, linea…
Le ossa maschili sono in genere più robuste data la muscolatura più potente, ma la differenziazione sessuale è molto evidente nel bacino, più largo nella donna.
Le ossa lunghe presentano quattro componenti principali
La produzione del tessuto osseo avviene attraverso due vie: Diretta, o connettivale, con formazione del cosiddetto osso di rivestimento (es. clavicola, ossa della faccia); e Indiretta, o cartilaginea, con formazione di un modello cartilagineo che viene progressivamente sostituito dal tessuto osseo.
L’ossificazione completa avviene verso i 20 anni; per questo motivo in età giovanile bisogna fare molta attenzione ad ogni tipo di sovraccarico che potrebbe andare a modificare la struttura delle ossa.
L’accrescimento avviene alternando, ogni 6 mesi circa, lo sviluppo in lunghezza a quello in larghezza (legge di Godin, o dell’alternanza).
Le singole ossa, per consentire i movimenti delle varie parti del corpo, sono collegate attraverso le articolazioni che si dividono in: fisse (sinartrosi) a mobilità scarsa o nulla (cranio, pube), e mobili (diartrosi) con ampia mobilità.
Si compongono di:
Le articolazioni permettono tre tipi di movimento:
Le articolazioni possono essere classificate anche in base alla forma delle superficie articolari, e le più importanti sono:
IL GINOCCHIO
Il ginocchio è un’articolazione molto particolare con caratteristiche proprie. Essendo il punto cruciale della deambulazione, presenta al suo interno diversi legamenti (crociati, collaterali) e due dischi cartilaginei chiamati menischi, adagiati sul piatto tibiale, che contribuiscono ad ammortizzare i vari spostamenti: antero-posteriori e laterali, e in condizioni particolari possono lesionarsi. La loro rimozione non pregiudica però in alcun modo la normale funzionalità dell’articolazione, e permette di continuare a svolgere la normale vita di relazione, anche se ovviamente può creare dei problemi se sottoposto a carichi elevati.
Si distingue una parte assiale (testa, colonna vertebrale e cassa toracica) e gli arti (superiori e inferiori). Le ossa che uniscono gli arti al tronco prendono il nome di cinture: scapolare per gli arti superiori, e pelvica per gli arti inferiori.
La testa è formata dal cranio e dalle ossa della faccia, che sono praticamente immobili tranne la mandibola.
La colonna vertebrale costituisce l’asse del corpo umano ed è formata da 33/34 vertebre collegate tra di loro da artrodie. Le prime 24 v. sono dette vertebre vere, mentre le ultime sono saldate tra di loro a formare due ossa distinte (sacro e coccige) e vengono chiamate vertebre false.
Nell’adulto presenta una curvatura ad S caratterizzata da: lordosi cervicale (7 vertebre), cifosi toracica (12 v.), lordosi lombare (5 v.), cifosi sacrale (9/10 v.). Queste curve sono fisiologiche, se comprese entro un certo grado; sono dovute a ragioni di equilibrio, di resistenza, e permettono di ammortizzare gli urti. Se il loro raggio di curvatura aumenta abbiamo dapprima i paramorfismi, che possono essere corretti con ginnastica correttiva, quindi i dismorfismi che a seconda dei gradi vanno curati con tutori ortopedici o chirurgicamente. La curvatura laterale si chiama scoliosi, e dà luogo in genere a curvature di compenso. L’insorgenza di tali patologie è da ricercarsi in atteggiamenti posturali scorretti, malformazioni congenite trascurate, degenerazioni nell’accrescimento, o precoce usura del tessuto osseo.
Pur differendo tra di loro per forma e dimensioni, le vertebre presentano caratteristiche comuni: hanno una parte principale chiamata corpo da cui si diparte posteriormente un anello osso la cui sovrapposizione crea il canale vertebrale contenente il midollo osseo. Negli spazi tra una vertebra e l’altra fuoriescono da questo canale i nervi spinali che portano a tutto il corpo gli impulsi nervosi formando così il sistema nervoso periferico. Le vertebre, posteriormente formano il processo spinoso, mentre ai lati vi sono le apofisi o processi articolari. Tra una vertebra e l’altra si trova il disco vertebrale, cartilagineo, che funge da ammortizzatore e permette i movimenti della colonna. Anomalie legate a questo disco possono provocare la cosiddetta ernia del disco.
La cassa toracica è formata da 12 vertebre, 12 paia di costole e un osso piatto: lo sterno a cui si collegano direttamente le prime 7 costole, le 3 successive sono unite alla cartilagine della costola sovrastante, mentre le ultime 2 sono libere anteriormente (fluttuanti).
La cintura scapolare è formata da un osso anteriore, la clavicola, che si articola allo sterno e ad un osso dorsale, la scapola, che è collegata a sua volta alle costole.
La cavità glenoide della scapola si articola con l’omero (braccio) formando l’articolazione della spalla. Nel gomito l’omero si articola con radio e ulna (avambraccio), che si collegano a loro volta con le otto ossa del carpo (polso). Abbiamo quindi il metacarpo (5 ossa lunghe) che forma lo scheletro della mano e infine le falangi che sono tre per dito (falange, falangina, falangetta) tranne che nel pollice.
La cintura pelvica (bacino) è costituita da: ossa iliache, osso sacro e coccige, uniti a formare una struttura a forma di imbuto che sostiene il tronco e unisce ad esso gli arti inferiori.
Ogni osso iliaco è formato da: ileo, ischio e pube che durante la pubertà si fondono in un tutt’uno; nel punto di confluenza di queste tre ossa si forma una cavità chiamata acetabolo, e ad esso si articola la testa del femore (coscia), l’osso più lungo e pesante del corpo, formando l’articolazione coxofemorale (anca). Il femore si articola a sua volta con tibia e perone (gamba) nel ginocchio, di cui abbiamo già parlato, dove è presente un osso piatto, la rotula, che ha una funzione protettiva. Come già nella mano, anche nel piede abbiamo le ossa del tarso (caviglia), quindi il metatarso che forma lo scheletro del piede e infine le falangi che sono tre per dito tranne che nell’alluce.
Gli arti inferiori possono presentare alcune patologie, a carico di ginocchia e piede, limitanti per la deambulazione: valgismo (cedimento verso l’interno), varismo (cedimento verso l’esterno), piede piatto, piede cavo.
APPARATO MUSCOLARE
I muscoli sono la parte attiva dell'apparato locomotore, in quanto tutte le ossa danno inserzione ai muscoli scheletrici, i quali, attraverso la contrazione, che può essere dinamica (movimento) o statica (fissare una posizione), trasformano l'energia chimica, accumulata nell'organismo, in meccanica.
Si distinguono tre tipi di tessuto muscolare:
Nell'uomo i muscoli rappresentano circa il 40% del peso corporeo, nella donna il 30-32%.
Ogni muscolo è composto da una parte carnosa detta corpo muscolare e due estremità con cui entra in contatto con l'osso; quella più vicina al corpo è chiamata origine e rimane relativamente statica durante la contrazione, quella opposta si chiama inserzione. Ogni fibra è racchiusa in una guaina di tessuto connettivale, più fibre si riuniscono in fascetti primari, secondari e terziari; il tutto è circondato da una membrana, il perimisio, a sua volta circondata da una membrana connettivale, aponeurosi.
I muscoli larghi si inseriscono sull'osso tramite questa aponeurosi, mentre in quelli lunghi il tessuto connettivo si prolunga in un cordone biancastro e lucido, il tendine, dotato di elevata resistenza e non estensibile. Il legame che si viene a creare tra il tendine e l'osso è molto forte, per cui è possibile che la trazione esercitata dal tendine strappi l'osso e non il tendine.
Le fibre sono a loro volta divise nelle miofibrille che osservate al microscopio presentano un’alternanza di zone chiare (bande I) e zone scure (bande A), e per questo viene chiamato striato.
La banda A nella regione centrale ha una zona meno densa, detta zona H, la cui larghezza diminuisce durante la contrazione.
Ogni banda chiara (I) presenta una linea scura centrale detta linea Z, lo spazio compreso tra due linee Z è chiamata Sarcomero, ed è l'unità di contrazione; tali linee sono continue per tutta la lunghezza della fibra muscolare, e servono a tenere insieme le miofibrille.
Sempre dall’osservazione al microscopio, all’interno del sarcomero è possibile osservare due tipi di filamenti: quello più spesso è costituito da miosina (filamento primario), quello più sottile da actina (secondario) . Le bande I sono costituite solo da actina, la bande A da tutte e due.
Ogni molecola di Miosina è circondata da sei di Actina, ed ha dei filamenti a pettine che si protendono fino ad articolarsi con essa.
Durante la contrazione l'actina s'infila più profondamente tra la miosina fino quasi a toccare la punta di quella opposta.
I muscoli striati sono innervati dal S.N. centrale, e la loro contrazione è sotto il controllo della volontà; perciò sono detti volontari, e scheletrici perché sono attaccati allo scheletro e ne consentono il movimento. Essi si contraggono + rapidamente e + intensamente di quelli lisci ma non possono rimanere contratti a lungo avendo bisogno di un breve periodo di riposo prima di contrarsi nuovamente. Non sono comunque mai completamente rilassati, ma si trovano in uno stato di contrazione parziale chiamato tono muscolare che consente di mantenere il corpo nell'atteggiamento adatto alle circostanze. Solo durante il sonno il tono muscolare è quasi completamente abolito.
Vi sono due tipi di fibre: rosse e bianche con proprietà differenti; e il nome è dovuto alla presenza o meno di mioglobina, un pigmento capace di immagazzinare ossigeno, il ché rende il muscolo più resistente anche se meno rapido e preciso nel compiere un movimento. Tutti i muscoli contengono una percentuale di versa di fibre bianche e rosse, determinata geneticamente, ma influenzabile in qualche modo dall'allenamento. Senza allenamento le fibre bianche diventano rosse, quindi nei bambini movimenti rapidi ma di breve durata, anziani movimenti più lenti ma possibilità di ripeterli nel tempo. Anche l’allenamento per certi sport (resistenza) può modificare tale percentuale.
Il muscolo presenta una fitta rete sia di vasi sanguigni che di fibre nervose .
Dai vasi sanguigni arriva il nutrimento, regolato, sia a livello nervoso che chimico, tramite l’apertura di un numero più o meno elevato di capillari a seconda delle necessità.
Da una cellula nervosa situata nel midollo spinale giunge al muscolo un filamento motorio Assone che termina in una giunzione tra nervo e muscolo: placca neuro-muscolare; da qui si suddivide in piccoli rami diretti alle singole fibre, o a fasci di fibre. Una fibra nervosa può innervare, con le sue diramazioni, da 1 a oltre 200 fibre muscolari; l’insieme costituito da: cellula nervosa, assone, fibre innervate costituisce l’UNITA’ MOTORIA. Il numero delle fibre muscolari innervate da una singola fibra muscolare non dipende dalla grandezza del muscolo ma dalla precisione dei movimenti richiesti (muscoli oculari anche una sola fibra m. per u.m., quadricipite e paravertebrali centinaia di fibre m. per u.m.)
Per gli atti motori volontari è indispensabile l’intervento dei neuroni del cervello che agiscono in base alle informazioni provenienti dai recettori (estero - proprio - enterocettivi) : essi trasformano gli stimoli ricevuti in segnali elettrici, che vengono inviati al cervello il quale, a sua volta, invierà una risposta. Gli atti motori involontari (o riflessi) si verificano invece quando l’impulso arriva direttamente dal midollo, senza l’intervento del cervello, che solo in un secondo tempo riceverà le informazioni sensoriali derivate dall’azione riflessa (mano che tocca fonte di calore).
Il muscolo che determina il movimento viene definito Agonista, quello che agendo in senso opposto si rilascia gradualmente e produce un controllo frenante Antagonista; nel movimento intervengono anche altri muscoli detti Direzionali che consentono un movimento più preciso e uniforme.
Una classificazione dei muscoli abbastanza usata è quella che si basa sui movimenti che compiono: flessori, estensori, elevatori, abbassatori, dilatatori (sfinteri), abduttori, adduttori, rotatori, ecc.
La forma dei muscoli è estremamente varia e si adattano alla forma delle ossa su cui sono inseriti e al movimento che devono compiere.
La risposta del muscolo ad uno stimolo contrattile è retta dal principio del TUTTO O NIENTE, inoltre le fibre si contraggono solo se lo stimolo è superiore ad una certa intensità detta soglia di stimolo che è diversa da fibra a fibra; di conseguenza, quando arriva alla fibra muscolare uno stimolo nervoso, essa si contrae solo se tale stimolo è maggiore della sua soglia e si contrae completamente.
La forza di un muscolo è quindi la risultante della forza di contrazione delle singole fibre che lo compongono, ed essa si esplica tramite il tirare e non lo spingere.
La contrazione muscolare è un lavoro meccanico e richiede un consumo di energia che viene prodotta da processi biochimici, provocati a loro volta dall’eccitazione di cui sopra.
Dal punto di vista biomeccanico le ossa si possono paragonare alle leve che sono di tre tipi:
Il tempo che intercorre tra l’eccitazione del muscolo e l’inizio del suo accorciamento si chiama tempo di latenza e diminuisce con l’aumento della temperatura (a 37° 1 millisecondo).
Ogni muscolo è composto da più unità motorie, e ogni unità ha una sua soglia di stimolo: se più stimoli di intensità crescente arrivano al muscolo, esso aumenta la sua forza di contrazione
Stimolo basso intervengono poche unità
Stimolo maggiore intervengono altre unità
Questo permette di graduare la forza durante l’attività, tuttavia ogni singola unità motoria non aumenta la sua contrazione con l’aumentare dello stimolo, proprio per il principio del TUTTO O NIENTE.
Se dopo una contrazione muscolare viene inviato un secondo stimolo, avremo due contrazioni separate, ma quanto più riusciremo a mandare ravvicinati gli stimoli, tanto maggiore sarà l’effetto fino a provocare una sommazione
Se un muscolo viene ripetutamente stimolato, con un elevata frequenza, per cui l’intervallo è più breve del periodo di contrazione, si verifica una contrazione prolungata la cui forza è un multiplo della contrazione semplice, e viene chiamato tetano muscolare (polpaccio 100/sec, retto dell’occhio 350/sec); nei movimenti sportivi sono quasi tutte contrazioni tetaniche.
La Forza di un muscolo dipende dal numero di fibre attivate contemporaneamente
La Velocità dipende dalla rapidità con cui si susseguono le contrazioni
Entrambe sono altresì influenzate dal sincronismo con cui vengono attivate le fibre che lo compongono.
Contrazione isotonica quando il muscolo si accorcia e la sua tensione rimane costante
Contrazione isometrica quando il muscolo non si accorcia ma aumenta la sua tensione
All’inizio abbiamo sempre un breve lavoro isometrico per vincere la resistenza (peso)
L’alternarsi tra contrazione e rilassamento permette la circolazione del sangue, quindi nel lavoro isometrico tale circolazione diminuisce e quindi favorisce l’accumulo di acido lattico che provoca una limitazione del lavoro nel tempo.
Il muscolo, contraendosi, compie un lavoro e ciò determina un consumo di energia, che deve essere prodotto da un carburante: l’ATP Adenosintrifosfato, presente in tutti i muscoli, seppur non in grandi quantità (al massimo circa 100g.).
Esso viene sintetizzato dai mitocondri, piccolissimi organi che si trovano all’interno di ogni cellula, a partire dagli zuccheri e i grassi assorbiti dal nostro corpo attraverso il cibo.
Questo ATP scindendosi rilascia un gruppo fosforico (P) e libera Energia utilizzata nella contrazione.
Detto così la cosa sembrerebbe molto semplice, ma come detto nel nostro corpo l’ATP è presente in quantità limitata, ed è l’unico carburante utilizzabile dai muscoli; per protrarre il lavoro nel tempo è quindi necessario produrne dell’altro, oppure ricostituirlo, visto che un maratoneta, ad esempio, ne consuma circa 75 kg.
Per capire come questo succede pensiamo ad un’atleta che si metta a correre al massimo della velocità.
Questa reazione avviene grazie all’intervento di un enzima (creatinkinasi)
Ma la CP, pur essendo presente nel nostro corpo in quantità 4/5 volte maggiore dell’ATP, dopo 6/7 secondi ne viene consumata normalmente più dell’80%, e viene quindi utilizzata per scatti brevi, salti, lanci, parata del portiere, tiri da fermo; poi bisogna rivolgersi ad altri meccanismi di risintesi.
Ad esempio un altro enzima (miokinasi) permette di resintetizzare una molecola di ATP da due di ADP produzione di ammoniaca che finisce poi nel sangue
E’ quindi un meccanismo che può fornire molta potenza ma di capacità limitata, è come se l’atleta fosse al volante di un dragster.
Il carbonio si lega all’ossigeno e viene eliminato sotto forma di CO2; l’H invece, con quelli liberati dalla glicolisi, entra in una serie di reazioni chiamata catena di trasporto degli elettroni attraverso la quale forniscono l’energia per la risintesi di 34 molecole di ATP dall’ADP + H2O. Alla fine avremo 39 molecole di ATP se siamo partiti dal glicogeno, 38 se dal glucosio. Questo è il meccanismo normalmente usato nella vita di tutti i giorni, anche quando dormiamo.
Nello sport è caratteristico degli sport di durata, compresi quelli di squadra, e le scorte di glicogeno sono sufficienti per 1-2 ore; i grassi invece sono in grado di fornire una riserva energetica maggiore.
Questo è uno dei motivi per cui si ha un calo di rendimento quando si esauriscono le scorte di
zuccheri.
Riassumendo, tutti i movimenti che noi effettuiamo danno luogo a tre diversi tipi di lavoro muscolare:
ANAEROBICO ALATTACIDO (non in presenza di ossigeno e senza produrre acido lattico) dall’ATP e accumulatori di energia. Sforzi di brevissima durata e grande intensità (salti, lanci)
ANAEROBICO LATTACIDO (non in presenza di ossigeno) demolisce gli zuccheri ma produce acido lattico. Viene attivato rapidamente e produce in fretta grandi quantità di ATP. Utilizzato per sforzi di grande intensità ma di breve durata (velocità)
AEROBICO (in presenza di ossigeno) demolisce zuccheri e grassi fino ad ottenere acqua e anidride carbonica. Viene condizionato dall’attività del sistema cardiocircolatorio (sci di fondo, maratona, ciclismo)
La successione che abbiamo utilizzato non è necessariamente quella che avviene nella realtà. Se si affronta uno sforzo prolungato, maratona, interviene subito il meccanismo aerobico, se deve effettuare delle variazioni di velocità ricorre all’anaerobico lattacido.
Fonte: http://mosso.iisbona.biella.it/didattica/edfisica/5-Apparato%20Locomotore.doc
Sito web da visitare: http://mosso.iisbona.biella.it
Autore del testo: http://mosso.iisbona.biella.it
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