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La scelta compiuta nel nostro paese, fin dagli anni settanta, per una presenza generalizzata degli alunni autistici nella scuola comune, anche se attivata inizialmente senza una reale progettualità educativa e organizzativa, ha finito per dare significativi risultati. Il dibattito e la riflessione che attualmente si stanno conducendo a livello pedagogico, riguardano le modalità attraverso le quali dare sempre più significato all’integrazione dell’allievo affetto da autismo in una scuola in cambiamento, difendendo allo stesso tempo le conquiste acquisite da alcuni tentativi, più o meno celati, di ritorno indietro verso istituzioni separate.
La scuola, come ambiente nel quale vengono ricercati degli apprendimenti, è diventata sempre più inclusiva nel corso degli anni, mano a mano che sono stati individuati programmi specifici che hanno dato significato alla presenza dell’allievo affetto da autismo nelle classi comuni. Intorno agli anni ottanta il dibattito sull’integrazione è stato condizionato da una contrapposizione forzata fra socializzazione e apprendimento che ha determinato non pochi fraintendimenti. La socializzazione è stata intesa come semplice presenza fisica e non come una delle finalità del processo di integrazione, condizione essenziale per sperimentare concrete esperienze di apprendimento. In seguito la contrapposizione ha lasciato il posto a posizioni più mature che hanno individuato nelle dinamiche relazionali un momento importante del processo educativo e la condizione prerequisiziale necessaria per consentire all’allievo di raggiungere il massimo livello consentitogli di padronanza motoria, del linguaggio, nell’acquisizione dei concetti, delle abilità curriculari ecc., perché sono queste le abilità che la società richiede a tutti e quindi anche alla persona in situazione di handicap.
L’educazione motoria, a questo livello, può giocare un ruolo molto importante per favorire, da un lato, lo sviluppo di competenze funzionali e, dall’altro, la promozione di reali esperienze interattive e di condivisione di obiettivi (si pensi ai giochi motori e sportivi).
Va sottolineato, innanzitutto, che con la dizione di ritardo mentale non si indica un’entità clinica ben definita, ma solo il sintomo predominante e comune di varie situazioni patologiche che differiscono fra loro per eziologia, caratteristiche e gravità.
Per quanto riguarda l’area motoria va messo in risalto come i bambini autistici presentino sistematicamente ritardi e carenze.
Alcune ricerche hanno cercato di valutare qualitativamente in profilo motorio dei bambini con ritardo mentale, mettendo in evidenza ritardi generalizzati in tutte le componenti: da quelle grosso-motorie (equilibrio, capacità posturale, corsa ecc.), a quelle fini-motorie (coordinazione delle mani, controllo visuo-motorio ecc.).
Il bambino autistico presenta anche serie difficoltà nell’elaborazione dello schema corporeo e delle relazioni spazio-temporali, per cui manifesta l’incapacità di programmare il movimento in corrette sequenze da svilupparsi nello spazio e nel tempo.
Gli studi e le ricerche relative a questo ambito, hanno messo in evidenza come, pur nella estrema variabilità costituita da ogni allievo autistico con la sua storia, un fattore comune di disturbo è rappresentato dalla problematica coscienza, conoscenza e utilizzo del corpo. Sulla base di questa evidenza, è già possibile attribuire un ruolo importante all’educazione motoria nel processo di sviluppo del bambino artistico, soprattutto nei primi periodi evolutivi (periodo prescolare, periodo della scuola materna e della scuola elementare).
In stretta connessione a quanto descritto è necessario dare importanza ad un’altra considerazione relativa alla necessità di privilegiare, con gli allievi affetti da autismo, una didattica operativa, centrata principalmente sul fare, sull’operare, sullo sperimentare concretamente Tramite un approccio di tipo motorio, manipolativo, soprattutto se con una connotazione ludica, è possibile facilitare nell’allievo lo sviluppo di abilità e competenze e guidarlo alla corretta valutazione delle proprie capacità e dei propri limiti. Lo stesso Rogers sottolinea che gran parte dell’apprendimento significativo è ottenuto tramite l’agire.
Al contrario, un insegnamento di tipo esclusivamente verbalistico e astratto poco si addice all’allievo autistico. Infatti, la viscosità intellettiva che contraddistingue la personalità di questi allievi fa sì che procedimenti didattici di tipo tradizionale portino spesso all’accentuazione delle note carenti, all’abbassamento dell’autostima, alla riduzione o al rifiuto di esperienze.
Altro contenuto dell’educazione motoria di grande significato per determinare una motivazione all’apprendimento da parte dell’allievo affetto da autismo è rappresentato dal gioco. Quando il deficit di questi allievi è consistente, l’attività di gioco non compare spontaneamente e richiede programmi educativi specifici. Insegnare attraverso il gioco e insegnare anche a giocare significa offrire all’allievo l’opportunità di esercitare funzioni motorie e cognitive e, conseguentemente, facilitare i processi di sviluppo della personalità e di integrazione.
Le terapie psicomotorie traggono le radici dagli apporti di H. Wallon e di J. Piagetche, nella prima metà del '900, pongono in rapporto la motricità con lo sviluppo emotivo affettivo e cognitivo.
L'ambito specifico della psicomotricità, caratterizzato dalle sue patologie e dalle relative modalità terapeutiche, è stato definito da esponenti della neuropsichiatria e della psicologia in ambienti di lingua francofona negli anni '50 e '60. Gli studi e la pratica sui disturbi psicomotori portano a chiarire come le funzioni psichiche e motorie sono funzioni profondamente radicate; col tempo la terapia psicomotoria è venuta ad applicarsi anche ai disordini di personalità e identità, definendosi come Terapia relazionale a mediazione corporea.
Nel trattamento dei bambini autistici, la terapia psicomotoria tende ad aprire alla comunicazione attraverso la relazione col terapeuta: questo permette al bambino di essere riconosciuto nella sua unicità , di poter manifestare il suo desiderio, le sue paure e la sua sofferenza celate dalla sua incapacità ad esprimersi.
Partendo dalle competenze e modalità proprie ad ognuno, il terapeuta guida il bambino ad organizzare e integrare le funzioni, a differenziare, ad accedere a nuove modalità di azione e di relazione e al piacere di fare, pensare, conoscere e comunicare. Lo strumento specifico che individua la terapia psicomotoria è il corpo nelle sue dimensioni toniche ed emozionali, nelle sue posture e gestualità. Il terapeuta utilizza il tono muscolare come rilevatore delle proprie emozioni e, in base alle variazioni emotive che il bambino autistico - in apparenza assente, in realtà ben presente - gli invia, riesce a comunicare con lui anche senza parole.
Gli strumenti operativi della terapia psicomotoria sono: la strutturazione di un contenente spazio-temporale costante, la stimolazione tonica sensoriale ed emotiva, la possibilità della condivisione del vissuto del piacere senso-motorio, la proposta di oggetti esperienziali, l'uso della voce e il mettere semplici parole sul vissuto emotivo del bambino.
È indispensabile, in questo approccio, una specifica formazione personale del terapeuta affinché sia in grado di decodificare i messaggi non verbali, che conosca e padroneggi. le proprie modalità comunicative corporee. La formazione è completata dalla conoscenza della patologia del bambino e deve avvalersi di supervisione.
La conduzione di una terapia psicomotoria deve essere inserita in una operatività di intervento terapeutica multidisciplinare e richiede di essere integrata in una organizzazione in retedelle risorse territoriali in collaborazione con la famiglia, la scuola e i curanti.
In questa fase storica in cui si assiste al moltiplicarsi degli interventi riabilitatori si corre spesso il rischio di dimenticare la persona del bambino e la sua identità, rincorrendo il miraggio di ottenere prestazioni nei campi più differenziati. La terapia psicomotoria richiama all'attenzione i bisogni primari della persona del bambino.
E’ il luogo dove si svolge la pratica psicomotoria. Si tratta solitamente di una palestra, tuttavia è necessario precisare che, sulla base del bisogno del gruppo di bambini (o adulti!) lo psicomotricista potrà allestire un luogo anche altro che suggerisca e stimoli l’attività voluta.
Prima di accedere alla sala ci si prepara, indossando un abbigliamento comodo e togliendosi le scarpe. Tale abitudine consente di separare, anche attraverso i gesti, il “fuori” (la vita all’esterno, regolata da tempi e leggi proprie) ed il “dentro”, lo spazio cioè in cui il piacere del bambino viene riconosciuto e trova la sua massima espressione nello sperimentare, creare, agire, comunicare.
La sala di psicomotricità si presenta ordinata, con gli oggetti presenti ben distribuiti: cuscini di stoffa colorata dalle varie forme e grandezze, magari impilati in alte torri; materassi capienti e morbidi, dagli spessori variabili; tessuti di svariate tonalità, raccolti, disposti in una cesta oppure aperti sul pavimento; cerchi di differenti grandezze; palloni, palline di spugna o plastica, maxi palloni ideali per il dondolio; spalliere o plance adatte per compiere salti e per stimolare la ricerca della verticalità, bastoni, moduli in legno per costruire torri, case ed altro ancora, un grande specchio dove incontrare la propria immagine e quella degli altri partecipanti; carta, colori, plastilina, argilla…tutto ciò che consente di esprimere le emozioni vissute durante l’attività, con un linguaggio anche non verbale.
La sala di psicomotricità è dunque il luogo in cui il bambino può esprimersi attraverso proprie modalità, da quelle più inibite a quelle meno controllate, accettando e canalizzando la pulsionalità.
La seduta psicomotoria si svolge in uno spazio e in un tempo costanti, è cadenzata da un rito iniziale, da uno finale e dalla presenza costante dei materiali proposti e delle persone che conducono il percorso; è il luogo della spontaneità e della libertà d’azione del bambino, che deve essere lasciato libero nel gioco.
La psicomotricità è una disciplina educativa, rieducativa e terapeutica che si applica tramite la relazione instauratasi tra i bambino, o la persona coinvolta nella seduta, e lo psicomotricista.
Nella seduta di psicomotricità ci si propone di stimolare il bambino ad agire e provare piacere nel far ciò che gli interessa, favorendo uno sviluppo più armonico della persona.
Viene presa in considerazione la globalità dell’essere umano, unione della struttura somatica, affettiva e cognitiva; e preferita la modalità tonico-emozionale di essere al mondo, dove, nell’espressione di se stessi, il gesto anticipa ed integra linguaggio.
Durante la seduta psicomotoria, al fine di creare una situazione di benessere, fiducia e sicurezza per i partecipanti, lo psicomotricista propone attività motorie basate su giochi da vivere insieme.
All’interno della seduta si riconoscono alcuni momenti fondamentali:
Rito Iniziale e Rito Finale, dedicati all’apertura ed alla conclusione di ogni incontro,
Spazio sensomotorio e della pulsionalità,
Spazio del gioco simbolico e dell’emozionalità,
Spazio della costruzione e della presa di distanza dal vissuto emozionale.
Durante la seduta il conduttore psicomotricista struttura gradatamente gli spazi, definisce una sequenza di attività ed una logica temporale.
Il bambino che partecipa alla seduta si sente rassicurato nel ritrovare spazi, luoghi, tempi e materiali a lui noti, da dove ripartire nel percorso di gioco ed apprendimento, evolvendo anche da un punto di vista cognitivo.
Attraverso lo spazio della seduta lo psicomotricista si propone quindi di accogliere e rispondere adeguatamente alle richieste profonde del bambino, di favorirne gli aspetti creativi e la formazione del pensiero.
…Ma cosa accade durante la seduta di psicomotricità?
In forma molto sintetica si propone di seguito una schematizzazione di una seduta.
Tenendo conto che l'attività psicomotoria è qualcosa di unico e diverso per ogni incontro, in tale originalità si possono comunque distinguere rituali, regole e tempi definiti:
un momento iniziale in cui i partecipanti sono raccolti in cerchio, loro annunciato il materiale a disposizione e ricordate le regole del gioco (legate soprattutto al rispetto degli altri, di se stessi e del luogo);
la seduta psicomotoria vera e propria in cui i partecipanti scelgono il materiale a disposizione per giochi di tipo sensomotorio e simbolico;
un momento finale di dialogo su quanto avvenuto durante il gioco, viene di rappresentazione grafica e manipolativa, al fine di tradurre la propria emotività in linguaggi diversi.
In questa sezione viene presentato uno degli approcci alla terapia psicomotoria, quello eto-comportamentale, con particolare riferimento al lavoro di A.M. Wille (1994). Il materiale che segue è tratto principalmente dal lavoro di questa autrice, basato su una lunga esperienza di osservazione e di intervento nel campo dell'Autismo.
Wille ci offre una approfondita storia, fatta sulla base di una ricca concettualizzazione radicata nella pratica, del cambiamento che il bambino, ed in particolare il bambino autistico, vive e realizza nella sala di psicomotricità, dove modifica le sue modalità adattive e comunicative nella relazione che vive con il Terapeuta (Wille, 1994, p. 115).
Il testo della Wille si caratterizza per un notevole spessore di contenuto, dando dei ricchi spunti di riflessione e causando una grossa difficoltà a descrivere in questa sede, se non nei tratti essenziali, la complessità dell’argomentazione, densa di rimandi, di idee, di concetti, di descrizioni del mondo del bambino ed in specifico del soggetto autistico.
Dopo aver preso posizione a sfavore di un uso dell’interpretazione e dell’etichettamento del comportamento, presenti in altre impostazioni, l’autrice dichiara la sua scelta per un’ottica di tipo etologico (Wille 1994 pp. 29-34).
L’etologia, come già introdotto nel paragrafo L’approccio Etologico del capitolo "Concezioni delle psicosi infantili", si attiene all’osservazione di ciò che si vede, ed in particolare elabora profondamente una teoria ed una pratica di osservazione e descrizione del comportamento individuando le condotte "tipiche della specie" (ibidem pp. 30 e 34-43).
In tale prospettiva vengono considerati aspetti quali il comportamento spontaneo, il gioco, i comportamenti conflittuali motivati da conflitti interni ed aventi funzione di segnali.
Nello studio dell’autismo l’etologo N. Timbergen, facendo riferimento al concetto di conflitto motivazionale per spiegare i comportamenti "che a prima vista non sembrano avere una chiara funzione, e che l’osservatore inesperto tende a definire "bizzarri", propone di considerarli nell’ottica del valore che essi hanno nel contesto sociale.
Le tendenze evolutive, il comportamento ambivalente, il comportamento ridiretto, le attività di sostituzione, il meccanismo di disinibizione sono alcune delle forme di lettura del comportamento individuate dagli studi etologici sull’uomo. Parimenti il concetto di releaser spiega come il mondo degli oggetti, la strutturazione dello spazio, il corpo e le azioni dell’altro possano fortemente scatenare risposte e influenzare il comportamento del bambino (pp. 47-55).
In una prospettiva terapeutica "l’approccio etologico non si pone come obiettivo la ricerca della causa dell’autismo, la cui origine biologica è ormai universalmente accettata, bensì ha la finalità di aiutare il bambino ad emergere dal suo caos cognitivo per diventare una persona.
L’approccio psicomotorio così come attuato da Anne-Marie Wille ha proprio come scopo l’umanizzazione del bambino autistico: si basa su un grande rispetto da parte del terapista che con profonda umiltà accetta di essere un "oggetto tra gli oggetti e nemmeno il più affascinante di essi", di proporsi al bambino senza imporsi, di aiutarlo a dare un significato alle sue azioni e di ampliare i suoi orizzonti cognitivi tramite il gioco ed il corpo" (pp. 13-14).
Osservando il comportamento spontaneo del bambino nel contesto specifico dell’ambiente psicomotorio, struttura ambientale stabile, la constatazione è quella per cui una spinta interna dell’organismo è "semplicemente" accolta, quindi raccolta dall’ambiente.
Se ciò accade, vi è un cambiamento nel soggetto (a qualsiasi livello della sua organizzazione neuropsichica) che coincide con un miglioramento globale della situazione evolutiva" (p. 54).
E’ necessario saper "scegliere attentamente nell’ambiente una specifica struttura che influenzi armoniosamente i processi biologici dell’ontogenesi (…). E’ la capacità di selezione subordinata alla coscienza dello scopo delle nostre azioni che ci permette di gerarchizzare, nella moltitudine di stimoli che ci circonda, quelli che sono al momento più "convenienti". Ed è questa stessa capacità che qualifica l’intervento del terapeuta, qualora riesca a produrre un cambiamento nella monotonia del comportamento autistico" (p. 55).
Al bambino, il PA (piccolo abitante), viene proposto un percorso in un particolare ambiente, l’APM (ambiente psicomotorio), che conprende sia la struttura fisica (una sala contenente degli oggetti "stabili" e degli oggetti "instabili"), sia le azioni che il Terapeuta vi svolge.
Saranno rispettate alcune caratteristiche di dimensione e forma della sala, di rivestimento, illuminazione, acustica, e arredamento: gli oggetti stabili hanno caratteristiche il più possibile neutre per non essere distraenti, mentre gli oggetti instabili, la cui funzione è di indurre all’azione, hanno caratteristiche fisiche che definiscono, non in modo univoco, una loro influenza sul comportamento, in dipendenza anche del contesto situazionale e relazionale.
Vi sono oggetti instabili fondamentali (usati con costanza nel processo di cambiamento) e oggetti ausiliari.
Lo "spazio d’azione" comprende un territorio, delle piste seguite negli spostamenti e delle aree neutre, ad esempio quelle occupate dai contenitori.
Una delle finalità dell’APM è quella di indurre il soggetto all’uso globale del corpo (…). Un’altra finalità è quella di attivare la curiosità, l’interesse per gli oggetti, tramite l’esplorazione e l’uso creativo del materiale" (pp. 57, 58).
Nell’APM l’oggetto instabile fa da memoria agli eventi che appartengono alla storia del processo di cambiamento del soggetto (…), evoca simbolicamente una situazione, un gesto, un’emozione" (p. 62).
Vengono applicate delle strategie di base: soppressione del linguaggio verbale da parte del Terapeuta, alto tasso di emotività, assenza di richieste esplicite, rispetto della durata (45’) dell’incontro.
Vi sarà una regolarità temporale tra un incontro e l’altro ed una organizzazione all’interno di ciascuno di essi (p. 66).
Evitamento, avvicinamento, esplorazione, gioco, apprendimento ed acquisizione sono le tappe che si osservano nell’evoluzione del bambino all’interno dell’APM, con tempi e modalità diverse da individuo a individuo.
Si possono presentare dei comportamenti che sono di ostacolo al processo di cambiamento (PDC) e che vengono chiamati "condotte tossiche", oltre a momenti di stasi, che rendono necessario introdurre delle novità nelle proposte.
La modalità di presa in carico di tipo psicomotorio eto-comportamentale prevede il coinvolgimento iniziale, e per un periodo più o meno lungo, della madre del bambino autistico, per far sì che tra madre e bambino si sviluppino quelle caratteristiche naturali del rapporto che la difficoltà autistica ha reso difficili o assenti; si sottolinea inoltre l’importanza della massima collaborazione tra tutti coloro che sono soggetti di riferimento per il bambino.
11
Il gioco
11.1
Giocare con un Bambino Difficile
Molte persone pensano che "giocare è giocare" e che non ci sia niente sul gioco che un bambino debba imparare. Ma tutti i bambini passano attraverso delle fasi nello sviluppo delle abilità di gioco che vanno dal giocare da soli con semplici giocattoli, al giocare insieme ad altri bambini. I bambini con tendenze autistiche hanno molta difficoltà ad imparare a giocare. Infatti di solito è più facile per un bambino autistico arrivare a lavorare che non a giocare con successo.
11.1.1 Il gioco sociale precoce |
1) Il primo tipo di gioco del lattante sono i giochi da bebè viso a viso. Giochi come "fare il cucù" appartengono a questa categoria. I bambini più difficili spesso hanno delle difficoltà con i giochi che implicano interazioni sociali. Essi hanno più successo in questi giochi se c'è una componente fisica, come il solletico, e se voi rendete il gioco molto familiare ripetendolo nello stesso modo ogni volta che lo fate. Un esempio di un gioco sociale ripetitivo potrebbe essere di dire lentamente "1,2,3" avvicinandovi al bambino e poi iniziare a fargli solletico quando arrivate al numero tre. Dopo molte ripetizioni al bambino diventerà familiare questa routine. Egli inizierà ad anticipare quello che voi state per fare e potrà forse cominciare a fare alcune parti della routine con voi, come contare con voi, o prendere le vostre mani per fare il solletico.
2) Un altro tipo di gioco sociale è l'imitazione. I genitori di solito imitano i bambini piccoli come forma di gioco precoce e di iterazione. Alcuni bambini amano molto essere imitati e questo tipo di gioco può essere meno complicato socialmente per i bambini con tendenze autistiche. Ricordate che in questo tipo di gioco voi state imitando il bambino invece di chiedere a lui di imitare voi. Questo tipo di imitazione può essere più significativo per il bambino se voi usate due giocattoli identici e imitate le sue azioni con gli oggetti piuttosto che imitare solo i movimenti del corpo. I bambini non autistici di solito sviluppano prima le abilità di gioco sociale e poi imparano a giocare con i giocattoli. L'ordine di questa sequenza è dovuto al fatto che generalmente lo sviluppo sociale progredisce più rapidamente dello sviluppo motorio. I bambini autistici spesso sviluppano le abilità di gioco in un ordine inverso perchè, in confronto alle abilità sociali, le abilità motorie sono di solito un punto di forza. Pertanto i bambini autistici di solito imparano il gioco con i giocattoli prima del gioco sociale.
11.1.2 Il gioco con i giocattoli |
3) La prima fase di questo gioco è di imparare ad usare i giocattoli utilizzando il principio di "causa - effetto". Questi giocattoli creano un effetto osservabile quando un bambino compie una azione specifica. L'azione può essere molto semplice, come "scuotere un sonaglio - provocare un rumore", o può essere più complicata, come far schiacciare un bottone di quei giocattoli che saltano fuori da una scatola. Questo tipo di giocattolo insegna ai bambini che le loro azioni possono provocare degli specifici eventi osservabili. I bambini saranno più interessati ai giocattoli quando impareranno che con i giocattoli si possono fare cose divertenti. Questa esperienza della relazione di causa-effetto è un concetto importante anche per altri tipi di apprendimento.
I giocattoli sono più facili da usare se il loro effetto è molto evidente. I giocattoli facili da manipolare per il bambino renderanno più possibile la riuscita del gioco. Per esempio, se i movimenti fini sono difficili per il vostro bambino, scegliete un giocattolo che richieda movimenti alla sua portata, come premere un grosso pulsante. I giocattoli saranno più motivanti se vi accertate che la relazione del giocattolo è piacevole per il bambino. Per esempio, se al bambino piace la musica, trovate un gioco che suona una canzone quando si preme un pulsante.
Se il bambino ha difficoltà ad imparare ad usare un giocattolo potete fargli una dimostrazione a più riprese, giocando con il giocattolo e mostrandogli quello che fa. Potete anche accompagnare la mano del bambino in modo che egli compia il movimento corretto. Questo aiuterà il bambino ad imparare quali movimenti sono più importanti quando giocano con quel giocattolo.
4) La tappa successiva del gioco con i giocattoli è imparare ad usare giocattoli che non hanno un effetto ovvio o uno scopo chiaro. Questo tipo di gioco è più difficile perchè richiede al bambino di decidere che cosa il giocattolo dovrebbe fare invece di effettuare una azione dettata dalla struttura stessa del giocattolo. Quando insegnate al bambino ad usare questo tipo di giocattolo è importante usare giocattoli che sono interessanti per il bambino. Dato che il gioco è difficile da imparare per i bambini con tendenze autistiche, usare materiali motivanti interesserà di più il vostro bambino al gioco.
Esempi di giocattoli semplici che non utilizzano il sistema "causa - effetto" sono le macchinine e i cubi. Questi giocattoli hanno scopi piuttosto ovvi dal nostro punto di vista, ma i bambini autistici possono avere difficoltà a vedere lo scopo di questo tipo di giocattolo. Quando non capiscono lo scopo, essi creeranno un loro uso personale di questi giocattoli (metterli in fila, sbatterli per terra). Va bene che il bambino usi i giocattoli in un modo che ha senso per lui, come mettere in fila i giocattoli. Non c'è bisogno che impediate al bambino di fare un gioco ripetitivo. Invece, considerate queste attività come un mezzo per offrire al bambino una varietà maggiore di cose da fare con i giocattoli.
Prima di insegnare qualsiasi abilità di gioco, dovete essere sicuri che il bambino abbia le abilità motorie per giocare con quel giocattolo. Se il bambino non ha ancora sviluppato una motricità fine sufficientemente precisa per sovrapporre i cubi, allora sarà frustrante per tutti e due se voi cercate di insegnargli a costruire una torre con i cubi. Scegliete quindi dei giocattoli che siano interessanti e facili da manipolare.
I seguenti sono due esempi di come usare una struttura e indicazioni visive per aiutare il bambino ad imparare a giocare con i giocattoli.
A) Le macchinine : per rendere più chiaro lo scopo tipico del giocattolo, aggiungete delle indicazioni visive. Per esempio, se state insegnando al bambino a giocare con le macchinine, fate una semplice strada con un pezzo di cartone o con un pezzo della pista per le macchinine. La strada deve avere un inizio evidente, come un disegno della macchinina, ed una fine evidente, come una scatola dentro cui la macchina scompare. Mostrate al vostro bambino che la macchina parte all'inizio del percorso, va fino alla fine e che si muove correndo sulla strada. Potete riprodurre il rumore della macchina per insegnare al bambino un altro aspetto delle macchinine che gli altri bambini utilizzano naturalmente.
Quando il bambino è capace di imitare il movimento della macchina su una strada semplice, potete usare delle strade più complicate con delle curve. Quando il bambino utilizzerà strade più difficili, potrete mettere lungo il percorso degli elementi di arredo, ad esempio una casa o una stazione di servizio ed insegnare al bambino a fermarsi in questi posti. Potrete anche fare delle strade con più possibilità così il bambino potrà scegliere quale strada seguire. Mentre gli insegnate, rendete il gioco sempre più complesso dando al bambino più scelte ma sempre fornirgli la struttura che rende il gioco più significativo per il bimbo. Alla fine potete forse fare a meno della strada mettendo solo gli arredi sul pavimento perché il bimbo "guidi" la macchinina dall'uno all'altro. Poi il bambino può imparare a creare le proprie strade, mettendo a posto lui stesso gli arredi. Tenete sempre presente che la struttura che date al bambino offre più senso ai giocattoli. Se il bambino diventa meno interessato nei giocattoli quando voi togliete le strade e gli elementi di arredo, questo può voler dire che il bambino ha ancora bisogno di una certa strutturazione.
B) I cubi : potete seguire una sequenza simile quando gli insegnate a giocare con i cubi. Potete usate dei cubi grandi più facili da manipolare per il bambino. La prima cosa che molti bambini fanno con i cubi è di metterli in fila. Potete iniziare ad insegnare facendo vedere che si possono fare altre cose con i cubi. Potete fargli vedere come si impilano mostrandogli come mettere un cubo sopra all'altro. Iniziate con torri molto basse. Può esserci bisogno di qualche supporto fisico come un tubo trasparente dentro cui il bambino possa mettere i cubi. Così lui può vedere che i cubi vanno uno sopra all'altro. Questo tipo di struttura fisica insegna al bambino un nuovo modo di giocare con i cubi, ma lo fa in un modo che gli rende facile riuscire perché è impossibile farli cadere. A volte è difficile giocare con i cubi perché ce ne sono troppi. Il bambino può essere sopraffatto dal numero di cubi che ci sono in giro. Sarà più facile per il bambino porre attenzione a quello che viene fatto con i cubi se tutti i cubi eccedenti sono raccolti in una scatola o se voi date al bambino un cubo per volta.
Se il bambino sa riempire un tubo con i cubi, allora potete provare ad incollare un cubo su un pezzo di cartone per avere una base stabile per costruirci sopra. Può anche essere utile per il bambino vedere voi costruire una torre. Questo è un compito che richiede capacità di imitazione, quindi più il bambino sviluppa abilità di imitazione, più sarà facile insegnargli questo tipo di gioco. Quando il bambino sa imitare una torre, potete iniziare a costruire altre strutture semplici, come due torri una vicino all'altra. Se il bambino diventa molto bravo ad imitarvi, potete provare mostrandogli un modello di una struttura che è stata già costruita e vedere se lui può imitarla solo guardando il prodotto finito. Se il bambino ha difficoltà con l'imitazione, potete dargli altri suggerimenti visivi per dimostrare dove vanno i cubi. Per esempio, potete disegnare uno schema di costruzione con cubi su un pezzo di cartone, in modo che ci sia un quadrato per ogni cubo. Poi il bambino può abbinare i cubi ai quadrati, appoggiandoli sul cartone. Come la strada, fornire una griglia per abbinare, è una struttura che aiuterà il bambino a giocare. Quando il bambino sa costruire alcune semplici strutture con i cubi voi potete mostrargli due modelli o due disegni per abbinare e lasciare scegliere al bambino quella che vuole completare. Quando il bambino ha l'idea che può scegliere che cosa fare voi potete aumentare il numero di modelli tra i quali scegliere .
La tappa seguente potrebbe essere di insegnare al bambino ad aggiungere delle cose di sua iniziativa. Per esempio, sarà più facile per il bambino abbinare delle immagini che hanno lo stesso colore e dimensione dei suoi cubi. Dopo un po' potete fare i vostri modelli con cubi di un solo colore e dare al bambino dei cubi con vari colori diversi così lui comincia a sviluppare l'idea che le strutture non devono essere esattamente identiche. Mentre state insegnando, dovete trovare un equilibrio tra il fare le cose sempre nello stesso modo affinchè lui possa acquisire molta pratica e l'introdurre delle variazioni affinchè il bambino non rimanga fermo sull'idea che le cose debbano essere sempre uguali. L'obiettivo finale con il gioco è che il bambino prenda l'iniziativa di fare quello che vuole con i giocattoli. Appena il bambino ha sviluppato alcune abilità di base mettete delle scelte nel vostro tempo di gioco. Se il bambino sa scegliere un modello e certi colori da solo, allora iniziate a dargli un contenitore con alcuni cubi ma senza modello e guardate cosa fa. Di nuovo, il bambino avrà bisogno della struttura per aiutare il gioco, quindi non toglietegli il vostro aiuto tutto in una volta. Per esempio, potete dare al bambino più scelte su cosa costruire ma dargli ancora un numero limitato di cubi.
5) II livello successivo di gioco è imparare a mettere insieme due diversi tipi di giocattoli nella stessa attività. Ad esempio si potrebbe mettere una persona in una macchina giocattolo e guidare la macchina. Oppure mettere a letto una bambola e coprirla con una copertina. Questo è un gradino iniziale verso il gioco di "far fìnta " ma non richiede abilità di immaginazione più sofisticate perché i giocattoli sono usati nel modo in cui vengono usati abitualmente. Per esempio, se voi prendete un bastoncino e "fate finta" che sia una persona e lo mettete dentro una macchina, allora voi usereste un oggetto per rappresentare qualcosa che non è. Questo tipo di gioco richiede più abilità di immaginazione. Se voi usate un bambolotto o una figurina, allora il gioco è più chiaro visivamente e richiede meno immaginazione.
Iniziate usando modelli visivi, limitando il numero di oggetti o di personaggi, incoraggiando il bambino ad imitare, e usando dei suggerimenti visivi per aiutare il bambino ad imparare questa abilità. Gli stimoli visivi spesso richiedono della creatività da parte vostra dato che di solito non sono necessari nel gioco dei bambini non autistici. Riprendendo l'esempio della strada, potete aggiungere il suggerimento visivo di mettere la persona giocattolo in una delle fermate che già il bambino usa. Potete anche mettere la figura di un personaggio all'inizio della strada quando avete già messo la figura della macchina. Alla fine della strada mettete una casa vicino al garage così che la persona va nella casa quando la macchina va nel garage. Questo è un ricordo visivo di una routine che è familiare: entrare nella macchina e andare a casa.
Potete usare dei suggerimenti simili nel gioco delle bambole. Per esempio, sarebbe utile usare due bambole e due lettini. Una bambola potrebbe già essere nel suo lettino così è più chiaro cosa fare con la seconda bambola. Usare giocattoli che fisicamente "appaiono giusti" al bambino farà avere più successo al gioco. Per esempio, usare un letto della misura giusta per la bambola renderà più facile vedere che è lì che va la bambola. Oppure usare delle figure che sono della misura giusta per entrare nella macchina renderà più facile vedere che la figura deve andare a guidare la macchina.
Man mano che il bambino riesce in queste semplici routines, introducete altre fasi nella stessa routine. Per la macchina potrebbe significare mettere diverse persone in un autobus invece che una sola persona in una macchina. O potete fare che la persona si ferma alla pompa di benzina mentre va a casa. Questo è più facile se avete una stazione di servizio giocattolo con l'erogatore di benzina . Con le bambole potreste introdurre il gesto di baciare la bambola e poi di metterla a letto, oppure spazzolare i capelli della bambola prima di metterla a letto. Anche in questo gioco usate oggetti che sono impiegati nella vita quotidiana così è chiaro al bambino a che cosa servono gli oggetti.
Molti altri giocattoli possono essere adattati in modo che siano più chiari visivamente. Le scatole con le forme possono essere più chiare visivamente se voi contornate ogni foro con lo stesso colore del cubo che va infilato dentro quel foro. Se al bambino piacciono gli animali voi potete creare un recinto, una stalla ed un percorso recintato che va dal recinto alla stalla. Questo rende chiaro al bambino una azione che lui può fare con gli animali ( altri esempi : i dinosauri possono camminare da una caverna all'altra; un coniglio di pelouche può percorrere una strada saltellando, fermarsi per mangiare una carota, e poi saltare in una tana).
6) Quando il bambino ha imparato a giocare con diversi giocattoli potete essere sorpresi per il fatto che non tira fuori spontaneamente i giocattoli per giocare.
Questo può succedere anche se il bambino ama giocare quando voi prendete i giocattoli. E' spesso difficile per i bambini autistici sapere come iniziare una attività. Voi potete aiutarlo a superare questa difficoltà dando al bambino un elenco di giocattoli con cui giocare. Per esempio, voi potreste mettere tre figure in fila sopra le scatole dei giocattoli del bambino. La prima potrebbe essere una figura di macchine, la seconda una figura di cubi, e la terza una figura di un libro che gli piace. Tenete i materiali che servono al bambino per ogni tipo di gioco in contenitori separati così lui non deve organizzare il materiale prima di iniziare.
11.1.3 Il Gioco con i Coetanei |
7) Quando il vostro bambino padroneggerà diversi tipi di gioco potrete iniziare a introdurre altri bambini nel suo gioco. Il bambino riuscirà meglio se gli altri bambini vengono inclusi gradatamente. Come per i nuovi elementi del gioco, gli altri bambini dovranno essere introdotti a tappe successive. Inizialmente i bambini giocano semplicemente nella stessa stanza. Essi non giocano con gli stessi giocattoli e non interagiscono. Essi semplicemente giocano in prossimità l'uno dell'altro. I bambini autistici possono aver bisogno di più tempo in questa fase dei bambini non autistici perché la presenza degli altri bambini può essere per loro fonte di distrazione o di irritazione.
8) II tipo successivo di gioco con i coetanei è giocare vicino con gli stessi materiali. Per esempio, due bambini giocano entrambi con i lego, ma non condividono i pezzi e non costruiscono le stesse cose. Alcune attività che sono particolarmente adatte per questo tipo di gioco sono le sabbiere, i tavoli ad acqua, una scatola piena di giocattoli simili, come ad esempio macchine, o dipingere sullo stesso pannello murale.
9) Una volta che i bambini usano lo stesso materiale contemporaneamente, essi possono cominciare a condividere i materiali ma continuare a giocare fianco a fianco. Per esempio, i lego possono essere in un solo contenitore dal quale ogni bambino prende i suoi pezzi. Sebbene il bambino sta giocando vicino o anche con un coetaneo non autistico, può avere ancora bisogno.di usare le strutture che ha imparato nel gioco individuale. Per esempio, i due bambini stanno usando entrambi i lego ma il vostro bambino magari sta costruendo qualcosa abbinando i pezzi ad una immagine, mentre l'altro bambino sta giocando senza una figura come guida visiva.
10) Quando i bambini sanno condividere i materiali essi possono essere pronti a giocare insieme. Quando voi iniziate questa fase con un bambino autistico è spesso utile usare un bimbo più grande che ha più probabilità di essere paziente. Di nuovo, è meglio introdurre questo cambiamento nel contesto di una attività che il vostro bambino fa già bene. Per esempio, se al bambino piace e gli riesce bene giocare con i cubi, questa potrebbe essere una buona attività durante la quale coinvolgere un altro bambino. Di nuovo, se il vostro bambino usa certe strutture come i percorsi recintati per giocare con gli animali, dovrebbe continuare ad usare queste strutture. E' probabile che la maggior parte dei coetanei non obbietti a queste strutture e possa anche trovare modi più complessi per inserirle nel gioco.
Dei suggerimenti visivi possono essere usati per insegnare altre abilità di gioco come il fare a turno. Per esempio, se due bambini stanno giocando con i cubi insieme, i cubi possono essere in un contenitore e i bambini possono prenderli a turno passandosi il contenitore l'un l'altro.
11) Tutti i bambini iniziano a giocare con giochi di società tentando giochi molto semplici. Alcuni giochi di società possono aver bisogno di essere ulteriormente semplificati per i bambini autistici. I bambini autistici hanno bisogno di giochi di società semplici perché le richieste sociali di giocare un gioco sono così importanti che riusciranno e si divertiranno di più se sarà loro molto facile padroneggiare i meccanismi del gioco. Per esempio, si possono divertire al gioco "Memory" usato come un gioco di accoppiamento con tutte le carte scoperte : ogni bambino deve prendere a turno due figure uguali da mettere insieme. Il gioco "UNO" può essere giocato accoppiando semplicemente i colori senza preoccuparsi di abbinare i numeri o di seguire le altre istruzioni. I giochi da tavolo ( come il Gioco dell'Oca ) possono essere giocati senza dadi : ogni giocatore si sposta dello stesso numero di spazi ogni volta. Di nuovo questi giochi semplificati spesso funzionano meglio con bambini più grandi che capiscono che non è necessario vincere sempre.
12) Coinvolgere i compagni nel gioco dei bambini autistici non sempre ha portato a miglioramenti significativi nelle abilità sociali. L'introduzione progressiva di altri bambini aiuterà ad assicurarsi che il bambino autistico possa avere successo in esperienze di interazioni sociali. Se il bambino autistico si sente bene durante il gioco, anche al bambino non autistico piacerà di più giocare. I compagni non autistici sono spesso utili insegnanti di abilità sociali ma, come ogni insegnante, essi hanno bisogno di informazioni sui loro compagni autistici. Si possono dare semplici istruzioni ai compagni per aiutarli a capire perché i bambini autistici si comportano in quel modo. E' particolarmente utile insegnare ai compagni che i bambini autistici non capiscono sempre bene le parole e che essi possono aver •bisogno di sforzi maggiori per restare coinvolti in una attività sociale.
11.1.4 Cose da Ricordare |
1) L'aspetto più difficile nell' insegnare il gioco, l'imitazione, e la comunicazione è la comprensione dei concetti e di quello che è in gioco in queste aree di sviluppo.
I bambini autistici non acquisiscono in maniera innata il significato o l'importanza di tutte queste abilità.
Questo è il motivo per cui è importante cominciare ad un livello in cui il vostro bambino possa provare il più possibile l'esperienza di riuscire. Se il bambino non riesce nelle attività che provate, o non è capace di completarle da solo, può essere necessario tentare una attività più semplice. Questo non deve essere considerato un passo indietro. I bambini autistici possono essere molto altalenanti nella capacità di mettere in atto le loro competenze. Il vostro bambino può capace di comunicare con singole parole nei suoi giorni migliori ma può aver bisogno di usare le immagini in altri giorni. Oppure il bambino può essere capace di costruire delle torri con suo fratello alcune volte, ma in altri momenti può riuscire solo se gioca da solo. Rassicurarvi che il bambino acquisisce delle abilità ad ogni livello può significare che il progresso sarà lento, ma questo approccio avrà più possibilità di garantire che quello che il bambino impara è per lui significativo e utile.
2) Ci sono in realtà molti tipi di sviluppo che possono essere rivisti in questo modo passo dopo passo. Per esempio, lo sviluppo sociale, come il pensiero non verbale, l'imitazione, la comunicazione, e le abilità di gioco emergono in una sequenza di fasi evolutive. Nelle fasi precoci dello sviluppo, tuttavia, molti tipi di abilità sono collegati. Il miglioramento nelle abilità di gioco e nella comunicazione promuoverà lo sviluppo sociale. Il miglioramento nel pensiero non verbale aiuterà il vostro bambino a l'uso dei giocattoli. Ricordare di enfatizzare i punti di forza e gli interessi del bambino in tutti gli ambiti è importante perché lo sviluppo delle sue aree più forti promuoverà lo sviluppo nelle aree più deboli.
3) Man mano che il bambino attraversa ogni fase di sviluppo e intraprende attività più complicate, ricordatevi di fare in modo che ogni passo avanti sia un piccolo passo. Cambiate ogni attività poco per volta. Per esempio, se il bambino sa comunicare con successo riguardo al cibo usando le figure, voi potete desiderare che il bambino inizi ad usare le parole ed inizi a comunicare riguardo ad altri argomenti. Questo provocherebbe probabilmente troppi cambiamenti in una volta e porterebbe a delle frustrazioni. Scegliete di insegnare solo una cosa per volta. Per esempio, introducete una varietà maggiore di figure da usare per comunicare ma aspettate che padroneggi la comunicazione con le immagini prima di insegnargli un nuovo tipo di comunicazione come il linguaggio.
4) Ricordate che le abilità visive sono di solito un punto di forza per i bambini autistici. Può essere necessario molto lavoro e molta creatività per imparare ad usare le tecniche visive. Tuttavia, enfatizzare questo tipo di apprendimento ha buone probabilità di accrescere l'abilità del vostro bambino di imparare e di capire a tutti i livelli di sviluppo.
Il bambino autistico impara soltanto se guidato da un contesto di apprendimento ben strutturato, chiaro e prevedibile.(In linea di massima tutto ciò vale anche per adolescenti e adulti) Raramente impara in modo spontaneo o incidentale o per semplice imitazione, come spesso avviene per tutti gli altri bambini o spiegandogli solo verbalmente ciò che deve fare.
Essendo le sue difficoltà di fondo legate all'incomprensione del mondo sociale, convenzionale e simbolico della nostra realtà quotidiana e alle relative complessità di comunicazione è necessario saper discriminare ciò che è essenziale da ciò che è secondario, ciò che è astratto da ciò che è concreto. Del nostro mondo così complesso gli si possono insegnare solo semplici regole, ma non gli aspetti più raffinati, e ancora più difficilmente gli aspetti emotivi dei nostri comportamenti. Si tratta di saper individuare le priorità fondamentali per una vita il più possibile serena,sicura e autonoma. Molto invece può imparare degli aspetti concreti della realtà.
Ecco un esempio di come si può strutturare una seduta di apprendimento: (Per altri apprendimenti che riguardano il gioco o le routines sociali è necessario strutturare un contesto diverso)
* Innanzitutto predisponetevi positivamente: è possibile educarlo e istruirlo ed è anche stimolante e a volte entusiasmante: questo lo affermano tantissimi genitori e operatori e potrà scoprirlo chiunque ci proverà con costanza e con passione.
* Scegliete un posto tra gli spazi che avete a disposizione e che potete progressivamente rendere sempre più adatto per tale scopo. E' importante che sia sempre lo stesso. Serve un tavolo e una sedia adatti all'età del bambino,"pulito", privo di altri stimoli. E' preferibile che ci sia solo il materiale del compito che volete insegnare.
* Individuate un obiettivo molto semplice per il quale dimostra già qualche tentativo di comprensione, di interesse e di esecuzione.
Ecco alcuni esempi possibili e realistici: avete osservato che vostro figlio tenta di aprire una bottiglia ma non ci riesce? Tenta di slacciarsi la cerniera ma non lo fa bene e fino in fondo? Prova a togliersi il giubbotto e ad appenderlo ma tutto ciò è impreciso? Sfoglia un libro o una rivista e si sofferma su qualche immagine? E' attratto dai pennarelli e scarabocchia volentieri? Vi cerca e vi porta per farvi capire che vuole qualcosa? Dà qualche segno particolare quando deve fare la cacca? Gli chiedete qualcosa e accenna ad eseguirla ma poi si perde e non la conclude? Ecc.
Ogni adulto se osserva con attenzione può scoprire svariati tentativi da parte del bambino per fare o comunicare. Ogni suo tentativo di fare può essere opportunamente selezionato, attentamente osservato e insegnato, perché se ci prova già da solo, significa che è interessato e motivato a farlo e quindi è disposto a prestare attenzione a quel tipo di compito.
* Avete scelto il posto dove insegnare e un compito realistico e interessante anche per il bambino, ora individuate un tempo nell'arco della giornata, compatibile con le vostre occupazioni, che possa essere mantenuto costante. Meglio un tempo breve ma ripetuto e mantenuto che non uno lungo ma difficile da rispettare. Quindici minuti un paio di volte al giorno sono più che sufficienti per iniziare. In questo modo impara a prevedere, giorno dopo giorno il ritmo del lavoro.
* Individuate quale tipo di materiale vi serve per svolgere il compito. Il bambino autistico in genere presta maggiore attenzione agli oggetti, a materiali che si possono montare, combinare,classificare, ecc. Cercateli sempre nell'ambiente, non comprate materiali costosi o già costruiti, potrebbero risultare inutili. Costruite sempre voi il compito,con materiali poveri e di uso comune, questo vi permetterà di poterlo padroneggiare e modificare secondo le esigenze. L'esempio che segue è solo indicativo e si riferisce ad un compito che può essere insegnato facendo sedere il bambino ad un tavolo. Per altri apprendimenti, come lavarsi le mani, rassettare il letto, riordinare la biancheria nei cassetti,ecc, può essere più adatto strutturarli nel luogo dove effettivamente dovrà svolgerli: cucina, bagno, camera da letto, ecc.
Se per esempio volete insegnargli a fare i nodi, procuratevi quattro o cinque lacci, altrettanti bastoncini intorno ai quali fare i nodi, fissateli, ciascuno su un cartone robusto, infilateci sotto il laccio e provate prima voi ad eseguire i nodi per verificarne la facilità o meno dell'esecuzione e trovare la maniera più semplice e chiara. Disponete i cartoni così predisposti in un vassoio da pasticcini da posizionare in seguito sulla sinistra del bambino. Si prenderà il primo cartone, si collocherà al centro, si eseguirà il primo nodo e si collocherà il cartone, col nodo già eseguito, in un altro vassoio sulla destra. Si prenderà il secondo cartone e si ripeterà il procedimento fino all'ultimo. Quando non ci saranno più elementi sulla sinistra, si prenderà il vassoio vuoto, si collocherà su quello pieno sulla destra e si metteranno su uno scaffale o su una sedia o in una scatola sempre sulla destra, in modo che il tavolo rimanga di nuovo vuoto, "pulito". A questo punto si dirà: "abbiamo finito", accompagnando le parole con un gesto adatto e sempre uguale. Il compito potrà progredire opportunamente fino all'esecuzione dei nodi sulle scarpe.
* Quando tutto vi risulta chiaro, (se il compito non è chiaro e semplice per voi, come potete renderlo semplice e chiaro per lui?) prendete il materiale così costruito, lo mostrate al bambino e prendendolo per mano ditegli: "andiamo a lavorare", accompagnandolo decisi verso il tavolo già predisposto. In seguito sarà necessario individuare un simbolo-segnale del lavoro che sarà strettamente individualizzato tenendo conto delle abilità del bambino. Riconosce bene le foto? Potete scegliere una foto. Sa leggere? Potete scegliere un cartoncino con su scritto: "LAVORO". E' importante che ogni volta che deve lavorare, voi gli mostriate e gli facciate prendere in mano il simbolo scelto. Le parole da sole per il bambino autistico non sono mai sufficienti né molto significative.
* Lo fate sedere correttamente, vi sedete di fianco o di fronte, richiedete la sua attenzione al materiale e dimostrate come fare. Nel caso citato sopra, il primo nodo col primo laccio, poi dite:" prova tu", oppure, "adesso fallo tu" facendogli prendere il secondo cartone.
* Osservate con la massima attenzione se ci prova, quanto è in grado di imitare ciò che gli avete proposto, che tipo di difficoltà incontra, dimostrando ulteriormente, se necessario, come si fa. Se vi accorgete che il compito è ancora difficile per lui, o che viene meno l'interesse da parte sua, aiutatelo concretamente, con calma e con le parole strettamente necessarie, a portarlo comunque a termine, richiedendo la collaborazione che è in grado di dare e terminate dicendo:"bravo che hai lavorato", gratificandolo con qualcosa di suo sicuro gradimento per l'attenzione e per la collaborazione. Chi ha un bambino autistico, genitore o operatore deve innanzitutto conoscere ciò che gli piace e può e deve usarlo per gratificarlo ogni volta che il bambino collabora. Può essere una carezza, un bacio, un'attività preferita, un giocattolo o un pezzetto di cibo o di dolce.
* Terminate la seduta di lavoro dicendo sempre:"abbiamo finito", come sopra specificato. Usate sempre un linguaggio semplice ma efficace e adeguato al tipo di compito, fatto di parole o frasi "chiave". Se parlate troppo potreste confonderlo. Le spiegazioni più efficaci sono quelle dimostrative col materiale strutturato, accompagnate da parole e frasi standard.
* A questo punto la seduta di lavoro è terminata per il bambino ma non per l'adulto che deve analizzare ciò che ha funzionato e ciò che è risultato troppo difficile, prendendone nota e modificando il compito per renderlo sempre più adeguato allo scopo. In questo l'uso della videocamera è di enorme aiuto, provare per credere. Lavorare con un bambino autistico è sempre, necessariamente, un lavoro di continua e attenta ricerca.
* Prestate sempre molta attenzione alla caduta dell'interesse e dell'attenzione: se non è attento e interessato a ciò che gli state proponendo, è del tutto inutile insistere, ma portate comunque a termine la seduta di lavoro, come detto sopra. Se l'obiettivo era realmente alla portata delle abilità del bambino, i risultati positivi non si faranno attendere, e anche il comportamento risulterà sufficientemente adeguato, sia in termini di collaborazione che di apprendimento. Se, al contrario, il compito era troppo difficile, allora il suo comportamento vi dimostrerà con chiarezza che deve essere ulteriormente semplificato o addirittura abbandonato, scegliendo un obiettivo molto più semplice, alla sua portata e di suo sicuro interesse. Si deve cominciare sempre da ciò che piace al bambino.
L'esperienza mi dice che è molto difficile predisporre un contesto educativo così complesso e strutturato soprattutto in casa dove a volte, tempi, spazi, abitabilità e numerose altre variabili rendono estremamente difficile anche solo un lavoro di quindici minuti giornalieri. E' senz'altro più facile in una scuola. Numerose famiglie,però ci hanno provato, ci sono riuscite, e ne sono state abbondantemente ripagate, e quindi tutto ciò non solo è possibile ma anche l'unico modo sicuro per imparare a gestire adeguatamente e in modo globale nel tempo una persona con autismo. Dopo un certo tempo, aumentando l'esperienza, la conoscenza, la volontà e il progressivo aumento dell'efficacia e della soddisfazione,del bambino e vostra, vi avvierete naturalmente verso una semplificazione e un'organizzazione dell'insegnamento e dell'ambiente di vita che sarà funzionale e stimolante per tutti. Solo allora potrete rendervi conto che è possibile insegnare ad un bambino autistico ed educarlo a rispettare alcune regole di comportamento necessarie per una migliore qualità della vita.
12Esempi da un insegnante
Nota 12.1 Questo aspetto dovrebbe essere prioritario quando si organizza per studenti con disturbi dello spettro autistico. 12.2 In questo angolo ricavato si possono riconoscere le seguenti aree:
Tipica postazione di lavoro (area C)
Lo schema aiuta lo studente a sapere dove andare, quando andare, e cosa succedera' in seguito. Questo e' uno dei metodi piu' importanti per ridurre l'ansieta' nelle persone con autismo.
12.5 “E' OK”, "Va bene",. 12.6 I bambini con disturbi dello spettro autistico hanno spesso difficoltà nell'esprimere i loro desidere ed i loro bisogni. È spesso più facile (e più efficace) per loro reagire con una crisi di comportamento che "calcolare" come dire "Io voglio..." oppure "Io non voglio...". La crisi serve allo scopo e inoltre attrae l'attenzione di alcune persone. Ricordarsi sempre, ogni bambino è differente, ma ogni bambino è un po' simile agli altri. |
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Mi permetto di presentare qui si seguito, alcuni casi di bambini autistici, non seguiti personalmente da me in sede di tirocinio, ma delle esperienze vissute da altre persone e riportate semplicemente in letteratura.
Faccio questo sperando di riuscire a rendere ancor più verosimile il mio operato, attraverso la testimonianza di coloro che hanno avuto la possibilità di vivere a stretto contatto con questi fanciulli, grazie ai quali, oltre al raggiungimento di una gratificazione personale, sono riusciti ad entrare in quel “mondo” tipico degli autistici, in cui si ha la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta (l’isolamento dell’autistico).
13.1
La storia di Nicola
Nicola si presentò al nostro mondo al termine di una gravidanza normale, pesando oltre quattro chili, con un parto spontaneo e senza complicazione alcuna. I controlli neonatali furono tutti regolari, come pure quelli effettuati sulla mamma. E' il nostro secondo figlio, nato circa due anni dopo il fratello Massimo.
I nostri ricordi dei primi mesi di vita evidenziano una scarsa vivacita', che non ci ha preoccupato eccessivamente visto il regolare sviluppo psico-fisico del fratello maggiore, di indole abbastanza tranquilla. Anche il linguaggio che tardava a presentarsi anche in forma primitiva, veniva considerato normale, perche' anche la mamma ed in parte anche Massimo avevano iniziato a parlare in ritardo.
Arrivati all'eta' di un anno e mezzo-due anni, si evidenziava sempre piu' una assenza di socialita' e di comunicazione in generale: ad esempio, non allungava le braccia per prenderlo dal lettino quando sveglio, non gradiva le coccole ne' guardava negli occhi la persona che cercava di tenerlo in braccio, non si "accorgeva" dei suoni e dei rumori forti che avvenivano vicino a lui.
Forse l'aspetto piu' osservato, anche da parte degli altri familiari ed amici, e' che chiamato per nome non si girava mai, tant'e' vero che pensammo inizialmente a dei problemi di sordita' (..anche se stranamente mostrava di gradire delle audiocassette con le canzoni per bambini anche a basso volume...)
I primi dubbi
Con questi dubbi, iniziammo con il portare il bambino da un otorinolaringoiatra, e successivamente per un esame audiometrico presso un ospedale regionale.
Fu qui' che la dottoressa dopo un primo tentativo di misurazione (non molto gradito da Nicola...), ci indico' la possibilita' di un problema nello sviluppo cerebrale, e consiglio' approfondite visite dal reparto neurologico. Nicola aveva allora due anni e mezzo.
Esclusa quindi l'ipotesi della sordita', ci rivolgemmo ad un pediatra che, avendo probabilmente capito subito di cosa si trattasse, fece fare una serie completa di esami clinici, durati diversi mesi.
Nel frattempo che eseguivamo queste analisi, avevamo gia' iniziato a cercare su internet informazioni e conferme riguardo l'ipotesi che si trattasse di autismo, come presto ipotizzato.
Questo dubbio si trasformava sempre piu' certezza mano mano che leggevamo dati e notizie simili al comportamento del nostro bambino; in quel periodo Nicola era particolarmente attratto dagli oggetti roteanti di per se' stessi o fatti girare da lui per lungo tempo: questo e gli altri atteggiamenti e comportamenti rientravano completamente nella definizione del DSM-IV :--((
L'esito degli esami, avuti quando Nicola aveva ormai tre anni, non riservo' soprese, citando "Ritardo generalizzato dello sviluppo e disturbi di tipo autistico".
Altre visite presso psichiatri e neuropsichiatri portarono a diagnosi tra le piu' varie, che nulla aggiungevano a quanto gia' stabilito: ad esempio, il psicologo di un noto ospedale ci consiglio' di eliminare nel nostro rapporto di coppia (!) elementi di disturbo nella relazione con Nicola, causati da disaccordi pre-matrimoniali e causa del suo comportamento..., mentre un altro neuropsichiatra ci indico' quale unica strada "dategli tanto amore, altro non si puo' fare..."
E adesso?
Stabilito definitivamente che Nicola era un bambino con autismo, ci si trovo' al problema principale: che fare?
In assenza di specifiche indicazioni da parte dei medici, provammo per primo a seguire le indicazioni riportate dal dr. Rimland dell'Autism Research Institute, che riscontrava una ventina di studi sugli effetti della vitamina B6 unita al magnesio nei casi di autismo, iniziando una prima sessione di somministrazioni a Nicola a partire dal gennaio 1998.
Proseguimmo con queste somministrazioni per quasi un anno e mezzo, in due cicli: riscontrammo dei leggeri miglioramenti sopratutto iniziali, nell'attenzione e nel contatto visivo; inoltre non notammo alcun effetto collaterale, anzi Nicola sembrava meno attaccabile da malattie stagionali (probabilmente l'effetto immuno-stimolante della D.M.G.)
Contestualmente, cercavamo di informarci sulle possibile vie di riabilitazione e recupero, iniziando anche una stagione di musicoterapia e di terapia in piscina, che Nicola mostrava di gradire molto.
Grazie anche alle informazioni reperite in rete, riuscimmo a farci un'idea teorica delle possibili strade da percorrere, e cercammo quindi quella che poteva essere la piu' adatta per un bambino come lui.
Da allora non abbiamo smesso di cercare di contattare altre situazioni simili alla nostra, sia per imparare e condividere i problemi e anche le gioie, sia per cercare di dare a Nicola, e a persone come lui, un futuro "decente".
Abbiamo partecipato a congressi, corsi, incontri, abbiamo conosciuto tante persone, che in varia misura, hanno contribuito a far crescere Nicola insieme a noi, parliamo di professionisti, di insegnanti, di altri genitori e di terapisti, ai quali va' il suo ed il nostro grazie!
Capiamo che probabilmente Nicola non sara' mai "uguale" agli altri suoi coetanei, pero' il nostro sogno e' che abbia una vita rispettosa delle sue necessita' e dei suoi desideri: abbiamo tutti bisogno di una societa' piu' attenta verso di loro e coscente dei loro bisogni...
Tommy Barrett, ha degli occhi da sognatore e l'aspetto di un bimbo di cinque anni, e vive con i suoi genitori, due fratellini gemelli, due gatti e una tartaruga a San Jose, California, il cuore della Silicon Valley. È uno studente che si fa onore, che ama la matematica le scienze e i video games. È anche l'esperto mondiale della classe in Animorfismo e giocattoli Transformer, “Sono macchinine o treni, o animali che si possono trasformare in robots o umani. Mi piacciono” interviene esuberante.
E questo è qualche volta un problema. Per lungo tempo infatti la passione di Tommy per i suoi giocattoli era così forte che quando non erano a portata di mano egli sembrava pretendere di trasformare se stesso in un giocattolo, in un robot e poi in un mostro. Egli lo faceva ovunque, nel cortile della scuola e persino in classe. Il suo insegnante trovava che questa pantomima ripetitiva, peraltro anche simpatica, era disturbante e così pure per sua madre Pam. Ma a quei tempi vi erano altri segnali allarmanti. Pal Barrett ricorda che all'età di tre anni, Tommy parlava fluentemente, perfino con interlocutori volubili, ma sembrava incapace di farsi coinvolgere dai reciproci ruoli in una conversazione, e curiosamente, egli evitava di guardare negli occhi la gente. E sebbene Tommy fosse ovviamente bravo - egli aveva imparato a leggere all'età di quattro anni - egli era così isolato e distratto da non poter partecipare alla lettura di gruppo della scuola.
Quando Tommy superò gli otto anni, i suoi genitori finalmente compresero che c'era qualcosa che non funzionava. Il loro brillante piccolo bimbo, li informò uno psichiatra, aveva una forma mite di autismo detta sindrome Asperger che spesso rispondeva bene alla terapia, e i Barrett trovarono sul momento la notizia alquanto sgradevole.
Questo perché proprio due anni prima i coniugi Barrett, Palm e il marito Chris, ricercatore e programmatore di software, avevano appreso che i fratelli di Tommy, i gemellini, Jason e Danny erano profondamente autistici.
I gemellini che sembravano normali alla nascita, impararono anche alcune parole prima di immergersi nel loro mondo segreto, perdendo velocemente le abilità che avevano cominciato a manifestare. Invece di usare i giocattoli per giocare, loro li rompevano, invece di parlare essi emettevano gemiti, o urletti...
Prima Jason, poi Danny, ora Tommy.
Pam e Chris cominciarono con il chiedersi se i loro figli fossero stati sottoposti a sostanze tossiche. Essi cominciarono ad indagare le problematiche delle loro parentele, chiedendosi da quanto tempo l'autismo adombrasse le loro famiglie.
L'angoscia vissuta da Palm e Chris Barrett è ciò che provano decine di migliaia di famiglie degli Stati Uniti di America e di altre parti del mondo. Così improvvisamente casi di autismo e di sindromi correlate, come l'Asperger, stanno numericamente esplodendo e nessuno ha una buona spiegazione. Mentre per alcuni esperti questo incremento vertiginoso dipende unicamente dalla diffusione recente di validi criteri diagnostici, secondo altri questi dati sono in parte reali e preoccupanti. Nello stato abitato dai Barrett, la California, per esempio, il numero dei bambini autistici che si appoggiano ai servizi sociali è più che quadruplicato rispetto ai trascorsi quindici anni, dai quasi 4.000 casi nel 1987 ai circa 18.000 di oggi.
Trattasi di un ragazzo di 14 anni (Giuseppe T.) seguito presso il nostro Centro fin dall'età di 5 anni.
Gentilizio positivo per epilessia (un fratello del padre) e per turbe comportamentali (uno zio del padre).
Nato a termine di gravidanza fisiologica seguita da parto eutocico. All'età di 3 anni è stato ricoverato in ospedale per glomerulonefrite acuta, da cui guarì senza postumi né complicanze. Fin dall'età di due anni viene riferito notevole ritardo del linguaggio, atteggiamento di tipo autistico e turbe comportamentali connotate da notevole irrequietezza psicomotoria, instabilità attentiva, mancanza di contatto interpersonale, incomunicabilità.
L'osservazione del ragazzo all'inizio del trattamento, ha consentito di rilevare mancanza di reattività nei confronti delle persone, inadeguatezza nelle capacità di comunicazione. Il linguaggio, quasi del tutto assente, è connotato particolarmente da struttura grammaticale immatura, ecolalia immediata o tardiva, incapacità di usare termini astratti.
Le reazioni bizzarre all'ambiente sono rappresentate da attaccamento ad oggetti inusuali ed inanimati, comportamento motorio di tipo rituale (laccio di scarpe che fa girare continuamente), giochi stereotipati con l'acqua. Il ragazzo sfugge il confronto oculare ed al contatto corporeo si irrigidisce.
Assenti allucinazioni e deliri.
Il trattamento terapeutico non ha mai contemplato l'impiego di psicofarmaci, ma si è fondato sul trattamento di terapia occupazionale integrato dall'approccio psicoterapico.
La terapista riesce ad entrare in sintonia con Giuseppe canticchiando la sigla di un cartone animato che lui ripete continuamente in maniera stereotipata. Dopo questo primo approccio egli si fa toccare dalla terapista, permette che questa lo accarezzi e comincia a balbettare qualche parola.
Giuseppe comincia ad avere la consapevolezza del proprio corpo come qualcosa che si può toccare, carezzare. Le braccia e le mani, che prima servivano solo da bilanciere per far roteare il laccio delle scarpe, con l'andar del tempo diventano strumento indispensabile per il contatto con il mondo esterno.
Adesso Giuseppe non solo gradisce essere accarezzato, ma prova piacere nell'accarezzare le persone e le cose che lo circondano. I giochi della stanza, dapprima ignorati, cominciano ad animarsi. In un primo tempo la terapista dirige e finalizza i giochi, mentre, con il passar del tempo, egli stesso decide di operare la scelta dei giochi che preferisce. Si stabiliscono precise conseguenze che puntualizzano lo scopo al fine di impedire che il movimento si trasformi da atto volontario e motivato a stereotipia ed immotivata esecuzione.
Vengono affrontate nel contempo tematiche centrate sull'utilizzo consapevole e produttivo di diversificate modalità espressive. Così facendo, abbiamo aiutato Giuseppe a rinforzare la sicurezza relazionale e ad instaurare un rapporto di maggiore disponibilità e fiducia nella relazione con l'altro, fiducia che il soggetto acquisisce via via che impara ad utilizzare il corpo come veicolo di comunicazione e conoscenza e come mezzo di relazione.
Dopo anni di assiduo lavoro, Giuseppe è notevolmente cresciuto; manifesta interesse e tende a socializzare con le persone che costantemente gli sono vicine. E' in grado di eseguire lavori manuali (disegno, collage, mosaico), sia su invito che spontaneamente, dimostrando non solo interesse ma enorme piacere nella socializzazione.
Conclusioni
Non abbiamo la pretesa di giungere ad una conclusione rigorosamente e scientificamente fondata in termini di metodo e pienamente validitata nella sua significatività statistica. Pur tuttavia possiamo affermare che, nel caso in esame, significativi miglioramenti si sono osservati con un trattamento occupazionale e di integrazione degli stimoli corporei.
Tale tipo di terapia, fondata essenzialmente sulla comunicazione gestuale, la manipolazione, la motricità e la tattilità è strettamente legata all'ipotesi tattile-gestuale nell'etiopatogenesi della psicosi autistica.
Alexander Lowen ha osservato, basandosi sullo studio clinico di molti schizofrenici che la sensazione di identità nasce dalla sensazione dì contatto con il corpo. Nel paziente psicotico esiste una dissociazione tra immagine e la realtà e specialmente nello stato autistico questa dicotomia dialettica non si sarebbe neppure costituita.
L'identità personale ha una sostanza ed una struttura soltanto quando è basata sulla realtà di sensazioni corporee. Il corpo, nella fattispecie, è il requisito essenziale di ogni possibilità di comunicazione interiore ed esteriore. L'approccio centrato sull'espressione corporea come mezzo di comunicazione non verbale, a nostro avviso, consente di intaccare la rigidità con cui i soggetti psicotici affrontano la propria e l'altrui realtà psicofisica, di recuperare le molteplici capacità espressive latenti, di acquisire una padronanza comportamentale attraverso la stimolazione costante delle capacità di percezione, rappresentazione ed espressione. Noi riteniamo che un intervento terapeutico che miri all'integrazione delle strutture sensoriali attraverso un'immersione in stimoli fisici e relazionali, tramite un largo uso di linguaggio e comunicazione non verbale, può produrre, come nel caso osservato, dopo un intervento di vari anni, alcuni significativi miglioramenti.
Siamo convinti che l'ergoterapia, associata alla psicoterapia, nell'ottica di una reintegrazione corporea e relazionale, veicolata da messaggi somato-sensoriali, possa dare un contributo allo sviluppo della personalità del bambino autistico.
13.4
Paul
Paul è sempre stato ossessionato dall’ordine. Quand’era bambino allineava le costruzioni, raddrizzava le posizioni delle sedie, teneva lo spazzolino da denti sul lavandino sempre nello stesso posto, ed aveva un accesso di collera quando qualcosa veniva spostato. Paul poteva anche diventare aggressivo.
Alcune volte, quando turbato o ansioso, poteva esplodere improvvisamente scagliando l’oggetto più vicino, o rompendo una finestra. Se sopraffatto dal rumore e dalla confusione, si auto-colpiva o si mangiava le unghie fino a farle sanguinare. A scuola, dove il suo programma e il suo ambiente erano attentamente strutturati, aveva un comportamento più normale. Ma a casa, fra la confusione imprevedibile e rumorosa di una grande famiglia, era spesso fuori controllo.
Per i suoi genitori divenne sempre più difficile, a causa di ciò, aver cura di lui e soddisfare anche i bisogni degli altri figli. In quel periodo, più di dieci anni fa, questo disturbo era molto meno conosciuto,ed erano disponibili poche opzioni terapeutiche. Così, all’età di 9 anni, i suoi genitori lo misero in una struttura residenziale dove poteva ricevere attenzioni e vigilanza 24 ore su 24.
Alan
Alan da piccolo era giocoso ed affettuoso. A 6 mesi sapeva già sedersi e gattonare. A 10 mesi iniziava a camminare e a dire qualche parola e a 13 sapeva contare. Un giorno, a 18 mesi, sua madre lo trovò seduto in cucina, solo, che faceva girare ripetutamente le ruote dell’aspirapolvere con una tale persistenza e concentrazione che non le rispose quando lei lo chiamò.
Da quel giorno in poi, lei dice: “Fu come se qualcuno avesse gettato un’ombra su di lui”. Alan ha smesso di parlare e di relazionarsi con gli altri. Spesso, corre velocemente attorno a casa come un demone. E’ diventato fissato con le luci elettriche, correndo attorno a casa, le accende e le spegne. Se viene fermato, ha un accesso di collera, picchia e scalcia chiunque si trovi alla sua portata.
Janie
Fin dalla nascita, Janie è sembrata diversa dagli altri bambini. All’età in cui la maggioranza dei piccoli ama relazionarsi con la gente ed esplorare l’ambiente circostante, Janie sedeva senza muoversi nella sua culla, e non rispondeva ai sonaglini o agli altri giocattoli. Inoltre non sembrava seguiree neanche le sequenze normali di sviluppo. Si alzò prima di gattonare, e quando iniziò a camminare, lo fece sulla punta dei piedi.
A 30 mesi ancora non parlava. Afferrava invece, le cose o piangeva per ottenere ciò che voleva. Sembrava avere anche un’immensa forza di concentrazione, sedeva per ore guardando un giocattolo che teneva fra le mani.
Quando Janie fu portata in una clinica speciale per essere controllata, trascorse tutto il tempo della visita tirando via i pelucchi di lana dal pullover dello psicologo.
Conclusioni
Concludo dicendo che, poter trovare varie forme di attività umana, varie forme di attività professionale è un tesoro importante, però ce ne sono alcune, poche, che hanno un grande vantaggio, di farci tenere sempre di fronte e vicina la nostra infanzia con il recupero di creatività e di equilibrio.
A me pare che, insegnare ginnastica in questo contesto è un modo straordinario di fare un lavoro creativo e di rimanere ancorati con una certa gioia alla propria infanzia, e trasferire una grande quantità di amore a coloro che sono stati un po’ meno fortunati di noi, ma che, probabilmente anche più di noi, sono in grado di trasmettere dei sentimenti reali e sinceri.
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Fonte: http://www.secondaluna.it/LinkClick.aspx?fileticket=dhz2e65Qzzc=&tabid=77&mid=486
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