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LINEE GUIDA PER LE PERSONE AFFETTE DA AUTISMO
Le Linee Guida:
Tali indicazioni, raccomandazioni e/o suggerimenti sono ricavati facendo riferimento alla letteratura internazionale e possono riguardare uno specifico aspetto di una situazione patologica o per contro aspetti più generali.
L’adozione delle raccomandazioni espresse all’interno di tali Linee Guida in termini di diagnosi e di trattamento non esclude la possibilità ( talvolta l’opportunità) che, sulla base della valutazione del singolo caso, si possano di volta in volta prendere decisioni alternative.
Queste Linee Guida affrontano soprattutto gli aspetti di organizzazione e di gestione sanitaria e sociale delle problematiche connesse alla patologia autistica; per le raccomandazioni tecniche-operative riguardanti gli operatori dei servizi si rinvia alle linee guida per l’autismo recentemente stilate a livello europeo dalle società scientifiche internazionali con cui il presente documento è direttamente interconnesso.
PREMESSA
Il termine autismo identifica una disabilità permanente complessa, di natura neurobiologica, che si manifesta ed è identificabile nella prima infanzia sulla base di difficoltà di comunicazione, interazione e modalità comportamentali. Gli ultimi studi suggeriscono una prevalenza fino a 6 su 1000, con un tasso stimato di 1 su 500 nati se si considerano i disturbi dello spettro (Prior, 2003).
Si manifesta in un range di gravità da moderato a severo e comporta in ogni caso nelle persone che ne sono affette una significativa compromissione dello sviluppo delle funzioni mentali con la conseguenza di una grave disabilità.
Sul piano epidemiologico tenendo conto delle differenze che emergono dall’uso di diverse classificazioni, è possibile affermare che mentre i disturbi dello spettro autistico (DGS) hanno una prevalenza dello 0,1-0,3% nell’intera popolazione infantile, la prevalenza dell’autismo nucleare è stimata intorno allo 0,04-0,05%, costituendo circa il 3% di tutta la popolazione psichiatrica in età evolutiva. Alcuni studi recenti sostengono che la prevalenza dell’autismo sia addirittura maggiore, tenendo conto che sono comunque aumentati i disturbi attualmente considerati inclusi nello spettro autistico.
Circa l’80% delle persone con autismo presenta anche una condizione di ritardo mentale ed almeno il 50% non sviluppa nessuna forma di linguaggio. Spesso sono presenti condizioni cliniche associate di cui la più comune è l’epilessia.
Di fatto, l’autismo inteso come deficit dell’interazione sociale è la condizione specifica di uno spettro di disturbi (spettro autistico) nel quale si includono disturbi in parte diversi tra loro con disabilità molto differenti (presenza o assenza di linguaggio verbale, di ritardo mentale, di disturbi del comportamento, di deficit prassicomotorio, di deficit nelle autonomie personali, ecc) definibili come Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DSM IV), Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DSM III-R), Sindromi da Alterazione Globale dello Sviluppo Psicologico (ICD 10), Psicosi Infantili (ICD9-CM, CFTMEA), ecc.
Infine i disturbi dello spettro autistico sono un gruppo di sindromi che condividono aspetti clinici e patogenetici ma riflettono probabilmente eziologie diverse.
Nonostante si tratti di un quadro clinico complesso, con limiti nosografici non sempre ben definiti, la letteratura scientifica internazionale è riuscita a raggiungere un adeguato livello di consenso, sia per le procedure diagnostiche che per le modalità d’intervento. Per entrambi si fa riferimento a modelli caratterizzati da elevata specificità e specializzazione.
Le persone affette da autismo necessitano di una continuità di presa in carico che si moduli sulle loro necessità, che cambiano in relazione con l’evoluzione del loro quadro clinico e con il loro naturale sviluppo.
La presa in carico richiede multiprofessionalità e modalità di intervento che sappiano interagire con le dimensioni sociali e combinare professionalità specifica di interventi sanitari con la più ampia inclusione e partecipazione sociale possibile.
È indispensabile un’attenta programmazione delle risorse per garantire un adeguato supporto terapeutico e una serie di interventi a favore dell’ambiente di vita quotidiana del soggetto.
Le persone con autismo possono migliorare sostanzialmente la loro qualità di vita purché usufruiscano di una presa in carico multidisciplinare continuativa e coordinata, comprendente:
DIAGNOSI FUNZIONALE PRECOCE
La diagnosi di autismo infantile è attualmente formulata facendo riferimento ai criteri del DSM IV redatto dall’American Psychiatric Association simile alla classificazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (ICD 10) che prevede la presenza di almeno sei sintomi di cui almeno due riferibili ad una compromissione qualitativa dell’interazione sociale, almeno uno riferibile alla compromissione qualitativa della comunicazione verbale e non verbale e almeno uno riferibile ad una compromissione dell’area dell’attività e degli interessi. Ne deriva che la diagnosi di autismo e di altri DGS è esclusivamente clinica.
La sola presenza di anche uno dei criteri descritti:
1) compromissione quantitativa dell’interazione sociale,
2) compromissione qualitativa della comunicazione,
3) modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati,
comporta l’inclusione nei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo non altrimenti specificati (autismo atipico).
A causa dell’estrema variabilità della gravità e dei sintomi l’autismo può essere misconosciuto. Una diagnosi attendibile richiede l’intervento di un’equipe professionale multidisciplinare e l’uso di strumenti clinici validati (ADOS-G, ADI-R, ABC, CARS, ECA, CHAT, ecc).
A causa delle menomazioni sociali e linguistiche che possono interferire sul funzionamento globale, risulta difficile valutare il funzionamento intellettivo e le abilità cognitive delle persone con autismo senza l’utilizzo di modalità di rapporto e di osservazione specifiche.
Inoltre poiché l’autismo è a volte associato a condizioni mediche che possono riflettere eziologie diverse di tipo neurologico, genetico, metabolico o altro, diviene necessario l’utilizzo di esami clinici e di esami strumentali specifici alle differenti patologie quando si sospetti la presenza delle stesse.
Certamente la fase di definizione dell'iter diagnostico e del conseguente progetto terapeutico riabilitativo deve poter prevedere l'apporto di contesti di alta e specifica competenza e deve essere la risultante delle attività di approfondimento medico, psicologico e sociale integrato fra i diversi ambienti dei servizi territoriali, ospedalieri, scolastici e familiari (valutazione clinica e trattamento integrato).
Il Disturbo Autistico solitamente esordisce nei primi tre anni di vita e spesso le modalità di esordio sono subdole e mal definite. L'operatore di I livello (pediatra o anche operatore di asilo nido) deve pertanto essere sempre attento alle preoccupazioni e ai dubbi riferiti dai genitori circa lo sviluppo della comunicazione e della socializzazione del bambino. Infatti, seppur a volte sia difficile, è molto importante diagnosticare l’autismo in età precoce identificando i segnali di rischio di un alterato sviluppo comunicativo-relazionale entro il secondo anno di vita del bambino, perché un intervento precoce può migliorare sensibilmente la qualità della vita della persona autistica. Formulare una diagnosi tempestiva di autismo è importante anche perché:
Per quanto fin qui esposto, appare indispensabile la sensibilizzazione dei pediatri di base e l’inserimento, nei bilanci di salute dei primi anni di vita, di valutazioni dello sviluppo comunicativo-relazionale e di strumenti diagnostici di screening dell’autismo come la CHAT di Baron-Cohen già utilizzata in molti paesi europei. Nei casi in cui, in base ad un test standardizzato o all'osservazione effettuata, sembri verificarsi un serio sospetto di autismo l'operatore di I livello deve richiedere una visita specialistica (Neuropsichiatra Infantile) per l'eventuale conferma diagnostica. Nei casi dubbi l'operatore di I livello, d’accordo con i genitori, organizza un controllo a distanza di quattro settimane per una rivalutazione dei segni "sospetti".
La diagnosi finale è di competenza medica, ma al percorso diagnostico è indispensabile che concorrano altre figure professionali, quali:
VALUTAZIONE FUNZIONALE
La valutazione funzionale è un percorso che deve accompagnarsi alla diagnosi clinica, con obiettivi differenti seppur complementari per una corretta presa in carico. Mentre la diagnosi clinica ha lo scopo di classificare all’interno di categorie riconoscibili e stabili nel tempo, la valutazione funzionale ha lo scopo di “differenziare” i diversi soggetti, tenendo conto delle variazioni nelle competenze che avvengono su base temporale e sulla base dei diversi interventi, e quindi di orientare l’intervento individualizzato. La valutazione funzionale, infatti, per sua natura:
È fondamentale che il percorso di valutazione funzionale avvenga attraverso strumenti oggettivi che consentano di quantificare-verificare-confrontare i dati emersi.
Nello specifico dell’autismo, il percorso di valutazione comprende i seguenti aspetti (linee guida dell’American Academy of Neurology e della Child Neurology Society):
Sono già stati identificati a livello internazionale degli strumenti di valutazione che possono concorrere utilmente alla valutazione funzionale delle persone con autismo, essendo dotati di buone caratteristiche di validità e attendibilità. Inoltre, all’interno della Division TEACCH, sono stati ideati degli strumenti di valutazione psicoeducativa specifici per le persone con Autismo, il PEP-r per bambini e l’AAPEP per adolescenti ed adulti.
All’interno della valutazione funzionale rientrano anche le procedure di “analisi informale”, “schede appositamente predisposte” e “task-analysis”.
La valutazione deve quindi coprire sistematicamente diverse aree: storia dello sviluppo della patologia, valutazione psicologica e delle abilità sociali e personali, esami strumentali e laboratoristici, neuropsicologici, neuromotori, ecc.
L’osservazione dell'interazione del bambino con i componenti della famiglia e la valutazione degli stili di attaccamento forniscono importanti informazioni anche sul livello di stress provati dalla famiglia.
PROGNOSI
L’autismo è una condizione che una volta instauratasi perdura tutta la vita seppure può essere soggetta a delle modificazioni in senso migliorativo (sviluppo di autonomie personali e sociali, linguaggio e altre funzioni cognitive) ma anche in senso peggiorativo (comparsa di disturbi del comportamento e di altri comportamenti problematici).
La prognosi in termini di sviluppo di autonomie personali e sociali e in genere di qualità della vita è fortemente condizionata dal grado di compromissione del funzionamento cognitivo ed in particolare di sviluppo del linguaggio ma anche dalla presenza di disturbi comportamentali gravi. Attualmente solo un terzo dei soggetti affetti da autismo raggiunge un grado di autonomia soddisfacente mentre il restante numero di soggetti necessita di assistenza continuativa. Il miglioramento della prognosi appare legato principalmente alla precocità e all’adeguatezza dell’intervento abilitativo e quindi alla possibilità di effettuare una diagnosi precoce e di ricevere adeguati trattamenti.
INTERVENTO
Attualmente si ritiene che non esista "il trattamento" che risponda alla complessità dei disturbi generalizzati dello sviluppo, ed in particolare dell'autismo. La pervasività del disturbo, la molteplicità dei quadri clinici e la possibile cronicità del disturbo richiedono l'integrazione dei vari modelli di intervento. La struttura portante al momento più accreditata si individua all'interno di un approccio psico-educativo che preveda:
La formulazione della diagnosi rappresenta il punto di partenza di un percorso da fare insieme (bambino, operatori dei servizi sanitari e sociali, famiglia, scuola). Tutti gli spazi esperenziali del soggetto possono e devono assumere una valenza terapeutica. La terapia, infatti, non è solo quella che si fa nel presidio terapeutico, ma sono terapie anche tutte le opportunità offerte al soggetto di agire ed interagire nei diversi contesti. Pertanto, la collaborazione tra le diverse figure che interagiscono con il bambino non può prescindere anche dalla organizzazione specifica del contesto, così che il percorso terapeutico risulti costante e sempre adeguato alle problematiche del soggetto autistico. Questo aspetto assume una rilevanza fondamentale se si considera la cronicità del disturbo stesso e la sua elevata pervasività. L’obiettivo principale di ogni percorso terapeutico deve essere il raggiungimento del maggior grado di autonomia e di indipendenza possibile per l'integrazione sociale.
La storia degli interventi sulle persone con autismo ci insegna molte cose. Innanzitutto, nelle ricerche catamnestiche e nella meta-analisi della letteratura scientifica emerge che gli interventi “ultraspecifici” non hanno avuto un esito statisticamente significativo della prognosi globale a lungo termine, mentre invece appare che l’unico intervento in grado di influire sull’outcome a lungo termine sia l’intervento psicoeducativo condotto secondo alcuni criteri che sono i seguenti:
L’intervento è schematizzato:
I programmi di trattamento che sembrano produrre i migliori risultati sono quelli che:
Nell'esperienza scientifica internazionale, gli interventi più utilizzati e validati sono quelli educativo-abilitativo, basati su un approccio globale alla situazione individuale, familiare, scolastica del soggetto autistico allo scopo di individuarne le risorse recuperabili e di facilitare cambiamenti adeguati dei contesti di vita.
Le strategie fornite da questi approcci danno anzitutto grande importanza ad un training altamente strutturato e spesso intensivo, adattato individualmente al bambino, per insegnargli a sviluppare le capacità sociali e comunicative. L'intervento deve essere più precoce possibile per avere migliori possibilità di riuscita.
Le statistiche dei Centri in cui si utilizzano questi metodi hanno visto ridursi negli anni il numero dei soggetti che da adulti vengono istituzionalizzati per mancanza di autonomia.
Il Prof. Schopler, ideatore del programma TEACCH, usato da 30 anni nel North Carolina come programma di stato per l’autismo, in una ricerca catamnestica riferisce, nel 96% dei soggetti autistici seguiti, un buon livello di integrazione nel proprio ambiente sociale in situazioni lavorative più o meno protette. Studi effettuati su popolazioni autistiche cui non viene applicato tale programma riferiscono che la maggior parte di soggetti autistici adolescenti e adulti (in percentuale dal 39 al 74%) è inserita generalmente in programmi residenziali (Mesibov, ‘97).
La strategia di fondo delle metodologie psico-educative é quella di modificare nel modo adatto ai disturbi del bambino autistico l'ambiente di vita, per rendere leggibili le routines, l'organizzazione della vita quotidiana e facilitare la comunicazione, l'interazione sociale e l'apprendimento.
Quale che sia l’intervento scelto per rispondere alle esigenze del caso, nella formulazione del progetto terapeutico, devono essere definiti gli obiettivi e le strategie possibili per il conseguimento degli stessi.
Gli obiettivi terapeutici e assistenziali possibili sono:
Le strategie fornite da questi approcci danno grande importanza a:
In generale, per il trattamento dei bambini tra i 0-5 anni è prioritario privilegiare un intervento abilitativo volto a sviluppare le capacità di interazione del bambino, tramite un progetto di lavoro incentrato sull'area dell'intersoggettività e sulle abilità sociali e sulla capacità di comunicazione sia espressiva sia ricettiva.
In questa prima fase é essenziale la collaborazione dei genitori, per l'elaborazione delle priorità del programma d'intervento e per la generalizzazione degli apprendimenti. Gli operatori coinvolti nel trattamento dei bambini devono essere adeguatamente formati su differenti versanti: autismo, modalità di comunicazione e di relazionale con i bambini più piccoli, tecniche per favorire lo sviluppo delle competenze psicomotorie, psico-linguistiche, cognitive e psico-sociali.
Dopo i 5 anni e per gli adolescenti l'intervento psico-educativo rappresenta, come detto sopra, l'aspetto centrale del progetto terapeutico-riabilitativo, focalizzato sull'educazione secondo un programma strutturato per lo sviluppo delle autonomie. Le programmazioni e le verifiche continue sono indispensabili come la disponibilità di attività semiresidenziali e di programmi estivi, giacché i soggetti con questo tipo di disturbi spesso regrediscono in assenza di tali servizi.
Gli interventi psico-sociali vanno rivolti alle attività di ricreazione, alla formazione professionale e all'inserimento lavorativo sempre nell'ottica dell'approccio psico-educativo che prevede la continuità dei servizi per l'intero periodo di vita del soggetto.
In ogni età è fondamentale che il progetto terapeutico sia altamente personalizzato e dunque elaborato sulla base di un profilo che definisca le aree di forza e di debolezza e i reali bisogni del bambino e del contesto. La scelta terapeutica, pertanto, non deve essere legata a rigidi schemi prestabiliti, ma deve essere dettata esclusivamente dalle esigenze del bambino, tenendo conto dell’età, del livello di sviluppo, dell’eventuale presenza di comorbidità e delle caratteristiche dell’ecosistema. Infine, va tenuta in considerazione l’eterogeneità della sintomatologia e la sua variabilità nel corso del tempo. Questo rende necessarie periodiche valutazioni, verifiche e rivalutazioni del progetto terapeutico in rapporto alle esigenze che di volta in volta si vengono a determinare per valutare a distanza l’idoneità degli obiettivi a breve e medio termine scelti e la validità delle strategie utilizzate.
Trattamenti controversi sono invece quelli:
L’INTERVENTO RIVOLTO AI GENITORI
Un intervento per il soggetto con Disturbo Autistico soprattutto se precoce deve configurarsi come un progetto centrato sulla famiglia. L’intervento sulla famiglia, tuttavia, non deve ridursi ad un generico sostegno psicologico, né tanto meno ad un addestramento dei genitori perché possano continuare a casa gli “esercizi”. Affermare la centralità della famiglia significa riconoscerle il valore di uno spazio privilegiato, in cui il soggetto possa interagire e partecipare.
Gli interventi rivolti alla famiglia si prefiggono, quindi, in primis che i genitori raggiungano un adeguato livello di conoscenza dell’autismo, quale disabilità evolutiva. Ciò comporta che i genitori del bambino siano informati su che cos’è l’autismo, sulle cause del disturbo, sulle ricerche che vengono effettuate in proposito a livello internazionale e sulle possibili indagini aggiuntive che possono essere effettuate. Inoltre, è importante informarli sulle terapie proposte a livello internazionale, illustrare loro il percorso terapeutico che si prospetta a breve e medio termine e dunque sulle risorse territoriali, in relazione al territorio di appartenenza. E’ evidente che tutte queste informazioni non possono essere date in un singolo incontro e bisogna dunque prevedere nella fase immediatamente successiva alla diagnosi, una serie di incontri nell’ambito dei quali si dà la possibilità ai genitori di ritornare eventualmente su argomenti già discussi per favorire una graduale metabolizzazione delle spiegazioni che vengono loro fornite. Solo quando questa fase si consideri conclusa si può passare alla successiva, che consiste nell’attivare le risorse genitoriali nella gestione quotidiana del bambino. Le strategie da attuare in proposito sono:
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
Si sottolinea che non essendo disponibili farmaci "curativi" per l'autismo, l'approccio psicofarmacologico attualmente ha valenza sintomatica e deve essere utilizzato solo quando la gravità del sintomo compromette eccessivamente la qualità di vita del bambino ed interferisce pesantemente con il suo programma abilitativo-educativo. L'intervento farmacologico non può pertanto rappresentare il trattamento unico o di elezione, bensì va inserito nell'ambito del progetto definito per quel bambino. Per i trattamenti dietetici e per quelli "alternativi" non è stata comprovata una chiara efficacia.
INTEGRAZIONE SCOLASTICA
La scuola rappresenta un momento fondamentale di integrazione dei disabili così come garantito della legislazione scolastica (L. 517/77) e dalla legge 104/92 che hanno fatto dell’Italia uno dei paesi più avanzati a livello mondiale, grazie all’istituzione dell’equipe multidisciplinare (ai sensi del DPR 24/02/94). Considerando l’età, il livello di sviluppo e la natura del problema, l’ambiente scolastico, infatti, va inteso come uno spazio preposto a facilitare le autonomie personali e ad attenuare i comportamenti disturbanti. Si ripropone quindi anche in quest’ambito la necessità di definire, a monte dei contenuti dell’intervento, la strutturazione del contesto all’interno del quale tali contenuti vanno poi inseriti, nonché personale maggiormente specializzato e che possa usufruire di momenti di formazione ed aggiornamento caratterizzati da competenze specifiche per l’autismo acquisite e riconosciute a livello regionale. Si deve, inoltre, programmare la possibilità di permanenze più prolungate in ambito scolastico, per garantire l’esplicitazione massima di tutte le capacità potenziali del bambino con autismo, che spesso richiede tempi diversi. Affinché poi lo “spazio scuola” possa assumere una valenza terapeutica è necessario che gli operatori vengano coinvolti attivamente nel progetto terapeutico globale.
Gli interventi psicopedagogici, che sono competenza della scuola, vanno quindi elaborati all’interno di un programma educativo individualizzato (PEI), nel quale vanno stabiliti gli obiettivi educativi in accordo tra Scuola, Famiglia e Servizi. Il servizio di medicina delle Comunità oltre a garantire le attività preventive dei consultori familiari e di medicina scolastica ha le funzioni previste dal Piano Sanitario Regionale in attuazione del DPR 24/2/’94 per l’integrazione scolastica anche attraverso intese e collaborazioni con i servizi territoriali di neuropsichiatria infantile per un’adeguata e reale presa in carico globale (famiglia, scuola, servizi sanitari, servizi sociali, etc.) del bambino e adolescente affetto da autismo
I parametri generali di solito utilizzati nell’ambito della programmazione del PEI sono:
Una risorsa che va particolarmente utilizzata è l’inserimento nell’ambito di un gruppo di coetanei. Essi, infatti, con la spontaneità che li caratterizza, la naturalezza del loro modo di rapportarsi e la capacità di una sintonizzazione empatica, si pongono come figure particolarmente idonee per attivare sequenze di interazione in grado di facilitare la crescita sociale del bambino autistico. E’ evidente che questo ruolo che possono svolgere i coetanei è soprattutto potenziale. Si rende pertanto necessario un loro coinvolgimento attivo, attraverso la sensibilizzazione nei confronti di tematiche, che per la loro complessità, devono essere affrontate con modalità e strumenti adeguati al livello di sviluppo.
INTEGRAZIONE OLTRE LA SCUOLA
Con l’adolescenza molti comportamenti possono subire un drastico miglioramento, mentre altri possono peggiorare notevolmente. Come per tutti gli adolescenti, anche gli autistici crescendo fanno i conti con le difficoltà di adattamento al corpo che cambia, alla sessualità emergente, alle trasformazioni nei processi pensiero e nelle capacità di osservazione e valutazione di sé e del mondo circostante. Le tensioni e il senso di confusione che accompagna lo sviluppo puberale, possono determinare nell’adolescente autistico un incremento dell’isolamento, di comportamenti stereotipati, o la comparsa di aggressività. Allo stesso tempo, per la maggiore sensibilità agli aspetti di confronto sociale che la fase di sviluppo comporta, l’adolescente con autismo, soprattutto se meno compromesso dal punto di vista cognitivo, può fare i conti per la prima volta, con la consapevolezza delle proprie differenze rispetto ai coetanei (mancanza di amici, di interessi condivisibili, di progetti per il futuro). Questo aspetto può fare emergere disturbi dell’umore, che necessitano spesso di un trattamento specifico.
La maggiore attenzione agli aspetti psico-sociali della vita degli adolescenti autistici condizionerà la scelta di alcuni interventi specifici:
Troppi bambini e adolescenti con autismo sono ancora esclusi dal mondo dell’educazione, anche dell’educazione specializzata, e non possono contare su alcuna forma di assistenza al di fuori delle cure parentali. Le conseguenze della mancanza di un sostegno adeguato peggiorano con l’avvento dell’adolescenza e dell’età adulta. L’assenza di prospettive adeguate di una vita adulta dignitosa può ben presto trasformare lo stress della famiglia in disperazione, e non esiste genitore di persona autistica che non si sia augurato di sopravvivere al proprio figlio, per non doverlo abbandonare ad un futuro di emarginazione.
Questi sentimenti non fanno che incrementare il senso di colpa e di impotenza delle famiglie, e nel caso in cui i genitori vengano lasciati soli senza il supporto di servizi specializzati possono comportare in casi estremi dei rischi per la vita stessa della persona con autismo.
La particolare pervasività della triade sintomatologica autistica e l’andamento cronico del quadro patologico, possono configurare nell’età adulta condizioni di disabilità assai profonde, con gravi limitazioni nelle autonomie e nella vita sociale. Queste condizioni hanno notevoli ripercussioni sul carico economico ed esistenziale che la famiglia deve assumersi, e che richiedono anche costi finanziari elevatissimi per la comunità, per i servizi socio assistenziali che vanno in questi casi organizzati. Attualmente un’altissima percentuale (dal 60 al 90%) di autistici diventano adulti non autosufficienti, e continuano ad avere bisogno di cure per tutta la vita.
Un numero molto minore di soggetti autistici (15-20%) è in grado di vivere e lavorare all’interno della comunità con vari gradi di indipendenza.
Le persone con autismo hanno un’aspettativa di vita normale ed è fondamentale che siano adottate delle politiche sociali e sanitarie per le quali sia rispettato il diritto fondamentale ad una vita piena e soddisfacente nei limiti delle possibilità individuali.
Aspetti critici:
1. difficoltà a condividere un comune approccio all’autismo e conseguente difficoltà nel creare modelli di intervento omogenei e basati sull’evidenza dei dati;
2. molte persone affette da autismo non hanno ancora ricevuto una diagnosi ed una valutazione funzionale precoce; nella maggior parte dei casi gli adulti non hanno ricevuto una diagnosi con conseguente mancata presa in carico riabilitativa e sociale;
3. carenza di Centri diurni e residenziali per adulti autistici;
4. mancanza di continuità di intervento dalla NPI alla Psichiatria per garantire la continuità della presa in carico tra l’età evolutiva e l’età adulta;
5. carenza di formazione delle varie figure professionali, per garantire qualità ed omogeneità dei servizi, finalizzata alla condivisione di protocolli diagnostici e terapeutici validati scientificamente, ed all’acquisizione di tecniche terapeutiche specifiche;
6. assenza di una rete integrata di servizi sanitari-sociali-educativi, con il coinvolgimento ed il coordinamento di A.O., IRCCS, scuola, servizi sociali, enti locali ASL;
7. mancanza di figure professionali con particolari competenze nell’autismo, in grado di svolgere un efficace programma di tutoring nei diversi ambiti di socializzazione, a partire dalla scuola fino all’inserimento lavorativo;
8. esclusione della famiglia dal progetto di presa in carico come interlocutore fondamentale e conseguente mancanza di sostegno psicologico.
LE NECESSITA’ E LA QUALITA’ DELLA VITA DELLE PERSONE AUTISTICHE E DELLE LORO FAMIGLIE
Nessuna persona con autismo dovrebbe essere privata della libertà di sviluppare le capacità indispensabili a condurre una vita indipendente nei limiti delle proprie possibilità. Il futuro delle persone con autismo dipende dalla gravità individuale della disabilità, ma anche dal livello di consapevolezza dei professionisti e dalla disponibilità di adeguati servizi sociosanitari. Le persone autistiche ed i loro familiari hanno la necessità di disporre di una rete di servizi accessibili già dai primi anni di vita del bambino, specifici per patologia, rigorosi per metodologia e flessibili nell’erogazione delle prestazioni. I servizi sanitari dovrebbero fornire un supporto medico, psicologico, abilitativi, educativo e sociale in modo adeguato per fascia di età (infanzia, adolescenza ed età adulta) in stretta collaborazione con la famiglia, la scuola e se possibile il mondo del lavoro. I genitori dovrebbero ricevere al più presto informazioni dettagliate sulla diagnosi e sulle caratteristiche dell’autismo in modo da poter capire meglio ed affrontare i problemi specifici del bambino e dell’adolescente. Se i servizi sociosanitari non offrono informazioni esaurienti fin dai primi incontri la famiglia si vede spesso costretta a cercare informazioni per proprio conto e può incappare in risposte inutili se non dannose. Ogni servizio sociosanitario dovrebbe fornire alla famiglia una descrizione chiara e dettagliata dell’approccio generale che viene adottato e informazioni che ne dimostrino l’attendibilità scientifica. Inoltre coinvolgere la famiglia e la scuola nel programma di trattamento aumenta le possibilità del bambino di sviluppare al meglio le proprie potenzialità anche per la profonda conoscenza che i genitori e in parte gli insegnanti hanno del loro bambino. I familiari delle persone autistiche, genitori e fratelli, dovrebbero essere aiutate a mantenere lo stile di vita ed i rapporti sociali che avevano prima della scoperta della patologia.
(stralcio del testo ufficiale elaborato dal comitato direttivo di Autisme Europe con la consulenza dei suoi membri e approvato dal Consiglio di Amministrazione a Bruxelles, 7 aprile 2001
L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA
I servizi sanitari, educativi e sociali dovranno attrezzarsi culturalmente ed operativamente per affrontare questa patologia in un’ottica di collaborazione e supporto alla famiglia, anche attraverso interventi che contrastino e riducano il più possibile gli esiti disabilitanti dell’affezione, ponendo tra gli obiettivi terapeutici ed assistenziali la conquista delle autonomie e il raggiungimento di una migliore qualità della vita sia dei soggetti colpiti sia delle loro famiglie.
Va qui richiamata l’importanza di poter disporre di una ben articolata rete di servizi sanitari, sociali e educativi per l'infanzia e l'adolescenza, nell'ambito della quale collocare anche gli interventi a favore dei soggetti con disturbi pervasivi dello sviluppo. Anche relativamente all’età adulta vanno pensate politiche sanitarie che individuino percorsi specifici per l’integrazione sociale evitando l’istituzionalizzazione delle persone autistiche ed il loro progressivo deterioramento a causa dell’assenza di strutture socio sanitarie adeguate.
La programmazione sanitaria deve inoltre focalizzare l'attenzione dei Servizi sulla fascia 0-2 anni allo scopo sia di fare diagnosi precoce di autismo sia di individuare altrettanto precocemente disturbi o distorsioni di personalità, deficit motori sensoriali o cognitivi o il fondato rischio di evoluzione di sviluppo patologico, al fine di mettere in campo in tempo utile interventi specifici e adeguati di carattere terapeutico ed abilitativo. Di conseguenza, allo scopo di assicurare la valutazione globale dei bambino, i Servizi dovranno attrezzarsi sul piano delle procedure, dotandosi di protocolli diagnostici e terapeutici, nonché su quello delle competenze, assumendo le opportune iniziative nel campo della formazione e aggiornamento
Con riferimento a quanto precedentemente esposto le strutture preposte alla realizzazione del progetto sono fondamentalmente: il Servizio di Neuropsichiatria Infantile, il Centro Regionale per le Psicosi infantili e le strutture semiresidenziali e residenziali accreditate per l’abilitazione dei soggetti autistici.
Servizio di Neuropsichiatria infantile
I Servizi territoriali di NPI Previsti dal Piano Sanitario Regionale vigente svolgono un ruolo centrale di continuità nei percorsi diagnostici, preventivi, terapeutici e di successiva presa in carico e di attenzione alla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie e di follow up sull’efficacia complessiva del trattamento.
Questi compiti possono essere svolti anche con la collaborazione delle Unità operative di neuropsichiatria infantile ospedaliere ed universitarie, come previste dal piano sanitario regionale, per le funzioni di livello diagnostico, di partecipazione alla definizione del progetto terapeutico e per tutto ciò che riguarda gli esami strumentali e per le terapie necessitanti in regime di ricovero.
Nell'ambito di questo sistema, il pediatra di base e il medico di medicina generale devono diventare primi attivatori della rete e riferimento obbligato per i servizi di neuropsichiatria infantile. In questa prospettiva il servizio di neuropsichiatria Infantile si pone come uno spazio che svolge una molteplice funzione:
La pianificazione del trattamento deve coinvolgere genitori e membri della famiglia come anche gli operatori della scuola ed altri professionisti.
Le figure coinvolte sono le seguenti: Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva, Logopedista, Assistente Sociale, Educatore.
In base a quanto esposto, tutte le figure menzionate devono aver maturato specifiche competenze sul Disturbo Autistico e sui disturbi ad esso correlati, per uniformarsi alle raccomandazioni riportate a livello internazionale.
Centri Diurni e Case Famiglia
E’ ormai acquisito che gli interventi abilitati e educativi per l’autismo devono iniziare precocemente in età infantile e continuare durante l’adolescenza e l’età adulta con l’obiettivo di sviluppare e mantenere nel tempo le abilità personali e sociali e incrementare l’autonomia e l’indipendenza.
Tali interventi deve essere modulato sull’età del soggetto, personalizzato, intensivo, costante e continuativo. Inoltre l’intervento abilitativo-educativo deve mirare al consolidamento delle abilità acquisite ed al potenziamento di quelle emergenti, deve facilitare gli apprendimenti in un contesto naturale e stimolante, deve attivare gli interessi del bambino e pertanto essere strutturato in modo adeguato rispetto ai tempi (3-6 ore giornaliere) ed ai luoghi necessari (struttura specificamente organizzata per la patologia). Gli adolescenti e gli adulti dovrebbero continuare quindi a poter usufruire di programmi educativi individualizzati nelle aree funzionali come la comunicazione, le abilità sociali, le capacità lavorative e di tempo libero nella prospettiva di un progressivo distacco dalla famiglia di origine.
RICERCA, AGGIORNAMENTO E FORMAZIONE DEGLI OPERATORI
L'integrazione delle funzioni assistenziali, di competenza dei Servizi dei dipartimenti sanitari, e di quelle di ricerca e di didattica, proprie dell'Università, deve avvenire nell'ambito della programmazione regionale e aziendale e della convenzione Università - Regione.
Nel rispetto dell'autonomia universitaria deve essere riconosciuta ai dirigenti dei servizi dipartimentali l'idoneità allo svolgimento delle attività di formazione e ricerca, in modo da facilitare l'integrazione e il coordinamento delle rispettive attività.
a) Formazione
Scopo delle attività di formazione è quello di consentire:
b) Ricerca
Tenendo conto delle esperienze nazionali e internazionali nello studio sull'autismo, alcuni temi prioritari di ricerca possono essere individuati nell'ambito degli studi nosografici, studi epidemiologici e studi eziologici e patogenetici ed in particolare vengono indicati i seguenti temi:
PROPOSTE PER LA REGIONE LOMBARDIA
Per la complessità dei temi, per l'esigenza di favorire uno sviluppo omogeneo delle competenze su tutto il territorio regionale e per garantire una diffusione delle formazioni di maggiore livello specialistico adeguato allo svilupparsi delle conoscenze, ma anche ai bisogni del territorio regionale, si ritiene necessario:
Fonte: http://www.autismo.inews.it/coselautismo/LINEE%20GUIDA%20PER%20LE%20PERSONE%20AFFETTE%20DA%20AUTISMO%20per%20la%20Regione%20Lombardia.doc
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