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BATTERIEMIE
Introduzione
Le batteriemie nosocomiali, e più in generale tutte le batteriemie associate a pratiche assistenziali, sono un’importante causa di morbilità e mortalità. Queste infezioni sono nella maggior parte dei casi associate all’uso di corpi estranei e principalmente di cateteri vascolari seguiti da quelli urinari [1].
In questo capitolo verranno trattati gli aspetti epidemiologici, clinici e diagnostici delle batteriemie nosocomiali ed associate a cure sanitarie, nonché i principali approcci terapeutici e di prevenzione.
Definizione
Si definisce batteriemia la presenza di batteri nel sangue, riscontrata con l’isolamento di questi nelle emocolture. Un’emocoltura positiva, però, non è sempre indice di una batteriemia vera, in quanto potrebbe trattarsi anche di una contaminazione avvenuta al momento della raccolta del campione o in laboratorio durante la sua lavorazione. Per distinguere una batteriemia vera da una contaminazione si impiegano dei criteri clinici e microbiologici. Una batteriemia si considera vera quando:
Tradizionalmente le batteriemie erano classificate, secondo il luogo di acquisizione, in comunitarie ed ospedaliere, e sulla base di questa distinzione si decideva l’approccio diagnostico e terapeutico. Negli ultimi anni è emerso, però, che circa un terzo dei pazienti con batteriemia acquisita nella comunità presenta nella storia clinica un contatto recente con l’ambiente sanitario come ad esempio: residenza in case di cura, pratiche di assistenza domiciliare, terapia endovenosa od ospedalizzazione recente. Queste batteriemie, inoltre, tendono a presentare le stesse caratteristiche eziologiche e prognostiche di quelle nosocomiali, un aspetto questo importante per la scelta della terapia antibiotica empirica [2, 3]. Per tale motivo oggi si raccomanda di classificare le batteriemie in:
In base al sito di origine, inoltre, le batteriemie si definiscono primitive o secondarie. Le prime comprendono le infezioni in cui non si riconosce il focolaio d’origine e le infezioni endovascolari dirette, come endocardite infettiva, tromboflebite settica ed infezioni associate a cateteri intravenosi o arteriosi. Le batteriemie secondarie originano da infezione in altri siti come il tratto urinario, i polmoni, le ferite chirurgiche ecc..
Epidemiologia
Nelle ultime due decadi, parallelamente al progresso medico, al delinearsi di nuove classi di pazienti ed allo sviluppo di nuovi antibiotici, si è verificato un significativo cambiamento dell’epidemiologia e dell’eziologia delle batteriemie. L’incidenza nella popolazione generale è incrementata di un 8.7% l’anno, passando da 83 a 240 episodi per 100,000 abitanti, tra gli anni 1979 e 2000 [4].
Un’analisi prospettica di 24,179 batteriemie nosocomiali, nell’arco di 7 anni (1995-2002), in 49 ospedali degli Stati Uniti, ha rilevato un’incidenza di 60 casi per 100,000 pazienti ricoverati [1]. Circa il 15% interessava la popolazione infantile, ed il 51% si verificava nelle unità di terapia intensiva (UTI). Questi pazienti sono più frequentemente esposti all’utilizzo di corpi estranei e sono maggiormente compromessi rispetto ai pazienti di altri reparti. I dispositivi intravascolari risultavano il principale fattore di rischio: il 72% dei pazienti aveva un catetere venoso centrale (CVC), il 35% un catetere venoso periferico ed il 16% un catetere arterioso. Il catetere vescicale era presente nel 46% dei pazienti. Il tempo medio di comparsa della batteriemia variava tra 12 e 26 giorni. Il tasso di mortalità cruda risultava del 27%.
L’estensione delle pratiche assistenziali al di fuori dell’ambiente ospedaliero ha generato una popolazione di pazienti trattati a domicilio, spesso con l’ausilio di vari tipi di corpi estranei (cateteri vascolari, cateteri urinari, trachesotomie, gastrostomie ecc.). Tre studi che includevano tale tipologia di pazienti hanno dimostrato un maggior rischio di batteriemia nelle seguenti circostanze: nutrizione parenterale totale (NPT), livello socio-culturale basso, razza, età estreme, presenza di un CVC con più lumi, presenza di un CVC tunnellizzato, pulizia del corpo con doccia rispetto al bagno in vasca ed una minore frequenza nel ricambio delle parti distali e delle cuffie dei dispositivi non vascolari [5-7]. In uno studio che includeva 872 pazienti trattati con terapia infusionale a domicilio, seguiti per 69,532 giorni di cateterizzazione, i fattori di rischio risultavano, invece, trapianto di midollo osseo recente, batteriemia precedente, NPT, uso di un catetere con più lumi, residenza in un centro di cura piuttosto che a casa [8].
Eziologia
Prima degli anni ottanta, i bacilli gram negativi aerobi erano la principale causa delle batteriemie nosocomiali. Da allora, i batteri gram positivi aerobi (SCN, S. aureus ed enterococchi) e Candida spp. hanno assunto maggiore importanza [1, 9]. Le ragioni più probabili dell’aumentata incidenza delle infezioni da SCN sono: l’aumentata attenzione verso tali microrganismi considerati sempre più spesso patogeni veri anziché contaminanti, la pressione selettiva degli antibiotici a largo spettro ed il crescente utilizzo di dispositivi intravascolari.
In uno studio, comprendente 24,179 batteriemie nosocomiali verificatesi in 49 ospedali statunitensi tra il 1995 ed il 2002, la distribuzione dei patogeni è stata la seguente: SCN 31%, S. aureus 20%, enterococchi 9%, Candida spp. 9%, E. coli 6%, Klebsiella spp. 5%, Pseudomonas spp 4%, Enterobacter spp. 4%, Serratia spp 2% ed Acinetobacter baumanii 1% [1]. In uno studio italiano multicentrico (45 ospedali) sull’eziologia delle infezioni gravi in ambito nosocomiale, dal 2002 al 2004, la distribuzione eziologica delle batteriemie è risultata la seguente: SCN 20%, S. aureus 17%, E. coli 15%, P. aeruginosa 12%, E. faecalis 5.2%, K. pneumoniae 4.6%, E. cloacae 3.8% [10].
Vari studi hanno dimostrato un’ analogia tra le batteriemie nosocomiali e quelle associate a cure sanitarie, causate quasi esclusivamente da cocchi gram positivi ed associate nella maggior parte dei casi all’uso di dispositivi intravascolari. Friedman et al. [2] hanno valutato prospettivamente 655 episodi di batteriemia in 504 pazienti, il 28% risultava di acquisizione comunitaria, il 37% associato a cure sanitarie ed il 35% nosocomiale. Le principali sorgenti d’infezione erano il CVC (33%) e l’infezione del tratto urinario (26%). E. coli e S. pneumoniae erano i due patogeni più spesso responsabili delle batteriemie comunitarie, mentre S. aureus era l’agente causale più comune delle batteriemie associate a cure sanitarie e nosocomiali, seguito da S. epidermidis ed Enterococcus spp.. Il 50% delle batteriemie da S. aureus erano sostenute da ceppi resistenti alla meticillina (MRSA), di cui il 2% erano comunitarie, il 19% associate a cure sanitarie, ed il 20% nosocomiali.
A differenza di quanto detto sopra, alcuni autori hanno notato una riemergenza dei bacilli gram negativi come causa di batteriemie primitive nosocomiali [11]. Questi hanno analizzato 3,662 batteriemie primitive nosocomiali, nell’arco di 7 anni (1996-2003), in un ospedale di Philadelphia, riscontrando nel 1999 e nel 2003 rispettivamente tale distribuzione di patogeni SCN 33.5% vs 29%, S. aureus 19% vs 12%, e bacilli gram negativi 16% vs 24%. Klebsiella spp, E. coli, Pseudomonas spp ed Enterobacter spp. erano nell’ordine i bacilli più frequentemente isolati. Tale aumento di batteriemie nosocomiali sostenute da bacilli gram negativi sembrava correlato all’aumentato uso di levofloxacina, mentre non risultava associato allo sviluppo di antibiotico resistenza o all’introduzione di cateteri vascolari rivestiti con argento-clorexidina [11].
Per quanto riguarda gli anaerobi, oggi in molti centri non si eseguono sistematicamente emocolture specifiche per isolare tali microrganismi. La principale motivazione è che, generalmente, le infezioni da anaerobi sono associate a condizioni morbose sottostanti ben definite quali perforazione intestinale, malattie genitourinarie ecc., facilmente individuabili dal clinico e nella maggior parte dei casi curate con terapia antibiotica empirica. Inoltre dagli anni ottanta, dopo l’introduzione della preparazione intestinale prechirurgica e l’uso di antibiotici con attività antianaerobica in profilassi, vi è stata una notevole riduzione delle batteriemie da anaerobi. In uno dei centri dove si continuano ad eseguire emocolture per anaerobi, però, è stato rilevato un progressivo aumento delle batteriemie da anaerobi nell’arco di oltre 10 anni (1993-2004), con 30 casi l’anno nel periodo 1993-1996, 75 casi l’anno tra 1997-2000 e 91 casi l’anno tra 2001-2004, con un incremento complessivo del 74%. Le specie più frequentemente isolate erano nell’ordine: B. fragilis, Clostridium spp. e Peptostreptococcus. Le patologie sottostanti erano: immunodepressione, trapianto di midollo osseo, chirurgia e neoplasie. Quest’ultime nel 2004 interassavano il 46% dei pazienti con batteriemie da anaerobi, ed erano nella maggior parte dei casi a carico del sistema ematopoietico o del tratto gastrointestinale. Questo studio dimostra, quindi, oltre al costante incremento delle batteriemie da anaerobi negli ultimi 12 anni, l’associazione con patologie sottostanti differenti da quelle osservate in passato [12].
Per quanto riguarda i microrganismi multiantibiotico resistenti, la prevalenza dei portatori di MRSA tra i pazienti che si ricoverano in ospedale è dell’1.3 - 5.3% [13-15], ed arriva al 7% tra i pazienti ricoverati in UTI [16, 17]. Nello studio di Wisplinghoff et al. la percentuale di batteriemie nosocomiali sostenute da MRSA passava dal 22% nel 1995 al 57% nel 2001. Nello studio multicentrico italiano sulle infezioni gravi, il 36% dei ceppi di S. aureus era resistente alla meticillina [10]. I fattori associati ad infezione da MRSA sono: colonizzazione da MRSA, uso precedente di antibiotici, presenza di dispositivi intravascolari, ospedalizzazione prolungata, chirurgia e nutrizione enterale [18]. Tra il 30-60% dei pazienti critici colonizzati sviluppa infezione [19, 20], ed è stato dimostrato che > 80% delle batteriemie sono sostenute dallo stesso clone isolato dalle narici [21]. La somministrazione di antibiotici altera la normale flora cutanea, favorendo la selezione dei microrganismi resistenti. Cefalosporine e fluorochinoloni sono gli antibiotici maggiormente associati all’acquisizione di MRSA ed alla comparsa di epidemie, probabilmente perchè vengono rapidamente secreti col sudore [18, 22]. La presenza di un CVC è un fattore di rischio indipendente per la batteriemia da MRSA [23], inoltre è stato dimostrato che l’esecuzione di manovre invasive, inclusa l’inserzione di dispositivi intravascolari, aumenta di 9 volte il rischio di batteriemia da MRSA [24].
Uno studio, condotto a Chicago, ha dimostrato un raddoppio del tasso di colonizzazione da parte di Enterobacteriaceae produttrici di betalattamasi a spettro esteso (E-ESBL), pari a 1.33% nel 2000 e 3.21% nel 2005, con un aumento significativo di E-ESBL non E. coli né Klebsiella spp. (in particolare di E. cloacae). Durante lo stesso periodo il numero di batteriemie da E-ESBL aumentava di 4 volte (9 casi nel 2000, 40 nel 2005). La prevalenza di colonizzazione e di infezione da E-ESBL era maggiore nella UTI medica, probabilmente per i fattori di rischio di tali pazienti: ospedalizzazione prolungata, uso di catetere vescicale, CVC, gravità delle patologie sottostanti, insufficienza cardiaca e neoplasie. Nel 50% dei casi vi era una co-colonizzazione da parte di Enterococcus spp. resistente a vancomicina (VRE), per sovrapposizione dei fattori di rischio. In una revisione di batteriemie sostenute da bacilli gram negativi antibiotico-resistenti, definiti dalla resistenza a ceftazidime o cefotaxima per le Enterobacteriaceae, ed a piperacillina, imipenem, ciprofloxacina o ceftazidime per Pseudomonas aeruginosa, la distribuzione dei bacilli resistenti era: 5.8% degli isolati di E. coli, 13% di K. pneumoniae, 39% di Pseudomonas aeruginosa e 47% di Enterobacter spp. [25]. Da varie casistiche emerge l’importanza di questi ultimi come microrganismi multiantibioticoresistenti, non solo per la ridotta suscettibilità alle cefalosporine conferita dall’espressione cromosomica della cefalosporinasi AmpC, ma ultimamente anche per l’espressione plasmidica di una metalloproteinasi in grado di idrolizzare tutti i beta-lattamici inclusi i carbapenemici, la VIM-1.Questa β-lattamasi, identificata per la prima volta in Italia nel 1997 in un ceppo di P. aeruginosa, è stata da allora riscontrata in altri bacilli gram negativi per lo più appartenenti alla famiglia delle enterobacteriaceae [26, 27]. Sono stati descritti diversi casi di infezione sporadica, ma anche epidemie dovute a un singolo clone in Grecia, Francia e Spagna [28-30]. In quest’ultimo studio gli autori hanno identificato, nell’arco di 8 mesi, 25 pazienti, ricoverati in 7 reparti diversi e nella UTI (52%), con infezione o colonizzazione da parte di 28 ceppi di enterobacteriaceae produttrici di VIM-1, di cui 14 K. pneumoniae, 12 E. cloacae, 1 E. coli ed 1 K. oxytoca. Da notare che mentre i ceppi di K. pneumoniae appartenevano tutti ad uno stesso clone, i ceppi di E. cloacae risultavano geneticamente eterogenei.
Alcune classi di pazienti presentano una eziologia prevalente. Pseudomonas aeruginosa è la principale causa di batteriemie nei pazienti ustionati [31]. I pazienti con infezione da HIV sono massivamente colonizzati a livello cutaneo e nasofaringeo da S. aureus, che pertanto risulta la principale causa di batteriemie in questo gruppo [32]. Le batteriemie da bacilli gram negativi prevalgono nei pazienti neoplastici e neutropenici, per la traslocazione dei batteri dall’intestino attraverso le mucose danneggiate. L’eziologia delle batteriemie nel paziente neutropenico, però, si è modificata in alcuni centri in seguito all’introduzione della profilassi con fluorochinoloni, risultando gli stafilococchi coagulasi negativi i patogeni prevalenti [33]. I batteri gram positivi sono la principale causa delle batteriemie associate a catetere nei pazienti sottoposti ad emodialisi. I batteri gram negativi idrofilici, quali Pseudomonas spp, Stenotrophomonas spp., Acinetobacter spp. e Serratia marcenscens sembrano essere gli agenti causali più frequenti delle batteriemie associate a dispositivi non intravascolari [7]. È stato suggerito che i dispositivi sarebbero esposti a tali patogeni durante il bagno o la doccia.
Patogenesi
I meccanismi principali con cui i batteri entrano nel sangue sono due: indirettamente attraverso il sistema linfatico in corso di infezioni extravascolari, e direttamente nelle infezioni intravascolari. Nella maggior parte dei casi l’entrata dei batteri nel sangue viene rapidamente rimossa, nel giro di minuti-ore, dai sistemi di clearance, in cui milza e fegato rivestono il ruolo principale. Però in alcune situazioni, come condizioni di compromissione dei sistemi di difesa o comunque in pazienti con infezioni gravi o persistenza di focolaio intravascolare, i sistemi di clearance possono non risultare efficaci dando luogo ad una batteriemia continua o prolungata.
Ci sono tre tipi principali di batteriemia: transitoria, intermittente e continua. La batteriemia transitoria si risolve spontaneamente nel giro di minuti-ore, si produce in seguito a manipolazione di tessuti infetti (ascessi, foruncoli, procedure chirurgiche), manovre strumentali a carico di superfici mucose contaminate (ortodontia, cistoscopia, sigmoidoscopia), ed all’inizio di una polmonite batterica, artrite, osteomielite e meningite. La batteriemia intermittente si produce per lo più in presenza di ascessi non drenati, infezioni delle vie urinarie o biliari. La batteriemia continua generalmente riflette la presenza di un’infezione intravascolare.
Per quanto riguarda le batteriemie associate a dispositivi intravascolari, occorre precisare che esistono vari tipi di cateteri, differenti per modalità di inserzione, grandezze e materiali. I CVC possono essere suddivisi in due gruppi principali quelli non tunnellizzati a corta permanenza, e quelli completamente impiantabili a lunga permanenza. I CVC possono essere, inoltre, a singolo, doppio e triplo lume.
Il CVC non tunnellizzato è generalmente costituito di poliuretano o silicone, e viene inserito nel sistema venoso periferico (vena succlavia) o nel collo (vena giugulare) tramite un’incisione percutanea, attraverso la quale la punta del catetere viene fatta avanzare fino alla vena cava superiore. Si tratta di un catetere a corta permanenza che può essere collocato anche in ambiente non chirurgico e cambiato con l’ausilio di un filo guida. È il CVC più frequentemente utilizzato, si stima che il 90% delle batteriemie da CVC sia associato a questo dispositivo e che l’inserzione nella vena giugulare aumenta il rischio di infezione.
Il CVC tunnellizzato (catetere di Hickman, Broviac, Groshong o Quinton), invece, è un catetere a lunga permanenza, che dalla vena viene tunnellizzato sotto la cute per diversi centimetri. L’estremità prossimale fuoriesce dal tunnel sottocutaneo alla base della parete toracica anteriore. Una cuffia in Dacron ancora il catetere nel sottocute, creando così un’interfaccia tissutale che funge da barriera contro la migrazione di microrganismi. Il Groshong, inoltre, è dotato di una valvola a livello dell’estremità distale, che mantiene chiusa la punta del catetere quando non è utilizzato. Questi cateteri sono impiegati in pazienti che necessitano una chemioterapia prolungata, terapia infusionale a domicilio o emodialisi.
ll Port a Cath è un dispositivo in plastica o titanio, che viene inserito chirurgicamente sotto la cute e collegato al CVC, anch’esso è dotato di una cuffia ed eventualmente di valvola di Groshong ed ha le stesse indicazioni del CVC tunnellizzato.
Sta guadagnando sempre più consenso l’uso di CVC inseriti perifericamente come accesso vascolare prolungato (da 6 settimane a 6 mesi). Si inseriscono a livello della vena cefalica o basilica, da cui vengono fatti avanzare fino all’atrio destro, in ambiente non chirurgico, con sola anestesia locale. Sono associati ad una minor frequenza di flebiti ed infezioni rispetto al CVC non tunnellizzato, per tale motivo sono adatti nei pazienti che necessitano una terapia infusionale prolungata.
I principali meccanismi di infezione del CVC comprendono:
Per i cateteri a corta permanenza la contaminazione cutanea è il meccanismo più spesso implicato nella patogenesi, mentre in quelli a lunga permanenza la contaminazione intraluminale è più frequente [34]. Circa il 65% delle batteriemie associate a catetere origina dalla flora cutanea, il 30% dalla contaminazione intraluminale ed il 5% per altri meccanismi. Questa distribuzione probabilmente riflette la durata della permanenza del catetere ed il tipo di popolazione studiata. Dopo l’inserzione uno strato di trombina ricco di proteine riveste la superficie interna ed esterna del catetere. I fattori microbici includono: l’adesione dei patogeni alla superficie del catetered (SCN, S. aureus, Candida spp.) e la produzione di biofilm (SCN, Pseudomonas spp. e Candida spp.). Il materiale di cui è costituito il catetere influisce sulla patogenesi, i cateteri in teflon o poliuretano sono associati a un minor tasso di infezioni rispetto a quelli in polivinil cloruro o polietilene. Come accennato sopra, infine, anche il tipo ed il sito di inserzione del catetere influenzano la frequenza delle batteriemie.
Clinica
Generalmente la batteriemia si manifesta con una sindrome settica. Si raccomanda di stabilire sin dall’inizio la gravità del quadro clinico secondo i criteri internazionali di sepsi, sepsi grave e shock settico (Tabella n°1), considerando che la frequenza delle batteriemie aumenta in relazione alla gravità del quadro clinico, ammontando a circa il 17-31% nei pazienti con sepsi, ed al 25-53% in quelli con sepsi grave o shock settico [35].
Tabella n°1: CRITERI INTERNAZIONALI PER LA DEFINIZIONE DELLE SINDROMI SETTICHE
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Note: GB globuli bianchi; FC frequenza cardiaca; FR frequenza respiratoria; TC temperatura corporea; SIRS sindrome da risposta infiammatoria sistemica.
Nella valutazione clinica del paziente con sospetta batteriemia, dovranno essere ricercati nell’anamnesi: patologie predisponenti (immunodepressione, chirurgia, diabete mellito, insufficienza renale, alcolismo, infezione da HIV), fattori scatenanti, esordio clinico e risposta ad eventuali terapie intraprese. Pazienti con età estreme, immunodepressi o con patologie fortemente debilitanti spesso non sono in grado di realizzare un’efficace risposta infiammatoria sistemica mascherando i classici segni e sintomi della sepsi. In questi pazienti è necessario un alto indice di sospetto: qualsiasi cambiamento del quadro clinico, specie l’alterazione del sensorio, dovrebbe indurre a ricercare un possibile focolaio sepsigeno ed ad impostare precocemente un trattamento antibiotico empirico. La precocità del trattamento adeguato, come vedremo, è uno dei fattori prognostici più importanti in queste classi di pazienti.
Le manifestazioni cliniche delle batteriemie associate a catetere possono essere sia sistemiche che locali. Le infezioni locali sono: infezione dell’uscita del catetere, infezione del tunnel o infezione della borsa. Si tratta di reazioni infiammatorie locali quali: edema, eritema, calore e dolore a livello dell’uscita del catetere, lungo il tunnel sottocutaneo o a livello del reservoir del Port a Cath. Sono generalmente associate a batteriemia, ma scarsamente sensibili per la diagnosi di batteriemia associata a CVC (3%), e possono esistere indipendentemente da un’infezione sistemica. Il sospetto di batteriemia associata a catetere va considerato quando un paziente con un CVC presenta segni e sintomi di infiammazione sistemica quali febbre, brividi ed ipotensione in assenza di un focolaio d’origine apparente eccetto il catetere.
Diagnosi
L’emocoltura è il più importante test microbiologico per il clinico. Sebbene solo un 5-15% delle emocolture eseguite nei pazienti febbrili risultano positive, l’isolamento nel sangue del microrganismo patogeno fornisce un’informazione cruciale, grazie alla quale il clinico inizia una terapia specifica spesso vitale per il paziente. Occorre precisare però che, sulla base del quadro clinico, le emocolture devono essere integrate, sempre, dall’esame colturale di altri tipi di campione (urine, espettorato, liquido cefalorachidiano ecc.) e dagli esami strumentali più idonei a localizzare l’eventuale focolaio d’origine della batteriemia (Rx torace, ecocardiogramma ecc.). La tabella n°2 illustra le principali indicazioni all’esecuzione dell’emocolture.
Tabella n°2: INDICAZIONI ALL’ EMOCOLTURA
Una corretta modalità di prelievo del campione di sangue è fondamentale per la validità dell’esame. Alcuni studi suggeriscono che il momento più adeguato per l’estrazione delle emocolture è subito prima l’inizio dei brividi. Dal momento che è impossibile prevederlo con esattezza, si raccomanda di prelevare il campione di sangue il prima possibile dall’inizio della febbre e dei brividi o in qualsiasi momento se si sospetta un’infezione grave.
Il campione di sangue per emocolture deve essere prelevato da una vena, generalmente dell’avambraccio. L’utilizzo di sangue arterioso non si è dimostrato vantaggioso rispetto al venoso [36]. Il prelievo da cateteri intravenosi o intraarteriali deve evitarsi sempre quando possibile, eccetto nei casi di sospetta batteriemia associata a CVC (vedi sotto). E’ preferibile che ciascun campione sia prelevato da siti separati.
Asepsi
Il principale problema nella corretta interpretazione delle emocolture è la contaminazione con la flora microbica cutanea durante il prelievo. Con una corretta asepsi la percentuale di emocolture contaminate non supera il 3%. Dopo aver reperito e palpato la vena, si consiglia di detergere la cute con alcol isopropilico o etilico a 70° per 30”. Successivamente si applicherà una soluzione iodata (tintura di iodo per 30” o povidone iodato al 10% per 1’) coprendo un’area circolare di 2-4 cm di diametro. E’ importante lasciar seccare il composto iodato affinché eserciti la sua azione ossidante, ed evitare di toccare con le dita il sito della veno-puntura, così come parlare o tossire durante l‘estrazione. Nei pazienti allergici ai composti iodati si può detergere la cute due volte con alcol isopropilico.
Prima di procedere all’estrazione i tappi delle bottigliette delle emocolture devono essere disinfettati con un antisettico, avendo cura di lasciarlo seccare per evitare che venga introdotto all’interno con l’inoculo del sangue. E’ stato dimostrato che l’entrata di piccole quantità di antisettico nel brodo dell’emocolture può inibire la crescita dei batteri.
Dopo il prelievo, il campione deve essere inoculato rapidamente nel brodo di coltura per evitare la coagulazione del sangue nella siringa. Vari studi hanno dimostrato che la pratica di cambiare l’ago non riduce il tasso di contaminazione ed aumenta il rischio di puntura accidentale [37]. Nei centri dove il set di emocolture comprende la bottiglietta per aerobi e quella per anaerobi, deve essere inoculata prima quest’ultima, facendo attenzione che non entri dell’aria.
Numero
Il numero ottimale di emocolture da eseguire in un paziente febbrile varia in base alle condizioni cliniche, al tipo di infezione sottostante sospettata, ed alla urgenza di iniziare il trattamento adeguato. Una sola emocoltura raramente è raccomandabile o sufficiente. La positività di una sola emocoltura risulterebbe non interpretabile a meno che non si isoli un microrganismo inequivocabilmente patogeno. Un totale di 2 emocolture è raccomandabile quando si sospetta una batteriemia sostenuta da microrganismi generalmente non contaminanti, ad esempio nella sepsi intraddominale o in caso di polmonite. Un totale di 3 emocolture è raccomandato quando c’e un elevato sospetto di batteriemia continua, ad esempio in pazienti con endocardite infettiva. E’ ragionevole estrarre 4 emocolture quando si sospetta una batteriemia potenzialmente sostenuta da microrganismi considerati generalmente contaminanti, quali SCN. Esempi clinici comprendono pazienti con sospetta endocardite su valvola protesica o infezione endovascolare associata a corpi estranei, incluse le batteriemie da CVC dove è importante eseguire delle emocolture di controllo anche dopo la rimozione del catetere per escludere la complicanza di endocardite. Quattro emocolture potrebbero essere necessarie anche per la diagnosi di endocardite in pazienti che hanno ricevuto antibiotici nelle due settimane precedenti. Ulteriori emocolture raramente sono utili a meno che non si verifichi un importante cambiamento delle condizioni cliniche del paziente o si sospetti un nuovo focolaio infettivo. Inoltre la possibilità di test falsamente positivi aumenta stabilmente con l’aumentare del numero di emocolture.
Volume e diluizione del sangue
Tra tutte le variabili che influenzano l’isolamento di batteri o funghi in un’emocoltura, il volume di sangue coltivato è la più importante, in ragione del basso numero di microrganismi presenti nella maggioranza delle batteriemie. I pochi studi eseguiti a riguardo hanno documentato cifre di circa 10 UFC/ml di sangue o meno, molto raramente si superano le 100 UFC/ml.
Il volume raccomandato per ogni estrazione negli adulti è di 10 ml, con volumi inferiori è stata dimostrata una riduzione dell’indice di positività [38]. Si considera che l’indice di positività aumenta di un 3-5% per ogni ml in più di sangue coltivato. Si sconsiglia comunque l’estrazione di volumi maggiori, in piccola parte per l‘anemia che si può provocare al paziente, ma soprattutto per mantenere la giusta proporzione di volume tra sangue e brodo di coltura. La diluizione del sangue nel brodo di coltura è necessaria, infatti, per neutralizzare le sue proprietà battericidi. Nei pazienti in trattamento con antibiotici la diluizione permette inoltre di ridurne la concentrazione fino a valori sub-inibenti. La diluizione finale raccomandata è tra 1/5-1/10, infatti diluizioni minori riducono la percentuale di positività [39].
Intervallo
L’intervallo di tempo ottimale per ottenere l‘emocolture va da una a diverse ore. Però è sufficiente ed appropriato ottenere le emocolture da due siti separati nell’arco di minuti nei pazienti con quadro clinico grave o quando il sospetto di batteriemia continua è elevato. D’altro canto è consigliato ottenere diverse emocolture a distanza di 6-36 ore in pazienti con sospetto di batteriemia intermittente o in coloro con possibile infezione da microrganismi generalmente considerati contaminanti, quali SCN (pazienti con valvole protesiche o dispositivi intravascolari).
Le emocolture, con la debita identificazione, devono essere portate immediatamente al laboratorio. Possono essere mantenute a temperatura ambiente solo durante brevi periodi di tempo, per non alterare il successivo recupero dei microrganismi. Se non possono esse inviati subito al laboratorio dovranno essere incubati in una stufa a 35-37°C fino a tale momento. Le emocolture non devono essere mai conservate in frigorifero.
Interpretazione delle emocolture positive
La contaminazione delle emocolture può verificarsi anche quando la raccolta ed il processamento delle stesse sono stati eseguiti correttamente. Il numero di emocoltur che risulta positivo è generalmente predittivo del significato clinico di un determinato microrganismo isolato
L’incubazione delle emocolture deve essere proseguita per almeno 10 giorni. La crescita di batteri dopo 72 h pone il problema dei falsi positivi, ad eccezione dei casi di microrganismi a lenta crescita o di previa esposizione ad antibiotici. In caso di isolamento di Propionibacterium acnes, Corynebacterium spp, Bacillus spp, o SCN bisogna ricordare che tutti questi possono essere patogeni in determinate circostanze cliniche, soprattutto quando vengono isolati in molteplici emocolture ottenute da siti separati, e che tali microrganismi possono produrre endocardite in presenza di protesi valvolari o di altri dispositivi.
L’isolamento di streptococchi del gruppo A, pneumococchi, H. infuenzae, Enterobacteriaceae, Bacteroides, P. aeruginosa, e Candida spp riveste quasi sempre importanza clinica. Streptococchi viridanti e S. aureus non sempre sono inequivocabilmente patogeni. Ciò nonostante l’isolamento di questi come di qualsiasi altro microrganismo in due o più emocolture, ottenute da siti separati, giustifica approfondimenti diagnostici per chiarirne il significato clinico.
DIAGNOSI DI BATTERIEMIE ASSOCIATE A CATETERE
Le manifestazioni cliniche sistemiche o locali di batteriemia associata a catetere non sono utili per la diagnosi, per la scarsa specificità delle prime e la bassa sensibilità delle seconde. Per tale motivo è necessaria l’evidenza microbiologica che dimostri che la batteriemia ha origine dal catetere. In passato sono state impiegate diverse metodiche colturali qualitative del catetere o del sangue prelevato da esso, oggi ritenute scarsamente sensibili e specifiche pertanto non raccomandate.
Attualmente la tecnica diagnostica di riferimento è basata sulla rimozione e l’esame colturale, quantitativo o semiquantitativo, della punta del catetere. Solo il 15-25% dei CVC rimossi per sospetta infezione, però, risulta essere infetto (tale percentuale sale al 70% per tutti i tipi di cateteri in alcune casistiche), e la diagnosi è sempre retrospettiva [34]. Per tale motivo sono state messe a punto negli ultimi anni nuove tecniche diagnostiche che non richiedano la rimozione del catetere.
Metodiche non conservative
Le tecniche basate sulla rimozione del catetere comprendono:
L’esame colturale semiquantitativo consiste nel porre la punta del catetere su una piastra di agar sangue e ruotarla avanti e dietro 3-4 volte prima di incubarla. L’indomani se vi sono ≥ 15 u.f.c. è altamente probabile che il catetere sia colonizzato. La diagnosi di batteriemia associata a catetere è confermata solo se la colonizzazione del catetere è associata a delle emocolture periferiche positive per lo stesso microrganismo. La limitazione di tale metodica è quella di rilevare solo le colonizzazioni della superficie esterna del catetere e non quelle intraluminali. Ciò rappresenta un problema soprattutto per i cateteri a lunga permanenza in cui la contaminazione intraluminale, come già detto, è la causa più frequente di batteriemie. Quindi la sensibilità di questa metodica per la diagnosi di batteriemia associata a catetere nei casi di CVC a lunga permanenza (> 30 giorni) è stata stimata tra il 45 ed il 75% [40]. Bouza et al. hanno calcolato valori di sensibilità e specificità di oltre il 90% sia per i cateteri a corta che a lunga permanenza, però nel loro studio erano definiti a lunga permanenza i CVC posizionati da > 7 giorni [41].
Diverse metodiche colturali quantitative, quali centrifugazione, vortex e sonicazione sono state impiegate per l’isolamento dei microrganismi sulle superfici sia esterne che interne del catetere. La sonicazione consiste nel posizionare 5 cm di catetere in un contenitore con 10 ml di brodo e quindi sonicare il contenitore per 1 minuto e successivamente passarlo sul vortex per 15 secondi. Il brodo viene successivamente diluito (1:100) e passato su piastra di agar sangue, la crescita di > 100 u.f.c. è considerata indicativa di una colonizzazione del catetere. Questo procedimento favorisce l’isolamento dei microrganismi intraluminali, inclusi quelli del biofilm che potrebbero non essere clinicamente significativi. Si tratta di metodiche, quindi, molto sensibili, utili soprattutto per le diagnosi di batteriemie da CVC a lunga permanenza (sensibilità 83% e specificità 97%) [42], però scarsamente impiegate nella maggior parte dei laboratori perché poco pratiche e costose.
Attualmente, infatti, la metodica non conservativa maggiormente impiegata è l’esame colturale semiquantitativo di Maki per la sua semplicità ed affidabilità (le maggiori critiche a questa metodica si basano sul concetto non dimostrato che le superfici extra ed intraluminali dei cateteri siano nettamente separati) [41].
Metodiche conservative
Le principali metodiche conservative sono:
Il brush endoluminale del catetere, che consiste nello strofinare il lume del catetere con uno spazzolino di nylon e successivamente coltivarlo, è un’ulteriore metodica conservativa proposta per la diagnosi d batteriemia associata a catetere, e secondo gli autori che l’hanno impiegata è sensibile e specifica (95% e 84% rispettivamente) [43]. È stata, però, duramente criticata perché poco pratica e soprattutto rischiosa, potendo dar luogo a effetti collaterali quali aritmie, embolizzazioni e batteriemie.
Le emocolture differenziali quantitative consistono nel prelevare simultaneamente dal CVC e da una vena periferica due campioni di sangue ed eseguire un esame colturale quantitativo di entrambi. La tecnica più usata a tal fine e quella della lisi-centrifugazione. Se dal campione prelevato dal CVC cresce una quantità molto superiore di colonie dello stesso microrganismo isolato dal sangue periferico, il test è considerato positivo. Vari studi hanno dimostrato un rapporto variabile da 2 a 10, tra il numero di u.f.c./ml di sangue prelevato dal CVC ed il numero di u.f.c./ml di sangue periferico, associato a batteriemia da CVC. La società americana di Malattie Infettive (IDSA) ha proposto il rapporto di 5:1 u.f.c./ml tra CVC e sangue periferico, come cut-off diagnostico [44]. Secondo una meta-analisi questa sarebbe la metodica conservativa più accurata per la diagnosi di batteriemia associata a catetere (sensibilità e specificità per cateteri a corta permanenza rispettivamente di 75% e 97%, e per quelli a lunga permanenza di 93% e 100%) [42]. La laboriosità ed i costi elevati, però, ne limitano fortemente l’uso presso la maggior parte dei laboratori. Alcuni autori hanno proposto di eseguire una sola emocoltura quantativa dal CVC, e considerare una crescita di oltre 100 u.f.c./ml indicativa di batteriemia associata a CVC. In questo modo, però, non si consente la distinzione tra batteriemia associata a CVC e batteriemia di alto grado, particolarmente comune in pazienti immunodepressi con sepsi grave.
La seconda metodica prevede l’utilizzo dei nuovi sistemi automatizzati di incubazione delle emocolture, i quali rilevano ogni 15 minuti l’eventuale positivizzazione tramite il cambio della fluorescenza provocato dalla crescita batterica. Diversi studi hanno dimostrato che una positivizzazione dell’emocoltura prelevata dal CVC, 2 ore prima di quella da vena periferica è indicativo di batteriemia associata a catetere [45, 46]. Una meta-analisi ha calcolato una sensibilità ed una specificità pari a 89% e 87% rispettivamente per i cateteri a corta permanenza, 90% e 72% per quelli a lunga permanenza [42]. Si tratta di un test più semplice del precedente, leggermente meno affidabile, utilizzabile solo nei centri dotati di sistemi di incubazione automatizzati (Bactec).
Lo striscio di acridina orange è un metodo microscopico rapido, che richiede solo 30 minuti. Si preleva dal CVC 1 ml di sangue e, dopo averlo centrifugato e fissato su un vetrino portaoggetti, si colora con acridina orange e si osserva al microscopio con luce ultravioletta. La presenza di batteri è indicativa per la diagnosi. La sensibilità e specificità del test sono del 87% e 94% rispettivamente [47]. Lo striscio di acridina orange integrato dallo striscio di gram può facilitare l’iniziale distinzione morfologica, aumentando la sensibilità al 96% [48]. Nonostante questo sia un metodo semplice, efficiente e poco costoso è poco diffuso nei comuni laboratori.
Bouza et al. [49], infine, hanno dimostrato che l’esame colturale superficiale del sito di inserzione del CVC, associato alle emocolture periferiche è un’ulteriore metodica conservativa semplice ed accurata (sensibilità 78%, specificità 92%), e che, a differenza delle altre, non incentiva l’uso indiscriminato del CVC per l’esecuzione dei prelievi. Tale test consiste nell’esame colturale semquantitativo del tampone cutaneo a livello della fuoriuscita del catetere, e dei tamponi a livello del lume o dei lumi del CVC, per ciascuno il cut-off diagnostico stabilito era di 15 u.f.c..
Concludendo i campioni di pazienti con sospetta sepsi associata a CVC richiedono un’attenzione immediata da parte del microbiologo. Si raccomanda di eseguire l’esame colturale solo dei CVC rimossi da pazienti con segni o sintomi di infezione. La rimozione del catetere con esame colturale semiquantitativo rimane la procedura di riferimento. Nei pazienti in cui si ritira il catetere per sospetto di batteriemia devono realizzarsi sempre almeno 2 emocolture periferiche, 3 se si sospetta endocardite. Nei casi in cui si vuole conservare il catetere le emocolture differenziali quantitative sono la metodica più accurata ma poco pratica e costosa, le emocolture differenziali di tempo sono meno affidabili e potrebbero incentivare l’uso indiscriminato dei CVC per l’esecuzione dei prelievi. Alcuni autori raccomandano pertanto lo studio superficiale associato alle emocolture periferiche per l’elevato valore predittivo negativo, semplicità e basso costo. Lo striscio di acridina orange/gram del sangue estratto dal catetere può essere utile per decisioni rapide nei pazienti critici.
Prognosi
La mortalità associata a batteriemia varia dal 10% ad oltre il 30% in base al luogo di acquisizione, alle patologie di base, al sito d’origine, all’eziologia ed all’efficacia del trattamento precoce.
Le batteriemie acquisite in comunità sono associate ad un minor tasso di mortalità rispetto a quelle associate a cure sanitarie o nosocomiali. Nello studio di Friedman et al. la mortalità complessiva era pari al 21%, variando dal 13% per le batteriemie comunitarie, 20% per quelle associate a cure sanitarie e 30% per le batteriemie nosocomiali [2].
Tanto più è grave il quadro clinico iniziale della batteriemia maggiore è il rischio di mortalità, varie casistiche, infatti, hanno riscontrato che l’APACHE II score (una valutazione prognostica che comprende sia le comorbidità che le variabili vitali) elevato (≥ 15) e lo shock settico erano dei fattori di rischio indipendenti per mortalità [25, 50, 51].
Per quanto riguarda la porta d’entrata delle batteriemie, è stato osservato che le sepsi a partenza da infezioni polmonari o addominali causano, generalmente, un quadro clinico più grave (sepsi grave – shock settico) di quelle a partenza da infezioni urinarie o da CVC. Alcuni autori hanno proposto la suddivisione dei siti d’origine delle batteriemie in due gruppi: ad alto rischio, ovvero associati ad una mortalità ≥ 30%, che comprendono polmoni, peritoneo e batteriemie ad origine sconosciuta; a basso rischio, mortalità ≤ 30%, che comprendono tratto urinario, vie biliari e catetere intravascolare [25].
Tra gli agenti causali delle batteriemie nosocomiali o associate a cure sanitarie, P. aeruginosa si associa ad una mortalità più elevata sia rispetto agli altri bacilli gram negativi che a S. aureus [25, 52]. Per quanto riguarda S. aureus la mortalità aumenta per le batteriemie da MRSA, probabilmente per la maggiore gravità dei pazienti da cui generalmente viene isolato, la maggiore probabilità di ricevere un trattamento antibiotico empirico non efficace e per la scarsa batteriocidia della vancomicina come antibiotico antistafilococcico.
Nelle varie casistiche uno dei fattori più significativamente associati a mortalità è il trattamento antibiotico inadeguato nelle prime 48 h dalla diagnosi di sospetta batteriemia. Il ritardo della terapia antibiotica efficace aumentava il rischio di morte di 1.7 volte in caso di batteriemie da S. aureus e di oltre 2 volte per quelle sostenute da P. aeruginosa [50, 53]. Nelle batteriemie da S. aureus il trattamento inadeguato si associava più frequentemente ad isolamento di MRSA, ricovero in reparto piuttosto che in UTI e patologia respiratoria cronica (COPD). Nelle batteriemie da P. aeruginosa i fattori associati al trattamento inadeguato erano multi-antibioticoresistenza (≥ 3 classi di antibiotici) e patologia respiratoria cronica (COPD).
Infine occorre considerare la risposta alla terapia, non solo antibiotica ma anche di supporto emodinamico, e l’insorgenza di eventuali complicanze. In una casistica di 314 batteriemie da P. aeruginosa e S. aureus, la mortalità era indipendentemente associata alla mancata risposta clinica nelle prime 48 h di trattamento ed alla comparsa di endocardite [52].
Concludendo la batteriemia è un evento clinico frequente che comporta una elevata mortalità. I fattori associati ad una evoluzione sfavorevole sono vari. Alcuni non sono modificabili come le caratteristiche dell’ospite, le patologie di base, l’origine della batteriemia od i microrganismi causali [54]. Altri, invece, sono chiaramente modificabili quali la somministrazione precoce di antibiotici adeguati, il trattamento del sito d’origine della batteriemia o l’efficace supporto emodinamico nelle prime ore.
Profilassi
Per quanto riguarda la profilassi antibiotica perioperatoria, o prima di manovre strumentali invasive, sia diagnostiche che terapeutiche, in pazienti a rischio, si rimanda all’apposito capitolo.
Prevenzione
La prevenzione delle batteriemie nosocomiali ed associate a cure sanitarie si basa sulle metodiche classiche di controllo delle infezioni nosocomiali, che dovrebbero far parte di un programma complesso di prevenzione, dove tutte le figure assistenziali dovrebbero essere coinvolte e l’educazione dovrebbe avere il ruolo chiave. Nella tabella n°4 si illustrano gli elementi principali di tali programmi.
Tabella n°4: Principali interventi di prevenzione delle infezioni nosocomiali
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Le misure tradizionali di prevenzione delle batteriemie associate a CVC comprendono: educazione degli operatori sanitari circa le corrette modalità di inserimento e gestione del catetere, monitoraggio sistematico della frequenza locale di batteriemie associate a CVC, igiene delle mani, personale dedicato per la terapia infusionale, uso di camici sterili semipermeabili e la rimozione del catetere il prima possibile. Altri provvedimenti, meno usati e la cui efficacia è meno evidente rispetto ai primi, sono: uso di cuffie impregnate con argento, filtri intraluminali, cateteri rivestiti od impregnati con antibiotici od antiasettici, e la somministrazione topica di antibiotici a livello del sito di inserzione del CVC. Da sottolineare l’importanza dell’asepsi cutanea al momento dell’inserzione del catetere. A tal proposito le soluzioni a base di clorexidina 2% si sono dimostrate più efficaci nel prevenire le batteriemie associate a CVC, rispetto a quelle a base di povidone-iodato 10% o di alcool 70%. Oltre all’asepsi, durante l’inserzione del CVC, si raccomanda di adottare tutte le precauzioni di barriera classiche degli interventi chirurgici (guanti, camice, cuffia e mascherina sterili, copertura del campo operatorio con ampio panno sterile). Il rivestimento o l’impregnazione delle superfici dei cateteri con agenti antimicrobici può prevenire o ridurre l’adesione dei batteri. Negli USA è stato approvato l’utilizzo dei cateteri rivestiti con sostanze antibiotiche, antisettiche o con argento, per la prevenzione delle batteriemie associate a CVC. Le linee guida HICPAC raccomandano l’uso di cateteri rivestiti con antibiotici o antisettici in quei pazienti dove si ritiene che la permanenza del CVC si protragga oltre 5 giorni. Vari studi hanno dimostrato che l’applicazione locale di antibiotici insieme all’eparina è maggiormente efficace rispetto alla sola eparina nel prevenire l’infezione del CVC. L’utilità dell’eparina, infatti, è principalmente legata alla sua attività antitrombotica. Una metanalisi di sette trial randomizzati ha mostrato che l’applicazione locale di vancomicina in pazienti neoplastici portatori di CVC a lunga permanenza riduceva il rischio di batteriemia associata a CVC. Alternative valide sono l’impiego di minociclina ed EDTA, taurolidina o etanolo (ad una concentrazione che varia dal 25% al 40%).
Fonte: http://eustasskidd.altervista.org/FileInfermieristica/sepsi_per_infermieri.doc
Sito web da visitare: http://eustasskidd.altervista.org
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