Biochimica del fegato

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Biochimica del fegato

 

Meccanismi Biochimici                                                                                                 

Induttori , inibitori e metabolismo degli xenobiotici

Eravamo rimasti a parlare del citp450, avevamo visto un parziale albero filogenetico di questa proteina, che in realtà è una superfamiglia di proteine in cui possiamo distinguere classi, sottoclassi e singoli elementi che vengono normalmente identificati dall’acronimo CYP e poi una serie di 3 indicatori: un numero, una lettera e un numero che indicano rispettivamente la classe, la sottoclasse e l’esemplare della proteina all’interno della sottoclasse. Le diverse sottoclassi sono specializzate perché riconoscono diversi substrati,che ne inducono l’espressione genica. In realtà parlare di espressione genica non è corretto perché come vedremo la regolazione da parte degli induttori avviene a diversi livelli dove è possibile intervenire per regolare l’espressione della proteina.

Le diverse classi sono specializzate o nel metabolismo di farmaci, o nel metabolismo degli steroidi (di cui se ne occupano la classe 11 e la classe 19); oppure altre classi sono specializzate per acidi grassi e prostaglandine, altre ancora sono deputate al metabolismo della vitamina A nei suoi derivati.
Per il metabolismo degli xenobiotici, l’isoforma più abbondante di questi citocromi  è la 3A4, che metabolizza circa il 60% dei farmaci che assumiamo. Visto che i farmaci sono induttori di questa proteina è chiaro che essendo molto alto questo numero è anche molto elevata l’abbondanza di questa proteina su tutti i citocromi: infatti il 30% di tutti i cyp450 presenti nel nostro fegato è l’isoforma 3A4.

Un’altra isoforma molto importante è la 2E1, che si occupa del metabolismo dell’etanolo, o alcol etilico. Molto importante, perché a carico di essa sono stati condotti numerosi studi per quanto riguarda i diversi polimorfismi presenti nelle popolazioni, è l’isoforma 2D6. Quest’ultima è oltretutto presente in forme polimorfiche che conferiscono ai diversi individui una diversa capacità di metabolizzare i farmaci, per cui gli individui sono classificati come metabolizzatori lenti, medi e molto veloci e  in base al diverso polimorfismo anche la dose del farmaco che viene somministrato può subire delle variazioni : se un metabolizzatore è veloce si somministra poco farmaco (perché lo metabolizza velocemente), se il paziente è lento bisogna dargli grande quantità di farmaco (perché lo attiva molto più lentamente). Essendo dunque l’isoforma 2D6 presente in forme polimorfiche è quella più studiata ed è quella che permette la classificazione all’interno della farmacogenetica, che studia il metabolismo dei farmaci sulla base della composizione genetica degli individui.

Induttori.
Sono sostanze in grado di interagire a qualche livello durante il processo di sintesi della proteina (trascrizione, traduzione,maturazione,stabilità) e di aumentare la quantità di isoforme di P450 presenti nel nostro fegato e nel nostro polmone. La localizzazione del p450 che più ci interessa è quella epatica perché tramite il flusso sanguigno ci arrivano tutte le sostanze che noi ingeriamo; le cellule polmonari invece si occupano di trasformano gli xenobiotici che inaliamo, e la pelle può assorbire talvolta questa sostanze estranee, tossiche e non, ma che comunque devono essere eliminate.
Gli induttori possono esser divisi in 5 classi diverse, che agiscono diversamente. La classe a cui appartengono il 3-metilcolantrene, il benzopirene, la diossina, il fumo, gli alimenti cotti a carbone e le crocifere (broccoli, broccoletti, tutte quelle sostanze aromatiche prodotte dal metabolismo vegetale che  vengono riconosciute come esogene dai nostri p450, e poi trasformate ed eliminate), agiscono con un meccanismo specifico e inducono isoforme specifiche che li metabolizzeranno come il CYP1A1 e il CYP1A2. Un altro tipo di induzione viene effettuata dal fenobarbital e da una serie di pesticidi come il DDT, che inducono isoforme come CYP2B1 e CYP2B2. L’etanolo invece  induce selettivamente un’isoforma di cyp p450 che è il CYP2E1. Le sostanze steroidee e gli antibiotici invece inducono il CYP3A1, che è una delle più importanti per il metabolismo degli xenobiotici, e il CYP3A2. Un altro meccanismo ancora viene effettuato da sostanze quali il clofibrato e una serie di sostanze usate nell’industria chimica come plastificanti che inducono soprattutto citocromi appartenenti alla classe quattro. Questi studi per l’identificazione dei singoli substrati e degli induttori sono stati condotti nel ‘75, il boom è stato negli anni 80 quando sono venute a disposizione una serie di tecniche per studiare le isoforme suscettibili a regolazioni da parte di specifici induttori.

Modalità di regolazione dell’espressione.
Non entreremo nel dettaglio, data l’ampia conoscenza. Sono infatti noti i recettori che si trovano sulle cellule epatiche e polmonari per queste sostanze. Sono noti i recettori di membrana a cui la sostanza si unisce, che vengono poi internalizzati e vanno a regolare le modalità di trascrizione,traduzione. Sappiamo inoltre che talvolta la sostanza esogena entra nel citosol (essendo spesso sostanze liposolubili), dove riconosce un recettore citosolico; entra poi nel nucleo dove riconosce il promotore specifico per quella isoforma. Le modalità quindi sono molto varie e si conoscono tutti i recettori, che riconoscono classi di sostanze diverse. Le classi dipendono proprio dal fatto che quel gruppo di sostanze riconosce un certo induttore all’interno o sulla cellula. A ogni modo non entriamo nel dettaglio di questo argomento.
Tra le varie isoforme di p450, alcune agiscono a livello della trascrizione genica legandosi a un promotore aumentando le unità di trascrizione, altri sul processamento dell’mRNA, altri ancora sulla stabilità del mRNA, altri ancora sulla traduzione, come l’etanolo che agisce sulla isoforma 2E1, e addirittura sulla stabilità della proteina stessa(il turnover della proteina viene rallentato da determinate sostanze, e quindi vivendo più a lungo la proteina diventa più abbondante all’interno della cellula).
Anche qui abbiamo 5 livelli in cui l’induttore può agire e da qui comprendiamo anche la suddivisione in classi (in base all’interazione della sostanza con il gene,o con l’mRNA e così via).

 

Identificazione della regione regolatrice del gene di un P450.
Per capire come si studiavano queste cose ai primordi della scienza, trattiamo un esperimento fatto negli anni 80 che ha identificato la regione regolatrice di un gene dell’isoforma 1A1 di p450. Si facevano test in batteria per vedere quale sostanza era induttore della p450. Il gene della 1A1 presenta un promotore; i ricercatori hanno tagliato la regione del promotore, inserendola (vedi slide 29) in un plasmide pSVO-cat,  a monte del gene che codifica per la attività di un enzima che si chiama cloranfenicolo acetiltransferasi. Questo enzima non viene espresso dalla cellule eucariotiche. Poi trasfettavano  cellule eucariotiche (epatomi di cellule di ratto), inserendo questo costrutto nelle cellule. A questo punto per vedere se la trascrizione era indotta dalla diossina (TCDD) la davano alla cellule. Se la diossina interagiva col promotore e induceva la trascrizione  di tutti i geni, anche il gene cat sarebbe stato espresso. Alla fine prendevano queste cellule eucariotiche che non contenevano il gene per questo enzima e facevano un test enzimatico dando il substrato di questa proteina: se il test era positivo voleva dire che l’intero plasmide era stato tradotto e quindi il promotore era suscettibile all’azione della diossina.
Ripetiamo meglio: lo scopo dell’esperimento era capire se la diossina (TCDD) era in grado di interagire col promotore e far partire la trascrizione di questa proteina: p450 1A1. Presero la regione del promotore e la misero a monte di un gene per la cat (clorafenicolo acetil transferasi), proteina non presente nelle cellule eucariotiche.Inserirono questo plasmide nelle cellule di epatoma di topo che crescono in coltura.
Dando la diossina, se è vero che interagisce col promotore, che ora sta a monte del gene sul plasmide, farà partire la trascrizione del plasmide compreso il gene cat, e allora vuol dire che la cat verrà espressa in queste cellule. Una volta messa la diossina, presero le cellule e andarono a testare se avevano attività acetiltransferasica verso il cloranfenicolo; se avevano esito positivo voleva dire  che la trascrizione aveva fatto esprimere il gene tramite la diossina. Visto che di norma le cellule eucariotiche non ce l’hanno, e l’avessero vista voleva dire che la diossina induceva l’attività del promotore del CYP.
Questo esperimento ha infatti dimostrato che la diossina è un induttore trascrizionale dell’1A1.
Comunque se il test fosse stato negativo non voleva dire che la diossina non è un induttore, bensì che questa potrebbe agire a livelli successivi alla trascrizione. In tal caso devono essere condotti ulteriori studi.
Ad esempio: inizio lo studio dando la diossina ai topi, quando faccio l’autopsia vedo che nei loro epatociti è aumentata l’isoforma l’1A1 rispetto a un ratto di controllo. Allora mi chiedo: con quale meccanismo la diossina induce l’aumento di 1A1? Quando vado a fare l’esperimento descritto, se mi va bene e ho esito positivo vuol dire che la diossina lo induce a livello trascrizionale, se il risultato non è positivo vado a ricercare altri livelli in cui la diossina può andare a regolare l’aumento dell’isoforma 1A1 (l’abbondanza dell’mRNA,l’abbondanza della proteina,se la proteina dura più a lungo nella cellula dunque se l’induttore agisce sul turnover della proteina) .

 

Inibitori del citocromo p450.
Sono stati fatti studi anche con gli inibitori: so che esiste una isoforma del p450, voglio vedere se mi metabolizza lo xenobiotico X ad esempio la morfina, pretratto le cellule con un inibitore di quella classe del p450 e vado a vedere se la morfina mi viene trasformata in morfina-OH. Se non la trovo vuol dire che quella classe di p450 che ho inibito era deputata alla trasformazione della  morfina. Gli studi sull’assegnazione di uno xenobiotico a una data isoforma vengono fatti sia mediando i meccanismi d’induzione (abbiamo detto infatti che l’induttore è quasi sempre il substrato della proteina) sia andando a studiare degli inibitori specifici di un determinata classe e quindi assegnando poi la trasformazione di quello xenobiotico a quella classe.
Anche qui sono stati trovati, sia inibitori di tipo naturale, prodotti o da piante o soprattutto da batteri, oppure di tipo chimico: molte case farmaceutiche hanno studiato inibitori creati in laboratorio per inibire determinate classi di p450, come l’SKF 525 A, coperto ovviamente da brevetto, che non contiene imidazolo, molto utile in numerosi studi per identificare varie isoforme del p450.

Applicazioni biotecnologiche banali che sono state fatte producendo organismi transgenici.
Ammettiamo che vogliamo coltivare patate in abbondanza e non vogliamo che il campo sia invaso dalle erbacce. Si danno quindi erbicidi, sostanze che in genere si inseriscono nel trasporto elettronico del fotosistema 1 o 2, bloccano il trasporto elettronico e quindi la pianta non potendo più fare fotosintesi muore. Se però si distribuisce erbicida sul campo muoiono sia erbacce che patate. Proprio per questo motivo si è resa transgenica la patata May Queen per il gene del 1A1 di mammifero che è in grado di eliminare il clorotorulon e i suoi effetti nocivi. La pianta transgenica era in grado di detossificare l’erbicida CT (clorotorulon) e scampava all’erbicida come una pianta wt. Così si poté usare il CT sul campo senza che morissero le patate coltivate.
Stessa cosa fu fatta per il tabacco sempre per lo stesso tipo di erbicida.

Enzimi del metabolismo degli xenobiotici.
Avevamo fatto una serie di classificazioni tra la fase 1 della detossificazione o biotrasformazione e la fase 2. Gli enzimi della fase 1 modificano la molecola dello xenobiotico aggiungendo o togliendo piccole parti come l’ossidrile, invece gli enzimi della fase 2 si occupano di coniugare, cioè unire lo xenobiotico a molecole endogene generalmente molto idrosolubili come zuccheri o glutatione che attaccandosi allo xenobiotico lo rendono più idrosolubile e quindi ne consentono l’escrezione tramite la bile e l’urina.
Le due fasi non sono per forza sequenziali: lo xenobiotico può passare per entrambe le fasi oppure passare direttamente alla seconda.
Andiamo rapidamente a vedere gli enzimi e le reazioni coinvolte nel metabolismo degli xenobiotici. Esamineremo il metabolismo dell’etanolo, l’entrata in funzione di monossigenasi flaviniche e la chinone reduttasi.

Metabolismo dell’etanolo.
Ne parliamo in maniera abbastanza semplificata. Il metabolismo dell’etanolo è preso in carico da tre pathways diversi: una è quella del CYP2E1 a livello microsomiale del REL. Un’altra via si svolge nel citosol, ed è quella della alcol deidrogenasi, e un’ultima si svolge nei perossisomi dove agisce l’enzima catalasi. Tutte queste vie convergono nella formazione del prodotto che è l’acetaldeide. Tutte quindi provocano una ossidazione dell’etanolo (CH3CH2OH) ad acetaldeide, CH3CHO. L’acetaldeide è una sostanza molto elettrofilica che si lega in modo molto veloce a molte sostanze come proteine, acidi nucleici; quindi è una sostanza neurotossica, che può indurre mutazioni a carico degli acidi nucleici e quindi è una sostanza potenzialmente cancerogena. Si dice infatti che i grossi bevitori possono andare incontro a tumore al fegato, perché appunto sottoporre il fegato a un sovraccarico di etanolo per molto tempo può porta ad accumulo dell’acetaldeide e danni permanenti alle macromolecole delle cellule epatiche e trasformazioni tumorali.
L’acetaldeide fisiologicamente, quando non arriva a livelli enormi di concentrazione, può essere rimossa da un enzima presente nei mitocondri, la aldeide deidrogenasi, che deve essere molto efficiente.
Dunque è possibile notare che nel metabolismo dell’etanolo entrano in gioco diversi compartimenti cellulari (microsomi, citosol, perossisomi, mitocondri).
Il citocromo P450 nella sua isoforma 2E1 ricevendo elettroni, dona elettroni tramite la flavina dall’NADPH al citocromo p450, si aggiunge un gruppo H, per intervento di NADPH e ossigeno, aggiungiamo una funzione OH rendendo la sostanza ancora più idrosolubile e per eliminazione di una molecola d’acqua otteniamo acetaldeide, un prodotto ossidato dell’etanolo.
Nel citosol l’alcol deidrogenasi, per ossidare l’etanolo, usa il NAD+ togliendo elettroni all’etanolo e producendo direttamente acetaldeide.      
Nei perossisomi la catalasi ha bisogno come substrato di acqua ossigenata, sostanza che si accumula nei perossisomi, a seguito del metabolismo degli amminoacidi; la catalasi, quindi, utilizza l’acqua ossigenata che si trova nei perossisomi perché prodotta da altre reazioni, prende l’etanolo, lo ossida ad acetaldeide ed elimina l’acqua. Tutta questa massa di acetaldeide poi può entrare nei mitocondri, essere sottoposta all’azione dell’acol deidrogenasi, e ossidare ulteriormente l’acetaldeide ad acido acetico, riducendo il NAD+ a NADH + H+. Questa reazione è energetica, motivo per il quale gli alcolisti sentono poco la fame e hanno problemi di malnutrizione.
Queste tre vie avvengono contemporaneamente e dipendono dalla concentrazione di etanolo. Quando la concentrazione di etanolo è bassa avviene soprattutto la via dei microsomi (la prima), mentre quando la concentrazione è alta entrano in gioco le altre due vie.
Alcol deidrogenasi.
La alcol deidrogenasi è un dimero a localizzazione citosolica, è un enzima che contiene zinco nel sito catalitico. Esiste un polimorfismo; nelle popolazioni  sono presenti cinque diversi geni (α, β, γ, π, κ). β presenta 3 alleli, γ 2 alleli. Quindi possiamo formare 8 diverse subunità che si possono combinare poi nei modi più diversi; queste subunità, infatti, possono formare poi l’enzima con una diversa efficienza catalitica, possono cioè operare la trasformazione dell’etanolo più o meno veloce. Ognuno di noi ha quindi diversa suscettibilità all’etanolo. Interessante è che le popolazioni asiatiche hanno subunità con altissima efficienza, quindi vanno incontro agli effetti tipici dell’alcol molto di più , perché la via è molto più veloce la via tramite gli enzimi e c’è maggior produzione di acetaldeide e di conseguenza si intossicano prima. Hanno inoltre bassa efficienza dell’aldeide deidrogenasi, quindi se bevessero molto gli si accumulerebbe moltissima aldeide, infatti per esempio la frequenza di tumori epatici associati al consumo di alcol è molto più alta nei paesi asiatici. Questo perché gli enzimi hanno efficienza diversa in quanto si ha la formazione di isoenzimi a diversa capacità catalica. Quindi tanto più è efficiente l’alcol deidrogenasi tanto più velocemente metabolizzo l’etanolo, con il rischio però dell’accumulo di acetaldeide se non ho un’aldeide deidrogenasi  altrettanto veloce nel metabolizzarla. L’accumulo di acetaldeide è tossico. 
Possiamo avere diverse isoforme anche della aldeide deidrogenasi.

FMO: monossigenasi flaviniche.
Sono altri enzimi che fanno parte del sistema di biotrasfomazione di fase1. Ossidano a livello degli eternatomi nucleofili. Sono substrati di queste proteine le ammine terziarie, dove avviene un'ossigenazione a livello dell’azoto, le ammine secondarie che sono suscettibili all’ossidazione quindi al legame di ossigeno; c’è proprio un legame dativo del doppietto elettronico dell’azoto donato all’ossigeno.
Un’altra sostanza importante sono le idrazine, anche queste poi vengono trasformate, gli viene cioè legato l’ossigeno e poi vengono spezzate in due prodotti radicalici con trasferimenti elettronici.
Sono queste le categorie di cui si occupano le monossigenasi flaviniche. Queste si trovano nel reticolo endoplasmatico, e hanno legato saldamente una molecola di flavina monossigenica. La prima fase è una riduzione dell’NADPH che rimane per un po’ nel sito attivo, aspettando che arrivi l’ossigeno che si lega al FAD sottoforma di perossido (FADHOOH), dopodiché arriva il nostro xenobiotico X che si prende un ossigeno,e abbiamo sempre NADP+ nel sito attivo, la flavina rimane idrossilata, alla fine si libera acqua e anche il terzo prodotto esce dal sito attivo, quindi l’NADP+ è l’ultimo prodotto ad abbandonare il sito e consentire la ripresa del ciclo. Da qui possono essere riconosciuti da enzimi della fase due, o proseguire con altre biotrasformazioni fino a quel prodotto che è quello facilmente eliminabile dalle cellule epatiche.

Monoamminossidasi
A livello cerebrale invece, agiscono sugli xenobiotici le cosiddette monoamminossidasi, anche chiamate MAO, che sono di due tipi (A e B) con diversa specificità di substrato, e trasformano una ammina in un composto aldeidico. Questa reazione è interessante perché le MAO che sono flavoproteine localizzate a livello del mitocondrio, modificano il substrato inserendo un atomo di ossigeno che però non proviene dall’aria ma dall’acqua, quindi è un diverso meccanismo di azione e un diverso substrato ma l’ossigeno interviene lo stesso nel ciclo catalitico, e da qui deriva il nome di ossidasi e non ossigenasi, perché la ossigenasi inserisce un ossigeno molecolare nel substrato, le ossidasi invece riducono l’ossigeno. Questo enzima fa entrambe le cose ma è una ossidasi perché riduce l’ossigeno dell’acqua e poi lo inserisce. Le MAO sono molto importanti nella degradazione di substrati fisiologici come serotonina, adrenalina e noradrenalina.
Partendo dall’ammina, che viene ossidata con il FAD; questa reagisce con acqua formando aldeide e liberando ammoniaca. A questo punto il nostro enzima è rimasto modificato sul FAD e se rimanesse così abbiamo trasformato il nostro substrato amminico in un aldeide ma abbiamo ancora l’enzima che non è tornato allo stato iniziale alla fine della reazione. Il FadH2 della proteina reagisce con l’ossigeno molecolare, dona gli elettroni all’ossigeno, produce acqua ossigenata e il FAD torna nello stato ossidato come lo avevamo trovato all’inizio del ciclo di reazioni. Queste MAO sono molto importanti nei processi di trasmissione nervosa o nell’eliminazione di sostanze esogene che possono arrivare al cervello, sebbene questo sia molto protetto. Bisogna porre attenzione sulla produzione di acqua ossigenata: questa è molto reattiva e quindi bisogna smaltirla rapidamente per evitare danni al cervello.

Danni al cervello.
Si scoprì che dei ragazzi che avevano sintomatologie simile al parkinson, avevano assunto delle droghe che erano state contaminate con l’MPTP, che è famosa in ambito scientifico come inibitore di numerosi processi cellulari. L’MPTP è tra quei pochi composti che riesce a oltrepassare la barriera ematoencefalica e arrivare alle cellule neuronali. L’MPTP ha un azoto nell’anello, un gruppo eme legato. Questa molecola diventava substrato della MAO B, la quale la trasformava in un metabolita intermedio durante il processo catalitico a cui veniva sottratto un elettrone, quindi una forma protonata di questa sostanza. Successivamente il secondo anello veniva tolto e si formava l’MPP+. Si è visto che questa sostanza è estremamente tossica, ed è molto efficiente nel bloccare la captazione della dopamina e quindi provocando la distruzione di neuroni dopaminergici, cosa identica a ciò che accade nel parkinson. Successivamente si è visto in dettaglio cosa succedeva ai neuro-dopaminergici e si è visto che  questa sostanza si lega e inibisce in modo selettivo il complesso 1 della catena respiratoria mitocondriale, e questo provocava il blocco della respirazione cellulare ma anche la donazione di elettroni da parte del complesso 1 all’ossigeno direttamente, quindi formazione di radicali dell’ossigeno e danni al neurone dopaminergico.
Oggi questa sostanza viene usata sperimentalmente per bloccare il complesso 1 della catena di respirazione mitocondriale. Questo composto è preparato in laboratorio e venduto sotto stretto controllo.
NQO1.
L’altro enzima di cui parliamo è la NQO1 (NADPH chinone ossidoriduttasi), anche chiamato DT-Diaforasi. Quest'enzima può usare sia NADH che NADPH. Il nome DT-diaforasi è un nome antico, dato perché usava sia NADH che NADPH. In tempi antichi questi due composti si chiamavano con due nomi che iniziavano uno con la D e uno con la T. Negli ultimi anni la chinone ossidoreduttasi viene chiamata NQO1 (l’acronimo che deriva dal nome della reazione che svolge). L’NQO1 è una reduttasi che trasferisce elettroni dall’NADPH ai chinoni, trasformandoli in chinali, e l’anello cosi assume un carattere aromatico. Gli elettroni provengono dall’NADH o dal NADPH. È un enzima che troviamo nel citosol delle cellule, è un omodimero, è una flavoproteina quindi contiene FAD nel sito attivo. L’enzima catalizza una reazione bielettronica di substrati di natura chinonica CON DUE ELETTRONI CONTEMPORANEAMENTE  in un singolo passaggio. È stato visto che all’interno di cellule tumorali di diversi tipi di tumore ha una concentrazione molto elevata rispetto alle cellule non tumorali. A questo livello così elevato  a questa capacità di trasformazione di xenobiotici di cellule tumorali è stata attribuita la loro capacità di resistere o diventare resistenti a farmaci antitumorali dati nei cocktail chemioterapici. Sono stati fatti studi per sviluppare inibitori della NQO1 e impedire l’eliminazione del farmaco antitumorali.

Vediamo il funzionamento della NQO1. La molecola potrebbe essere un substrato della NADPH citocromo p450 reduttasi, donando un elettrone alla volta al menadione (che è un naftochinone). Questo può prendersi un elettrone solo, stabilizzato per risonanza e avere il tempo di andare a interagire con macromolecole biologiche; quindi si forma un radicale semichinonico che può produrre, legandosi cedendo o prendendo elettroni, danni al dna, ai lipidi e alle proteine. Questo se il menadione andasse incontro a una via che coinvolge il cit p450 reduttasi. Vediamo invece cosa fa l’NQO1. Essendo questo una flavoproteina può cedere gli elettroni contemporaneamente al menadione, quindi la molecola non passa per la forma radicalica ma va direttamente alla forma idrochinonica stabile, senza capacità reattive.
In realtà il radicale semichinonico può fare un ciclo ossido riduttivo nelle cellule, ovvero può interagire con l’ossigeno e formare anione superossido cedendogli l’elettrone e tornando alla forma parentale di menadione; si può produrre quindi una quantità molto elevata di anione superossido, anione idroperossido, poi perossido di idrogeno, i quali possono produrre danno ai lipidi con la perossidazione lipidica. I lipidi vengono perossidati, i perossidi si spezzano perché sono instabili e quindi sulla membrana si formano dei buchi, quindi materiale esterno entra nella cellula e materiale interno esce. I processi ossidativi possono interessare anche la membrana degli organelli, come quella dei mitocondri, e ciò sarebbe uno shok enorme per la cellula . La DT-diaforasi è quindi una valvola di sicurezza per portare direttamente sostanze di natura chinonica all’idrochinone e avviarlo alla sua eliminazione senza pericoli. Se però il menadione fosse un farmaco antitumorale, se la cellula tumorale fosse furba aumenterebbe l’espressione di DT-diaforasi e non verrebbe danneggiata.

Fonte: http://sommofabio.altervista.org/BiochimicaClinica/AlexR-ValeB-MeccanismiFarmaci02.doc

Sito web da visitare: http://sommofabio.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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