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PREMESSE
INTRODUZIONE
L’adenosintrifosfato (ATP) rappresenta la principale fonte intracellulare di energia chimica per la contrazione muscolare. Data la scarsità delle riserve intramuscolari di ATP, la continua rigenerazione diventa problematica per il mantenimento della potenza muscolare necessaria nel corso di attività fisica intensa. L’esercizio ad alta intensità (a esempio come durante gli scatti) è reso possibile grazie alla produzione di ATP con processo anaerobico, ciò segue il crollo della fosfocreatina (PCr) o la degradazione del glicogeno muscolare in lattato. Diversamente, quando la potenza sviluppata è inferiore, come durante l’esercizio prolungato (di endurance), la glicolisi aerobia dei carboidrati (glicogeno muscolare e glucosio che si è formato nel sangue) e i lipidi (acidi grassi derivanti dalle riserve di trigliceridi presenti nei muscoli e nel tessuto adiposo) forniscono, virtualmente, tutto l’ATP richiesto per i processi cellulari. Questi processi metabolici e la loro enorme importanza durante l’esercizio sono stati a lungo studiati (Coyle, 2000; Sahlin et al., 1998).
Molta attenzione è stata rivolta ai potenziali meccanismi dell’affaticamento durante l’esercizio e ai fattori metabolici che coinvolgono quei cambiamenti. Tali fattori possono essere definiti come esaurimento delle fonti di energia (ATP e altri composti biochimici utilizzati nella produzione di ATP) e accumulo di sottoprodotti metabolici (Tabella 1).
TABELLA 1. Fattori metabolici nell’affaticamento Esaurimento delle fonti di energia ATP Fosfocreatina (Pcr) Glicogeno muscolare Glucosio che si crea nel sangue Sottoprodotti metabolici Ioni di magnesio (Mg2) Adenosina di fosfato (ADP) Fosfato inorganico (Pi,) Ioni di lattato Ioni di idrogeno (H) Ammoniaca Radicali liberi Calore |
ANALISI DELLA RICERCA
Aree potenziali dell’affaticamento
L’affaticamento è un processo multifattoriale che riduce l’esercizio e la performance atletica. Può essere generalmente definito come l’incapacità o la ridotta efficacia nel mantenere la forza e la potenza richieste o previste. Sebbene l’affaticamento possa coinvolgere diversi organi, l’attenzione maggiore viene rivolta ai muscoli scheletrici e alla loro abilità di generare forza. Pertanto, nel valutare le aree potenziali dell’affaticamento, si devono prendere in considerazione tutti le fasi che coinvolgono l’attivazione dei muscoli. Tutto ciò è ben riassunto nella Figura 1 che rappresenta le sedi dell’affaticamento ossia quei procedimenti che possono venire coinvolti dalla mancanza delle fonti energetiche e/o l’accumulo di sottoprodotti metabolici.
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Per gli esperti del settore è cosa comune prendere in considerazione oltre ai meccanismi principali anche quelli periferici relativi alla eziologia dell’affaticamento perché, è ovvio, entrambi i livelli contribuiscono a ridurre la prestazione del muscolo durante l’attività. Per informazioni più dettagliate si possono consultare due articoli molto esaustivi di Fitts, 1994; Gandevia, (2001).
Una ridotta disponibilità dei substrati biochimici fondamentali coinvolti nella produzione di energia limita il rifornimento di ATP durante l’esercizio e compromette la funzione dei muscoli e del sistema nervoso centrale.
Queste fonti includono la PCr, il glicogeno muscolare e il glucosio presente nel sangue.
ATP. Molti studi di ricerca hanno dimostrato che la concentrazione di ATP in campioni di fibre muscolari miste viene generalmente ben salvaguardata durante l’esercizio intenso, sebbene scenda del 30-40% circa. Tuttavia, analizzando le fibre muscolari semplici, i livelli di ATP possono crollare in misura maggiore nel tipo II “veloce” dopo intensa attività fisica e limitano la capacità di tali fibre di contribuire allo produzione della potenza (Casey et al., 1996). Inoltre, possono subentrare minime trasformazioni, per tempi e distretti, nella disponibilità di ATP per micro-modificazioni locali di alcuni enzimi chiave legati all’ATP (miosina ATPasi, Na+/K+ ATPasi, reticolo sarcoplasmatico Ca2+ ATPasi) e all’interno dei canali di rilascio del Ca2+ del reticolo sarcoplasmatico. Che la diminuzione di ATP provochi maggior stanchezza è stato dimostrato da Dutka and Lamb (2004) sui topi. Nei loro esperimenti, un abbassamento della concentrazione di ATP danneggiava l’abbinamento eccitazione-contrazione e la produzione di potenza nelle fibre muscolari cutanee. Negli uomini, durante attività fisica intensa e di breve durata e nelle ultime fasi di attività estenuante e prolungata, un certo aumento degli agenti di crollo dell’ATP, implica che il livello di utilizzo di ATP supera la risintesi dello stesso (Sahlin et al., 1998).
PCr. Un altro fosfato altamente energetico, la PCr gioca un ruolo importante nel rifornimento di ATP durante l’attività muscolare (PCr + ADP <=> Cr + ATP). I livelli di PCr possono essere quasi nulli dopo sforzi massimi (Bogdanis et al., 1995; Casey et al., 1996), e tale mancanza di PCr provoca il rapido declino della produzione di potenza che si riscontra dopo questo genere di attività fisica (Sahlin et al., 1998). Il recupero della capacità di generare potenza dopo attività alla massima potenza è strettamente legato alla risintesi del PCr (Bogdanis et al., 1995). Una maggiore disponibilità muscolare di PCr rappresenta una possibile spiegazione del miglioramento della prestazione molto intensa, alla pari di quello che si osserva con integrazioni di creatina nella dieta (Casey & Greenhaff, 2000). I livelli di PCr si possono ridurre anche in molte fibre muscolari in fase di affaticamento durante attività prolungata e quasi massima, che coincide con l’esaurimento di glicogeno muscolare, come riflesso – probabilmente – di una incapacità di mantenere un grado sufficiente di risintesi di ATP (Sahlin et al., 1998). Tuttavia, non tutti gli studi hanno osservato gli stessi cambiamenti nei fosfati durante attività fisica prolungata (Baldwin et al., 2003).
Glicogeno muscolare. L’associazione tra l’affaticamento e la diminuzione delle riserve di glicogeno muscolare nel corso di esercizio prolungato ed estenuante è stata studiata regolarmente per quasi 40 anni (Hermansen et al., 1967). I primi studi svolti in Scandinavia evidenziarono l’uso del “carico di glicogeno” che migliorava le performance di durata in gare di oltre 90 minuti (Hawley et al., 1997). La disponibilità del glicogeno muscolare è importante anche per la fase di mantenimento nelle attività intermittenti ad elevata intensità (Balsom et al., 1999). La relazione fra l’esaurimento di glicogeno e l’affaticamento muscolare è stata proposta come incapacità di mantenere un livello sufficiente di risintesi di ATP, secondaria alla ridotta disponibilità di piruvato e di altri intermediari metabolici chiave (Sahlin et al. 1990). Per contro, un altro studio aveva evidenziato un minor sconvolgimento dei livelli muscolari di ATP, PCr e di altri intermediari metabolici dopo attività fisica protratta fino all’affaticamento se si aveva disponibilità, in fase pre-esercitazione, di glicogeno muscolare (Baldwin et al., 2003). Non si può, tuttavia, escludere la possibilità di esaurimento di glicogeno nelle aree chiave all’interno del muscolo, che non può essere determinata con sicurezza da un campione bioptico. Oppure, è possibile che il consumo di glicogeno provochi affaticamento a causa di altri meccanismi. Ad esempio, è stato osservato che il consumo di glicogeno muscolare danneggia l’abbinamento eccitazione-contrazione (Chin & Allen, 1997; Stephenson et al., 1999). Senza considerare i meccanismi fondamentali, esiste una forte relazione tra il consumo di glicogeno muscolare e l’affaticamento nel corso di attività prolungata ed estenuante.
Glucosio del sangue. Quando non si hanno integrazioni di glucosio (ad esempio con l’assunzione di carboidrati), i livelli di glucosio nel sangue scendono progressivamente nel corso di attività prolungata, in quanto il glicogeno presente nel fegato si esaurisce. La disponibilità di minori quantità di glucosio è in relazione con una peggiore ossidazione di carboidrati e con l’affaticamento, mentre dosi maggiori di glucosio, come conseguenza dell’assunzione di carboidrati aumentano l’ossidazione dei carboidrati e migliorano la prestazione di resistenza (Coyle et al., 1983, 1986). Ciò è in parte dovuto a un migliore assorbimento di glucosio nei muscoli (McConell et al., 1994) e a una positivizzazione del bilancio energetico muscolare (Spencer et al., 1991), ma apparentemente non a una riduzione dell’utilizzo del glicogeno muscolare (Coyle et al., 1986). Posto che il glucosio rappresenti l’essenza base per il cervello, quantità inferiori di glucosio (ipoglicemia) contribuiscono a ridurre l’assorbimento di glucosio nel cervello e pertanto provocano un maggior affaticamento generale (Nybo & Secher, 2004). Pertanto, il beneficio ergogenico che deriva dall’assunzione di carboidrati nel corso di esercizio fisico prolungato ed estenuante può essere causato da un corretto equilibrio cerebrale energetico e dalla conservazione di impulsi neurali centrali (Nybo & Secher, 2004). Studi recenti hanno evidenziato uno sviluppo delle funzioni fisiche e mentali con l’assunzione di carboidrati, nel corso di attività intermittente, tipo quella degli sport di squadra. (Welsh et al., 2002; Winnick et al., 2005).
Accumulo di sottoprodotti metabolici
L’attivazione del percorso metabolico che produce ATP si rivela anche nell’aumento dei livelli di numerosi sottoprodotti metabolici che contribuiscono potenzialmente all’affaticamento. Tra questi magnesio (Mg2+), ADP, fosfato inorganico (Pi), ione di lattato e ione di idrogeno (H+), ammoniaca (NH3), radicali liberi e calore.
Mg2+, ADP, Pi. Se si verifica un rapido crollo di ATP e di PCr, aumentano i livelli di Mg2+, ADP e Pi all’interno del muscolo scheletrico. Un aumento del Mg2+ inibisce il rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico e danneggia la produzione di forza, soprattutto se combinato con la diminuzione dei livelli di ATP nel muscolo (Dutka & Lamb, 2004). Concentrazioni elevate di ADP possono ridurre la potenza e rallentare il rilassamento muscolare dei muscoli influendo negativamente sulle fibre contrattili e sull’assorbimento di Ca2+ nel reticolo scarcoplasmatico (MacDonald & Stephenson, 2004). Un aumento di Pi diminuisce, inoltre, la forza contrattile e il rilascio di Ca2+ da parte del reticolo sarcoplasmatico. Quest’ultimo effetto sembra essere dovuto alla degradazione del fosfato di calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico (Allen & Westerblad, 2001). Infine, aumenti di ADP e di Pi riducono il rilascio di energia in durante il crollo di ATP (Sahlin et al., 1998).
Lattato, H+. Il rapido esaurimento di glicogeno e di glucosio nei muscoli durante esercizio intenso fa aumentare in modo vertiginoso la produzione di acido lattico. Generalmente, lo ione lattato non sembra avere effetti negativi sulla capacità del muscolo scheletrico di generare forza, sebbene la letteratura sia piena di informazioni contrastanti. Maggiori conseguenze le provoca, invece, l’aumento della concentrazione intramuscolare di H+ (minor pH e acidosi) collegato a un’alta percentuale di esaurimento di ATP, alla produzione di ATP anaerobico e al movimento di ioni particolarmente potenti, come K+, nella membrana cellulare del muscolo. Molti scienziati sono dell’opinione che l’aumento di H+ possa interferire con l’abbinamento eccitazione-contrazione e con la produzione di forza nei miofilamenti. Tuttavia, in molti studi sui muscoli isolati a temperature fisiologiche, l’acidosi non sembrava esercitare effetti negativi importanti. Coerenti a tali scoperte, alcune osservazioni spiegano come la forza isometrica massima (Sahlin & Ren, 1989) e la potenza dinamica (Bogdanis et al., 1995) si recuperino abbastanza velocemente dopo esercizio intenso, nonostante che il pH muscolare continui a mantenersi basso. Al contrario, la capacità di mantenere la forza isometrica e la produzione di potenza negli uomini viene compromessa dall’acidosi, di cui una possibile spiegazione è il diminuito ricambio di ATP (Sahlin & Ren, 1989). Da notare che nel muscolo scheletrico umano, l’acidosi può inibire il crollo di glicogeno (Spriet et al., 1989) e la produzione di ATP aerobico (Jubrias et al., 2003). Inoltre, l’assunzione di bicarbonato di sodio, un agente alcalinizzante, fa migliorare il tempo di affaticamento nel corso di attività molto intensa che segue una serie di scatti ripetuti (Costill et al., 1984); tuttavia è difficile separare i diversi meccanismi che provocano l’affaticamento in tali condizioni. E’ importante sapere che, un miglior adattamento all’allenamento veloce (scatti e sprint) (Sharp et al., 1986) e quello intervallato, ad alta intensità (Weston et al., 1997) rappresentano un aiuto alla capacità tampone dei muscoli scheletrici.
Ammoniaca (NH3). L’ammoniaca viene prodotta dal muscolo scheletrico come sottoprodotto del crollo di ATP o di aminoacidi. Durante l’attività fisica, aumenta il rilascio di NH3 da parte del muscolo contratto nel sangue e di conseguenza si avrà un aumento nel plasma dei livelli di ammoniaca. Dato che questa sostanza può oltrepassare la barriera ematoencefalica, un aumento nel plasma di NH3 ne incrementa l’assorbimento a livello cerebrale che può influenzare i neurotrasmettitori e provocare affaticamento generale (Nybo & Secher, 2004). Sono necessari, tuttavia, studi più approfonditi per riuscire a esaminare completamente il ruolo dell’ammoniaca nell’eziologia dell’affaticamento. Sappiamo che l’assunzione di carboidrati riduce l’accumulo di NH3 a livello plasmatico (Snow et al., 2000) e l’assorbimento a livello cerebrale (Nybo & Secher, 2004) durante esercizi prolungati, e ciò rende ancora più sicura l’importanza e gli effetti ergogenici dell’assunzione di carboidrati.
Un altro aspetto relativo all’affaticamento generale durante esercizio prolungato riguarda le possibili interazioni tra gli aminoacidi a catena ramificata (BCAA, leucina, isoleucina e valina), l’assorbimento di triptofano cerebrale e i livelli di serotonina. Il triptofano è un precursore della serotonina e la captazione di triptofano cerebrale è connesso sia alla sua concentrazione nel plasma, che al suo rapporto nella concentrazione plasmatica rispetto a quello degli aminoacidi. Durante l’esercizio fisico, la degradazione nel plasma dei livelli di BCAA e l’aumento di triptofano può provocare l’aumento dei livelli di serotonina al cervello e di conseguenza il senso di affaticamento generale (Nybo & Secher, 2004). E’ stata proposta l’assunzione di BCAA come strategia per mantenere inalterati livelli nel plasma e ridurre l’assorbimento di triptofano da parte del cervello, ma non sembra essere efficace (Van Hall et al., 1995). Una strategia più oculata potrebbe essere l’assunzione di carboidrati, che attutiscono l’aumento degli acidi grassi liberi come conseguenza dell’attività fisica. (Dato che gli acidi grassi liberi e il triptofano lottano per fissarsi all’albumina, nel plasma, il minor livello di acidi grassi durante l’attività che si ottiene con l’assunzione di carboidrati, attenua la crescita del rapporto triptofano libero/BCAA (Davis et al., 1992).)
Radicali liberi. Durante l’esercizio, il metabolismo aerobico e altre reazioni cellulari possono dare vita ai radicali liberi come gli anioni (ioni negativi) di perossido di idrogeno e di superossido (Reid, 2001). In quantità minime, questi metaboliti giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della funzione del muscolo scheletrico, ma il loro accumulo provoca affaticamento fisico (Barclay & Hansel, 1991; Moopanar & Allen, 2005). Esistono molti antiossidanti enzimatici (superossido dismutasi, catalasi, glutatione per ossidasi) all’interno del muscolo scheletrico che provocano la degradazione dei radicali liberi, e esistono pure antiossidanti non-enzimatici come glutatione ridotto, ß-carotene e vitamine E e C che agiscono contro i radicali liberi (Reid, 2001). La somministrazione di composti di acetilcisteina (mucolitici) può far aumentare l’azione antiossidante non-enzimatica nel muscolo. Questo effetto è collegato a una riduzione dell’affaticamento in fase di stimolazione muscolare (Reid et al., 1994) e a un miglioramento della performance di durata per ciclisti ben allenati (Medved et al., 2004). Studi effettuati con integrazioni di vitamina E e C sono alquanto dubbi, sebbene i livelli antiossidanti degli enzimi endogeni aumentino con l’allenamento.
Calore. Circa il 20% dell’ossigeno consumato durante attività fisica viene convertito in lavoro meccanico, il resto si trasforma in calore, il maggior sottoprodotto metabolico dell’attività fisica molto stancante. Sebbene molto di questo calore venga disperso, a livelli di intensità particolarmente elevati e con temperature esterne e umidità eccessive, si può generare un aumento significativo della temperatura corporea (ipertermia) che provoca affaticamento e, in casi estremi, addirittura la morte. L’ipertermia danneggia i processi centrali e periferici coinvolti nella produzione di forza muscolare e di potenza (Nybo & Secher, 2004; Todd et al., 2005) e danneggia le performance di sprinter e di fondisti (Gonzalez-Alonso et al., 1999). Tra le strategie pensate per ridurre al minimo l’impatto negativo esercitato dalla temperatura elevata sia a livello generale che a livello del muscolo sulla prestazione atletica, ci sono l’acclimatazione al calore, il raffreddamento pre-gara (Gonzalez-Alonso et al., 1999) e l’assunzione di liquidi (Hamilton et al., 1991).
CONCLUSIONI
La produzione di ATP con procedimento anaerobico e aerobico nel muscolo scheletrico è fondamentale per il mantenimento della forza e per la produzione di potenza durante l’esercizio fisico. Tuttavia, l’esaurimento delle fonti e l’accumulo di sottoprodotti metabolici sono cause possibili di affaticamento. Una ridotta disponibilità di PCr limita la produzione di potenza negli esercizi di sprint, laddove la mancanza di carboidrati rappresenta una limitazione maggiore per i fondisti. Negli esercizi di sprint, l’aumento di Pi e di H+ possono contribuire all’insorgenza della stanchezza, mentre in attività prolungate e estenuanti, l’accumulo di NH3, di radicali liberi e il calore limitano la prestazione. Appropriati programmi di allenamento e una giusta educazione alimentari rappresentano possibili strategie per migliorare la resistenza all’affaticamento e di conseguenza anche la prestazione atletica.
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