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Per chiunque svolga attività motoria – sia esso un atleta di alto livello o un comune praticante – l’alimentazione si differenzia da quella di una persona sedentaria soprattutto dal punto di vista quantitativo. Ciò non toglie che le esigenze collegate al dispendio energetico e al recupero richiedano, anche, piccoli ma estremamente significativi adattamenti dal punto di vista qualitativo.
Nel contempo occorre considerare che l’alimentazione è un’azione prettamente individuale e perciò legata alle caratteristiche dei singoli soggetti in quanto individuali sono sia i dispendi che le capacità di recupero. Non esiste perciò la razione del calciatore ma di quel calciatore, non della praticante ginnastica aerobica ma di quella praticante, etc.
Come concetto di carattere generale va tenuto presente che l’alimentazione più perfezionata non consente certo di creare un campione, mentre è certo che un’alimentazione errata può comprometterne le possibilità di successo così come può creare notevoli difficoltà anche al comune praticante.
E’ implicito che la scienza dell’alimentazione, come per le altre scienze biologiche, presuppone la conoscenza di alcune nozioni fondamentali di anatomia, di fisiologia, di biochimica, etc.
In questo manuale esse sono state richiamate in forma essenziale anche allo scopo di stimolare in chi lo desiderasse eventuali approfondimenti.
Le esigenze alimentari dello sportivo o di chiunque pratichi sistematicamente una significativa attività motoria riguardano:
Ricordando che uno stile nutrizionale è caratterizzato:1) dai gusti, dalle tradizioni e dalle esperienze personali; 2) dall’apporto energetico necessario; 3) dalla composizione per macro e micro nutrienti più adatta.
Oltre a ciò, occorre considerare: le esigenze di idratazione e di apporto proteico nonché eventuali esigenze di prodotti dietetici specifici aggiuntivi (integratori).
Si intende per alimento qualsiasi sostanza che il soggetto introduce ed utilizza per consentire e regolare le normali attività fisiologiche, per riparare e ricostituire le perdite di materia che si verificano durante l’attività motoria e per accrescere – se necessario – la sua massa muscolare.
E’ indispensabile una prima distinzione fra alimenti naturali e principi alimentari. I primi sono i cibi di origine animale o vegetale che compongono la razione alimentare e che vengono assunti con o senza manipolazioni culinarie. I principi alimentari, intesi come costituenti essenziali degli alimenti, corrispondono, invece, ai protidi, ai lipidi, ai carboidrati, all’acqua ai sali minerali e alle vitamine allo stato puro.
Gli alimenti possono essere suddivisi nei seguenti cinque gruppi:
Tabella 1
La tabella successiva indica le porzioni giornaliere consigliate ma, come si è già visto e come è meglio specificato oltre, le esigenze dei singoli sono così differenziate in base all’età, al sesso, allo stile di vita e perfino alle condizioni ambientali che si tratta di una mera indicazione utile solo per definire un valore di partenza da ridurre o da aumentare sulla base delle considerazioni specifiche formulate nel prosieguo del manuale per ciascun principio alimentare.
Tabella 1 bis
La piramide alimentare è un tentativo di sintetizzare in una sola immagine la frequenza con la quale i diversi alimenti dovrebbero ricorrere nelle abitudini alimentari, sia nel corso del breve periodo (una giornata) che nel corso del medio periodo (una settimana). Nel caso specifico del nostro Paese essa viene costituita rispettando le caratteristiche fondamentali della cosiddetta dieta mediterranea, apprezzata in tutto il mondo per la sua qualità e varietà.
La più recente formulazione della piramide alimentare mediterranea è del novembre 2009. E’ rivolta a tutti gli individui di età compresa tra i 18 e i 65 anni, tiene conto dell’evoluzione dei tempi e della società, evidenziando l’importanza basilare dell’attività fisica, della convivialità a tavola e dell’abitudine di bere acqua e suggerendo di privilegiare il consumo di prodotti locali su base stagionale.
Tabella 2
Iniziando dalla base della piramide si trovano gli alimenti di origine vegetale che sono caratteristici della "dieta mediterranea" per la loro abbondanza in nutrienti non energetici (vitamine, sali minerali, acqua) e di composti protettivi (fibra e phytochemicals). Salendo da un piano all'altro si trovano gli alimenti a maggiore densità energetica e pertanto da consumare in minore quantità, al fine di ridurre il sovrappeso e prevenire l'obesità e le patologie metaboliche.
Proprio riguardo alla riduzione del soprappeso ed alla prevenzione dell’obesità, il prof. Eugenio Del Toma, uno dei più illustri esperti italiani di scienza dell’alimentazione, analizza nelle diverse forme i vantaggi derivanti da una corretta attività motoria e, viceversa, i danni provocati dall’eccessiva sedentarietà.
Non è un caso, perciò, se tra diversi specialisti di scienza dell’alimentazione e di malattie dismetaboliche si è sviluppata anche l’idea di una piramide delle attività:
Il professor Del Toma paragona ad un pugile costretto a combattere con una mano legata dietro alla schiena la pretesa di ridurre il sovrappeso solo attraverso una riduzione dell’apporto alimentare ma conservando uno stile di vita sedentario. Inoltre prende in esame i cosiddetti alimenti light che riducono soprattutto i grassi, gli zuccheri semplici e il colesterolo, Le versioni alimentari light più diffuse sul mercato riguardano il latte e lo yogurt, i formaggi, il burro, e le bevande (dalla birra analcolica alla versione alleggerita di alcune bevande dissetanti). E’ evidente che lo stesso risultato perseguito con tali tipologie modificate di alimenti può essere conseguito riducendo le porzioni.
Vanno anche ricordati i cosiddetti alimenti funzionali che come denominatore comune promettono di perseguire effetti addizionali positivi sullo stato di salute e sulla prevenzione di alcune malattie cronico-degenerative collegate all’alimentazione. Riguardo ad essi il professor Del Toma indica, per la validità delle loro premesse scientifiche, i probiotici (microrganismi viventi che possono modulare l’attività della flora batterica intestinale e potenziare di riflesso le difese immunitarie) e i prebiotici (carboidrati non digeribili che possono favorire lo sviluppo di una flora intestinale più adeguata).
Le proteine sono localizzate soprattutto nei muscoli (actina e miosina) e nelle ossa e sono costituite da unità elementari, gli aminoacidi, ed hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel funzionamento di tutti gli organi e tessuti. Gli aminoacidi sono una ventina, di cui alcuni non indispensabili (poiché l’organismo stesso è in grado di sintetizzarli) ed altri, invece, essenziali (in quanto debbono assolutamente essere apportati dall’alimentazione:
Aminoacidi non indispensabili |
Aminoacidi essenziali |
Arginina |
Isoleucina |
Le proteine hanno funzioni complesse, le principali sono: 1. formazione e rigenerazione di nuovi tessuti, 2. sintesi di aminoacidi, 3. energetica, 4. equilibrio acido-base dell’organismo, 5. regolazione degli enzimi, 6. funzione endocrina, 7. funzione immunitaria, 8. trasporto di substrati, 9. controllo dell’espressione genica.
Gli aminoacidi sono interessati nella regolazione sia della sintesi che della distruzione delle proteine e, singolarmente o in combinazione tra di loro, regolano numerose altre funzioni.
L’assunzione giornaliera raccomandata di proteine è di circa 1 grammo/Kg di peso corporeo. Mentre il fabbisogno stimato di aminoacidi essenziali nei preadolescenti è di circa 240 milligrammi per ogni grammo di proteina assunta, negli adulti è di circa 120 milligrammi.
L’apporto proteico deve essere di qualità (valore biologico) tale da assicurare un apporto sufficiente degli aminoacidi essenziali. A tale fine, è importante tenere presente il valore biologico dei diversi alimenti:
Tipo di alimento |
Valore biologico |
Uova |
Molto elevato |
Latte vaccino |
Elevato |
Formaggi |
Elevato |
Carni e pesci |
Elevato |
Lievito |
Elevato |
Cereali + Carni o Pesci |
Elevato |
Legumi + Cereali |
Medio – Elevato |
Soia |
Medio |
Semi oleosi + Legumi |
Medio |
Legumi |
Medio |
Cereali |
Medio – scarso |
Ortaggi |
Minimo |
Riguardo al fabbisogno proteico, il professor Del Toma afferma testualmente: “contrariamente a quello che si sente dire nelle palestre, non è vero che gli sportivi o i lavoratori manuali abbiano bisogno di particolari supplementi proteici. Neppure chi pratica sport di potenza, come l’atletica pesante, ha bisogno di aumentare l’aliquota proteica oltre 1,8 – 2 gr di proteine per Kg di peso, ma al riguardo non è raro sentire pareri discordi e delle vere e proprie, quanto inutili, follie comportamentali incoraggiate da praticoni o da rivenditori di aminoacidi ramificati”.
La considerazione del professor Del Toma può essere estesa ad altri integratori proteici quali la creatina e la carnitina ma la tendenza che lui stigmatizza va anche spiegata: gli elevati dosaggi di assunzione delle proteine sono tipici degli assuntori di ormoni anabolizzanti che, aumentando artificialmente l’aspetto anabolico, provocano il bisogno di disporre di una maggior quota di proteine da destinare allo sviluppo della massa muscolare. E’ del resto chiaro che l’assunzione degli ormoni anabolizzanti è, per lo più, negata dai soggetti interessati per cui una dieta iperproteica finisce per diventare una sorta di giustificazione dell’ipertrofia muscolare. Accade così che anche le persone che mai si sognerebbero di assumere ormoni così pericolosi ed inutili credono che la dieta iperproteica sia la risposta naturale e corretta alle pratiche dopanti.
Denominati anche glucidi, hanno la funzione principale di produrre energia (circa 4 kcal/g) e provengono tutti dal mondo vegetale, eccetto il lattosio. Essi si suddividono in monosaccaridi (ad esempio glucosio e fruttosio), disaccaridi (ad esempio maltosio, lattosio e saccarosio) e polisaccaridi (gli amidi, il glicogeno e la fibra). I primi due sono anche considerati zuccheri semplici, mentre i polisaccaridi sono anche detti zuccheri complessi.
La percentuale di glucidi nei principali alimenti è riassunta in Tabella 4:
Tabella 4
Nella dieta, la quantità dei glucidi (per l’80% polisaccaridi) deve rappresentare il 55-65% della quota energetica totale giornaliera.
Denominati anche acidi grassi, hanno la caratteristica di produrre molta energia (circa 9 kcal/g), anche se nel mondo occidentale e in specie nei Paesi mediterranei, tale funzione viene soddisfatta soprattutto attraverso i carboidrati anche considerando gli effetti negativi che un eccesso di lipidi provoca sulla salute (obesità, diabete, infarto ed altre malattie cardiovascolari). Ma l’eccesso va riferito alle reali necessità energetiche legate all’attività fisica svolta e, quindi, in parte vale anche per i carboidrati.
E’ evidente che in attività sportive molto dispendiose come sono, ad esempio, gli sport di lunga durata, l’apporto di lipidi è invece importante in quanto consente di assumere un volume del cibo minore e di impegnare limitatamente i processi digestivi.
I lipidi sono presenti sia negli alimenti di origine vegetale che in quelli di origine animale. La loro quota complessiva rispetto al totale delle calorie giornaliere assunte è del 25-30%. Generalmente, i lipidi di origine vegetale sono più ricchi di acidi grassi insaturi considerati protettivi per la salute, mentre quelli di origine animale, cosiddetti saturi, vengono considerati potenzialmente nocivi.
Alcune evidenze scientifiche evidenziano il ruolo protettivo per la salute di una particolare categoria di lipidi, gli omega 3 che non sono sintetizzati dall’organismo e, quindi, debbono essere assunti attraverso l’alimentazione. In particolare, sembrerebbe che il loro ruolo di protezione sia soprattutto riferibile al sistema cardio-vascolare e al sistema immunitario.
Sono anche detti oligoelementi o, più impropriamente, sali minerali. La loro funzione è molteplice anche se di alcuni è nota e misurabile mentre per altri la quantità necessaria all’organismo è piuttosto bassa e, quindi, di difficile verifica. Nel corso degli anni se ne è compresa l’importanza soprattutto in seguito ai casi conclamati di danni o problemi conseguenti alla mancanza o alla grave carenza nella dieta di un determinato minerale.
L’organismo umano non li assimila in forma semplice, bensì solo dopo averli trasformati in Sali o in altre forme combinate e solubili. Ma può anche accadere che il soggetto, per un alterato assorbimento a livello intestinale, non riesca a trasformarli in molecole biologicamente attive. Oppure che l’organismo tenda ad eliminarli in eccesso andando così incontro ad una carenza.
La principale fonte di rifornimento dei minerali è l’acqua che, però, a seconda delle zone e della tipologia, li contiene in quantità ed in combinazioni molto variabili. Ma i minerali sono contenuti, sempre in combinazioni variabili, anche nei cibi di origine sia vegetale che animale.
Va tenuto presente che la loro assimilazione è in parte compromessa nei casi di diete eccessivamente ricche di cereali integrali, legumi, ortaggi, vino caffè e altre bevande nervine come cioccolata, tè, bevande tipo Cola, etc. Analogamente, l’uso indiscriminato e squilibrato di integratori che apportino quote non equilibrate dei diversi minerali ne pregiudicano l’assorbimento di alcuni a vantaggio di altri.
Come regola generale, per ottimizzarne l’assunzione, i diversi alimenti dovrebbero essere mangiati di stagione e freschi, meglio se di produzione biologica. La cottura svolge un ruolo importante: ad esempio le verdure andrebbero cotte al vapore o in poca acqua per un tempo più limitato possibile e poi consumate in tempi brevi.
I minerali vengono distinti in macrominerali (sodio, cloro, potassio, calcio, fosforo magnesio e zolfo) e micro-oligominerali che, a loro volta, si distinguono in essenziali (ferro, iodio, rame, zinco, fluoro, selenio, manganese, litio, molibdeno, nichel, silicio, cobalto, cromo) e non ancora riconosciuti come essenziali (bario, bromo, boro, arsenico, stagno, stronzio, vanadio).
Il tipo di attività fisica e l’ambiente climatico nel quale essa si svolge determinano una maggiore o minore sudorazione e, conseguentemente, una maggiore o minore esigenza di reintegrare due macrominerali, il sodio e il cloro.
Le funzioni svolte dai minerali
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Proprio per la loro influenza sulle reazioni enzimatiche coinvolte nei processi di produzione dell’energia, alcuni minerali debbono essere adeguatamente assunti nella dieta giornaliera che va, pertanto regolata di conseguenza. Solo nei casi in cui ciò non avvenga è opportuno ricorrere all’integrazione.
I minerali ritenuti “ più importanti” nel regime nutrizionale di chi pratica con continuità attività fisica e sportiva sono:
Il sodio, il cloro e il potassio, necessari per un corretto bilancio idrico, per l’attività nervosa, per l’equilibrio acido-base e per il mantenimento della pressione osmotica dei liquidi corporei.
Per coloro che praticano attività fisica e sportiva per un tempo protratto e in condizioni ambientali tali da provocare un’abbondante sudorazione l’apporto di cloruro di sodio (il sale che assicura un apporto bilanciato tra cloro e sodio) può essere incrementato fino a 6-8 grammi al giorno, rispetto agli 1-2 grammi necessari comunemente per un soggetto sedentario e in una condizione ambientale che non determina un’intensa sudorazione.
Il calcio, fondamentale come funzione plastica nelle ossa, inoltre concorre nel mantenimento dell’equilibrio acido-base, nella coagulazione del sangue, nella trasmissione dell’impulso nervoso, nella regolazione della pressione arteriosa, nell’attivazione degli ormoni e degli enzimi digestivi, nonché nella contrazione e nel rilassamento delle cellule muscolari. L’attività fisica intensa , la gravidanza, l’allattamento, l’accrescimento ma anche la prolungata immobilizzazione, le fratture e la dieta iperproteica fanno aumentare le perdite giornaliere e quindi il fabbisogno di calcio.
Il suo metabolismo è fortemente influenzato dall’assunzione del fosforo per cui l’apporto e le eventuali esigenze di integrazione dei due minerali vanno spesso considerati congiuntamente. L’assorbimento del calcio è anche favorito da un adeguato apporto di magnesio e delle vitamine A e D.
Il fabbisogno raccomandato di calcio è di circa 1 grammo al giorno e può essere aumentato fino all’incirca della metà nei casi specificati sopra.
Il fosforo, è presente nelle ossa e nei denti (in combinazione con il calcio), nei muscoli (sotto forma di composto energetico), nel cervello (sotto forma di fosfolipidi) e, in concentrazioni minori, in altre parti del corpo. Come detto, il suo assorbimento è favorito se l’apporto è abbinato a quello del calcio.
Prospettando presunti effetti sui processi energetici, già diversi anni fa sono stati posti in commercio integratori a base di fosfato di sodio che, nelle verifiche sperimentali, si sono invece dimostrati privi di qualsiasi effetto.
Occorre tenere presente che il fosforo contenuto ne vegetali, poiché spesso combinato con l’acido fitico, è meno biodisponibile di quello contenuto nelle carni e nel pesce che l’intestino riesce ad assorbire quasi per i tre quarti. Inoltre, il sufficiente apporto della vitamina D e del calcio favorisce l’assorbimento. Peraltro, l’assunzione del fosforo è ostacolata dall’abuso di alcol, dall’eccesso di calcio e magnesio e da un’eccessiva assunzione di spinaci, crusca e rabarbaro. Il fabbisogni giornaliero di fosforo è di circa 1 grammo al giorno.
Il magnesio, è quasi esclusivamente distribuito in diversi liquidi intracellulari (specialmente nei muscoli, nel cervello, nel fegato, nei reni e nei testicoli) e in misura minima in quelli extracellulari per cui la sua misurazione nel sangue è poco rappresentativa della reale disponibilità nell’organismo. Pur essendo la quantità corporea totale molto contenuta (meno di 30 grammi), esso riveste diversi ruoli fondamentali nel metabolismo cellulare, comprese le cellule muscolari. Al punto che, di recente, la carenza da magnesio è stata associata alla cosiddetta “sindrome da fatica cronica” che si manifesta con astenia generale, debolezza muscolare, crampi ed irritabilità.
Va anche sottolineata l’importanza del magnesio non soltanto nelle attività sportive di tipo aerobico ma anche negli sport di potenza e, quindi, in alcune discipline tipiche della palestra che, se intense e prolungate, possono indurre una variazione rilevante della sua concentrazione plasmatica.
Il magnesio è contenuto in molti alimenti, sia di origine vegetale che animale per cui è rara l’eventualità di un apporto carente. Va però detto che l’intestino riesce mediamente ad assorbire solo 1/3 del magnesio ingerito mentre elimina il resto attraverso le feci. Tenuto conto di tutto, il fabbisogno giornaliero minimo di magnesio è di 0,2 grammi mentre un apporto di 0,5 grammi è sicuramente sufficiente a compensare il consumo di una normale attività motoria e sportiva. Per un’attività fisica molto intensa e che occupa due o più ore al giorno non dovrebbero esserci problemi se ad essa si accompagna una dieta equilibrata e proporzionalmente più calorica.
Il ferro, è il minerale più abbondante nell’organismo e gioca un ruolo determinante nelle molecole di emoglobina e mioglobina (rispettivamente deputate al trasporto e all’assorbimento muscolare dell’ossigeno), nei citocromi e in molti enzimi. Nel sangue è veicolato da una molecola, la transferrina e depositato, sotto forma di riserve, nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. Il metabolismo del ferro richiede la compresenza di altre molecole come la vitamina B12, il calcio, il fosforo e l’acido folico.
L’assunzione del ferro, specialmente per le donne, deve essere costante ma non in eccesso poiché potrebbe risultare tossico. Di contro, soprattutto nei praticanti sportivi che seguono una dieta strettamente vegetariana, può insorgere uno stato di carenza e, quindi, di anemia. Occorre, però, interpretare in modo corretto i risultati delle analisi di laboratorio che dovessero indicare uno stato di anemia poiché, specialmente nei praticanti sportivi delle discipline aerobiche o che comunque si basano su uno sforzo prolungato (anche se misto tra attività aerobica ed attività anaerobica) spesso si assiste alla cosiddetta “pseudoanemia da emodiluizione” che è, al contrario di ciò che qualcuno fa credere, un adattamento cardiocircolatorio estremamente positivo: un consistente aumento del liquido ematico circolante che migliora la fluidità di scorrimento e i processi di raffreddamento durante lo sforzo.
Il rischio di anemia è stato gonfiato ad arte da parte di medici malintenzionati che miravano a giustificare pratiche doping pericolose (come, ad esempio, l’emotrasfusione) o da parte dei produttori interessati a porre in commercio “specifici” farmaci ed integratori.
Se lo stile alimentare è corretto e quindi tale da assicurare un sufficiente apporto di ferro e se il soggetto non presenta condizioni patologiche tali da determinarne una continua perdita, l’eventuale carenza di ferro può anche essere il sintomo di un eccesso di attività fisica e sportiva rispetto alle reali capacità di recupero del soggetto. Chi, per interesse commerciale o per personale convinzione in buona fede, dovesse invece suggerire che l’integrazione di ferro – magari fatta per via endovenosa – sia il modo migliore per consentire al soggetto di continuare ad allenarsi alla stessa intensità e per la stessa durata, pone lo stesso in una condizione di rischio poiché l’integrazione di ferro copre in modo sussidiario ed instabile l’eccesso di carico che, se non interrotto, finirà per causare al soggetto altri effetti negativi.
Una corretta diagnosi deve distinguere tra tre possibili stati di carenza:
Il ferro è contenuto in abbondanza nelle carni e nei pesci, mentre il ferro presente nei vegetali e nelle uova è meno facilmente assorbibile. La vitamina C (acido ascorbico) e, più in generale, gli alimenti acidificanti migliorano l’assorbimento del ferro.
Il fabbisogno giornaliero di ferro è di circa 10 milligrammi per i maschi e quasi il doppio per le femmine non ancora in menopausa.
Il cromo, è un oligoelemento di cui solo in parte sono note le influenze sul metabolismo e, quindi, il rapporto con lo stato di salute. Sembra sufficientemente accertata la funzione di potenziamento dell’azione dell’insulina intervenendo, perciò, sul metabolismo dei carboidrati ma anche dei lipidi e delle proteine. Così come appare probabile la sua capacità di ridurre la colesterolemia totale e della frazione LDL a fronte di un aumento della frazione HDL.
In campo sportivo è stata ipotizzata da qualche ricercatore la capacità di potenziare la prestazione sportiva di lunga durata grazie all’ottimizzazione dell’utilizzo del glicogeno, all’aumento della massa magra e alla parallela diminuzione dei depositi di adipe. Tutto ciò grazie anche ad un incremento della secrezione dell’ormone della crescita. Ma altre ricerche hanno smentito tutte queste ipotesi per cui le proprietà attribuibili al cromo risultano tutt’altro che chiarite.
In attesa che ulteriori ricerche gettino luce sul ruolo del cromo, si può intanto ritenere che una modesta integrazione sia probabilmente inutile ma innocua, mentre la somministrazione prolungata e ad elevati dosaggi può essere pericolosa ed anche favorire, nel tempo, la comparsa del diabete.
L’intero organismo contiene meno di 6 milligrammi di cromo ed anche questo dato spiega la difficoltà a comprenderne la funzione ma anche la cautela nel somministrarlo sotto forma di integrazione dell’alimentazione.
In ogni caso, il cromo è contenuto, prevalentemente, nel lievito di birra, nei funghi, nelle susine, nelle nocciole, negli asparagi, nel vino, nella birra e nel grano integrale. Il suo assorbimento è favorito dalla contemporanea assunzione di vitamina C.
E’ molto incerta la definizione del fabbisogno giornaliero che la Società Italiana di Nutrizione Umana fissa nell’intervallo 50-200 μ al giorno.
Lo iodio, è concentrato nella ghiandola tiroide che regola molti processi metabolici. L’organismo umano contiene circa 10-20 milligrammi di iodio. Considerata la piccola quantità necessaria e la facilità del suo assorbimento, la normale dieta copre abbondantemente il fabbisogno. I pesci e il sale marino sono gli alimenti con maggior contenuto di iodio e sono già sufficienti 150 grammi di pesce per coprire il fabbisogno giornaliero.
Poiché molte persone non gradiscono il pesce e, comunque, esso non è consumato con particolare frequenza, il Ministero della Salute ha disposto che al sale da cucina venga aggiunta una maggiore quantità di iodio.
Va anche sottolineato che un’assunzione in eccesso di iodio – quale quella causata da specifici farmaci o integratori - può provocare effetti tossici e deprimere l’attività ghiandolare. Anche l’assunzione, a scopo dimagrante, degli ormoni tiroidei può provocare danni gravi alla salute.
Lo zinco, è un microminerale contenuto in piccola quantità (circa 2 grammi) nell’organismo umano. E’ presente, soprattutto, nel tessuto muscolare e nelle ossa. Pur così poco presente nell’organismo, svolge un numero straordinariamente elevato di importanti funzioni. E’ importante per il funzionamento di alcuni enzimi. Dal punto di vista motorio e sportivo è utile notare che lo zinco interviene nella lattico deidrogenasi (che regola l’eliminazione dell’anidride carbonica), favorisce il metabolismo aerobico e stimola la secrezione dell’ormone della crescita. Partecipa inoltre nella regolazione dei processi immunitari anche influenzando la produzione dei linfociti. Svolge una funzione protettiva nei confronti della pelle e del liquido prostatico. Ha una funzione antiossidante.
Il suo assorbimento nell’intestino è parziale ma è favorito dalla vitamina A, mentre l’assunzione di alcol, caffè, alimenti vegetali integrali, ne ostacola l’assorbimento. Nelle donne, l’assimilazione dal cibo è anche ostacolata dall’assunzione di contraccettivi. Anche gli antibiotici riducono l’assorbimento intestinale dello zinco.
L’assunzione in eccesso e protratta di zinco (più di 50 milligrammi al giorno), d’altro canto, riduce l’assorbimento intestinale del ferro, con il rischio, quindi, di favorire l’insorgenza di uno stato di anemia e provoca un abbassamento del colesterolo HDL rischiando, in questo modo, di vanificare l’effetto benefico dell’attività fisica.
Per questa serie di ragioni, è consigliabile che l’assunzione di zinco resti al di sotto dei 15 milligrammi per gli adulti e dei 10 milligrammi per i preadolescenti. I vegetariani possono essere considerati soggetti a rischio di assunzione insufficiente poiché lo zinco contenuto nei vegetali è poco assorbibile ed è consigliabile per loro l’assunzione contemporanea di prodotti integrali.
Finora i risultati delle ricerche in campo sportivo sono stati molto contrastanti per cui non è affatto stata dimostrata l’esigenza, nei praticanti, di aumentare l’assunzione dello zinco.
Il termine “vitamine”, in realtà, abbraccia diverse sostanze molto diverse tra di loro. Fino ad oggi, sono state riconosciute 13 vitamine ognuna con un ruolo proprio ma complessivamente fondamentali nella bioregolazione cellulare.
Esse vengono distinte in due gruppi principali: liposolubili (A, D, E, K) e idrosolubili (C e vitamine del gruppo B). In generale, le vitamine liposolubili sono maggiormente contenute nella carne e negli oli, mentre quelle idrosolubili sono presenti soprattutto nella frutta e nei vegetali.
Un’alimentazione corretta ed equilibrata è in grado di garantire il fabbisogno di vitamine ma , a tale riguardo occorre tenere presente che ciò è vero solo se i cibi sono di buona qualità. La concentrazione delle vitamine, infatti, diminuisce nella frutta e nella verdura coltivate in terreni molto sfruttati e negli animali allevati con alimenti di bassa qualità. La concentrazione delle vitamine è maggiore nei cibi freschi, ben conservati, cotti adeguatamente, consumati subito dopo la cottura. Una cottura eccessivamente prolungata e a temperatura troppo alta provoca la distruzione soprattutto delle vitamine idrosolubili. E’ sempre preferibile scegliere verdura e frutta di stagione poiché, mediamente, tende a contenere una maggior quantità di vitamine. Quando possibile, è preferibile mangiare la verdura cruda o, in alternativa, la cottura a vapore o con una ridotta quantità di acqua.
E’ importante osservare che l’organismo è in grado di immagazzinare soltanto le vitamine A (nel fegato), D (nei muscoli e nel tessuto adiposo), E (nel fegato, nei muscoli e nel tessuto adiposo) e B12 (nel fegato); tutte le altre vitamine devono essere introdotte giornalmente con gli alimenti. E’ però altrettanto rilevante considerare che le vitamine liposolubili, se assunte in eccesso e per un tempo prolungato, accumulandosi nei tessuti adiposi, diventano potenzialmente tossiche. Per le vitamine idrosolubili è minore ma comunque sussiste il rischio di accumulo nel caso di assunzione in eccesso, tramite il cibo o con l’integrazione dello stesso.
Vitamine idrosolubili
Vitamina B1, o Tiamina, appartiene al gruppo delle vitamine idrosolubili ed è rapidamente distrutta dall’esposizione all’ossigeno, al calore, all’alcol e alle sostanze alcaline. L’assunzione eccessiva e prolungata di alcol e farmaci, di sostanze nervine( caffè, tè, cioccolata, bevande tipo Cola, etc) di citrati e carbonati e di pesce crudo possono ridurne l’assorbimento.
La carenza di vitamina B1 si manifesta con alterazioni a livello del sistema nervoso, cardiovascolare e gastroenterico fino a sconfinare nella patologia cosiddetta “beri-beri”.
La vitamina B1 è presente soprattutto nei prodotti di origine animale, nei cereali integrali, nei legumi, nelle noci, nelle nocciole e nel lievito di birra.
Il fabbisogno è di circa 1 milligrammo giornaliero da aumentare nei praticanti sportivi fino ad un massimo del 50% (raggiungendo il dosaggio di 1,5 milligrammi), in proporzione alla durata ed all’intensità dell’attività fisica svolta.
Vitamina B2, o Riboflavina che è sensibile e quindi degradabile alla luce. Questa vitamina partecipa al metabolismo energetico con un ruolo diretto nella produzione di ATP che è il composto energetico primario dell’attività muscolare.
La vitamina B2 è presente nel fegato e nel lievito di birra, oltreché nelle carni e nei pesci in genere, nelle uova, nel latte, nelle farine integrali e nei vegetali a foglie verdi. Comunque, l’assunzione di questa vitamina non incontra particolari impedimenti in quanto è presente in buone quantità in numerosi alimenti.
Il fabbisogno giornaliero è compreso tra 1 e 2 milligrammi, in proporzione all’introito calorico.
Vitamina B3, o acido nicotinico, o vitamina PP è una vitamina stabile al calore, alla luce e alle sostanze alcaline. E’ sintetizzata a partire dall’aminoacido triptofano. Partecipa nei processi di produzione dell’energia. La carenza di questa vitamina è generalmente correlata con la carenza di triptofano e provoca disturbi delle mucose ed intestinali. Nei casi più gravi induce la patologia cosiddetta “pellagra” che può provocare la demenza.
La vitamina B3 è presente nella maggior parte degli alimenti di origine animale e vegetale per cui è altamente improbabile che il fabbisogno giornaliero (circa 15 milligrammi) non sia già soddisfatto dagli alimenti.
Vitamina B5, o acido pantotenico è sensibile agli acidi, alla luce e al calore, inoltre l’assunzione massiccia di alcol, tabacco, estrogeni e caffeina ne ostacola l’assimilazione. Agisce nel metabolismo energetico, dei glucidi, degli aminoacidi, degli acidi grassi e dei composti steroidei e, pertanto, partecipa alla formazione di ormoni e neurotrasmettitori.
Quasi tutti gli alimenti di origine vegetale ed animale contengono la vitamina B5 per cui è pressoché escludibile la possibilità che si vada incontro ad una carenza.
Vitamina B6, o Piridossina è sensibile alla luce, all’ossidazione e alle sostanze alcaline. Interviene nel metabolismo degli aminoacidi, dei glucidi, dei lipidi, dell’emoglobina, del sistema nervoso e cardiovascolare, oltre che nei processi immunitari.
La si trova negli alimenti di origine animale e vegetale per cui non esistono impedimenti per coprire con facilità il fabbisogno giornaliero che è di 1-1,5 milligrammi.
Vitamina B8, o Biotina o Vitamina H, è sensibile all’ossigeno e ai raggi ultravioletti. Viene considerato un importante fattore di crescita nelle fasi dello sviluppo ma ricopre diversi ruoli nel metabolismo dei glucidi, dei lipidi e delle proteine.
Essa è contenuta negli alimenti di origine animale e vegetale e, in questi ultimi, in particolar modo, nel fegato, nei funghi, nei fagioli e nelle lenticchie. Diminuiscono il suo assorbimento l’albume dell’uovo, il tabacco, alcuni farmaci come gli antibiotici e i sulfamidici. Inoltre, l’eventuale carenza del magnesio limita la sua assimilazione.
La carenza di questa vitamina è rara e si manifesta con spossatezza, alterazioni della cute, dei peli e dei capelli. Il fabbisogno giornaliero è di circa 15μ ma deve essere incrementato anche di 6-7 volte in presenza di alterazioni della flora batterica intestinale.
Vitamina B9, o Acido folico è sensibile alla luce e al calore. E’ essenziale per il funzionamento dei globuli rossi, interviene nel metabolismo degli aminoacidi e, più in generale, nella sintesi delle proteine e per diverse ragioni è importante durante la vita intrauterina. Il suo assorbimento è ostacolato dal tabacco, dall’alcol e da diversi farmaci.
La Vitamina B9 è contenuta prevalentemente nel fegato, nelle verdure a foglia verde, nei fagioli e nelle lenticchie, nei cereali, nei formaggi, nelle uova e nei prodotti ortofrutticoli in genere, meno nelle carni e nei pesci.
Il fabbisogno giornaliero è di 200μ per entrambi i sessi ma va anche raddoppiata nelle donne in gravidanza.
Vitamina B12, o Cobalamina è sensibile all’ossigeno, ai raggi ultravioletti, alle sostanze acide e alle sostanza alcaline ma è resistente al calore. Interviene diffusamente nel metabolismo cellulare, ha un ruolo importante nel sistema nervoso, stimola i processi immunitari e contribuisce, unitamente all’acido folico, alla formazione dei globuli rossi.
La Vitamina B12 è presente in quasi tutti gli alimenti di origine animale mentre è totalmente assente in quelli di origine vegetale.
L’assorbimento è ostacolato dal tabacco, dall’alcol e dall’eccesso di fibre. Le carenze sono rare e riguardano solo le diete vegetariane più strette e prolungate. In questi casi si altera il sistema emopoietico, subentrano astenia, anoressia, neuropatie, irritabilità, depressione. Lesioni della cute e delle mucose.
Il fabbisogno giornaliero è di circa 2μ per entrambi i sessi.
Vitamina C, o Acido ascorbico è sensibile a diversi agenti quando è allo stadio liquido, mentre allo stato solido deve essere posta al riparo della luce e dell’umidità. L’assorbimento è ostacolato dal tabacco, dall’alcol, da diverse tipologie di farmaci ed inquinanti atmosferici.
E’ una vitamina estremamente importante in quanto è svolge un ruolo in molteplici funzioni: è fondamentale per l’azione antiossidante e antiradicalica, ha un ruolo importante nella sintesi e nel metabolismo del collagene, rafforza il sistema immunitario, favorisce l’assorbimento del ferro, concorre alla sintesi della carnitina, interviene nel metabolismo dell’acido folico, previene la formazione di nitrosamine (sostanze cancerogene) derivanti da alcuni conservanti, partecipa alla sintesi delle prostaglandine, delle catecolamine e degli ormoni corticoidi, protegge denti e gengive.
L’acido ascorbico è molto diffuso in natura, soprattutto nella frutta acidula ma anche in molti altri tipi di frutta e in numerosi vegetali (cavali, broccoli, insalate) e nelle patate. Per questa ragione sono molto rari i casi di carenza di acido ascorbico che si incontrano soprattutto tra i fumatori e negli alcolisti ma anche tra coloro che non consumano vegetali e frutta.
La carenza di acido ascorbico provoca numerosi, possibili, effetti collaterali, tra i quali vanno segnalati: stanchezza, nervosismo, inappetenza, insonnia, depressione, sanguinamenti capillari, maggiore possibilità di contrarre infezioni.
Occorre sottolineare che il miglior assorbimento di acido ascorbico si verifica per i bassi dosaggi contenuti negli alimenti mentre esso diminuisce notevolmente nel caso di assunzioni esogene ad alta concentrazione. Per questa ragione sono sconsigliate, salvo alcuni dei casi di carenza sopra indicati, le assunzioni mediante integratori alimentari anche perché il fabbisogno giornaliero di 60 mg (doppio per i fumatori e per gli alcolisti) è facilmente raggiungibile attraverso l’alimentazione.
Vitamine liposolubili
Vitamina A, possiede azione coenzimatica e agisce in particolare a livello degli epiteli e della vista, stimola le risposte immunitarie, ha azione antiossidante e contribuisce a realizzare il normale accrescimento.
E’ presente nell’olio di fegato di pesce e, più in generale, nel fegato, nella carne, nel pesce, nelle uova, nei latticini, nella verdura (soprattutto carote e spinaci) e nella frutta. La combinazione con la vitamina E ne favorisce la protezione, ad esempio rispetto alla perdita verificabile nei processi di cottura.
Il fabbisogno giornaliero è di circa 600 μg per le donne e di circa 700 μg per gli uomini.
La carenza di Vitamina A è molto rara nei Paesi industrializzati anche se i fumatori e gli alcolisti debbono ne assorbono di meno e perciò debbono assumerne in maggior misura. Analogamente, l’assorbimento è minore nel caso di patologie gastroenteriche o epatiche o nel caso di assunzione a dosaggi elevati di alcuni farmaci.
Un iperdosaggio – soprattutto della Vitamina A sotto forma di retinolo -, come quello che si verifica assumendo specifici integratori alimentari, provoca manifestazioni tossiche con inconvenienti a livello cutaneo e comportamentale (apatia, sonnolenza e perdita dell’appetito).
Vitamina D, esistono varie sostanze comprese in questa voce, tutte dotate di azione antirachitica. L’attivazione/produzione dipende dall’esposizione della pelle ai raggi del sole e ciò assicura il fabbisogno. Essa è contenuta soprattutto nel pesce, nel tuorlo, nei latticini. L’abuso di alcol e l’elevato dosaggio di alcuni farmaci ne riducono l’assorbimento e l’attivazione/produzione.
Deficit di Vitamina D provocano astenia, maggiore rischio di infezioni, irritabilità, inappetenza e, negli anziani, maggiore fragilità ossea.
Un eccesso di Vitamina D può, a sua volta, provocare sintomi analoghi ed anche perdita di peso, stitichezza, dolori alle articolazioni, cefalea, ma anche danni renali e calcificazioni nelle pareti dei vasi, o nel cuore o nei polmoni.
Il fabbisogno giornaliero è di 0-15 μg, sia per gli uomini che per le donne. Lo zero sta a significare l’ampia capacità dell’organismo di sintetizzare la Vitamina D, anche in presenza di una scarsissima assunzione, grazie all’esposizione alla luce.
Vitamina E, indica, in realtà, una serie di sostanze. Ha un ruolo antiossidante, favorisce lo sviluppo e l’integrità dei tessuti, concorre al funzionamento del sistema immunitario e nella formazione dei globuli rossi, contrasta l’aggregazione piastrinica e l’emolisi.
Le principali fonti sono i semi e i vegetali, gli oli di semi e i frutti oleosi. Alcol, fumo ed alcuni farmaci ne possono ridurre l’assorbimento. La presenza di Vitamina C invece favorisce l’assorbimento.
Il fabbisogno giornaliero è di 3 e 4 milligrammi, rispettivamente, per le donne e per gli uomini.
I sintomi di carenza sono molto rari mentre l’iperassunzione provoca debolezza generale e stato di affaticamento.
Vitamina K, indica numerose sostanze derivate dal menadione, tutte coinvolte nella coagulazione del sangue e nella formazione dello scheletro.
Le fonti alimentari principali sono: gli ortaggi freschi a foglia verde (in particolare crauti, cavoli e spinaci), la carne e le uova. La Vitamina K è anche sintetizzata dalla flora batterica intestinale e per questa ragione la carenza è assai rara e si verifica proprio nei casi di lunghi trattamenti con antibiotici associati a scarsi apporti alimentari.
Il fabbisogno giornaliero è indicato in 50-70 μg.
La maggior parte della razione alimentare (55-65% a seconda del tipo di pratica) deve essere costituita dai carboidrati, soprattutto quelli contenuti nei cereali, nei tuberi e nei legumi e in misura minore quelli contenuti negli zuccheri semplici (zucchero comune, miele, marmellate, dolci, frutta e bevande zuccherate).
Le proteine devono, a seconda del tipo di pratica motoria e sportiva, rappresentare il 10-15% delle calorie totali assunte nella giornata, basandosi su una combinazione di alimenti di origine animale ( carne, pesce, uova, latte e latticini) e vegetale (legumi e cereali). Il fabbisogno di proteine aumenta se l’allenamento è indirizzato allo sviluppo della forza e quindi del trofismo muscolare o se il carico dell’allenamento è particolarmente impegnativo e quotidiano.
Un’adatta combinazione degli alimenti è un fattore che qualifica enormemente lo stile alimentare poiché consente di assimilare nel modo migliore le diverse sostanze o, addirittura, di evitarne la perdita. A tale riguardo, si consiglia, tra gli altri, la lettura di due testi:
- “Combinazioni alimentari per la salute” – non mescolare gli alimenti che si combattono -Doris Grant, Jean Joice Ed. Tecniche Nuove.
- “Guida alle giuste Combinazioni Alimentari” – alle calorie e alla giusta stagionalità - Autori vari Ed Mulino Don Chisciotte.
In ogni caso i nutrizionisti concordano sul fatto che l’apporto giornaliero di proteine non debba andare oltre ai 2g/Kg (cioè il doppio del limite consigliato per i soggetti sedentari). Questa quota è sufficiente sia ad assicurare il turnover delle proteine muscolari (che in parte si consumano durante l’esercizio e poi si ricostituiscono durante il riposo), sia a fornire un apporto energetico. Infatti, nell’esercizio fisico protratto al di là di un’ora circa anche le proteine muscolari concorrono del metabolismo energetico. A tale proposito è stata posta da tempo la questione di quale debba essere l’apporto nella dieta degli aminoacidi ramificati (BCAA) che nei soggetti praticanti attività di resistenza sostengono proprio l’attività catabolica. Occorre, anche, tenere presente che, con il trascorrere delle settimane e dei mesi di allenamento, l’adattamento meccanico e fisiologico si traduce in un minor costo a parità di carico di lavoro e, quindi, anche il fabbisogno di proteine diminuisce.
Il restante 25-30% dell’apporto calorico deve provenire dai lipidi che, non va dimenticato, vengono utilizzati come fonte energetica se la prestazione fisica è di lunga durata e di intensità bassa.
Esprimendo il concetto sinteticamente, si può dire che un’alimentazione che comprenda i cinque gruppi fondamentali di alimenti – 1. cereali e tuberi; 2. carni, pesci, uova e legumi secchi; 3. latte e derivati; 4. frutta e verdure fresche; 5. grassi di condimento – e che sia adeguata al dispendio energetico è certamente in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali del soggetto.
Un altro aspetto importante dell’alimentazione di un praticante sportivo è l’abbondante assunzione di acqua, distribuita nell’arco dell’intera giornata. E’ evidente che le esigenze idriche sono commisurate alle perdite e, quindi, alle condizioni climatiche ed ambientali in cui viene svolta l’attività.
In accordo con il professor Giancarlo Topi, in un praticante sportivo, l’aumento di 3 Kg di massa muscolare corrisponde a circa 600 grammi di incremento delle proteine muscolari (il restante 80% dell’aumento è sostanzialmente acqua). Ipotizzando che tale incremento venga raggiunto in circa sei mesi di allenamento e tenendo conto che si riesce ad utilizzare circa il 70% delle proteine ritenute, significa che la ritenzione proteica complessiva deve essere pari a circa 860 grammi.
Tradotto in termini di fabbisogno giornaliero di proteine, significa che il soggetto in questione deve incrementarlo di circa 4,8 grammi (4,8x180 giorni=856 grammi).
Va ancora sottolineato che, al di là di un determinato apporto di proteine, la loro sintesi tende all’appiattimento, il che vuol dire che tale quota proteica maggiorata non si traduce in una maggiore massa muscolare. Anzi, l’eccesso provoca un maggior impegno metabolico dell’apparato renale per l’eliminazione dell’ammoniaca.
Particolare attenzione va invece posta nel caso di dieta completamente vegetariana in quanto, ad eccezione della soia e dei suoi derivati, per il resto le proteine contenute nei vegetali hanno un valore biologico molto inferiore a quello delle proteine animali. Oltre all’utilizzo abbondante di legumi e di soia, un vegetariano praticante attività sportiva può avere il bisogno di ricorrere ad integratori proteici.
Occorre anzitutto precisare che, negli ultimi dieci anni, molte ricerche scientifiche hanno contribuito a ridimensionare l’entità del fenomeno. Ad esempio, gli studi realizzati sulle prestazioni di resistenza hanno consentito, nella maggior parte dei casi, di interpretare la cosiddetta anemia da sport come una pseudoanemia da emodiluizione. Infatti, l’allenamento produce un aumento del volume totale del sangue con la conseguenza che tutti gli elementi in esso disciolti (compresi i globuli rossi) appaiono meno presenti.
Questo non significa, però, che i casi di anemia da sport non esistano e che non si riscontrino le carenze di ferro che, anzi, sono piuttosto diffuse specialmente nelle donne in età fertile e negli adolescenti. Ciò pone il medico e l’allenatore di fronte ad una scelta fondamentale tra due possibili opzioni: 1) agire sui carichi di allenamento e di gara regolandoli sulle reali possibilità di adattamento al carico; 2) oppure lasciare inalterati i carichi e provvedere all’integrazione mediante somministrazione per bocca o addirittura intramuscolo del ferro.
Prima di trovarsi di fronte a tale scelta bisogna, però, aver rispettato i giusti apporti di ferro nella propria alimentazione: circa 10 mg al giorno per gli uomini e per le donne in menopausa, circa 18 mg al giorno per le donne in età fertile. Poiché ogni 1.000 kcal ingerite l’apporto di ferro è mediamente di 6 mg, risulta chiaro che la carenza di tale minerale generalmente non si osserva negli atleti che praticano attività molto dispendiose che li portano ad assumere 3.000 o più kcal, mentre è più frequente negli sport con categorie di peso o nelle discipline nelle quali il rapporto peso/potenza ha un notevole rilievo.
Le alterazioni del metabolismo del ferro possono manifestarsi in tre diversi stadi:
Le carenze di ferro possono insorgere per aumento del fabbisogno, o per scarso apporto alimentare, o per ridotto assorbimento intestinale, o per aumento delle perdite (soprattutto con il flusso mestruale, o con altri sanguinamenti o anche con il sudore).
Riguardo all’apporto alimentare va tenuto presente che il ferro contenuto nei legumi, nei vegetali, nella frutta, nelle uova e nel latte è scarsamente assorbito mentre quello contenuto nelle carni e nei pesci è più facilmente assorbito.
L’assorbimento di ferro aumenta in presenza di “agenti riducenti” come la vitamina C contenuta nella frutta e nei vegetali, l’acido malico (soprattutto nelle mele), l’acido tartarico (vino bianco e frutta), l’acido lattico (crauti e cibi fermentati) e l’acido citrico (agrumi in genere). Occorre anche considerare che caffè e tè agiscono come inibitori a livello gastrointestinale per il loro contenuto in tannino. Allo stesso modo un eccesso di latte o latticini interferisce negativamente sull’assorbimento del ferro.
Il ricorso agli integratori nutrizionali è molto diffuso tra i praticanti sportivi dei diversi livelli, anche se le funzioni e gli effetti pubblicizzati per la maggior parte di queste sostanze non hanno un reale riscontro nella letteratura scientifica. Invece, l’assunzione di singoli nutrienti sotto forma di integratori in vere e proprie megadosi e per periodi prolungati, specie se associata a comportamenti dietetici squilibrati, necessita di attento controllo ed approfondimento per i rischi che comporta.
Ad esempio, tra i praticanti del body building c’è la diffusa convinzione che una dieta già di per se iperproteica, ulteriormente integrata con proteine purificate, costituisca il fattore fondamentale per lo sviluppo delle masse muscolari. Anche se gli studi non dimostrano, nei soggetti giovani e sani, evidenze di danni determinati dal sovraccarico proteico, non si hanno informazioni esaurienti sugli effetti a lungo termine. E’ invece chiaro che il sovraccarico proteico costituisce un fattore di rischio nei soggetti con problemi renali.
In ogni caso, una dieta iperproteica accompagnata dalla integrazione con proteine purificate deve essere accompagnata da un’adeguata idratazione per evitare eventuali patologie da calore. Infine, va considerato che la circolare del Ministero della Sanità del 7 giugno 1999 “Linee - guida sugli alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi” consiglia un apporto giornaliero di proteine (dieta più eventuali integratori) non superiore a 1,5 g/Kg di peso corporeo.
Aminoacidi
Gli studi sugli effetti della somministrazione dia aminoacidi a catena ramificata hanno condotto a risultati molto contrastanti. Alcuni indicano un effetto positivo di alcuni aminoacidi sulla secrezione dell’ormone somatotropo, delle somatomedine e dell’insulina, mentre altri non hanno rilevato alcun effetto o, addirittura, hanno evidenziato un effetto negativo sulla sintesi post esercizio dell’ormone della crescita.
Pareri abbastanza concordi sono invece stati espressi riguardo agli effetti positivi sull’incremento della forza e della resistenza degli aminoacidi ramificati valina, leucina ed isoleucina, in quantità comprese tra 0,1 e 0,25 g/Kg di peso corporeo. La sopra citata circolare del Ministero della Sanità consiglia un apporto giornaliero di aminoacidi a catena ramificata non superiore a 5 grammi.
Creatina
La supplementazione con creatina nei praticanti sportivi persegue l’obiettivo di incrementare le riserve energetiche di fosfocreatina e, quindi, la capacità di svolgere attività di elevata intensità.
I risultati delle ricerche per lo più confermano questa ipotesi anche se alcuni studi evidenziano una risposta individuale molto differenziata. Alcuni studi sperimentali, evidenziati anche da un’approfondita rassegna critico – sintetica realizzata in Francia dal Ministère de la Santè, hanno prospettato possibili rischi cancerogeni per somministrazioni di creatina ad alti dosaggi e molto prolungate nel tempo.
La sopracitata circolare del Ministero della Sanità consiglia un apporto giornaliero non superiore ai 6 grammi e per un tempo di somministrazione non superiore a 30 giorni.
I radicali liberi sono, in definitiva, elettroni spaiati, per l’appunto liberi, nell’orbitale atomico più esterno. Questa caratteristica rende queste molecole prive di elettrone particolarmente reattive ed instabili e, quindi, pronte a reagire con una molecola vicina. Se la reazione è di accezione di elettroni possiamo parlare di comportamento ossidante, mentre se la reazione è di donazione di elettroni possiamo parlare di comportamento riducente. Pertanto i radicali liberi sono potenzialmente tossici e possono provocare diversi danni all’organismo e, in particolare, al DNA.
Molte ricerche hanno dimostrato come l’attività fisica, proporzionalmente alla sua intensità e durata, possa produrre un aumento dei radicali liberi causato da diversi possibili fattori quali, ad esempio, l’incremento del consumo di ossigeno, l’aumento dei fenomeni di ischemia - riperfusione nei tessuti muscolari, l’autossidazione delle catecolamine, il rilascio di metalli e l’attivazione dei leucociti neutrofili.
Va però detto che l’organismo è dotato di complessi ed efficienti sistemi di auto protezione rispetto ai radicali liberi. Le sostanze protettive così attivate vengono definite antiossidanti che, a loro volta, si distinguono tra endogeni ed esogeni.
Gli antiossidanti endogeni sono per lo più enzimi che funzionano in abbinamento ad alcuni minerali come il selenio, il rame, lo zinco, il manganese ed il ferro. Ma agiscono da antiossidanti anche altre sostanze come, ad esempio, l’acido urico, la bilirubina, la transferrina, l’albumina.
Gli antiossidanti esogeni, oltre ai suddetti minerali che si abbinano agli enzimi, sono la Vitamina E, la Vitamina C, il Betacarotene, i Flavonoidi, il Licopene, il Resveratrolo, l’Acido alfa-lipoico e l’Ubichinone.
Ciononostante, resta soltanto un’ipotesi che l’assunzione di antiossidanti sia realmente efficace. Bisogna anzitutto ricordare che l’allenamento e il carico fisico in genere se, da una parte, provoca un aumento dei radicali liberi, dall’altra aumenta i livelli dei diversi enzimi antiossidanti.
Secondo le attuali classificazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità i disturbi dell’alimentazione comprendono anche altri quadri clinici oltre all’Anoressia Nervosa e alla Bulimia Nervosa, quali le anoressie e le bulimie parziali o incomplete. Questo tipo di disturbi è di gran lunga più presente nella popolazione femminile rispetto a quella maschile.
Il Body Mass Index (BMI) può dare un’indicazione ma non costituisce affatto un sistema di misura certo sul quale comprovare la diagnosi di Anoressia o di Bulimia che sono caratterizzate da un quadro clinico ben più complesso.
Anche la pratica eccessiva dell’esercizio fisico rientra nei criteri diagnostici della bulimia nervosa e dell’anoressia poiché viene intesa dal soggetto come un modo efficace di aumentare il dispendio energetico.
Le categorie più a rischio sembrano essere rappresentate dalle ginnaste, dalle danzatrici, dalle pattinatrici dell’artistico, dalle tuffatrici, dalle cicliste, dalle fondiste dell’atletica leggera e, più in generale, dalle atlete degli sport di resistenza prolungata e dalle sincronette ma, anche, dalle praticanti di alcuni centri firness.
La pratica compulsava dell’esercizio fisico può anche essere definita come un’attività ossessiva, rigida e in qualche modo “ritualizzata” che può interferire con le attività giornaliere importanti e non viene interrotta nemmeno in condizioni mediche precarie al punto che viene preferita ad altre situazioni di vita sociale ed è inoltre tale da evocare un intenso senso di colpa ogni qualvolta le persone affette non siano in condizione di praticarla.
Secondo alcuni Autori è possibile individuare uno stretto legame tra la pratica del body building ed una spinta molto forte , opprimente, ad ottenere un incremento della massa magra muscolare.
Diversi Autori hanno inoltre definito la cosiddetta Anoressia Riverse che è molto simile all’anoressia nervosa ma è rivolta non tanto alla perdita di peso corporeo, bensì all’aumento e alla “definizione” della massa muscolare associati alla riduzione quanto più possibile del grasso corporeo e al miglioramento della forma fisica. Gli uomini affetti da questo disturbo pensano di avere dimensioni corporee troppo piccole presentano diversi disturbi psicologici come, ad esempio, disturbi dell’umore, depressione, ansia, tendenza all’isolamento sociale, elevati livelli di perfezionismo, narcisismo e aggressività, scarsa autostima. E’ evidente che, in un quadro di rischio del genere, l’eventuale ricorso agli ormoni anabolizzanti rischia di provocare un quadro anomalo drammatico.
Importanti studi hanno dimostrato che i soggetti dediti al consumo di steroidi anabolizzanti e quelli che ne avevano sospeso l’uso presentavano punteggi più elevati nella scala di misurazione dei disturbi alimentari.
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Fonte: http://www.iss.it/binary/dopi/cont/Guida_alimentare.doc
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