Cecità

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Cecità

Fin dall’inizio il neonato si pone in modo attivo nei confronti dell’ambiente, è interessato agli oggetti nuovi, li esplora e cerca di raccogliere informazioni che possano migliorare il suo adattamento.
Nei primi mesi di vita l’interazione avviene principalmente attraverso lo sguardo e l’orientamento visivo: gli studi di psicologia evolutiva sottolineano la capacità che il bambino ha di orientarsi verso una fonte di stimolazione visiva e, nei primi mesi, di conservare l’immagine di un oggetto che si sposta .  Ciò vuol dire che lo sviluppo della visione è un elemento fondamentale nel neonato.
Ma allora come viene percepito il mondo da un bambino nato cieco? di che cosa è fatto il mondo per chi non percepisce la luce e i colori?
Bisogna innanzitutto fare una premessa: nell’ambito della cecità totale esistono, ai fini educativi e riabilitativi, notevoli diversità tra un bambino nato cieco e un “cieco tardivo” (colui che ha visto abbastanza a lungo da avere una memoria dell’esperienza visiva). Ad esempio, un cieco che ha perduto la vista dopo i primi anni di vita ha esperienza dei colori e li ricorda con chiarezza; mentre una persona cieca dalla nascita non ha alcuna possibilità di comprendere la descrizione di un colore, poiché la vista in tal caso non può essere sostituita.
Fortunatamente l’ambiente non è costituito solo da luci e colori, ma suoni, profumi, odori, sapori, colpiscono costantemente i sensi di ognuno di noi: un cieco, non potendo avvalersi delle informazioni visive, utilizza la sua recettività cogliendo a pieno tutto ciò. Partendo da questo, bisogna sfatare uno dei pregiudizi più diffusi: non esiste la cosiddetta “compensazione dei sensi”, ciò vuol dire che i ciechi non dispongono di poteri misteriosi. ‹‹Gli psicologi della percezione ed i fisiologi hanno ormai definitivamente messo in chiaro che i ciechi non dispongono di una sensibilità particolarmente acuta: le soglie sono uguali a quelle dei vedenti›› .
Il tatto e l’udito sono semplicemente più esercitati e, inoltre, i non vedenti imparano nel corso della vita ad essere più attenti ai messaggi che ricevono attraverso gli altri canali; messaggi disponibili anche per i vedenti ma che noi non cogliamo, perché abituati ad utilizzare solo ed esclusivamente la vista, dimenticando di avere anche gli altri sensi (il messaggio visivo infatti è quasi sempre più immediato e più complesso e può fare a meno dei messaggi provenienti dagli altri canali).
In definitiva, ‹‹la percezione del mondo dei non vedenti è diversa: più povera, ma non meno concreta ed oggettiva›› .
I bambini non vedenti possono inoltre differenziarsi rispetto all’esistenza o meno di disabilità addizionali: ci sono bambini non vedenti che hanno uno sviluppo normale, cioè che acquisiscono senza grosse difficoltà le più importanti funzioni fisiologiche e che nell’età adulta avranno un normale stile di vita, e bambini che presentano seri ritardi nello sviluppo, che non acquisiscono o acquisiscono solo parzialmente alcune funzioni basilari, come il linguaggio e la comunicazione .
La popolazione dei bambini non vedenti è quindi particolarmente eterogenea: la cecità può infatti avere eziologie e cause diverse, presentandosi con deficit aggiuntivi difficili da identificare e valutare. La cecità è poi definita in base al grado di acuità visiva, ma la definizione legale non è la stessa in tutti i Paesi, dal momento che essa ha importanti implicazioni per i servizi sociali, l’accesso all’educazione, ecc; inoltre, anche tra i bambini definiti “legalmente ciechi” esistono grandi differenze.
Data l’eterogeneità, ‹‹è necessario, nello studio dei bambini non vedenti, utilizzare un approccio che presti attenzione alle differenze individuali›› .
È evidente però, che tutti i bambini non vedenti devono compiere un percorso molto lungo e difficoltoso per costruirsi il mondo degli oggetti, dare loro un nome e attribuirgli qualità e azioni di cui non hanno esperienza diretta.
La mancanza della vista (canale sensoriale attraverso il quale si realizzano le esperienze più significative nei primi anni di vita) determina infatti un ritardo nelle principali fasi evolutive.
La cecità completa e precoce comporta soprattutto notevoli difficoltà nell’acquisizione delle abilità cognitive: per esempio saper distinguere volti noti da volti sconosciuti, essere certi dell’esistenza degli oggetti anche quando spariscono dal campo visivo, tattile o uditivo, saper riconoscere le similitudini e le differenze di esseri viventi, piante, oggetti, capire le connessioni tra causa ed effetto, ecc.
Tali abilità si sviluppano nei primi anni di vita attraverso un confronto attivo del bambino con il mondo materiale, sociale e spaziale. Esse fanno parte di un processo che implica il cogliere un’informazione, elaborarla ed agire attivamente.
Sia per cogliere un’informazione che per agire attivamente si manifestano notevoli svantaggi nei primi anni di vita del cieco rispetto al coetaneo vedente , poiché egli, privo di quella importante risorsa che è la vista, è costretto a capire il mondo esterno e ad interagire con esso attraverso canali alternativi. Proprio per questo motivo, bisogna garantire al bambino non vedente sufficienti possibilità di compensazione affinché possa cogliere il massimo di informazioni uditive e tattili. Quest’ultime sono però molto più carenti o indifferenziate, sia per quanto riguarda la quantità e sia per la qualità delle informazioni visive. Per tale motivo, essendo la loro elaborazione rallentata, non bisogna esporre questi bambini ad un ambiente troppo ricco di stimoli .
Nelle sue ricerche, Brambring ha infatti notato che ‹‹i piccoli non vedenti spesso usano un numero ridotto di oggetti, ma in maniera più profonda rispetto ai coetanei vedenti. Ciò potrebbe indicare che questi bambini colgono le informazioni più lentamente, ma le elaborano in maniera più intensa›› .
La difficoltà maggiore, per i bambini con minorazione visiva, è il riconoscimento di principi di classificazione, attraverso i quali l’uomo riesce a strutturare e organizzare  la molteplicità del mondo circostante.
Come può allora un bambino non vedente distinguere ad esempio le caratteristiche di due oggetti?
I criteri di classificazione che si basano, ad esempio, sulle caratteristiche fisiche (altri criteri riguardano l’individuazione di funzioni o di possibilità d’uso dei diversi oggetti o persone) sono: colore, forma, grandezza o posizione degli oggetti. È facile intuire che se un bambino deve basarsi solo sul tatto e sull’udito, essi sono molto difficili o addirittura impossibili da comprendere. Se vogliamo aiutare il bambino non vedente ad apprendere questo processo, dobbiamo proporgli oggetti familiari e di semplice struttura (cucchiai, chiavi, palle, ecc).
Secondo Brambring, ‹‹un principio pedagogico basilare per favorire lo sviluppo cognitivo nei bambini non vedenti consiste in un compromesso: da un lato il bambino non vedente necessita di una vasta gamma di proposte che permettono una buona esplorazione; dall’altro l’apprendimento dei criteri di classificazione è facilitato se proponiamo stimoli semplici e strutturati. L’esplorazione favorisce le esperienze, la strutturazione permette invece al bambino di poter fare dei ragionamenti dal punto di vista cognitivo›› .
La cecità congenita comporta notevoli ripercussioni anche sullo sviluppo linguistico del bambino e, inevitabilmente, sulle prime forme di comunicazione e interazione. Non c’è dubbio che i bambini senza deficit visivi utilizzino il linguaggio come principale modalità sensoriale per conoscere sé stessi e il mondo. Per esempio dopo aver udito un suono, cercano e guardano verso la fonte del suono, e mentre stanno manipolando un oggetto lo ispezionano visivamente .
E quindi, che ruolo ha la visione nell’apprendimento del linguaggio? esso è davvero carente nel bambino con deficit visivo?
Le ricerche svolte finora nel campo dell’acquisizione del linguaggio nei bambini non vedenti hanno dato risultati contraddittori: alcuni studi riportano nessuna o solo minime differenze tra bambini ciechi e vedenti, altri evidenziano un notevole ritardo soprattutto per quanto riguarda l’aspetto semantico.
Una delle principali cause di queste differenze la si può trovare nel fatto che i gruppi presi in esame sono piuttosto piccoli ed eterogenei.
In generale, sono tre i punti maggiormente indagati nel dibattito sullo sviluppo lessicale nei bambini non vedenti: ‹‹1. le caratteristiche delle prime parole prodotte dai bambini non vedenti rispetto a quelle dei vedenti; 2. l’uso delle prime parole e la generalizzazione di queste; 3. i significati sottostanti le parole incluso il problema del verbalismo›› .
È necessario però distinguere tra fase di sviluppo pre-verbale e verbale: nella prima il dialogo sociale si basa sullo scambio di informazioni visive, tattili ed emotive, ed in questa fase Brambring nota  poche differenze nello sviluppo delle competenze vocali

tra i bambini ciechi e i vedenti rilevando che, la vocalizzazione del bambino non vedente, la sua reazione lalica, quando gli si parla o lo si tocca, possono essere paragonati con i dati del bambino vedente.
Ci possono essere delle difficoltà passeggere nei non vedenti nell’acquisizione dell’abilità di pronuncia di alcune consonanti come la “p” o la “m”, consonanti che vengono apprese con maggiore facilità dai vedenti, potendo essi leggere il movimento della bocca degli altri.
Esistono anche lievi ritardi nello sviluppo delle prime parole significative.
Ciò potrebbe dipendere dal fatto i gesti, a sostegno dell’acquisizione del linguaggio, mentre si nomina un oggetto o una persona, non vengono percepiti dai bambini non vedenti (per questo motivo è più difficile acquisire la correlazione tra parola ed oggetto). È infatti importante offrire al bambino, ogni volta che è possibile, una correlazione tattile tra parola ed oggetto o persona .
Per questo motivo sarebbe utile che le persone che si prendono cura dei bambini non vedenti durante le conversazioni si lasciassero toccare le labbra, facessero esplorare il proprio volto e l’ambiente circostante, introducendo così nell’interazione diverse stimolazioni sensoriali, odori, suoni, tessuti e forme.
Nell’ambito dello sviluppo del linguaggio, uno degli aspetti maggiormente studiato è il verbalismo, inteso come l’utilizzo di parole delle quali però il bambino ignora il significato: parole, cioè, che non sono frutto della sua azione. Esistono infatti numerosi esempi nello sviluppo infantile dove il bambino conosce la parola, ma non pienamente il significato; è facilmente comprensibile che, a causa della carenza visiva, il rischio di una correlazione insufficiente tra parola e significato è maggiore. Spesso il problema semantico rimane non indagato perché l’adulto suppone che, dal momento in cui il bambino usa una parola, ne comprende il concetto. In realtà, se il bambino, attraverso l’imitazione verbale, ha una buona padronanza delle forme linguistiche ciò non significa che abbia un’adeguata cognizione di quello che sta dicendo.
Affinché l’apprendimento del linguaggio sia significativo e risulti fruttuoso nelle relazioni sociali ed affettive, c’è bisogno che si presentino tre processi evolutivi tra essi correlati: ‹‹1. lo sviluppo conoscitivo, cioè la capacità del bambino di riconoscere, identificare, discriminare gli aspetti e i processi dell’ambiente esterno ed operare su di essi; 2. lo sviluppo delle capacità di discriminare e comprendere i discorsi che il bambino ode dagli altri intorno a lui; 3. lo sviluppo delle capacità di produrre suoni verbali e sequenze di suoni verbali che si uniformino sempre più strettamente ai modelli del parlare degli adulti›› .
Ciò vuol dire che la piena comprensione delle parole si evidenzia solo con un maggiore sviluppo cognitivo.
Possiamo concludere affermando che al linguaggio si attribuisce grande importanza, perché attraverso di esso possono essere compensate le limitazioni sensoriali e cognitive del canale visivo .
L’uomo ha creato l’ambiente principalmente in funzione del suo organo sensoriale più potente, la vista, e pertanto il non vedente viene a trovarsi purtroppo in una situazione di estraneità sin dai primi giorni di vita. È compito dei genitori e degli educatori aiutare il bambino a raggiungere le tappe evolutive fondamentali, fornendogli stimoli ed esperienze per la scoperta di se stessi e del mondo esterno.

Cfr. D. GALATI, Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento nei non vedenti, Franco Angeli, Milano, 1992, p. 289.

A. BELLINI, Toccare l’arte. L’educazione estetica di ipovedenti e non vedenti, Armando Editore, Roma, 2000, p. 20.

A. BELLINI, op. cit., nt. 2, p. 20.

Cfr. M. PEREZ-PEREIRA, G. CONTI-RAMSDEN, Sviluppo del linguaggio e dell’interazione sociale nei bambini ciechi, Edizioni Junior, Azzano San Paolo (BG), 2002, p. 14.

 Ivi, p. 60.

 

Cfr. M. BRAMBRING, Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione e intervento precoce, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 264.

Ivi, p. 265.

Ibidem.

M. BRAMBRING, Op. cit., nt. 7,p.265.

Cfr. M. PEREZ-PEREIRA, G. CONTI-RAMSDEN, Op. cit., nt. 5, p. 39.

Ivi, p. 71.

Cfr. M. PEREZ-PEREIRA, G. CONTI-RAMSDEN, Op. cit., nt. 5, pp. 82-83.

Cfr.  M. BRAMBRING, Op. cit., nt. 7, pp. 302-303.

R. TRABONA, Una bambina cieca in ludoteca. Il gioco, l’handicap e le istituzioni, Il Gabbiano, Latina, [1995?], p.108.

Cfr. M. BRAMBRING, Op.cit., nt. 7, p. 307.

 

Fonte: http://www.salvatorecolazzo.it/wordpress/wp-content/uploads/2008/03/cecita.doc

Sito web da visitare: http://www.salvatorecolazzo.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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