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ALTERAZIONI DELL’EMOSTASI
I disturbi dell’emostasi possono essere suddivisi in due categorie:
TROMBOSI
Processo patologico che dà luogo alla formazione di una massa semisolida aderente alla parete vascolare almeno in un punto, detta trombo, formata dai costituenti del sangue all’interno del sistema vascolare, quando l’individuo è in vita. Rappresenta in gran parte l’estensione patologica dei processi emostatici normali (schema 1).
Spesso i termini trombosi e coagulazione del sangue vengono usati come sinonimi, ma in realtà si devono fare delle distinzioni fra i due processi e quindi fra trombo e coagulo. Infatti, con il termine “coagulazione del sangue” ci si riferisce all’attivazione della cascata della coagulazione che porta alla formazione di trombina e quindi alla trasformazione del fibrinogeno solubile in un polimero insolubile di fibrina. Con il termine di trombosi, invece, si intende un processo caratterizzato da una serie di eventi che coinvolgono la parete dei vasi sanguigni, le piastrine, senza l’adesione e conseguente attivazione delle quali non si forma il trombo, ed il sistema della coagulazione. Il trombo si forma a partire dai normali costituenti del sangue anche in condizioni di flusso sanguigno normale, mentre il coagulo si forma quando il sangue si trova in condizioni di “stasi” più o meno intensa: il massimo della stasi si verifica quando il sangue viene messo in provetta, oppure quando la circolazione sanguigna si interrompe dopo la morte (coagulo post-mortem) o quando il sangue fuoriesce dai vasi (accumuli extravascolari di sangue); ma una stasi si può verificare secondariamente anche a monte o a valle di una formazione trombotica, la quale quindi si espande con la attivazione del processo della coagulazione che può aggiungere al trombo iniziale una “coda” o una “testa” formata da fibrina che intrappola i globuli rossi.
Il trombo è friabile, con superficie irregolare e struttura disomogenea, mentre il coagulo ha superficie liscia e levigata e consistenza elastica.
La trombosi può essere vista come una estensione patologica del normale meccanismo emostatico, che viene attivato quando si verifica un danno endoteliale e porta alla formazione del tappo emostatico in seguito alla attivazione delle piastrine e del sistema della coagulazione. I meccanismi coinvolti nella formazione del tappo emostatico e del trombo arterioso sono essenzialmente gli stessi: sono entrambi composti da aggregati di piastrine adese all’endotelio leso e da polimeri di fibrina che serve a stabilizzare la massa piastrinica. Il tappo emostatico viene poi rimosso attraverso i vari meccanismi che controllano la coagulazione del sangue, soprattutto attraverso l’attivazione del sistema fibrinolitico. Alterazioni locali e generali che riguardano il flusso sanguigno ed i componenti ematici dell’emostasi impediscono la normale dissoluzione del coagulo e si verifica quindi la formazione del trombo.
Più di un secolo fa Virchow stabiliva che tre principali fattori sono coinvolti nella patogenesi dei trombi = Triade di Virchow (1856):
- Fattori meccanici legati ad alterazioni del flusso sanguigno
- Alterazioni dell’endotelio vasale
- Alterazioni dei componenti ematici dell’emostasi
Ancora oggi questa triade rimane valida e negli ultimi anni è stata riconosciuta l’importanza preminente delle alterazioni dell’endotelio vasale.
Formazione del trombo
Molti stimoli lesivi possono produrre danni alla continuità dell’endotelio vascolare determinando l’adesione delle piastrine, con conseguente attivazione, reazione di rilascio del contenuto dei granuli ed aggregazione (schema 2). Si forma così il trombo bianco, che costituisce la parte iniziale del trombo, formato solo di piastrine. Nel contempo, localmente viene attivato anche il meccanismo della coagulazione (la via intrinseca con attivazione del Sistema Plasmatico Attivabile da Contatto per la presenza di cariche negative nel sotto-endotelio, la via estrinseca per esposizione del fattore tessutale sotto-endoteliale e per espressione del TF da parte dell’endotelio peri-lesionale) perciò, insieme con le piastrine, si troveranno polimeri di fibrina che stabilizzano ulteriormente il trombo bianco. C’è da notare (vedi sotto) che nelle arterie, dove l’azione di dilavamento della corrente sanguigna è particolarmente intensa, e dove la produzione dell’attivatore del plasminogeno di tipo tessutale (tPA) è molto alta per la forte “trazione” esercitata sull’endotelio dalla velocità di scorrimento del sangue, il trombo può rimanere “bianco”, cioè con sola o prevalente componente piastrinica. Quando il reticolo di fibrina è particolarmente stabile e abbondante riuscirà a trattenere globuli rossi e leucociti, formando uno strato rosso (trombo rosso) sovrapposto al trombo bianco. L’alternanza di strati bianchi (prevalenza di piastrine) e di strati rossi (prevalenza di globuli rossi e fibrina) dà luogo al trombo variegato (detto così per la presenza di strie alternanti di due colori, chiamate strie di Zahn, in onore dell’anatomo patologo che le ha descritte per la prima volta). La parte terminale di un grosso trombo si presenta di solito omogeneamente rossa. La formazione di trombo bianco, rosso o variegato dipende dalla localizzazione e dal flusso sanguigno: nelle arterie, dove il flusso è rapido, si verifica una diluizione dei fattori della coagulazione. La coagulazione del sangue è in questo caso “sfavorita” ed il trombo che si forma è costituito prevalentemente da piastrine (trombo bianco). Nelle vene, invece, dove il flusso è lento, si ha un accumulo dei fattori della coagulazione con formazione di fibrina che intrappola i globuli rossi (trombo rosso).
I trombi si possono sviluppare in qualsiasi punto del sistema cardiovascolare: all’interno delle cavità cardiache, sulle cuspidi valvolari, nelle arterie, nelle vene e nei vasi del microcircolo. Tutti i trombi sono adesi in modo solido alla parete cardiaca o dei vasi e presentano forme e dimensioni variabili: da piccole masse vagamente sferiche a strutture allungate in cui si possono distinguere una “testa”, nel punto di origine del trombo, ben adesa alla parete, un “corpo” ed una “coda” libera nel lume del vaso o lassamente attaccata. Nella circolazione arteriosa la coda si forma in senso retrogrado, mentre nelle vene si forma nella stessa direzione del flusso e tende a frammentarsi dando origine ad un embolo.
Trombi arteriosi (schema 3)
- Generalmente si formano su una superficie endoteliale lesa, spesso su lesioni di tipo aterosclerotico ulcerate (si ricorda a questo proposito che la formazione di trombi arteriosi su placche aterosclerotiche “complicate” costituisce la più importante causa di morte nella nostra società).
- Si presentano come masse compatte, bianche (con prevalente o esclusiva componente piastrinica) e tendono a rimanere parietali. Quando si formano nel cuore o nell’aorta sono di tipo variegato, formati da strati alternati chiari di piastrine e strati più scuri, contenenti fibrina e globuli rossi → strie di Zahn, visibili anche all’esame macroscopico. Nelle arterie di piccolo calibro le strie non sono evidenti ed i trombi si presentano all’esame macroscopico di un colore grigiastro, ma l’esame microscopico dimostra che anche questi trombi sono formati da zone rosse e zone bianche irregolari e scarsamente definite.
- I trombi arteriosi delle cavità cardiache e dell’aorta sono molto aderenti alla struttura sottostante, occupano solo una parte del lume vascolare (che in questi compartimenti è molto ampio) e sono detti perciò trombi murali.
- I trombi arteriosi possono aumentare di volume fino a riempire tutto il lume vascolare: si parla in questo caso di trombi occlusivi.
Trombi venosi (flebotrombosi) (schema 3)
- Si formano nei comparti venosi dove la stasi ematica è più accentuata (dilatazioni varicose degli arti inferiori, dove viene perduta la continenza delle valvole venose, cisterne venose della pianta dei piedi).
- Tendono sempre a diventare occlusivi e si estendono lungo la parete, creando un lungo stampo nel lume del vaso, in direzione del cuore.
- Poiché questi trombi si formano in un ambiente di stasi sanguigna, contengono più globuli rossi imbrigliati ed assomigliano ad un coagulo: sono quindi definiti trombi rossi o da stasi.
- Si formano spesso a livello delle valvole delle vene, dove si producono vortici e dove il sangue ristagna con maggiore facilità.
- La trombosi venosa (flebotrombosi) interessa quasi sempre (90% dei casi) le vene degli arti inferiori
- Tromboflebite: pur essendo composti prevalentemente da coagulo (fibrina + globuli rossi), la componente piastrinica del trombo rilascia spesso grandi quantità di mediatori chimici dell’infiammazione e fattori di crescita. Anche nel processo della coagulazione originano mediatori chimici dell’infiammazione (sistema delle chinine, fibrinopeptide B). Quando la componente infiammatoria associata al trombo assume dimensioni morfo-funzionali clinicamente apprezzabili (con dolore, arrossamento e tumefazione dell’arto sede di trombosi venosa), si parla più propriamente di tromboflebite.
Vegetazioni
Un trombo che si sviluppa su una valvola cardiaca viene definito “vegetazione”. Tali formazioni, che si protendono come un cespuglio dalla superficie della valvola all’interno delle cavità cardiache, possono raggiungere la lunghezza di 2-3 cm; le loro diramazioni sono molto friabili e possono distaccarsi ed embolizzare. Le vegetazioni si sviluppano più facilmente sui lembi delle valvole del cuore sinistro, dove la forza di contrazione ed il conseguente micro-trauma meccanico sono più intensi che nel cuore destro, con maggiore tendenza alla dis-endotelizzazione delle superfici valvolari in seguito ai vortici che si creano nelle fasi di apertura e chiusura (soprattutto nei casi di insufficienza e stenosi valvolare). Le vegetazioni valvolari sono spesso espressione di una endocardite infettiva. Questo termine identifica la crescita di un micro-organismo su una superficie endoteliale, solitamente una valvola, all’interno del cuore. I microrganismi (mediante l’azione delle esotossine e delle endotossine) determinano lesione e perdita del rivestimento endoteliale ed innesco della formazione del trombo vegetante. Sono molti i microrganismi gram-positivi (soprattutto della famiglia degli Streptococchi) e gram-negativi che possono dare endocardite. In particolare lo Streptococcus Viridans è causa di endocardite infettiva, ma sembra che tale microrganismo, più che determinare lesione dell’endotelio valvolare, tenda a svilupparsi su aree di lesione endoteliale preesistente. In questi casi, i trombi e le loro vegetazioni sono impregnati di microrganismi e possono originare “emboli settici” con episodi di settico-piemia diffusa a vari organi. Le vegetazioni cardiache possono conseguire anche a “endocarditi sterili”: tale situazione si verifica in pazienti affetti da tumori maligni (endocardite marantica: si ricorda a questo proposito lo stato trombofilico secondario tipicamente associato alla presenza di tumori maligni) e in soggetti portatori di Lupus Eritematoso Sistemico (LES). In questo ultimo caso i trombi vegetanti (endocardite di Libman-Sacks) possono svilupparsi a livello di lesioni endoteliali endocardiche determinate dalla deposizione di complessi antigene-anticorpo, tipicamente abbondanti nell’ albero circolatorio di questi pazienti e causa di vasculiti da deposizione di complessi immuni in una grande quantità di organi.
Il flusso del sangue nei vasi segue le leggi del flusso laminare. [Il sangue tende a scorrere in strati cilindrici concentrici: quelli più interni (dove si dispongono i globuli rossi e, un po’ più perifericamente, le piastrine) sono più veloci di quelli periferici e più vicini alle pareti. Le piastrine, quindi, non raggiungono la parete endoteliale e questo spiega perché normalmente le cellule non aderiscono all’endotelio e non formano aggregati.]
Il flusso laminare viene alterato in determinate condizioni (schema 4):
- riduzione della velocità del flusso (stasi ematica)
- variazione della regolarità del flusso (turbolenza)
a) Stasi ematica. E’ importante soprattutto per il compartimento venoso. Il rallentamento del flusso sanguigno è il maggiore responsabile di trombosi venosa a causa a) di un maggiore contatto sull’endotelio dei fattori della coagulazione e delle piastrine: infatti, la modificazione del flusso laminare avvicina le pisstrine all’endotelio, favorendone l’adesione; inoltre, è presente un ostacolo alla diluizione e quindi all’allontanamento dei fattori della coagulazione attivati e viene ritardato l’afflusso di inibitori della coagulazione; b) di una sofferenza ipossica dell’endotelio (legata ad una maggiore estrazione di ossigeno nei capillari congesti, con ridotto afflusso di sangue fresco), la quale induce l’endotelio ad esporre sulla propria superficie il fattore tessutale, riduce al contempo la presenza di trombomodulina e determina rigonfiamento e retrazione delle cellule endoteliali con esposizione del sotto-endotelio; c) di un minore rilascio di attivatore tessutale del plasminogeno (tPA). In altre parole, la stasi induce uno sbilanciamento della bilancia emostatica endoteliale in senso pro-trombogeno. La riduzione del flusso sanguigno può dipendere da cause generali o da cause locali.
Cause generali:
- patologie che provocano iperviscosità del sangue, come ad esempio:
Cause locali:
flusso sanguigno a causa dell’aumento del calibro della vena stessa
- situazioni che determinano ostacolo al deflusso negli arti come ad esempio:
- prolungata immobilizzazione (post-operatoria; lunghi viaggi aerei)
- ridotta attività muscolare
- occlusione del drenaggio venoso
b) Turbolenza. Contribuisce prevalentemente allo sviluppo dei trombi arteriosi e cardiaci, formando vortici e correnti che vanno in senso contrario al flusso sanguigno e sacche di stasi, e tutto questo può causare danno endoteliale. Fenomeni di turbolenza con formazione di vortici si verificano a vari livelli, dove il sangue varia bruscamente di velocità e di direzione, oppure dove trova un ostacolo al suo normale flusso:
2- ALTERAZIONI DELL’ENDOTELIO VASCOLARE
L’alterazione dell’endotelio rappresenta il fattore principale nella patogenesi dei trombi nel cuore (siti di infarto, valvole colpite da malattie infiammatorie) e nelle arterie.
Danni a livello endoteliale possono essere prodotti da una varietà di fattori, che, comunque, portano come conseguenza finale al distacco delle cellule endoteliali con esposizione del tessuto sottoendotelilale e quindi ad adesione ed aggregazione piastrinica ed attivazione della coagulazione sanguigna con conseguente formazione di un trombo (schema 2). In realtà è stato dimostrato che alcuni fattori sono in grado di determinare alterazioni funzionali dell’endotelio tali da favorire l’interazione piastrina-endodelio senza che vi sia stato necessariamente un danno endoteliale (ad esempio l’esposizione di ratti al fumo di sigaretta provoca inibizione della sintesi di prostaciclina prodotta dalle cellule endoteliali a livello dell’aorta → può venire così a prevalere l’attività pro-trombotica dell’endotelio con conseguente predisposizione alla formazione di trombi).
Inoltre, nelle trombosi venose, generalmente, la parete vascolare si presenta integra da un punto di vista istologico e quindi fattori estrinseci sembrano avere un ruolo patogenetico determinante nell’insorgenza di tali trombosi (ad esempio, l’attività fibrinolitica rilasciata dalla cellule endoteliali delle vene degli arti inferiori è minore rispetto a quella delle vene di altri distretti; una riduzione del tono venoso può essere un fattore patogenetico importante per l’insorgenza di trombosi venose durante la gravidanza o nelle donne che fanno uso di contraccettivi). Comunque, traumi diretti o alcuni fattori possono indurre danno endoteliale anche a livello del distretto venoso.
FATTORI LESIVI PER L’ENDOTELIO
I fattori in grado si produrre un danno endoteliale sono molteplici e quindi anche i meccanismi responsabili delle lesioni endoteliali sono diversi a seconda delle cause che li determinano (schema 5).
- presenza di placche ateromasiche: sia la rottura localizzata che l’estesa ulcerazione della superficie luminale di tali placche possono provocare l’esposizione di sostanze con proprietà altamente trombogene, facilitando la formazione di trombi. Questa causa di lesione endoteliale ha una altissima incidenza nelle lesioni cardio-cerebro-vascolari, che rappresentano il più importante fattore di mortalità in individui anziani nella nostra società. Le placche ateromasiche possono indurre dis-endotelizzazione anche per creazione di turbolenze del flusso sanguigno (vedi sopra)
- ipercolesterolemia: danneggia direttamente l’endotelio e promuove l’interazione piastrina-endotelio. Si ritiene infatti che la ipercolesterolemia determini una aumentata produzione di superossido ed altri radicali tossici dell’ossigeno, che disattivano l’ossido nitrico, il principale fattore rilassante per l’endotelio ed efficace anti-aggregante piastrinico inoltre, la
- iperlipidemia: determina aumento della presenza di lipidi perossidati nel sotto-endotelio. Tali lipidi rappresentano uno stimolo per l’adesione leucocitaria → lesione diretta dei leucociti sull’endotelio. Infatti, lo stato iperlipidemico porta a deposizione ed accumulo delle lipoproteine nel sotto-endotelio, probabilmente con il meccanismo della “trans-citosi” endoteliale. Le modificazioni ossidative dei lipidi indotte dai radicali liberi dell’ossigeno prodotti dai macrofagi e dalle cellule endoteliali portano alla formazione di LDL ossidate (processo di perossidazione). Le LDL ossidate 1) sono fagocitate dai macrofagi tramite lo “scavenger receptor” (recettore spazzino), diverso dal recettore per le LDL non ossidate; 2) sono chemiotattiche per i monociti circolanti; 3) inducono sul versante luminale dell’ endotelio l’ espressione di molecole adesive per i monociti; 4) sono direttamente cititossiche per le cellule endoteliali.
- diabete: l’aumento della glicemia determina indirettamente la lesione endoteliale con aumento del vWF e diminuita produzione di prostaciclina. Infatti, nel diabete mellito, l’azione prevalente degli ormoni controinsulinici (per es. il glucagone), porta ad una attivazione permanente della lipasi ormono-dipendente delle cellule adipose, con idrolisi dei trigliceridi e continua immissione in circolo di acidi grassi (prodotti dalla scissione dei trigliceridi). I danni sono quindi riconducibili a quelli della iperlipidemia (vedi sopra), che caratterizza lo stato dismetabolico dei pazienti diabetici. Inoltre, la glicazione aspecifica delle proteine delle membrane basali dei diabetici, con formazione dei cosiddetti AGE (Advanced Glycosylation End products, prodotti finali di glicosilazione avanzata), determina il “cross-linking” delle lipoproteine con le molecole delle membrane basali vascolari, e quindi una sorta di “intrappolamento” definitivo di tali molecole nelle membrane basali dei diabetici, con innesco di uno stimolo lesivo cronico sull’endotelio riconducibile alla lesione da iperlipidemia (vedi sopra).
- infiammazione: durante la fase vascolare del processo infiammatorio i leucociti aderiscono all’endotelio, vengono attivati e rilasciano metaboliti tossici dell’ossigeno ed enzimi proteolitici che causano danno endoteliale e distacco delle cellule. Questo è uno degli eventi (ma non il solo) che giustifica l’innesco dei meccanismi emostatici che si verifica sempre a livello dei focolai flogistici. Infatti, l’agente infiammatorio può anche causare lesione meccanica diretta dell’endotelio per rottura dei vasi o sbilanciare in senso trombogeno la bilancia emostatica endoteliale mediante l’induzione del rilascio di IL-1 e TNF da parte dei macrofagi stimolati dalle endotossine batteriche o dai batteri in toto. Questo processo deve essere distinto dalle “vasculiti” (vedi sotto), termine con il quale si identifica una serie di infiammazioni delle pareti vascolari con conseguente danno endoteliale, a patogenesi prevalentemente immunitaria.
- neoplasie: i tumori maligni, in virtù delle loro proprietà invasive, possono infiltrare i vasi sanguigni e determinare la formazione di processi vegetanti nel lume vascolare, in seguito a dislocazione delle tuniche vascolari e rottura dell’endotelio. Tali vegetazioni di cellule neoplastiche sono fonte di emboli metastatici e promuovono l’adesione piastrinica e la coagulazione sia sulla loro superficie, sia a livello delle membrane basali endoteliali esposte dall’azione meccanica del processo invasivo. Si deve notare a questo proposito che la tunica avventizia dei grossi vasi (con diametro superiore ai 7 mm) è particolarmente resistente al processo infiltrativo dei tumori maligni, quindi l’evenienza descritta sopra non è molto frequente nella storia naturale dei tumori maligni.
- iperomocisteinemia: danneggia direttamente l’endotelio (vedi sotto)
- azione di sostanze esogene (chimiche, fisiche o tossiche): farmaci (chemioterapici), mezzi di contrasto radiologico, radiazioni
- fumo: i prodotti di combustione del tabacco provocano fenomeni di vescicolazione dell’endotelio e desquamazione endoteliale. Inoltre il fumo causa inibizione della sintesi di prostacicline e diminuita sintesi di proteina S.
- azione di tossine batteriche: le endotossine possono avere vari effetti sull’endotelio:
- condizioni che determinano alterazioni del flusso ematico, come:
- condizioni di anossia: si ha un rigonfiamento delle cellule endoteliali e relativo allontanamento. Negli spazi fra cellula e cellula aderiscono le piastrine. Inoltre, l’anossia è un fattore di attivazione delle cellule endoteliali, con innesco della espressione di molecole che sbilanciano in senso pro-trombogeno la bilancia emostatica endoteliale (espressione di TF, secrezione di PAF, ecc.). Quindi, l’anossia può danneggiare le cellule endoteliali dal punto di vista funzionale, senza provocare un danno morfologico evidente.
- traumi esterni (ad esempio calore o congelamento, ustioni)
- fattori immunitari:
- anticorpi specifici contro componenti dell’endotelio possono danneggiare le cellule mediante l’attivazione del complemento (azione citotossica). In questo caso, l’innesco della formazione del trombo avviene su superfici vascolari che hanno perduto il rivestimento endoteliale, con il meccanismo classico che prevede l’adesione iniziale delle piastrine al sotto-endotelio.
- la presenza di immunocomplessi causa danno endoteliale. In questo caso la lesione endoteliale riconosce una patogenesi basata su reazioni di ipersensibilità del III tipo e prende più propriamente il nome di vasculite. Tale quadro è caratterizzato da “necrosi fibrinoide” della parete vascolare dove si sono depositati gli immunocomplessi e da un intenso infiltrato granulocitario peri-vascolare (da cui il termine “vasculite”). La trombosi viene innescata attraverso meccanismi multipli, che comprendono la lesione endoteliale, l’esposizione di fattore tessutale, il rilascio di PAF, la proprietà di alcune frazioni del complemento e degli stessi complessi immuni di determinare adesione ed aggregazione piastrinica. Così come le placche aterosclerotiche “complicate” rappresentano la causa più frequente di trombosi in individui di età avanzata, le vasculiti da immonocomplessi rappresentano la causa più comune di trombosi in età giovanile.
3-ALTERAZIONE DEI COSTITUENTI DEL SANGUE
Un aumento della tendenza alla trombosi è associato ad alterazioni dei costituenti del sangue che determinano una condizione in cui il sangue tende a coagulare più rapidamente in vitro, il cosidetto stato di ipercoagulabilità o stato protrombotico o trombofilia.
Alti livelli dei fattori della coagulazione sono stati descritti nel sangue di pazienti che sono andati incontro a trombosi o che presentano uno stato pretrombotico, in donne in gravidanza o donne che fanno uso di contraccettivi. Anche il fibrinogeno risulta aumentato in varie situazioni in cui si è verificato un a danno tissutale, in seguito all’insorgenza di una reazione infiammatoria o in seguito ad un processo trombotico. In tutti questi casi, tuttavia, non esistono evidenze che dimostrino una correlazione fra aumento dei fattori della coagulazione e predisposizione all’insorgenza di trombosi: si tende a pensare che questo incremento non rappresenti la causa, ma una conseguenza dell’evento trombotico. L’insorgenza di trombosi è dovuta non tanto ad un aumento dei fattori della coagulazione, ma piuttosto ad un certo grado di “attivazione” della coagulazione stessa (anche in situazioni in cui non sarebbe richiesta), che causa lo stato di trombofilia.
Molti meccanismi sono responsabili dell’attivazione della coagulazione e, da un punto di vista clinico, gli stati di ipercoagulabilità possono essere classificati in primari (a carattere ereditario) (schema 6) o secondari (acquisiti) (schema 7).
TROMBOFILIA PRIMARIA
Dipende da difetti che causano una riduzione quantitativa o un deficit qualitativo dei meccanismi anticoagulanti o della fibrinolisi oppure dalla presenza di particolari varianti molecolari o polimorfismi di alcuni fattori della coagulazione.
Una trombofilia su base ereditaria si sospetta in presenza di:
Lo stato di ipercoagulabilità primario può dipendere da:
A) RIDOTTO CONTROLLO DELL’EMOSTASI.
La regolazione del livello plasmatico dei fattori attivati della coagulazione viene effettuata da vari inibitori fisiologici, la cui diminuzione provoca uno stato di ipercoagulabilità. I deficit degli inibitori riguardano:
- antitrombina III (ATIII)
- proteina C
- proteina S
- trombomodulina
ANTITROMBINA III
Il deficit di ATIII determina un’ alta incidenza di trombosi venose.
In genere il deficit di ATIII è associato a vari stati patologici, mentre si riscontra più raramente il deficit congenito. Lo stato omozigote è probabilmente incompatibile con la vita, mentre lo stato eterozigote risulta in alcuni casi asintomatico.
tipo I = diminuzione o assenza di ATIII
tipo II = proteina non funzionale. Le varianti ipofunzionali possono coinvolgere il sito reattivo della molecola o il sito di legame con l’eparina oppure entrambi.
Da un punto di vista diagnostico l’ATIII presente in circolo può essere determinata mediante dosaggio immunologico. Nella pratica di routine clinica, comunque, si effettuano prove funzionali in grado di misurarne l’attività, mediante l’impiego di substrati cromogeni
PROTEINA C
Una carenza di proteina C è responsabile di una elevata predisposizione alla trombosi venosa. La condizione omozigote è incompatibile con la vita, mentre la condizione eterozigote, che può essere asintomatica, si manifesta con trombosi venose ricorrenti.
Il deficit può essere di tipo quantitativo (tipo I) o funzionale (tipo II) e di questa ultima forma se ne conoscono numerose varianti.
La proteina C può essere dosata con saggi immunologici o saggi funzionali. In quest’ultimo tipo di test la proteina C viene attivata dalla trombina e, una volta attivata, la sua attività enzimatica viene misurata con l’impiego di substrati cromogeni.
PROTEINA S
Nel sangue il 60% della proteina S è complessata alla C4b binding protein, il 40% è libera. Quella libera è quella funzionalmente attiva come cofattore della proteina C attivata.
Tipo I = diminuzione o assenza (deficit quantitativo)
Tipo II = varianti con deficit funzionali. In questo caso si hanno alti livelli di proteina con ridotta attività funzionale
Tipo III = diminuzione della concentrazione della forma libera, con quantità normale di proteina S totale. In questo caso si verifica un cambiamento del rapporto fra la forma libera e quella complessata.
Per valutare il grado di deficit si effettua, con metodi immunologici, il dosaggio della proteina S totale e successivamente il dosaggio della forma libera, dopo separazione di quest’ultima, mediante precipitazione, dalla forma complessata.
TROMBOMODULINA
In studi recenti è stata dimostrata la carenza congenita della trombomodulina, proteina coinvolta nel meccanismo di attivazione del complesso proteina C/proteina S, ma rimane ancora da definire l’eventuale effetto trombogeno di questo difetto.
B) PRESENZA DI PARTICOLARI VARIANTI MOLECOLARI di alcuni fattori della coagulazione.
FATTORE V
E’ stata recentemente descritta un’alterazione trombofilica, che sembra assumere un’importanza sempre maggiore, nella quale si osserva il cosiddetto fenomeno della resistenza alla proteina C attivata (APC). Si tratta di un fenomeno dovuto ad una mutazione del fattore V (fattore V di Leiden) che non viene degradato dalla proteina C attivata. Questa alterazione è molto frequente e, da studi recenti, sembra costituire la causa più comune di trombofilia su base ereditaria (incidenza 2-3% nella popolazione italiana). La resistenza alla proteina C attivata è responsabile di molti casi di trombosi venosa, soprattutto negli individui di razza bianca e nei giovani: il rischio relativo per i portatori eterozigoti è stato valutato in circa 5-7 volte (fini a 90 volte per gli omozigoti) rispetto agli individui senza la suddetta mutazione.
Diagnosi: normalmente se si aggiunge proteina C attivata ad un plasma normale e si effettua APTT si ha un allungamento del tempo di coagulazione a causa della in attivazione dei cofattori Va della coagulazione da parte della APC aggiunta, in questi individui , invece, questo non avviene. Per dimostrare la presenza del fattore V di Leiden si esegue il test APTT con un plasma privo di fattore V (=allungamento dell’APTT) e si aggiunge poi il plasma in esame: se l’APTT si accorcia vuol dire che il fattore V è normale, se invece non si corregge e rimane allungato, vuol dire che siamo in presenza del fattore di Leiden.
La mutazione può essere diagnosticata anche mediante tecniche di biologia molecolare, come la reazione a catena della polimerasi (PCR).
FATTORI II E VII
Negli ultimi anni sono stati effettuati studi anche su altri fattori della coagulazione e sono state descritte varianti della protrombina e del fattore VII, che portano ad elevati livelli circolanti di tali fattori. L’aumento del fattore II è correlato ad un aumentato rischio di trombosi (aumento di circa 3 volte), mentre l’aumento del fattore VII risulta associato a infarto del miocardio o a ictus.
DISFIBRINOGENEMIA
Alterazioni qualitative del fibrinogeno sono generalmente correlate a diatesi emorragica. Esistono, comunque, alcune alterazioni del fibrinogeno (variante New York) che determinano una attivazione spontanea del fibrinogeno a monomero di fibrina, ed altre in grado di dare origine ad un coagulo di fibrina che è resistente in modo anomalo alla lisi da parte della plasmina. Questo porta ad una diminuzione dell’attività fibrinolitica in vivo e può indurre una diatesi trombotica ereditaria.
C) RIDOTTA ATTIVITA’ DEL SISTEMA FIBRINOLITICO
Il sistema fibrinolititco rappresenta un importante meccanismo di controllo della coagulazione del sangue, che deve essere limitata nel tempo e circoscritta al punto di lesione. Un deficit di plasmina assoluta (deficit del plasminogeno o degli attivatori del plasminogeno) o funzionale (abnorme livello degli inibitori della plasmina) viene associata ad alto rischio di trombosi.
DEFICIT CONGENITO DEL PLASMINOGENO
Rappresenta la più frequente alterazione del sistema fibrinolitico. Anche in questo caso si distinguono due tipi di deficit:
Tipo I = diminuzione o assenza (deficit quantitativo)
Tipo II = deficit qualitativo. In questo caso si hanno alti livelli di proteina con ridotta attività funzionale
INIBITORE DELL’ATTIVATORE DEL PLASMINOGENO (PAI-1)
E’ stata descritta una condizione caratterizzata da un aumento dei livelli plasmatici di questo inibitore, con conseguente diminuzione dell’attività fibrinolitica ed aumentato rischio di trombosi venosa.
D) IPEROMOCISTEINEMIA (OMOCISTINURIA)
L’omocisteina è un aminoacido solforato derivato dal metabolismo della metionina. E’ presente in circolo per il 70% legato alle proteine plasmatiche e per il rimanente 30% è libero. Un deficit congenito o acquisito di uno degli enzimi deputati al metabolismo endocellulare della metionina può quindi portare alla presenza di livelli plasmatici elevati di questo aminoacido (superiori a 100 µmol/litro).
L’iperomocisteinemia è un fattore trombogeno, che agisce con un meccanismo ancora non del tutto chiarito.
TROMBOFILIA ACQUISITA O SECONDARIA
Una situazione di trombofilia si può osservare anche in diverse malattie, acute o croniche, che, in un modo o nell’altro, alterano il sistema emostatico o quello fibrinolitico e determinano una attivazione della coagulazione. Si tratta di un gruppo eterogeneo di situazioni cliniche, o anche fisiologiche, nelle quali esiste un maggiore rischio di trombosi in confronto alla popolazione normale e sono spesso associate ad altri fattori di rischio, quali il fumo, l’obesità ed altri.
In questi casi, a differenza degli stati di ipercoagulabilità primitiva, sono presenti più difetti dei componenti del sistema emostatico (sistema della coagulazione e piastrine) ed in molti casi non è ancora chiara la patogenesi. Le trombofilie acquisite sono più frequenti di quelle su base ereditaria.
La trombofilia acquisita può essere secondaria a:
SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI
Alcuni individui con alti titoli di autoanticorpi (IgG o IgM) rivolti contro i fosfolipidi delle membrane cellulari (fosfatidil-colina, fosfatidil-serina, fosfatidil-etanolamina, fosfatidil-inositolo) presentano un’alta frequenza di trombosi sia venose (la maggioranza) che arteriose, e questa condizione prende il nome di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
Le due famiglie di anticorpi anti-fosfolipidi meglio caratterizzate sono l’anticoagulante tipo lupus (Lupus Anticoagulant, LAC) e l’anticorpo anticardiolipina (Anticardiolipin antibody, ACA).
Il LAC è un inibitore acquisito diretto contro i componenti fosfolipidici coinvolti nel processo della coagulazione (soprattutto fosfatidil-serina). La sua definizione di “anticoagulante” deriva dalla sua capacità di ritardare in vitro la conversione della protrombina in trombina e quella di “tipo lupus” dal fatto che è stato identificato per la prima volta in pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e, in effetti, è spesso associato a questa malattia. Gli ACA sono un altro gruppo di anticorpi antifosfolipidi, così chiamati perché responsabili della positività delle reazioni sierologiche per la sifilide (reazione di Wassermann) che impiegano come antigene la cardiolipina. LAC ed ACA non sono uguali, ma appartengono a sottoclassi diverse che riconoscono epitopi a conformazione differente.
Gli anticorpi antifosfolipidi presentano al contempo la caratteristica di inibire la coagulazione in vitro (attività anticoagulante in vitro) che si associa alla comparsa di eventi trombotici in vivo (attività trombogena in vivo). La loro attività trombogena in vivo non è su base vasculitica. Questo significa che i segmenti vascolari (di solito venosi, più raramente arteriosi) che sviluppano trombosi causata da anticorpi anti-fosfolipidi non presentano l’infiltrato infiammatorio perivascolare granulocitario tipico delle vasculiti da immuno-complessi, i quali scatenano il fenomeno vasculitico e la conseguente lesione dell’endotelio vascolare mediante una reazione di ipersensibilità del III tipo (da complessi antigene-anticorpo, vedi vasculiti).
Gli anticorpi si possono formare in seguito a:
L’inibizione della coagulazione in vitro è dovuta all’inattivazione del complesso protrombinasico (fattore V, Xa, ioni calcio e fosfolipidi): interagendo con i fosfolipidi, indispensabili per il legame calcio-dipendente fra complesso protrombinasico e protrombina, inibiscono la conversione della protrombina a trombina e quindi la formazione del coagulo di fibrina. La base dell’effetto trombogeno in vivo è sconosciuta, ma si ritiene che tali anticorpi possano indurre degranulazione piastrinica (anticorpi anti-fosfolipidi della membrana piastrinica), attivazione della cellula endoteliale con esposizione di fattore tissutale (anticorpi anti-fosfolipidi della membrana delle cellule endoteliali), e quindi sbilanciamento in senso trombogeno della bilancia emostatica endoteliale:
La PATOGENESI delle trombosi da anticorpi antifosfolipidi è multifattoriale e coinvolge sia le piastrine che le cellule endoteliali:
Tutti questi effetti determinano uno spostamento della “bilancia” endoteliale verso l’attività protrombogena.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
DIAGNOSI
PRESENZA DI TUMORI MALIGNI
Uno stato di ipercoagulabilità è spesso presente in individui portatori di tumori maligni, ed è riconducibile a due momenti patogenetici: la presenza del tumore o il trattamento del tumore stesso.
Stato di ipercoagulabilità associato alla presenza del tumore: spesso i tumori maligni rilasciano nel sistema circolatorio molecole mucino-simili con attività sovrapponibile a quella del fattore tissutale (TF), oppure esprimono fattore tissutale sulla membrana delle cellule neoplastiche (comprese le cellule metastatiche che circolano nel sistema vascolare). In tali situazioni si può sviluppare la cosiddetta sindrome di Trousseau (o tromboflebite superficiale migrante). Si tratta di una sindrome para-neoplastica, caratterizzata da trombosi ricorrenti delle vene superficiali, la quale (al pari di tutte le altre sindromi para-neoplastiche) può costituire clinicamente il sintomo di esordio della neoplasia maligna. Quando la quantità di mucine tumorali è particolarmente abbondante e costituisce una sorta di “iniezione cronica” di fattore tissutale nella circolazione del paziente, si può sviluppare una sindrome da coagulazione intravascolare disseminata (CID), che in questo caso assume il significato di sindrome para-neoplastica e può essere rapidamente fatale per emorragie e trombosi diffuse. In alcuni casi i pazienti portatori di tumore maligno possono sviluppare una endocardite trombotica non batterica (endocardite marantica), con formazione di trombi vegetanti all’interno delle cavità cardiache. Oltre al rilascio di mucine con attività simile a quella del fattore tissutale, i tumori possono essere trombogeni in seguito alla secrezione di attività serino-proteasiche che attivano direttamente il fattore X a fattore Xa e quindi innescano la via comune della coagulazione sanguigna.
Stato di ipercoagulabilità associato al trattamento del tumore: tale situazione può conseguire alla attività tossica sulle cellule tumorali e/o sulle cellule endoteliali da parte dei farmaci citotossici usati nel trattamento dei tumori (L-asparaginasi, mitomicina), oppure ai programmi adiuvanti utilizzati nel trattamento del cancro della mammella. La L-asparaginasi, un chemioterapico usato nel trattamento della leucemia linfatica acuta, può abbassare sostanzialmente la concentrazione plasmatica di AT-III sintetizzata dal fegato.
SOMMINISTRAZIONE DI ESTROGENI
Un eccessivo uso di estrogeni (associato con l’uso di contraccettivi orali o con il trattamento del cancro della prostata con dietil-stilbestrolo) può determinare una sindrome da ipercoagulabilità basata sulla alterazione di vari fattori. Nel caso dei contraccettivi orali devono essere distinti 1) quelli con formulazione combinata estro-progestinica ad alta dose di estrogeni, 2) quelli con formulazione combinata estro-progestinica a bassa dose di estrogeni e 3) quelli con soli progestinici. L’uso dei contraccettivi orali del gruppo 1, di prima generazione, era caratterizzato da uno spiccato stato di ipercoagulabilità. Il problema degli effetti collaterali cardiovascolari su base tromboembolica è stato riesaminato soprattutto in seguito all’utilizzazione dei preparati estro-progestinici di cui al punto 2 (bassa dose). Non esiste rischio significativo di infarto miocardico o cerebrale (trombosi arteriosa) per donne non fumatrici che non presentino neppure altri fattori di rischio trombotico, in seguito all’uso di contraccettivi orali dell’ultima generazione. Al contempo è osservabile un leggero aumento nell’insorgenza di episodi teomboembolici venosi. Comunque, in donne ultra trentacinquenni che fumano, esiste un aumento significativo del rischio di malattie cardiovascolari, particolarmente di infarto miocardio, anche con preparati a bassa dose. Il meccanismo coinvolto nell’attività pro-trombogena degli estrogeni consiste nella loro capacità di inibire la sintesi epatica di AT-III. Sui contraccettivi orali del gruppo 3, non esistono ancora dati statistici affidabili.
INFUSIONE DI CONCENTRATI DI COMPLESSO PROTROMBINICO
In patologia umana esistono molte situazioni emorragiche che possono essere curate con infusioni di complesso pro-trombinico concentrato (dalla terapia delle emofilie a quella delle epatopatie con diatesi emorragica). Queste preparazioni possono contenere piccole quantità di trombina attiva, potenzialmente in grado di stimolare l’attivazione del fibrinogeno a monomero di fibrina.
SINDROME NEFROSICA
La sindrome nefrosica, determinata dalla incapacità dell’unità di filtrazione glomerulare di impedire il passaggio di proteine nel filtrato glomerulare, è caratterizzata da: 1) proteinuria massiva; 2) ipoalbuminemia; 3) edema generalizzato; 4) iperlipidemia e lipiduria. Assai frequenti sono le complicanze di ordine trombotico e trombo-embolico: lo stato di ipercoagulabilità si instaura per la perdita con le urine di fattori anti-coagulanti (per es. AT-III) e dell’anti-plasmina. La trombosi della vena renale, che un tempo veniva indicata come causa della sindrome nefrosica, è più spesso la conseguenza dello stato di ipercoagulabilità associato alla sindrome nefrosica stessa.
TROMBOCITOPENIA INDOTTA DA EPARINA
Si osserva nei pazienti trattati con eparina non frazionata (o eparina ad alto peso molecolare) al fine di prevenire l’incremento di masse trombotiche o per prevenire l’insorgenza di nuovi episodi trombotici in pazienti che hanno sviluppato di recente una trombosi. Queste molecole di eparina stimolano la formazione di anticorpi rivolti contro il complesso costituito da eparina e fattore 4 piastrinico adesi alla superficie piastrinica o endoteliale. Il legame degli anticorpi a tali complessi induce attivazione delle piastrine con degranulazione e quindi innesco della aggregazione piastrinica e danno endoteliale, con dis-endotelizzazione o espressione del fattore tessutale sulla superficie endoluminale delle cellule endoteliali. In entrambi i casi si induce uno stato pro-trombotico. Per evitare questo problema viene utilizzata eparina a basso peso molecolare, la quale non interagisce con le membrane piastriniche e endoteliali, pur mantenendo intatta la sua capacità di catalizzare l’interazione fra trombina e AT-III e quindi le sue proprietà anti-coagulanti.
PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA E SINDROME EMOLITICO-UREMICA
Queste due malattie vanno sotto il nome di “microangiopatie trombotiche”. In entrambe si formano nel microcircolo trombi ialini composti da densi aggregati piastrinici circondati da fibrina. In entrambe queste forme morbose il ruolo fondamentale è giocato dalla tendenza delle piastrine alla aggregazione, mentre la attivazione del sistema della coagulazione (che si può considerare secondaria alla maggior facilità a formare complesso tenasico e protrombinasico sulla superficie fosfolipidica delle membrane piastriniche attivate) non sembra di primaria importanza, tanto che i tests utilizzati per lo studio dell’assetto coagulativo (TP e PTT) sono di solito normali.
DISORDINI MIELOPROLIFERATIVI
I disordini mieloproliferativi cronici sono costituiti da leucemia mieloide cronica, policitemia vera, trombocitosi essenziale e mielofibrosi con metaplasia mieloide. Non tutte sono accompagnate da uno stato di iper-coagulabilità. Nelle leucemie mieloidi croniche la fase terminale accelerata è caratterizzata dalla insorgenza delle cosiddette “crisi blastiche”. Nella eterogenea popolazione di cellule immature che caratterizzano la crisi blastica, oltre ai blasti veri e propri possono essere particolarmente rappresentati i promielociti. Tali cellule, che rappresentano la prima tappa maturativa del basto mieloide, sono ricche di granuli che contengono fattore tessutale, il quale viene liberato in circolo dove può innescare una sindrome da coagulazione intravascolare disseminata. Nella policitemia vera la tendenza alla ipercoagulabilità è correlata alla sindrome da iperviscosità per eccesso di eritrociti circolanti. La tendenza a sviluppare trombosi è infatti direttamente proporzionale al valore dell’ ematocrito. La causa della ipercoagulabilità va quindi ricondotta al rallentamento del flusso sanguigno, il quale è in grado di sbilanciare la bilancia emostatica endoteliale in senso pro-trombogeno. Circa il 35% dei pazienti giunge per la prima volta all’attenzione del medico per episodi trombotici delle vene profonde, infarto del miocardio o ictus. Altre sedi di trombosi sono le vene sovraepatiche (Sindrome di Budd-Chiari), le vene porta e mesenteriche, con infarto venoso intestinale, ed i seni venosi cerebrali con conseguente infarto emorragico cerebrale. Anche la mielofibrosi con metaplasia mieloide si accompagna ad uno stato di ipercoagulabilità non ben compreso e l’insorgenza di episodi trombotici può costituire una causa di morte. La trombocitosi essenziale non determina uno stato di ipercoagulabilità, ma la tendenza a sviluppare trombosi (per altro non molto frequente) è determinata dall’aumento patologico delle piastrine circolanti. In tutti i disordini mieloproliferativi, lo stato pro-trombotico rappresenta la somma di uno stato di iper-coagulabilità associato con un patologico aumento del numero delle piastrine circolanti.
EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA
Il sangue degli individui affetti da questa malattia emolitica mostra una forte tendenza alla ipercoagulabilità, la cui base molecolare è sconosciuta. I pazienti sviluppano trombosi venose in distretti vascolari inusuali, quali le vene epatiche (Sindrome di Budd-Chiari), vene addominali, cerebrali e dermiche. La trombosi può portare rapidamente a morte questi pazienti.
IPERLIPIDEMIA
Molti soggetti iper-lipidemici presentano una spiccata tendenza a manifestazioni trombotiche, specialmente nei distretti arteriosi cerebrale, carotideo e periferico. In questi soggetti è stata dimostrata una marcata iperattività funzionale delle piastrine, documentabile con diverse metodiche, come l’aggregazione piastrinica. Tale aumentata attività funzionale può essere attribuita alla modificata composizione lipidica della membrana piastrinica, all’aumentata produzione di trombossano A2, ad un alterato rapporto tra piastrine e parete vascolare e ad una maggiore sensibilità delle piastrine agli agenti aggreganti.
DIABETE MELLITO
Il diabete mellito determina una stato trombofilico mediante alcuni meccanismi correlati alla alterazione generale del metabolismo presente in tale malattia. Infatti, in virtù della carenza assoluta o relativa di insulina, in questi individui prevale l’attività degli ormoni controinsulinici, ed in particolare del glucagone, al quale sono imputabili gran parte delle manifestazioni dismetaboliche. Il glucagone determina l’attivazione della lipasi ormono-dipendente delle cellule adipose, l’idrolisi dei lipidi associati al glicerolo nei trigliceridi e la immissione in circolo di grandi quantità di grassi, che sono alla base dello stato iperlipidemico presente in questi pazienti. Quindi, la condizione di trombofilia dei pazienti diabetici è in ultima istanza riconducibile alla iperlipidemia (vedi sopra). Iperlipidemia e diabete sono importanti anche nel determinare lesione endoteliale con i meccanismi già descritti.
IPEROMOCISTEINEMIA (OMOCISTINURIA)
Come descritto precedentemente, l’elevazione della omocisteina plasmatica è una importante causa di trombofilia primaria, appartenendo alla categoria degli errori innati del metabolismo (in questo caso, della metionina). Uno stato di iperomocisteinemia può anche conseguire secondariamente ad un basso apporto di folati e di vitamina B, e alcuni dati suggeriscono che l’assunzione di folati e vitamina B6 e B12 riduce la malattia cardiovascolare nelle donne.
SUPERFICIE DI PROTESI VASCOLARI
La superficie delle protesi vascolari sintetiche, applicate come “giunti” di connessione tra due monconi di un vaso dal quale viene asportato chirurgicamente un pezzo contenente una placca aterosclerotica semi-occlusiva o un aneurisma vascolare, può presentare dei difetti di endotelizzazione e quindi costituire una sede idonea per l’adesione ed aggregazione piastrinica, con attivazione della coagulazione e rilascio “cronico” nella circolazione di fattori della coagulazione attivati. Uno degli scopi principali della ricerca biotecnologica delle ditte produttrici di protesi vascolari consiste nell’approntare superfici protesiche idonee alla endotelizzazione, anche trattando le protesi con materiali biologici (adesi sulla superficie endoluminale), corrispondenti alla composizione delle membrane basali vascolari. Per ovviare a questi inconvenienti viene anche utilizzato l’innesto di porzioni di vene autologhe (per esempio la safena), già provviste di endotelio. Anche in questi casi i monconi di giuntura possono mostrare dei difetti di endotelizzazione. Alcuni centri di chirurgia vascolare utilizzano la incubazione intra-operatoria del segmento venoso da trapiantare con un virus contenente il gene per il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), il quale veicola tale informazione genetica nelle cellule endoteliali del segmento venoso da trapiantare. In queste condizioni, l’endotelizzazione del vaso trapiantato avviene in modo estensivo e senza soluzioni di continuità, entro poche ore dall’intervento. Quanto detto per i segmenti vascolari vale anche per le protesi valvolari cardiache.
IPERVISCOSITA’ E INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA
Entrambe queste condizioni sono state descritte nel paragrafo relativo alle alterazioni del normale flusso sanguigno, al quale si rimanda.
FATTORI FISIOLOGICI O PARA-FISIOLOGICI
Tutte queste situazioni sono associate a modificazioni reologiche importanti, caratterizzate da rallentamento del flusso sanguigno, in particolare del ritorno venoso. Fattori addizionali possono essere presenti nei singoli stati (elevazione degli estrogeni durante la gravidanza, riduzione della secrezione di prostaciclina nell’ invecchiamento, stato dismetabolico associato all’obesità, ecc.). Il periodo post-partum e gli interventi chirurgici rappresentano un potente stimolo trombogeno, soprattutto a livello delle vene. Nella gravidanza esistono anomalie del sistema emostatico (incremento spiccato della fibrinogenemia, diminuzione progressiva della concentrazione di AT-III, ridotta attività fibrinolitica) e modificazioni di tipo anatomico (come la compressione venosa da aumentata pressione endo-addominale e da parte dell’utero gravidico), associate ad un aumento della volemia e della viscosità ematica. Le modificazioni reologiche assumono un ruolo preminente nello stato post-operatorio e nei soggetti immobilizzati a letto per lunghi periodi di tempo, indipendentemente dalla malattia che provoca l’immobilità, come in tutte le situazioni che favoriscono un rallentamento della circolazione e una stasi venosa (vedi sopra). Per questo motivo, in alcuni reparti per lungo-degenti i letti sono muniti di rulli gommati dove i pazienti spremono la pianta del piede per favorire il deflusso del sangue dalle cisterne venose plantari. Lo stesso effetto può essere ottenuto comprimendo la piante del piede su una palla da tennis. Numerosi studi hanno dimostrato l’elevata incidenza di trombosi venose profonde e di embolia polmonare in soggetti sottoposti a interventi chirurgici. Tale incidenza è correlata al tipo di operazione (massima per gli interventi di tipo ortopedico), all’età del paziente, al suo peso, alle condizioni del suo sistema venoso (presenza di varici), alla presenza di malattie neoplastiche e cardiache, presenza di anomalie del sistema emocoagulativo. Lo sviluppo di trombosi venose profonde nel decorso post-operatorio ha un’incidenza che varia dal 10 al 70% in rapporto alle diverse condizioni ricordate sopra e viene ridotta mediante una opportuna profilassi
Evoluzione dei trombi
Un trombo può continuare ad accrescersi fino a chiudere il lume vasale (trombo occlusivo), oppure può interrompere il suo sviluppo e limitarsi a “restringere” il lume vasale (trombo parietale o trombo murale). Se non sopraggiunge la morte del paziente per gli effetti ischemici determinati dal trombo, esso può andare incontro a differenti evoluzioni (schema 8):
- Risoluzione. Rappresenta fortunatamente l’evoluzione più frequente di un trombo e può realizzarsi in poche ore. Tale processo avviene con due meccanismi: 1) L’azione dilavante della corrente sanguigna, che disgrega meccanicamente il trombo e diluisce l’accumulo locale di fattori della coagulazione attivati; 2) Lisi biochimica da parte del sistema fibrinolitico (fibrinolisi secondaria). L’attivatore tessutale del plasminogeno ed il plasminogeno si legano ai rispettivi siti di legame sulle molecole di fibrina, con conseguente attivazione del sistema fibrinolitico esclusivamente nel punto di formazione della fibrina. La rapida formazione di plasmina opera una efficace lisi del trombo: molti dei trombi che si formano nelle vene di piccolo calibro subiscono una completa dissoluzione, mentre quelli che si formano nei grossi vasi (soprattutto nelle arterie) sono più resistenti, in quanto la componente piastrinica è più rappresentata. Anche gli enzimi rilasciati dai leucociti rimasti intrappolati nelle maglie di fibrina hanno un ruolo nella lisi del trombo. La massa del trombo si rompe in piccoli frammenti che non provocano danni significativi quando embolizzano ai polmoni. Quindi è possibile affermare che il trombo riesce ad “autolimitare” la propria crescita.
- Propagazione. Il trombo può estendersi fino a riempire parecchie vene comunicanti e questa evoluzione rappresenta il fallimento dei meccanismi di controllo. Questo evento si verifica, in genere nel caso dei trombi occlusivi venosi, attraverso le fasi seguenti: il flusso sanguigno si interrompe, la bilancia emostatica dell’endotelio si sposta a favore delle attività protrombotiche sia a monte sia a valle dell’interruzione del flusso e i fattori della coagulazione si attivano sulla superficie del trombo. L’ingrandimento avviene quasi esclusivamente con la formazione di un coagulo e tale processo coagulativo si interrompe a livello della branca affluente più vicina, dove il sangue che arriva dal vaso pervio diluisce i fattori della coagulazione ed è ricco di attivatore tessutale del plasminogeno. La coda rossa di coagulo è orientata a monte o a valle o in ambedue i sensi della circolazione nel vaso trombizzato, dipendentemente dalla localizzazione delle diramazioni e dalla direzione della corrente sanguigna.
- Embolizzazione. Il trombo può staccarsi totalmente o in parte e dare origine ad un embolo.
- Organizzazione e ricanalizzazione. Se il trombo persiste, inizia il cosiddetto processo di “organizzazione”. Si tratta di un processo ancora non ben compreso, ma che probabilmente è stimolato dal rilascio di fattori chemiotattici e fattori di crescita da parte delle cellule che costituiscono parte della massa trombotica (piastrine, monociti rimasti intrappolati nelle maglie di fibrina). Comunque sia, se il segmento di un vaso rimane intasato da un trombo (trombo occlusivo), nuovi vasi simili a quelli capillari tipici del tessuto di granulazione si sviluppano all’interno del trombo a partire dai vasa vasorum della tunica avventizia: tali vasi attraversano la tunica media, perforano la membrana elastica limitante interna e si diffondono nello spessore del trombo. Attraverso tali vasi il trombo si arricchisce di monociti, i quali si differenziano in macrofagi che degradano e fagocitano gran parte del materiale trombotico (rimodellamento). Mediatori di probabile origine macrofagica reclutano nello spessore del trombo i fibroblasti, i quali trasformano il trombo in una massa fibrosa ricca di fibre collagene e contenente capillari di nutrimento. In questo caso l’organizzazione del trombo non è suscettibile di ulteriori sviluppi. In altri casi può verificarsi un processo favorevole: la ricanalizzazione del trombo organizzato. Precocemente, dopo la formazione di un trombo occlusivo, la massa trombotica può presentare delle fissurazioni (probabilmente da correlare alla retrazione del materiale trombotico) orientate secondo l’asse maggiore del segmento vascolare occluso, e quindi nel senso di scorrimento della corrente sanguigna. Abbastanza frequentemente esse si allineano l’una con l’altra a formare nuovi canali che scorrono attraverso il trombo/tessuto di granulazione, collegando le due facce del trombo. In pochi giorni tali canali vengono ricoperti da cellule piatte di origine mesenchimale la cui origine non è ben compresa (dal tessuto di granulazione, dalle tuniche media o avventizia del vaso?) le quali infine si differenziano in cellule endoteliali. Occasionalmente, alcune cellule staminali mesenchimali poste in vicinanza dei nuovi canali vascolari, si organizzano attorno a tali canali in modo concentrico, differenziandosi in cellule muscolari. L’insieme di questi processi, che sono in grado di ristabilire un sia pur piccolo grado di circolazione nei vasi trombizzati, prende il nome di ricanalizzazione.
Diverso è il processo di organizzazione dei cosiddetti trombi murali. In questi casi, poiché il sangue ossigenato scorre sopra la superficie del trombo murale, il trombo riceve abbondanti quantità di ossigeno che diffonde lentamente all’interno della massa trombotica, riducendo lo stato di ipossia necessario per stimolare l’angionenesi dei capillari dai vasa vasorum. Tali capillari si sviluppano tanto più lentamente quanto minore è lo spessore del trombo. Molte delle piastrine che costituiscono il trombo sono asportate dalla corrente sanguigna. Questo significa che, nei trombi arteriosi, la parte maggiore del trombo consisterà di un feltro di fibrina che tende ad essere sempre più compresso sulla superficie vascolare da parte della pressione intravascolare. Entro pochi giorni la superficie del trombo viene coperta da cellule appiattite. Si riteneva che si trattasse di cellule endoteliali, ma sembra che siano cellule muscolari provenienti dalla tunica media, le quali iniziano la formazione di una nuova tunica intima. Nel frattempo, nello spessore del trombo murale avviene il processo di organizzazione e si osserva la presenza di alcuni piccoli vasi. La maggioranza di questi nuovi vasi, comunque, deriva dalla faccia endoluminale del trombo e non dalla tunica avventizia. Questo singolare processo di organizzazione è sempre caratterizzato dall’ispessimento della tunica intima, che contiene un gran numero di cellule muscolari lisce e fibre collagene, con lo spessore della ex-massa trombotica che giace schiacciato in profondità sotto la neo-intima. E’ probabile che le cellule muscolari lisce vengano reclutate dal PDGF di origine piastrinica dalla tunica media dei vasi.
- Calcificazione. Un trombo può presentare calcificazioni più o meno estese, come qualsiasi massa di materiale necrotico (calcificazione eterotopica di tipo distrofico). Nelle arterie, la propagazione dell’onda sfigmica può comprimere la massa calcificata sulle sottostanti tuniche vascolari e determinare una atrofia da compressione, con successivo sfiancamento del segmento atrofizzato e innesco di una formazione aneurismatica. Per motivi non ben compresi, piccoli accumuli rotondeggianti di sali di calcio del diametro di 3-4 mm vengono comunemente evidenziati con normali esami radiografici nelle piccole vene della pelvi. Tali formazioni vengono chiamate “fleboliti” e si ritiene si tratti di trombi calcificati. Sono di riscontro estremamente frequente e non hanno significato clinico.
Fonte: http://www.molecularlab.it/public/data/ballarini/2007611182727_coaugulazione.doc
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