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Il tessuto emorroidario è una normale componente del canale anale ed è costituito prevalentemente da tessuto vascolare sostenuto da muscolatura liscia e tessuto connettivo [1]. I cuscinetti emorroidari si localizzano normalmente nei quadranti laterale sinistro, anteriore destro e posteriore destro del canale anale [2] ove sono presenti delle strutture specializzate altamente vascolarizzate, di discrete dimensioni, costituite da mucosa compatta che contengono elementi vascolari, muscolatura liscia, tessuto elastico e connettivo per contribuire alla continenza del canale stesso. Il termine emorroidi viene solitamente usato per descrivere una dilatazione del tessuto vascolare (situazione clinica nella quale questi cuscinetti sono di dimensioni anomale), che può andare incontro a infiammazione e prolasso dando luogo ad una sintomatologia tipica che configura quella che comunemente viene definita “crisi emorroidaria”. Quella emorroidaria, infatti, è una patologia benigna ad andamento cronico recidivante con tipiche riacutizzazioni [3].
E’ opinione condivisa che, in presenza di emorroidi di III e IV grado, in cui la sintomatologia clinica può divenire invalidante, la terapia chirurgia radicale è la sola opzione terapeutica risolutiva.
Una classificazione dei trattamenti radicali basata sul tipo di intervento attuato ci permette di inquadrare tutte le tecniche chirurgiche per il trattamento delle emorroidi in tre gruppi: metodiche chirurgiche aperte (Milligan-Morgan), emorroidopessi o prolassectomia (Longo) e dearterializzazione emorroidaria trans-anale (metodo THD).
Lo scopo dello studio è mettere a confronto le due tecniche principalmente usate (Milligan-Morgan e Longo) in relazione ad alcuni fattori (tempi operatori, durata della degenza, prolasso residuo, dolore, emorragia post-operatoria, percentuali di re-intervento e il riscontro di “incidentalomi” dopo esame istopatologico del gavocciolo emorroidario asportato [4-8]) nonché una breve descrizione della tecnica THD, che non può essere correlata statisticamente alla casistica delle altre due tecniche per l’esiguità degli interventi praticati presso il nostro Dipartimento con questa tecnica.
La scelta del tipo di trattamento chirurgico da adottare per la malattia emorroidaria, quindi, deve tener conto di vari aspetti per cercare di effettuare il miglior intervento, a secondo del grado delle emorroidi, dell’eventuale presenza di flogosi e fibro-sclerosi e del prolasso emorroidario, tenendo presente anche il dolore e l’andamento della convalescenza del paziente nel post-operatorio.
2. IL CANALE ANALE
2.1 Anatomia
Il canale anale si estende per circa 4 cm dall’anello anorettale, formato dal margine superiore del muscolo pubo-rettale, alla cute della rima anale. E’ la porzione più distale del canale alimentare. Il suo rivestimento e la sua muscolatura posseggono importanti caratteristiche che, insieme alle strutture del pavimento pelvico, contribuiscono significativamente alla regolazione della defecazione e della continenza. I suoi limiti comprendono: il coccige posteriormente, la fossetta ischio-rettale con gli organi in essa contenuti bilateralmente e, anteriormente, il corpo perineale e la vagina nella donna e l’uretra nell’uomo.
Il canale anale mostra, in condizioni basali, un asse, in senso antero-posteriore, obliquo dal basso in alto e da dietro verso l’avanti; esso descrive con l’asse dell’ampolla rettale un angolo, quello ano-rettale, a convessità anteriore (90°-100°, in media, nel soggetto a riposo) (Fig. 1). Le manovre che aumentano tale angolo incrementano la continenza mentre quelle che lo riducono favoriscono la defecazione.
Alla formazione ed al mantenimento di questo angolo contribuisce il muscolo pubo-rettale che, avvolgendo la giunzione retto-anale a guisa di fionda, induce anche la chiusura del canale anale, superiormente, ad opera della parete anteriore del retto (flap valve).
Al meccanismo della continenza partecipa anche il cosiddetto “triple loop system”; il canale anale è infatti circondato da tre fasci muscolari che tendono a dislocarlo in direzioni diverse: il primo, quello superiore (formato dal muscolo pubo-rettale e dalla pars profonda dello sfintere esterno), trae il canale anale in alto ed in avanti; il secondo, intermedio (ancorato al coccige e costituito dalla porzione superficiale dello sfintere esterno), lo trascina indietro ed orizzontalmente, mentre il terzo, l’inferiore (rappresentato dalla pars sottocutanea dello sfintere esterno), lo tende in basso ed in avanti (Fig. 2).
L’epitelio che riveste il canale anale è differente a seconda dei livelli. La linea dentata (pettinata) è formata dalle valvole anali che demarcano anatomicamente il passaggio dalla mucosa piatta dell’estremità cefalica alla mucosa liscia e di transizione dell’estremità caudale. La mucosa prossimale è piegata in una serie da 12 a 14 colonne del Morgagni con presenza di cripte tra ogni piega. Aprendo queste cripte, si trova un numero variabile di ghiandole anali che attraversano la sottomucosa per entrare nello sfintere interno e formare il piano intersfinterico.
Così, le infezioni di queste strutture cripto-ghiandolari possono causare fistole che verosimilmente comunicano con l’area della linea dentata.
La mucosa del canale anale superiore, come quella del retto, è di colore roseo ed è rivestita da epitelio colonnare, mentre la mucosa situata distalmente alla linea dentata è più pallida e rivestita da epitelio squamoso privo di peli e ghiandole. La transizione tra i due tipi di epitelio non è improvvisa e la mucosa della cosiddetta zona transizionale, sita subito prossimalmente alla linea dentata, è costituita da strati di cellule cuboidali disseminate fra gittate di epitelio colonnare di colore purpureo. Le differenze tra la mucosa colonnare del retto e l’epitelio squamo-cellulare dell’ano hanno delle implicazioni cliniche importanti. Ad esempio, le malattie che affliggono la mucosa rettale, quali la colite ulcerosa, possono estendersi all’epitelio transazionale ma non distalmente alla linea dentata.
I tumori prossimali alla linea dentata, generalmente, sono adenocarcinomi, mentre quelli che originano distalmente sono squamosi o cloacogenici. A livello della verga anale l’epitelio acquista le caratteristiche della cute normale con le sue ghiandole apocrine, ed è questa la sede dove originano le infezioni delle ghiandole apocrine e dell’adenite suppurativa.
La muscolatura del canale anale ed il suo apparato sfinterico costituiscono il canale muscolare terminale dell’apparato gastroenterico e possono essere concettualizzati come due strutture l’una sovrapposta all’altra. La parte interna è una continuazione dello strato liscio circolare del retto e costituisce lo sfintere interno, rotondo e spesso, che termina 5 cm sotto la linea pettinata, leggermente al di sotto dello sfintere esterno (Fig. 3) .Quest’ultimo è di forma ellittica e comprende il canale anale e lo sfintere interno oltre il quale termina in una parte sottocutanea. Le altre due porzioni - la superficiale e la profonda – costituiscono una singola unità muscolare che si continua superiormente con i muscoli pubo-rettale ed elevatore dell’ano. Lo sfintere esterno, bulbo-spongioso, e il muscolo trasverso perineale si incontrano centralmente sul perineo per costituire il corpo del perineo. La conformazione ad imbuto dei due elevatori dell’ano forma gran parte del pavimento pelvico e le loro fibre si dividono medialmente con le controlaterali per fondersi con il corpo del perineo intorno alla prostata o alla vagina. Lo sfintere interno è innervato dal sistema nervoso autonomo ed è indipendente dal controllo volontario. Lo sfintere esterno, che è innervato dalla branca rettale inferiore del nervo pudendo e dalla branca del quarto nervo sacrale, è sotto il controllo volontario.
L’irrorazione arteriosa del canale anale è garantita da tre vasi: le arterie emorroidarie (o rettali) superiore, media e inferiore (Fig. 3.2).
L’arteria emorroidaria superiore è il ramo terminale dell’arteria mesenterica inferiore; in genere si biforca in un ramo destro e uno sinistro in corrispondenza della III vertebra sacrale. I suoi rami terminali forniscono l’irrorazione della mucosa anale e, in numero variabile, perforano la tonaca muscolare e decorrono nella sottomucosa lungo l’asse del retto per terminare in corrispondenza della linea dentata.
L’arteria emorroidaria media si riscontra in circa il 50% dei casi ed è molto variabile per quel che riguarda origine e decorso. Nella maggior parte dei casa origina dall’arteria ipogastrica e decorre alla base dei legamenti laterali del retto. I rami terminali, destinati al canale anale, penetrano nella tonaca muscolare a circa 5-6 cm dal margine ano-cutaneo e hanno un decorso del tutto simile a quelli dell’arteria emorroidaria superiore.
L’arteria emorroidaria inferiore origina dall’arteria pudenda interna in corrispondenza della spina ischiatica, percorre il canale di Alcock, si porta nello spazio ischio-rettale e quindi raggiunge il canale anale. Vascolarizza il muscolo elevatore dell’ano e lo sfintere esterno, la mucosa sottopettinea e il margine ano-cutaneo. Esistono ampie anastomosi tra le arterie emorroidarie superiore e media in corrispondenza della parete muscolare del retto e tra l’emorroidaria media e l’inferiore.
Nello spessore delle pareti del retto e del canale anale si trovano tre plessi venosi da cui traggono origine le sei tributarie venose principali, corrispondenti anche per denominazione ai tronchi arteriosi. Ha importanza clinica che da questi plessi il sangue possa drenare in due diversi sistemi venosi, comunicanti tra loro: quello portale e quello cavale. In altri termini, l’area ano-rettale è una sede importante di anastomosi porto-cava.
PLESSO EMORROIDARIO ESTERNO: è posizionato nello strato sottomucoso del canale anale inferiormente alla linea pettinata e nel tessuto sottocutaneo della regione perineale. Il plesso comunica in alto con il plesso emorroidario interno ed in basso con le tributarie, provenienti dalla vena emorroidaria inferiore che, a sua volta, affluisce alla pudenda interna, tributaria della vena iliaca interna. La dilatazione dei vasi di questo plesso dà origine alle emorroidi esterne.
PLESSO EMORROIDARIO INTERNO: è ubicato nello strato sottomucoso del canale anale superiore e del retto. Le venule di questo plesso sono particolarmente addensate in corrispondenza delle colonne di Morgagni. Le tributarie originatesi dal plesso interno ascendono nella sottomucosa per un tratto di 10 cm circa superiormente alla linea pettinata e, dopo aver perforato la tunica muscolare su entrambi i lati della parete rettale, confluiscono per formare la vena emorroidaria superiore, in corrispondenza della parete superiore del retto. Quest’ultima si continua in alto nella cavità addominale come vena mesenterica inferiore tributaria del sistema venoso portale. I vasi che derivano da questo plesso interno comunicano in basso con il plesso esterno e lateralmente con il plesso rettale perimuscolare. Poiché le vene emorroidarie superiori sono prive di valvole, ogni aumento della pressione venosa portale, come può verificarsi ad esempio in corso di cirrosi epatica, potrà causare la dilatazione del plesso interno (emorroidi interne).
Il drenaggio linfatico del retto e del canale anale, di grandissima importanza per le disseminazioni neoplastiche, viene garantito da canali linfatici che si portano a tre differenti gruppi di linfonodi regionali. Negli strati sottomucoso e sottosieroso delle parete anorettale è diffusamente presente un plesso capillare linfatico intramurale con alcuni rami che confluiscono nei linfonodi pararettali e la maggior parte in altre stazioni linfonodali primarie. I canali collettori possono essere divisi in: superiori, medi e inferiori.
Quelli superiori seguono l’arteria emorroidaria superiore e terminano nei linfonodi pre-aortici e para-aortici della catena lombare sinistra.
I canali collettori medi si versano nei linfonodi ipogastrici (iliaci interni) e alcuni direttamente ai linfonodi sacrali laterali.
I canali collettori inferiori provengono esclusivamente dal canale anale, seguono i vasi emorroidari inferiori per terminare nei linfonodi inguinali.
Innervazione del retto e dell’ano. La ricca rete nervosa deriva esclusivamente dal plesso sacrale. In pratica, sulla base del loro decorso, i tronchi nervosi che si distribuiscono a livello della regione ano-perianale possono venire suddivisi in superficiali e profondi.
I nervi a decorso superficiale, in direzione postero-anteriore, sono tre: il nervo ano-coccigeo, che prende origine dal plesso coccigeo e, circondando il margine laterale del sacro-coccigeo, innerva la zona compresa fra l’ano e la punta del coccige; il nervo perforante cutaneo, che origina dal plesso pudendo e si divide in un ramo diretto alla regione glutea e in uno che sfiocca nel perineo; il nervo gluteo inferiore (o piccolo ischiatico), che origina dal plesso sacrale e dà origine a tre rami collaterali, uno gluteo, uno femorale ed uno perianale, che innerva la parte posteriore di tale regione anatomica.
I tronchi nervosi profondi, più importanti, sono il nervo emorroidario e il nervo pudendo interno, che prendono entrambi origine dal plesso pudendo. Il nervo emorroidario (o anale o rettale inferiore) termina dividendosi in numerosi rami cutanei, che si sfioccano nell’ano e nel perineo posteriore, e in rami muscolari che innervano il muscolo sfintere esterno. Il nervo pudendo interno si divide in due rami terminali: quello penieno (o clitorideo), situato anteriormente, e quello perineale che è posteriore e si dirige, dopo aver emesso alcuno piccoli collaterali alla parte anteriore dello sfintere dell’ano, alla parte più periferica dell’elevatore e alla cute corrispondente, verso la piega femoro-perineale.
Il sistema nervoso ortosimpatico è costituito dai due nervi ipogastrici (o presacrali). Le fibre nervose ortosimpatiche (L1 e L2) sono eccitatorie e quelle parasimpatiche (S2 e S4) sono inibitorie. Il tono sfinteriale risulta determinato con netta prevalenza dallo sfintere interno mediante un’attività simpatica continua. Il muscolo elevatore dell’ano ha una duplice innervazione. Il nervo proprio dell’elevatore dell’ano si forma con il contributo di S3 e S4, è uno dei rami collaterali anteriori del plesso sacrale e solo la porzione più periferica del muscolo riceve un contributo minore da parte di rami muscolari del nervo pudendo.
Il sistema nervoso parasimpatico è costituito da fibre nervose che entrano a far parte delle radici anteriori degli ultimi quattro rami sacrali, escono dai forami sacrali e formano i nervi erigenti. Questi si collocano dietro la fascia di Waldeyer e confluiscono quindi nei plessi pelvici (o ipogastrici). Le fibre parasimpatiche li attraversano senza soluzione di continuo e decorrono lungo i vasi sanguigni.. L’interruzione sinaptica è distale a livello della parete viscerale dell’ano-retto, della vescica e degli organi genitali (sinapsi post-gangliare nicotinica).
L’innervazione sensitiva del canale anale è molto più sviluppata di quella del retto, in particolare a livello mucoso. L’ano e il canale fino alla linea dentata presentano terminazioni nervose libere intraepiteliali che discriminano gli stimoli nocicettivi. Più a monte, queste terminazioni si rarefanno e 1-2 cm cranialmente alla linea dentata la sensibilità dolorifica tende a scomparire del tutto. La mucosa rettale è insensibile agli stimoli dolorosi ma è in grado di rilevare la distensione: il minimo volume recepito è tra 20 e 40 cc e volumi maggiori creano uno stimolo alla defecazione che cresce in maniera proporzionale. Gli impulsi vengono trasmessi dalle pareti del retto in direzione centripeta attraverso le vie nervose del parasimpatico sacrale; un contributo viene peraltro fornito anche da vie efferenti somatiche (nervo pudendo), come risulta evidente dopo proctectomia ed anastomosi ileo- o colo-anale (situazione in cui permane la percezione della distensione viscerale). Per contro dopo denervazione sacrale bilaterale, la sensazione di riempimento e la capacità discriminativa tendono ad annullarsi.
2.2 Fisiologia
La fisiologia del canale anale e del pavimento pelvico è complessa, ma l’avvento di sofisticati mezzi per la valutazione della loro funzione, come la manometria, la defecografia, il test di evacuazione e l’elettromiografia, hanno migliorato le nostre conoscenze. La funzione principale del canale anale consiste nella regolazione della defecazione e nel mantenimento della continenza, che dipende da una serie di fattori correlati tra di loro. Alcune condizioni come la stipsi, l’incontinenza, la ragade anale, l’invaginazione rettale ed il prolasso, sono cause comuni di disordini motori in quest’area.
Il canale anale, che è lungo mediamente 4 cm, si allunga con l’aumento della pressione dello sfintere esterno e si accorcia con il suo rilasciamento.
La pressione a riposo o tono, che dipende in gran parte dallo sfintere interno, è di circa 90 cm di H2O ed è più bassa nelle donne e nei pazienti anziani rispetto agli uomini o ai giovani. Questa zona ad alta pressione aumenta la resistenza al passaggio delle feci.
La pressione di contrazione, dovuta alla contrazione del muscolo dello sfintere anale esterno e del muscolo pubo-rettale, raddoppia la pressione esistente a riposo. L’aumento pressorio massimo dura per circa un minuto; di conseguenza la pressione di contrazione serve unicamente a prevenire la fuoriuscita del contenuto rettale quando questo è presente nella parte prossimale del canale anale in un momento inappropriato. Il meccanismo principale che provvede al mantenimento della continenza è la pressione differenziale presente tra il retto (6 cm H2O) e il canale anale (90 cm H2O).
La sensibilità anorettale permette di capire le caratteristiche del contenuto enterico (gas, liquido o solido) e avverte la necessità del transito del contenuto rettale tramite dei recettori localizzati sia nella parete muscolare del retto che a livello del pavimento pelvico. Il fatto che tale sensibilità persista anche dopo una proctectomia ed anastomosi ileo-anale fa pensare che i recettori siano siti a livello del pavimento pelvico. In base al contenuto intestinale che raggiunge il canale anale, lo sfintere anale deve rilasciarsi mentre il retto si distende e si contrae (riflesso inibitorio ano-rettale). Il riflesso coinvolge i neuroni inibitori del plesso mio-enterico, i quali innervano lo sfintere interno, e coinvolge anche i nervi intramurali ed i neurotrasmettitori. Il rilasciamento temporaneo dello sfintere anale interno porta il contenuto rettale a contatto con i recettori della mucosa del canale anale prossimale in modo tale da poter riconoscere il contenuto. Altri fattori importanti nella continenza includono la compliance rettale, il tono e la capacità, nonché le caratteristiche di svuotamento e riempimento del retto, la consistenza ed il volume delle feci.
2.3 Valutazione clinica
La valutazione sistematica dei disordini anorettali include un’attenta anamnesi ed un esame obiettivo dell’area del canale anale prima delle indagini di laboratorio.
Anamnesi
I sintomi principali comprendono sanguinamento, dolore, secrezione (mucosa, purulenta, o fecale) e modificazioni dell’alvo. Inoltre è importante conoscere le eventuali malattie associate, la terapia in corso, l’anamnesi familiare, la tendenza al sanguinamento e se il soggetto ha fatto viaggi o ha avuto rapporti sessuali a rischio.
Il sanguinamento è un frequente sintomo d’esordio di patologie dell’ano e del grosso intestino sia di natura benigna che maligna. Le domande sul tipo di sanguinamento devono indagare se il sangue è scuro o rosso vivo oppure se sono presenti dei coaguli, se è frammisto o meno alle feci e se a goccia nel water o solo sulla carta igienica.
Solitamente il sangue che fuoriesce separato dalle feci è di colore rosso vivo ed è dovuto al sanguinamento delle emorroidi interne. Il sangue che si ritrova sulla carta è associato ad una patologia emorroidaria minore oppure ad una ragade anale. I coaguli o la melena indicano rispettivamente un sanguinamento proveniente dal colon o anche di origine più prossimale. Nonostante un’accurata anamnesi del sanguinamento possa suggerire un’eziologia specifica, è sempre opportuno valutare anche l’intestino prossimale per escludere la possibilità di patologie più serie quali il cancro. Questo è di particolare importanza qualora non si sia evidenziata la fonte del sanguinamento, quando ci si trovi di fronte a pazienti con un elevato rischio di sviluppare un cancro per età e storia familiare, e qualora il sanguinamento non si risolva in seguito al trattamento della presunta causa. Quando ci siano dei dubbi è sempre opportuno valutare anche l’intestino prossimale.
Il dolore anorettale che compare durante o immediatamente dopo l’evacuazione e che viene descritto come un dolore molto forte è associato ad una ragade anale. Il dolore che può essere o meno correlato con l’evacuazione e che ha andamento pulsatile si ritrova spesso in presenza di un ascesso o di una fistola. Un dolore che non è correlato con l’evacuazione di solito è associato ad una proctalgia leggera o alla sindrome dell’elevatore dell’ano, condizione caratterizzata da episodi dolorosi di breve durata (meno di 20-30 minuti) che compaiono spesso di notte e diminuiscono camminando, con un bagno caldo o con altre manovre. Per accertare una modificazione nelle abitudini alvine è necessario stabilire i modelli di comportamento precedenti. Infatti, la stitichezza è una condizione di diversa entità in pazienti diversi, ed è importante conoscere se è comparsa recentemente o se è di tipo cronico, in modo da poter impostare l’iter diagnostico nel modo più corretto.
Esame obiettivo
La posizione laterale sinistra (di Sims) con i glutei che sporgono un poco al di fuori del bordo del tavolo è favorevole al paziente ed anche al chirurgo (Fig. 4). L’ispezione effettuata con una buona luce deve precedere ogni altro tipo di indagine. I lembi cutanei, le escoriazioni, le cicatrici, ed ogni modificazione del colore o dell’aspetto della pelle nella zona perianale sono facilmente individuate. Un ano pervio può indicare incontinenza ed un possibile prolasso. L’ispezione mentre il paziente è sotto sforzo può aiutare a determinare la presenza di emorroidi o di prolasso rettale, e nelle donne pluripare, una protrusione dell’ano può indicare una sindrome da discesa del peritoneo. Un esame digitale attento e sistematico, con il dito indice ben lubrificato ed inserito delicatamente nel canale anale, aiuta a percepire una massa, un indurimento, un restringimento ed anche i muscoli del pavimento pelvico. Negli uomini deve essere palpata la prostata (Fig. 5) ; nelle donne la parete vaginale posteriore deve essere spinta in avanti per individuare un rettocele.
Dopo che la valutazione preliminare è stata completata, una proctosigmoidoscopia eseguita dopo un clistere di preparazione permette di osservare l’ano-retto in maniera soddisfacente. I segni precoci di una infiammazione mucosa includono la perdita della trama vascolare con eritema, presenza di granulomi, friabilità e presenza di ulcerazioni. Le lesioni macroscopiche come la presenza di polipi o di un carcinoma devono essere immediatamente identificate. Ogni area o massa sospetta deve essere sottoposta a biopsia, dopo il consenso del paziente, in modo che possa essere effettuata una precisa diagnosi istopatologica. Nel ritirare lo strumento, l’area anorettale può essere ben studiata per individuare un prolasso della mucosa, la presenza di emorroidi, di ragadi, di polipi o di altro. L’anoscopio può essere utilizzato per lo stesso motivo, ed inoltre ottimizza la valutazione di lesioni confinate all’ano. Altre indagini comprendono il clisma opaco, la sigmoidoscopia o la colonscopia, e l’esame delle feci, soprattutto qualora si sospetti una diarrea infettiva o da malattie sessualmente trasmesse. Le indagini particolari, come la manometria, la defecografia, e l’elettromiografia possono aiutare nella valutazione dell’incontinenza anorettale, della stitichezza, o di altri disordini del pavimento pelvico. Più recentemente l’ecografia e la risonanza magnetica sono risultate molto promettenti nella valutazione dei processi suppurativi anorettali.
3.1 Generalità
All’interno del canale anale sono presenti dei cuscinetti specializzati altamente vascolarizzati, di discrete dimensioni, costituiti da mucosa compatta che contengono all’interno strutture vascolari, muscolatura liscia e tessuto elastico e connettivo. Tali cuscinetti sono situati nei quadranti laterale sinistro, anteriore destro, e posteriore destro del canale anale [2] per contribuire alla continenza del canale stesso. Per definizione, il termine emorroidi deve essere limitato alla situazione clinica nella quale questi cuscinetti sono di dimensioni anomale e danno luogo ad una sintomatologia.
Emorroide deriva dal greco e significa “flusso di sangue”. Pertanto tale significato tende a mettere in risalto il sintomo più frequente della malattia; a rigore, tuttavia, questo termine non risulta sempre appropriato, in quanto esistono casi di patologia emorroidaria che non presentano segni di sanguinamento.
La definizione semplice di emorroidi è: varicosità del plesso venoso ano-rettale.
Le emorroidi possono essere interne o esterne a seconda della loro posizione in relazione alla linea pettinata. Le emorroidi interne originano dal plesso emorroidario interno, posto al di sopra della linea pettinata, mentre quelle esterne originano dal plesso emorroidario esterno localizzato al di sotto della linea pettinata [2,9].
Si stima che nei paesi industrializzati un’alta percentuale della popolazione al di sopra dei 50 anni soffra, o abbia sofferto, di sintomi legati alla patologia emorroidaria, anche se la reale incidenza è difficilmente documentabile [10,11]. La prevalenza riportata varia ampiamente a seconda degli studi di popolazione e dai metodi di definizione utilizzati [12,13] ed è quantificabile in una forbice che va dal 4,4% nella popolazione adulta in USA al 24,5% nella popolazione britannica, sino addirittura a dati che indicano una prevalenza superiore al 30% nella città di Londra [12,14]. Tuttavia questi dati potrebbero essere sottostimati in quanto gran parte della popolazione affetta risulta restia a rivolgersi al medico [11,24,15]. L’età di presentazione più frequente è fra i 45 ed i 65 anni di età [14]. Il rischio, negli uomini, cresce proporzionalmente all’età fino ai 60 anni, quindi decresce [12]. Nelle donne la patologia si presenta più frequentemente durante la gravidanza [12]; si calcola infatti che una percentuale compresa fra il 13% ed il 30% delle donne manifesti una sintomatologia emorroidaria durante il periodo gestazionale [16].
La storia chirurgica delle emorroidi è antichissima, tuttavia solo recentemente gli studi si sono moltiplicati in relazione all’estrema diffusione della patologia emorroidaria.
Le teorie patogenetiche che si sono succedute nel corso degli anni (varicosità venosa, iperplasia vascolare, scivolamento della parete anale) hanno recentemente subìto una revisione organica unitaria incentrata su alcune strutture presenti all’interno del canale al di sopra della linea dentata: i cuscinetti anali.
Tali strutture, in numero di tre, si trovano in posizione laterale sinistra, anteriore e posteriore destra del canale anale (assimilando quest’ultimo al quadrante di un orologio si troverebbero alle ore 3, alle ore 7 ed alle ore 11) e sono costituite da seni venosi (il plesso venoso emorroidario interno), sostenuti da tessuto connettivo al muscolo liscio, ricoperti da mucosa. Tali strutture, in condizioni fisiologiche, contribuirebbero, con il loro accollamento, alla chiusura del canale anale e quindi alla continenza [1].
La lassità intrinseca del rivestimento del canale con il cedimento del sostegno connettivale,
aggravato da una congestione venosa distrettuale, ne determinerebbe dapprima l’ingrossamento e successivamente lo scivolamento in basso con la protrusione dei cuscinetti emorroidari [17]. Tale processo è favorito da sforzi prolungati fatti durante la defecazione, oppure da fattori che aggravino la congestione venosa, quali una ipertonia dello sfintere interno, un utero gravido o un tumore pelvico [17,18]. Tali cause, unitamente alla familiarità, all’età (prevalentemente III decade) ed al sesso (più colpito quello maschile) ne costituiscono anche le condizioni predisponenti. Esiste inoltre un altro plesso venoso (emorroidario esterno) posto superficialmente al di sotto della linea dentata e che può essere responsabile di una patologia, a carattere complicativo, del tutto autonoma rispetto alla precedente; il più delle volte tuttavia il plesso esterno viene a confluire con i cuscinetti emorroidari interni prolassati in maniera rilevante per il cedimento del sostegno fibroso connettivale che ancora l’anoderma al muscolo sfintere interno (Fig. 6). Vi sono alcuni risultati che suggeriscono come la dilatazione dei vasi e l’aumento del flusso contribuiscano allo sviluppo delle emorroidi piuttosto che esserne una conseguenza [19]. Le emorroidi inoltre possono essere associate a diarrea cronica [20].
I fattori endocrini (recettori estrogenici emorroidari) sono all’origine della comunissima congestione emorroidaria che si osserva durante i cicli mestruali e in gravidanza [21].
Nel caso in cui le emorroidi si sviluppino durante il periodo gestazionale, tendono a manifestarsi più frequentemente nel terzo trimestre [22] e in tale situazione bisognerebbe ricorrere, quando possibile, ad una terapia conservativa per proteggere da rischi il feto e limitare l’approccio chirurgico ai soli casi di terapia non controllabile [9] e comunque sempre quando il feto sia ormai sviluppato. L’approccio più sicuro è senza dubbio l’intervento in anestesia locale [22].
Si è inoltre riscontrato che alcuni soggetti hanno una maggiore pressione anale di base e danno luogo alla formazione di gavoccioli emorroidari, detti “ipertensivi”, che non prolassano ma sanguinano e sono dolenti a causa dell’intrappolamento in un canale anale ipertonico.
Al contrario, altri, di solito donne pluripare, sviluppano più comunemente un prolasso per la presenza di un minor tono anale a riposo [17].
Infine vi sono soggetti che presentano una dissinergia addomino-perineale che provoca una sindrome da evacuazione ostruita (outlet obstruction o dischezia) [23] alla quale conseguono importanti deficit della statica pelvica (cistocele, isterocele, rettocele, perineo discendente) [24]. Si tratta di persone probabilmente dissinergiche sin dall’infanzia che, per compiere la quotidiano funzione evacuativa, esercitano spinte violente e prolungate inducendo una accelerazione dei meccanismi patogenetici sopra citati; questi soggetti danno origine ad una malattia emorroidaria di elevato grado fin dalla giovinezza.
I sintomi della patologia emorroidaria sono essenzialmente due: la rettoragia ed il prolasso. Possono essere presenti anche dolore perianale, fastidio, perdite mucose ed irritazione perianale ( riferita come prurito e spesso causata dalle perdite stesse) [9,11,25,26].
Il sanguinamento è senza dubbio il sintomo più comune [10] ed è il più fastidioso per il paziente. Il sangue è solitamente di colore rosso vivo e privo di coaguli, e può essere notato sia nel “water” (in forma di gocce o “spruzzi”) sia sulla carta igienica.
Un sanguinamento non in concomitanza con la defecazione è inusuale, mentre frequente è un’alternanza di periodi di relativo benessere con periodi di esacerbazione della sintomatologia. Il trauma dovuto al passaggio di feci dure, lo sforzo fatto durante la defecazione, lo strozzamento della componente interna del prolasso vengono comunemente riconosciuti come cause del sanguinamento.
Il prolasso, invece, può essere sempre presente o comparire con la defecazione; talvolta rientra spontaneamente, altre volte necessita di una riduzione manuale.
Le emorroidi sono frequentemente associate a lesioni cutanee che rendono difficile l’igiene perianale [27].
L’ispezione e l’esplorazione rettale consentono di diagnosticare solo le emorroidi più voluminose con prolasso della componente interna, le complicanze o gli esiti di queste e l’ipertono sfinterico.
La diagnosi, nella gran parte dei casi, è strumentale: la rettosigmoidoscopia e l’anoscopia, oltre a consentire di escludere altre patologie, permetteranno di stabilire l’entità del prolasso delle emorroidi interne (proprio su tale criterio è fondata una delle classificazioni) (Tab. 1).
Sono da escludere tutte le possibili cause di sanguinamento, dolore e gonfiore dell’ano: ragade, ulcera solitaria, prolasso, tumore anale.
Le trombosi sia del plesso venoso emorroidario interno sia della sua componente esterna e la tromboflebite emorroidaria esterna costituiscono non infrequenti complicanze della patologia emorroidaria [28].
Il paziente avverte solitamente un dolore che aumenta con la stazione eretta, a causa della reazione infiammatoria locale determinata dall’ingrandimento del trombo stesso.
La trombosi emorroidaria interna, che rimane confinata all’interno del canale anale, si presenta come una tumefazione rosso-bluastra che determina una viva sintomatologia dolorosa che può durare da qualche giorno a 2 settimane, mentre a volte si esaurisce con un’emorragia spontanea.
La trombosi del prolasso emorroidario può essere limitata ad un singolo gavocciolo emorroidario prolassato o coinvolgere più gavoccioli contemporaneamente. I gavoccioli trombizzati si presentano voluminosi, induriti, con aree scure, dolorosi e irriducibili, con edema della cute perianale.
La trombosi emorroidaria esterna si può verificare anche in assenza di emorroidi visibili clinicamente. La trombosi esterna semplice (ematoma perianale) si evidenzia in seguito ad un eccesso alimentare, o dopo uno sforzo di defecazione, o in seguito ad un prolungato periodo in posizione seduta. Si manifesta come una tumefazione bluastra, tesa e dolente, localizzata sul margine anale. La terapia medica ne determina la guarigione in un periodo di 2-3 settimane, con una residua marisca [29].
L’edema perianale è più voluminoso, e può essere costituito da più trombi immersi in un tessuto edematoso. La guarigione è quindi più lunga rispetto a quella dell’ematoma perianale. E’ anche possibile un’evoluzione verso la formazione di una piccola fistola o di un ascesso perianale.
Tali lesioni, se non trattate, regrediscono spontaneamente nel giro di qualche giorno o settimana; di sollievo potranno risultare il riposo clinostatico, le pomate decongestionanti, o con eparinoidi, e antinfiammatori. Se tuttavia il paziente si presenta all’osservazione nella fase di acuzie,vale a dire nelle prime 24-48 ore, lo svuotamento del coagulo nell’ematoma e l’escissione delle emorroidi trombizzate offrono un sollievo immediato [29].
3.5 Trattamento
Cenni storici
La malattia emorroidaria è nota fin dall’antichità e il suo trattamento chirurgico risulta essere stato uno dei primi interventi praticati nella storia della chirurgia [30].
Sin dall’antico Egitto vi sono prove della conoscenza di tale patologia, come descritto sul papiro di Chester Beatty del 1200 a.C. che risale alla XIX-XX dinastia. Nel papiro troviamo la descrizione delle prime tecniche chirurgiche di emorroidectomia che si basavano essenzialmente sull’utilizzazione di unguenti caustici applicati localmente che causavano l’essicazione del gavocciolo emorroidario e la sua successiva caduta.
Nell’antica Grecia anche Ippocrate di Cos (460 a.C.) descrive tecniche di terapia delle emorroidi che andavano dall’applicazione di unguenti a base di grasso d’oca con aggiunta
di tamarisco, argento calcinato, noce di galla e lino fino a tecniche di legature della base del gavocciolo, cauterizzazione ed escissione dell’emorroide tramite strumento tagliente con successiva applicazione di polvere cicatrizzante [30].
Il problema era diffuso anche nell’antica Roma, come scriveva anche il poeta Marco Valerio Marziale :
“La moglie ha le emorroidi, il marito ha le emorroidi, la figlia, il genero, il nipote, hanno le emorroidi e non sono esenti da questa vile malattia l’amministratore, il castaldo, il duro zappatore e l’aratore. Giovani e vecchi, tutti hanno grappoli di emorroidi; cosa davvero strana, solo il podere non dà grappoli”.
Marziale, Epigrammi, VII, 71. 86 - 102 d.C.
La figura più rilevante nell’arte proctologica è senza dubbio quella di Aulo Cornelio Celso (30 d.C.) che nel “De re medica” descrive varie tecniche di emorroidectomia.
Nel Medioevo vengono descritto interventi di emorroidectomia che consistevano nel legare, senza anestesia, il gavocciolo emorroidario comprendendo nel laccio cute e mucosa, e nell’escissione dell’emorroide al di là del nodo. L’intervento era molto doloroso e mal sopportato dai pazienti. Il trattamento chirurgico emorroidario evolve nell’era moderna grazie a Frederick Salmon (1796-1868) il quale proponeva un intervento di emorroidectomia che prevedeva l’estirpazione dell’emorroide a partire dalla giunzione muco-cutanea, nel legarla alla base e tagliarla al di là del nodo. Questa variante rispetto al passato determinava un decorso postoperatorio meno doloroso. Tuttavia provocava facilmente, a causa di aree estese di cruentazione, delle stenosi anali che richedevano successive dilatazioni. Fu Miles (1919) che propose di praticare l’incisione non dalla giunzione muco-cutanea, bensì nella cute anale procedendo verso la giunzione muco cutanea ma non oltre la stessa, praticando rispetto all’intervento di Salmon una legatura bassa.
Fu nel 1937 che i chirurghi Milligan e Morgan descrissero, prendendo spunto dall’intervento di Miles, una tecnica di legatura bassa del gavocciolo emorroidario. L’intervento consiste in un’incisione a V a partire dalla cute perianale e procede con la dissezione della mucosa e del plesso artero-venoso fino alla linea pettinata. Quindi si passa un punto trasfisso alla base del lembo scollato che viene annodato nel laccio ed asportato al di là del nodo. Questa tecnica è ancora oggi la più utilizzata dai Chirurghi Proctologi. Altri proposero tecniche di emorroidectomia tra cui Parks nel 1956, che prevedeva una legatura alta che aveva minor dolore nel postoperatorio, ma aveva un rischio di sanguinamento, anche copioso, e una percentuale di recidive più alto. Altre tecniche da menzionare sono quelle di Whitehead (1882), Mitchell (1903) e Bacon (1947), tutte caratterizzare, però, da maggior recidive rispetto alla tecnica di Milligan e Morgan o di importanti complicanze nel postoperatorio.
Nel 1993 un Chirurgo Italiano, Antonio Longo, ha proposto una nuova tecnica nel trattamento chirurgico delle emorroidi che ha trovato larghi consensi in tutto il mondo [31,32].
L’intervento ideato non è una emorroidectomia ma una emorroidopessi, ovvero la correzione del prolasso mucoso ed emorroidario mediante l’escissione di una banda trasversale di mucosa anale prolassata utilizzando una suturatrice meccanica circolare di 33mm (P.P.H.).
Un’ulteriore tecnica recentemente proposta per il trattamento chirurgico della patologia emorroidaria è la de arterializzazione trans-anale emorroidaria doppler guidata (T.H.D.).
La tecnica consiste nel localizzare, mediante anoscopio dotato di una guida doppler, le branche terminali dell’arteria emorroidaria superiore, che vengono quindi allacciate con punti trasfissi a 2-3 cm dalla linea dentata [33,34].
Trattamento attuale
Pazienti che non presentano rettorragia o prolasso, oppure che hanno sintomi sporadici, non necessitano di alcun trattamento.
La scelta del trattamento dipenderà dalla gravità, e quindi dal grado del prolasso, e dalla frequenza dei sintomi [10].
Gli interventi possono essere di tipo conservativo, ambulatoriale (non escissionale) e chirurgici [9,11].
Le linee guida del trattamento delle emorroidi messe a punto dalla Società Italiana di Chirurgia Colon Rettale prevedono:
Emorroidi di I grado: trattamento conservativo dietetico e farmacologico e solo in casi selezionati, resistenti a terapia medica, si consiglia legatura elastica, scleroterapia o fotocoagulazione.
Emorroidi di II grado: legatura elastica, legatura arteriosa trans-anale eco-guidata HAL e THD, emorroidopessi con stapler, scleroterapia.
Emorroidi di III grado: emorroidopessi con stapler, emorroidectomia, legatura elastica e HAL/THD.
Emorroidi di IV grado: emorroidectomia, emorroidectomia con stapler.
E’ l’approccio utilizzato quando ci si trova in presenza di sintomi minori che non incidono sulla qualità di vita del paziente.
I sintomi legati alle emorroidi possono attenuarsi in seguito ad un miglioramento dell’igiene locale e delle abitudini dietetiche, soprattutto con un aumento dell’introito di fibre, il cui scopo è di rendere più soffici le feci e di regolarizzare l’alvo [10].
Una dieta corretta è il primo passo per tutti i pazienti affetti da emorroidi.
Si sconsiglia l’assunzione dei seguenti cibi e condimenti:
Meglio invece puntare su pasti leggeri con abbondante assunzione di fibre (sotto forma di verdure, frutta e cerali) ed acqua, la cui combinazione concorre a formare feci morbide e facilmente evacuabili. Per quanto riguarda l’acqua è essenziale bere almeno 1.5-2 litri al giorno, in modo da mantenere idratate le feci e facilitarne in tal modo l’espulsione. Per quanto riguarda i cibi consigliati per una dieta volta al controllo di un problema di emorroidi le linee guida americane raccomandano di assumere fra i 20 g ed i 35 g di fibra al giorno.
Sono disponibili poi vari unguenti contenenti anestetici locali, blandi antinfiammatori o steroidi che determinano un controllo ed un beneficio a breve termine del fastidio e dell’irritazione; tuttavia questi non risolvono il problema sottostante ed il loro utilizzo prolungato può provocare eczema e sensibilizzazione dell’epitelio interno e l’assorbimento rettale può determinare effetti sistemici [9].
Le supposte o i clismi, nonostante siano popolari, hanno un’efficacia che non è mai stata analizzata.
Possono anche essere somministrati Flavonoidi che servono per il miglioramento del tono venoso e per la riduzione dell’infiammazione.
Quando i sintomi non rispondono alla terapia conservativa può essere praticata la terapia ambulatoriale (non escissionale).
LEGATURA ELASTICA
La legatura elastica consiste nell’applicare, con apposito strumentario, un anello di gomma elastica che determina la necrosi del tratto di mucosa comprendente un nodulo emorroidario e la contemporanea fissazione della sottomucosa al sottostante piano muscolare (Fig. 7).
L’indicazione per tale metodica è rappresentata dalle emorroidi di 2° grado, sanguinanti, con moderato prolasso mucoso. L’applicazione dell’elastico deve essere tassativamente eseguita al di sopra della linea dentata, nell’area dove c’è insensibilità al dolore.
La tecnica della legatura elastica si effettua senza anestesia ed è indolore, il limite però sta nel fatto che nelle fasi più avanzate della malattia emorroidaria dove il prolasso è più importante non si ottengono risultati significativi ed è quindi poco utilizzata.
Il paziente viene posto in decubito laterale sinistro (posizione di Sims). Si introduce un anoscopio a fessura laterale con illuminazione a luce fredda e si individua, attraverso l’anoscopio, la zona indolore in cui si intende eseguire la legatura. Si introduce lo strumento sulla cui estremità è stato in precedenza applicato l’elastico; successivamente si affronta la testina al gavocciolo, quindi si attiva l’aspiratore così il gavocciolo viene aspirato nello strumento e basta azionare il grilletto per far scivolare l’anello alla base del gavocciolo. Il decorso postoperatorio è libero da dolore, a condizione di una corretta esecuzione dell’intervento. Le complicanze sono rare.
SCLEROTERAPIA
Consiste nell’iniettare farmaci ad azione sclerosante venosa attorno ai plessi emorroidari.
L’indicazione è quella di piccoli gavoccioli sanguinanti di 2° grado.
Il farmaco va rigorosamente iniettato nella sottomucosa contigua ai noduli emorroidari accertandosi con l’aspirazione di non essere entrati con l’ago nel lume venoso.
Le complicanze sono rappresentate dalla caduta di un’escara nella sede dell’iniezione sclerosante che può comportare un’emorragia. Altre complicanze sono la trombosi, il dolore urente, la suppurazione e la batteriemia.
CRIOTERAPIA
Il metodo consiste nel determinare una crionecrosi tissutale della mucosa e dei sottostanti gavoccioli emorroidari mediante azoto liquido o protossido di azoto.
Lo strumento per la crioterapia consiste in una bombola-serbatoio raccordata a una criosonda. Si utilizza un anoscopio a fessura laterale con testina rotante.
E’ opportuno congelare il tessuto 1 cm sopra la linea dentata per evitare il dolore. Il trattamento completo delle emorroidi comporta diverse sedute distanziate di 6-8 giorni.
La crioterapia non viene considerata una tecnica adeguata per la cura delle emorroidi dalle società colonoproctologiche italiane SICCR e SIUCP in quanto non ha dimostrato risultati duraturi.
FOTOCOAGULAZIONE
Un semplice apparecchio, costituito da una lampada a tungsteno, genera radiazioni a infrarosso a cicli di 1,5 secondi. La sonda viene introdotta nel canale anale con l’ausilio di un anoscopio: a contatto con la mucosa si sviluppa una temperatura di circa 100 °C e determina ulcerazioni di 3 mm di diametro e profondità. Queste ulcere, situate all’origine dei peduncoli emorroidari, guariscono in circa 4 settimane con formazione di un tessuto di granulazione che viene così riepitelizzato. Tali cicatrici finiscono per avviluppare i plessi emorroidari ostacolandone l’ulteriore ingrandimento.
La metodica, pur se gravata dal maggior costo di acquisto dell’apparecchio, si rivela semplice ed efficace nei casi di emorroidi di II grado (in particolare se sanguinanti) con minori effetti collaterali e risultati simili (o poco inferiori) a quelli delle altre tecniche ambulatoriali.
Vengono solitamente trattate chirurgicamente le emorroidi di III e IV grado e quelle di secondo che non hanno risposto alla terapia non escissionale [11], che ricordiamo comprende, oltre alle modificazioni dietetiche, anche la terapia farmacologica e le metodiche ambulatoriali.
Le tecniche chirurgiche sono:
I due interventi chirurgici più utilizzati sono l’emorroidectomia aperta secondo Milligan-Morgan e quella chiusa secondo Ferguson.
La Milligan-Morgan è la tecnica più utilizzata nel Regno Unito [35] e consiste nell’afferrare e rovesciare le emorroidi con successiva legatura del peduncolo vascolare. Le brecce vengono lasciate aperte per favorire la granulazione e vengono separati da ponti di pelle e mucosa [36].
E’ un intervento relativamente sicuro ed efficace nel trattamento della malattia emorroidaria avanzata, tuttavia, poiché le brecce vengono lasciate aperte, si ha una guarigione ritardata che causa disagio ed una morbilità prolungata dopo l’intervento [27].
La tecnica di Ferguson è una versione modificata della M.M. nelle quale le incisioni e le legature vengono effettuate nella posizione anatomica delle emorroidi e le brecce chirurgiche vengono chiuse con una sutura continua per favorirne la guarigione. Questa tecnica è utilizzata più frequentemente negli USA [9].
Il Ligasure Vessel Sealing System (Sistema per la sintesi dei vasi) è un sistema emostatico che chiude permanentemente i vasi sanguigni modificando il collagene e l’elastina delle pareti dei vasi (Tyco Healtcare, Gosport, UK) [37]. La tecnologia sfrutta la combinazione di energia pulsata a radiofrequenza insieme ad un sistema meccanico di applicazione di pressione sui tessuti target attraverso le morse dello strumento, permettendo così di fondere l’elastina ed il collagene presenti nel tessuto creando una sintesi permanente. Il chirurgo conseguentemente può eseguire una transezione attraverso la zona di sintesi.
Il LigaSure viene applicato sulle emorroidi prima che la coagulazione del tessuto sia completa; le emorroidi vengono quindi escisse lungo la linea di coagulazione che si è formata sul tessuto [38].
Questa metodica differisce quindi dalle tecniche aperte in quanto la parete dei vasi viene “sigillata”, ma anche dalle tecniche chiuse poiché non vengono utilizzate suture per la chiusura delle pareti vascolari.
L’intervento di legatura dell’arteria emorroidaria [Haemorrhoidal artery ligation operation (HALO)/ Transanal haemorrhoidal dearterialisation (THD)] è una nuova tecnica chirurgica nella quale viene utilizzato il Doppler per localizzare l’arteria al di sotto del prolasso emorroidario cui segue il posizionamento di una sutura intorno all’arteria interrompendo così l’afflusso di sangue alle emorroidi [39,40].
Tutte le tecniche utilizzate per l’emorroidectomia, definite dalla collettività come emorroidectomie convenzionali (CH), sono soggette ad adattamenti che si traducono in un ampia variabilità nel trattamento chirurgico delle emorroidi nei diversi paesi, strutture e perfino fra chirurghi che operano nella stessa struttura.
All’emorroidectomia convenzionale sono associate una serie di complicanze postoperatorie. Complicanze a breve termine includono la ritenzione urinaria [9,36], il sanguinamento [9,36,41,42,43] e l’infezione (sepsi) perianale [9].
Le complicanze a lungo termine includono le ragadi [41], stenosi anale [36,41,42,44,45], incontinenza [9,36], fistole, trombosi delle emorroidi esterne [41] e persistere di sintomatologia emorroidaria [46,48].
METODI APERTI
Emorroidectomia secondo Milligan-Morgan
Si infiltrano il sottocute e la sottomucosa in corrispondenza di ciascuno dei gavoccioli con 1-2 cc di soluzione di Adrenalina 1:200000. Sull’apice cutaneo di ciascun nodulo emorroidario viene applicata una pinza di Pean o di Kocher che, trazionata radialmente all’esterno, lo estrinseca completamente (Fig. 8-1)
In tal modo la mucosa rettale di colorito roseo appare medialmente alla mucosa emorroidaria, che invece si distingue per il suo caratteristico colore rosso purpureo; all’apice dei gavoccioli esteriorizzati per effetto della trazione, si rileva una plica mucosa longitudinale che ne rappresenta il peduncolo vascolare.
Una seconda pinza di Kocher viene applicata sul gavocciolo, in corrispondenza della linea dentata (Fig. 9). Quando tutti e tre i gavoccioli emorroidari principali sono stati estrinsecati, trazionando all’esterno le sei pinze da presa dei peduncoli, si delineano tre plicature trasversali di mucosa rettale (rosea) sottese tra una Kocher e l’altra (Fig. 8-2); esse delimitano un triangolo noto come “triangolo di esposizione, il cui riscontro è importante perché conferma la buona e completa esteriorizzazione delle emorroidi.
Le pinze che hanno repertato il nodulo emorroidario al suo apice vengono ora trazionate medialmente così da esporre il versante esterno o cutaneo. La manovra è facilitata introducendo l’indice della mano sinistra nell’ano e dislocando la parete del canale anale all’esterno verso le forbici (Fig. 10).
Si pratica sulla cute un’incisione a “V”, aperta verso l’orifizio anale, separando per via smussa il gavocciolo dallo sfintere interno mediante sezione del legamento sospensore di Parks. La dissezione è prolungata verso l’alto, separando il gavocciolo dallo sfintere interno per circa 10-15 mm (Fig. 8-3; Fig. 10).
Incisione e scollamento vengono di solito eseguiti con le forbici. L’uso dell’elettrocoagulatore, paventato inizialmente per il timore che le escare acuissero il dolore postoperatorio, è preferito da molti chirurghi perché rende il campo operatorio più esangue; vi è poi chi utilizza la pinza bipolare per elettrocoagulare i vasi emorroidari all’apice del peduncolo, senza ricorrere a legature. L’impiego per la dissezione del laser (CO2), suggerito per ottenere una migliore emostasi e garantire una riduzione degli stimoli algici, attraverso il minor edema delle ferite, non ha in realtà offerto alcun miglioramento significativo.
La mucosa all’apice del gavocciolo viene incisa sui due lati radialmente all’ano per ridurre il volume del colletto lì dove andrà a cadere la legatura. Successivamente il peduncolo viene legato per trasmissione con filo a lento riassorbimento (0 o 1), passando l’ago a monte della Kocher prossimale a livello della mucosa rettale, legando sul versante esterno e poi su quello interno (Fig. 8-4; Fig. 8-5).
Infine il gavocciolo viene reciso a valle della legatura avendo cura di lasciare un moncone di sezione lungo, a valle del nodo, per evitare lo scivolamento del laccio.
L’intervento inizia abitualmente con la dissezione del peduncolo a ore 3 (se il chirurgo è destrimane); si passa poi ai gavoccioli a ore 7 e 11. Per preservare ponti cutaneo-mucosi di larghezza sufficiente, così da evitare stenosi, può essere utile repertarli separando a priori i tre gavoccioli con pinze di Chaput o di Allis.
Alla fine resteranno tre ferite ellittiche orientate radialmente, con ampi ponti cutaneo-mucosi interposti (Fig. 11).
Se il ponte, dopo il “peeling” delle vene sottostanti, risulta floscio e debordante, può essere ancorato con uno o due punti 3-0 che ne fissino i margini allo sfintere sottostante; in alternativa esso può essere resecato e risuturato (la manovra è facilitata applicando trasversalmente a livello della giunzione muco-cutanea del ponte una pinza di Bengolea, che la mette in tensione).
Qualora le vene residue (in particolare in sede mediana – posteriore) siano troppo voluminose, è più conveniente ricorrere a una plastica del ponte:
Il timore di deiscenze, in considerazione di un ambiente potenzialmente settico, suggerisce di limitare la plastica a uno o al massimo a due dei tre ponti.
A intervento ultimato si verifica accuratamente l’emostasi. Si pone un tampone emostatico endoanale e, dopo disinfezione, le ferite cutanee vengono ricoperte con garze emostatiche e medicate a piatto. A scopo antalgico può essere utile l’infiltrazione con un anestetico locale a lunga durata (bupivacaina, ropivacaina), effettuata in modo tale che raggiunga anche le sottostanti fibre sfinteriche, o con un FANS.
La variente di Arnous: l’anoplastica posteriore
E’ la variante impiegata all’Hospital L. Bellan di Parigi: viene utilizzata in presenza di un quarto nodulo emorroidario posteriore a ore 6 e rende possibile l’effettuazione dell’intervento di Milligan-Morgan, così modificato, anche in presenza di emorroidi circonferenziali affioranti a 360°.
METODI CHIUSI
Emorroidectomia radicale secondo Whitehead
Si tratta del metodo più radicale, che si prefigge di asportare, insieme ad un cilindro di mucosa rettale distale, tutto il plesso emorroidario patologico. La metodica trova dunque indicazione soprattutto in quei casi di lesioni emorroidarie molto estese, coinvolgenti a 360° l’intera circonferenza anale, specie se accompagnate da prolasso della mucosa.
Essa viene attualmente adottata molto di rado per le sequele cui può dar luogo, quali la stenosi e l’ectropion della mucosa anale.
Emorroidectomia chiusa secondo Ferguson
Ideata nel 1959, è ancora l’intervento più popolare negli Stati Uniti ed è l’ideale per una cura chirurgica in “day-surgery”.
In linea teorica, il pregio delle emorroidectomie chiuse sta nel fatto che dovrebbero garantire al paziente un modesto disagio nelle medicazioni postoperatorie, una guarigione più rapida, un minor rischio di complicanze (tra cui la stenosi) e soprattutto un decorso postoperatorio meno doloroso. Gli studi comparativi non sono peraltro riusciti a dimostrare un sicuro e consistente vantaggio sulle tecniche aperte né in termini di morbilità né tantomeno di dolore postoperatorio; in più è esperienza comune che molte emorroidectomie chiuse vengano dopo alcuni giorni a trasformarsi in aperte per il cedimento della sutura dovuta alla sepsi. D’altra parte un indubbio pregio dell’emorroidectomia chiusa, soprattutto se realizzata in “day-surgery”, è quello di prevenire molto più efficientemente i rischi di una complicanza emorragica precoce.
Il paziente va posto sul lettino operatorio in decubito prono a V con cuscino sotto la pelvi.
EMORROIDOPESSIA CON STAPLER (Tecnica di Longo)
A partire dagli anni ’70 alcuni studi sulla patogenesi della malattia emorroidaria hanno dimostrato che le emorroidi sono dovute non tanto all’iperplasia venosa, quanto alla frammentazione del tessuto muscolare e connettivo di sostegno che causa il prolasso della mucosa ano-rettale e del sottostante plesso mucoso.
Tale prolasso determina un difficoltoso ritorno venoso che è la causa predisponente dell’edema e della trombosi. Prendendo spunto da queste acquisizioni fisiopatologiche, è stato proposto nel 1993 l’intervento di correzione del prolasso mucoso-emorroidario mediante suturatrice meccanica: esso non si prefigge di eliminare la componente venosa sottomucosa, ma cerca di ripristinare con un’anopessia (“lifting”) il corretto rapporto topografico tra mucosa ano-rettale, plesso emorroidario, anoderma e apparato sfinteriale, riducendo così la congestione venosa.
Con la resezione di una banda circonferenziale di mucosa ano-rettale prolassata, si realizza anche l’interruzione dei rami terminali dell’arteria emorroidaria superiore: in questo modo si ottiene contemporaneamente la correzione della sintomatologia emorragica, dovuta per lo più ad un iperafflusso arterioso negli spazi sub epiteliali. Con il trascorrere del tempo, inoltre, la componente emorroidaria esterna dovrebbe ridursi fino all’atrofia, sia per la progressiva diminuzione dell’apporto arterioso che per il concomitante miglioramento dello scarico venoso.
L’emorroidopessi mediante stapler è una tecnica alternativa all’emorroidectomia convenzionale introdotta da Longo nel 1998 [32].
La tecnica originale prevede lo “stapling” della mucosa superiormente alla linea dentata lasciando le emorroidi nella loro posizione originale (anatomica), permettendo che il tessuto emorroidario si raggrinzisca con il passare del tempo. La mucosa emorroidaria residua è tuttavia soggetta a trombosi ed infezione; possono quindi ricorrere dolore, sanguinamento e fastidio [49].
Di conseguenza la tecnica è stata modificata in modo da riposizionare il tessuto emorroidario e di scindere il prolasso in eccesso [49].
Vari termini sono sinonimi per indicare l’emorroidopessi con stapler (SH) fra i quali: procedura per il prolasso ed emorroidi (procedure for prolapse and haemorrhoids –PPH), mucosectomia con stapler, prolassectomia con stapler ed emorroidectomia con stapler.
Durante la SH una suturatrice stapler (Fig. 11) viene posizionata nel canale anale, che contemporaneamente incide e asporta il prolasso, creando poi un’anastomosi sottomucosa ed una breccia chiusa nella parte alta dell’ano-retto [11]. L’inserimento del divulsore anale (Fig. 12-a) riduce il prolasso della cute e di parte della mucosa anale; la mucosa prolassata si pone nel lume del dilatatore quando viene rimosso l’otturatore. Poiché il dilatatore è trasparente la linea pettinata è ben visibile [50].
Una sutura a borsa di tabacco viene posizionata a 4-6 cm dal margine anale, prossimamente alla linea pettinata (Fig. 12-b) [35]. La sutura ed il suo corretto posizionamento sono pensati per controllare il volume del tessuto che va tra gli anelli della suturatrice. Un posizionamento errato della sutura può portare problemi come un’incompleta escissione di tessuto sovrabbondante e l’inclusione del grasso perirettale. Una stapler troppo chiusa sulla linea pettinata può determinare dolore ed aumentare il rischio di stenosi del canale [51].
Quando la suturatrice è posizionata, lo stapler circolare viene posizionato nel canale anale e viene aperto al massimo così che la testina venga posizionata prossimamente alla sutura (Fig. 12-c). LA sutura viene quindi legata con un nodo di chiusura ed i capi fatti passare attraverso i fori laterali della suturatrice (Fig. 12-d). Viene legata esternamente con un nodo o con una clamp e quindi stretta sul manico. L’intero strumento viene quindi inserito nel canale anale e si esercita una moderata trazione sulla borsa di tabacco in modo che la mucosa prolassata si posizioni nell’intelaiatura dello stapler (Fig. 12-e). Lo strumento viene quindi chiuso ed il tessuto prolassato viene “staplerato”. Al momento della chiusura dello strumento viene rilasciata una doppia fila di clips in titanio ed una lama posta nella testina asporta l’eccesso di mucosa rettale [35]. La suturatrice viene chiusa per circa 20 secondi per favorire l’emostasi. La linea di anastomosi deve essere controllata ed in caso di sanguinamento deve essere posizionata una sutura in materiale riassorbibile lungo la linea di sutura (Fig. 13).
La maggior parte delle clips utilizzate per confezionare l’anastomosi cadono dopo poche settimane, mentre alcune vengono trattenute ed incorporate nel tessuto cicatriziale solitamente senza reazioni avverse.
La procedura è descritta per intero ed illustrata da Corman e colleghi (2003) [52].
Un vantaggio della SH è quello di non creare ferite all’ano, inoltre l’emorroidopessi con stapler mira alla resezione della sola mucosa rettale. Tuttavia alcuni studi riportano la presenza di muscolatura striata, plesso mio enterico, muscolatura liscia [53,54] ed epitelio squamoso all’interno del tessuto asportato. Questo si pensa essere dovuto al posizionamento della borsa di tabacco troppo in basso o troppo in profondità, e che possa ridursi con l’acquisizione di esperienza nell’esecuzione dell’intervento [54].
Si raccomanda di non utilizzare lo stapler quando lo spessore del tessuto è minore di 1 mm e maggiore di 2,5 mm, perché ne conseguirebbe un’inadeguata riparazione della mucosa ed una inadeguata emostasi. Inoltre il diametro del canale anale deve essere sufficiente per l’introduzione della suturatrice e degli altri strumenti, precludendo in questo modo l’utilizzo di questa tecnica in caso di stenosi rettale.
Alla SH sono associate una serie di complicanze. Molte sono in comune con la CH: ritenzione urinaria [9,55], sanguinamento [9,51,55,56], infezione perianale [55,56], ulcere anali, incontinenza [16,], fistole, trombosi delle emorroidi esterne [41,55] e persistere della malattia emorroidaria.
C’è inoltre il rischio di un danno sfinteriale [41,55], stenosi dell’anastomosi (equivalente della stenosi anale che si verifica nella CH) [41,55,57], occlusione rettale [58], proctite [59] ed ematoma perineale [60]. Si pensa che la SH sia più comunemente associata ad infezione pelvica/perineale [9,55,56,61-65], perforazione rettale [66,67] e fistola retto-vaginale [55,56], mentre risulta ridotta la frequenza dell’incontinenza[55].
La riduzione del grado di dolore postoperatorio potrebbe essere ragionevolmente il motivo per il quale la SH è la tecnica più comune in Europa [68].
DEARTERIALIZZAZIONE EMORROIDARIA TRANSANALE (THD)
Il kit per l’esecuzione del metodo THD è formato da un anoscopio fenestrato a 5 cm dal margine anale, auto-illuminabile, alla cui finestra si affaccia una sonda doppler per il rilievo dei rami dell’arteria emorroidaria superiore e sul cui fondo un perno, dove si introduce la testa del porta-aghi, dirige la fuoriuscita dell’ago dalla finestra, in modo da abbracciare il ramo dell’arteria emorroidaria superiore rilevato dal doppler in maniera standardizzata. Sono presenti inoltre uno spinginodo, nel caso le dita del chirurgo non riuscissero a stringere il nodo fino in fondo; sei fili di sutura a lento riassobimento, intrecciati, con ago studiato per ruotare comodamente e in sicurezza nell’anoscopio; un porta-aghi, con indicato il punto di inserimento dell’ago, fatto per poter ruotare comodamente nel perno dell’anoscopio; un divaricatore anale “surgy”, auto-illuminabile, che quando introdotto nell’ano, con un “effetto tenda”, espone bene la porzione di canale anale da trattare con la pessia del prolasso muco-emorroidario; un tampone emostatico anale da introdurre nel canale anale alla fine dell’intervento.
La tecnica chirurgica consiste nel rilevare mediante la sonda doppler, dopo aver introdotto nel canale anale l’anoscopio fenestrato, i rami dell’arteria emorroidaria superiore, che vengono legati dopo aver passato una doppia ansa di filo. A questo punto si estrae l’anoscopio fenestrato e si introduce il “surgy”, esponendo la porzione di canale anale a valle della legatura effettuata e, utilizzando lo stesso filo, si procede a sopraggitto muco-sottomucoso, comprendendo nelle anse la mucosa prolassata. Si consiglia un’ampiezza dell’ansa di un centimetro e una successione di anse distanti mezzo centimetro fra loro, fino ad arrivare al peduncolo del cuscinetto prolassato, nei punti in cui sono presenti i cuscinetti, o a due centimetri dalla linea dentata, nei punti in cui è presente solo prolasso mucoso.
Ripetendo questo procedimento per i sei rami dell’arteria emorroidaria superiore (alle ore 1-3-5-7-9-11), otteniamo non solo la decongestione e la cessazione del sanguinamento dei cuscinetti emorroidali, ma riduciamo anche il prolasso muco-emorroidario, riposizionando i cuscinetti emorroidali nella loro sede naturale.
Fonte: http://padis.uniroma1.it/bitstream/10805/1902/1/TESI%20x%20Giovanni.doc
Sito web da visitare: http://padis.uniroma1.it/
Autore del testo: G.Leonetti
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