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Ferite e Tumefazioni
Ferita
Nella pratica capita spesso di dover descrivere soluzioni di continuo e tumefazioni. Vediamo quali sono le cose da ricordare in questi casi.
Una soluzione di continuoè una qualunque interruzione della continuità anatomica di una struttura del corpo, con o senza perdita di sostanza, e può essere provocata da agenti fisici (traumi, ustioni, elettricità, radiazioni), da agenti chimici (ad esempio caustici), da ipossia o distrofia (gangrena, necrosi), da neoplasie o infezioni e così via. I traumi con trasmissione diretta o indiretta di energia cinetica alla sede di lesione provocano soluzioni di continuo che vengono dette ferite. Se la ferita non è recente, ma tende comunque a guarire, si parla di piaga. L’ulcera invece è una soluzione di continuo che non tende a guarire da sola per il permanere delle cause che l’hanno provocata. La fistola è una soluzione di continuo che collega un organo cavo con l’esterno o due organi cavi tra di loro (la fistola può essere “a fondo cieco” se uno dei due orifizi è obliterato). Con escoriazione si intende una ferita superficiale che interessa solo lo strato epidermico della cute, mentre con lacerazione si intende una soluzione di continuo a margini irregolari provocata da pestamento o infossamento e strisciamento del tessuto con diastasi dei margini della ferita. Le ferite si dicono lacerocontuse quando sono provocate da una contusione, ovvero, oltra al pestamento e allo strisciamento anche da una violenta trasmissione diretta di energia cinetica (ovvero, una botta!). Con ecchimosi si intendono i comuni lividi, ovvero una fuoriuscita di sangue da vasi danneggiati. Con ematoma si intende invece una raccolta vera e propria di sangue in una cavità neoformata.
Le soluzioni di continuo vanno esaminate mediante ispezione, palpazione, auscultazione (soffi vascolari), eventuale specillazione chirurgica e/o prelievo bioptico. Di esse bisogna descrivere: la SEDE (topografia della lesione), la FORMA (preferibilmente comparandola a un oggetto noto), i MARGINI (rilevati, netti, trofismo, diastasi, ecc…), il FONDO (presenza di secrezioni e nodularità, a fondo cieco, ecc…), la PROFONDITA’ (superficiale o profonda), l’ORIENTAMENTO, il TRAGITTO (orifizio esterno, orientamento), i TESSUTI CIRCOSTANTI. E’ necessario indicare anche se sono presenti ematomi pulsanti, segni periferici di ischemia, fuoriuscita di visceri, secrezioni o aria, se c’è stata perdita di sostanza, se la ferita sanguina (sanguinamento spontaneo, provocato, arterioso o venoso, ecc), se è dolorabile spontaneamente o alla provocazione.
Le ferite si possono distinguere in semplici (ovvero da taglio / da punta / lacere / contuse) e complesse (caratterizzate dai 4 tipi di ferita semplice variamente combinate insieme, ovvero da arma bianca / da arma da fuoco / da schiacciamento / da scoppio). Le ferite da taglio senza perdita di sostanza possono essere lineari o a lembo. Quelle con perdita di sostanza tangenziali o a tutto spessore.
Le tumefazionisono invece degli aumenti di volume, diffusi o circoscritti, di una struttura organica e quindi in senso stretto le neoformazioni che si apprezzano per tali aumenti di volume. Con tumore invece si indica comunemente una neoplasia, anche se letteralmente il termine significa più genericamente “gonfiore”, similmente a tumefazione.
L’esame e la descrizione delle tumefazioni è simile a quella delle ferite: bisogna descriverne SEDE, FORMA, MARGINI (regolare, irregolari, netti o sfumati, ecc…), DIMENSIONI, CUTE SOPRASTANTE (eritematosa, edematosa, ulcerata, ecc…), CONSISTENZA (molle, dura, elastica), MOBILITA’ SUI PIANI SOTTOSTANTI. Eventualmente bisogna indicare se è presento o meno una pulsatilità trasmessa.
Linfadenite sottoangolomandibolare (fonte: www.med.unipi.it)
Esempio tipico sono le frequentissime tumefazioni a carico dei linfonodi, la cui descrizione è fondamentale per riconoscere segni di allarme (malignità). Linfonodi tumefatti bilateralmente, dolenti e dolorabili, con cute soprastante eritematosa e calda, mobili sui piani sottostanti, di consistenza molle o elastica, fanno pensare a una forma reattiva a un’infezione. Se i linfonodi sono invece non dolenti, fissi, duri, monolaterali, è necessario indagarli per escludere una forma tumorale.
Per approfondire l’argomento vi consiglio di scaricare le diapositive di semeiotica chirurgica dedicate all’argomento prodotte dal dipartimento di Chirurgia Generale e d’Urgenza dell’Univeristà di Pisa, a questo indirizzo:
Coilonichia
Come noto, le anomalie delle unghie di mani e piedi possono essere segno di malattia sistemica. Abbiamo già visto l’ippocratismo digitale, oggi ci occuperemo invece della coilonichia (ringrazio G. per lo spunto e per le foto!).
Coilonichia (fonte: Blog di M. Rishaan Shareef)
Si parla di coilonichia o “unghie a cucchiaio” quando le unghie perdono la loro morfologia normale presentando una concavità longitudinale e trasversale, che le fa assomigliare ad un cucchiaino. Le unghie possono diventare anche più sottili e fragili e cambiare colore.
Tale anomalia può essere rilevata frequentemente nei bambini sani, in cui si corregge da sola nel giro di qualche anno. negli adulti può essere provocata da traumi, dall’esposizione a solventi a base di petrolio o dall’eccessivo utilizzo di saponi e 0lii.
La causa più frequente è la carenza di ferro, associata o meno ad anemia: una volta identificata la sideropenia e intrapresa la terapia marziale la coilonichia tende a risolversi, anche se molto lentamente. Tale anomalia è stata riscontrata anche nei pazienti con emocromatosi (curiosamente!), lupus eritematoso sistemico, fenomeno di Raynaud, patologie tiroidee e renali, amminoacidopatie o diabete mellito.
Una volta diagnosticata la coilonichia, se il paziente risulta per il resto in buona salute è necessario escludere una sideropenia valutandone l’emocromo e l’assetto marziale (globuli rossi, MCV, reticolociti, ferritina, transferrina e così via).
La coilonichia fa anche parte della cosiddetta sindrome unghie-patella: si tratta di una condizione autosomica dominante caratterizzata da proteinuria, patelle ipoplasiche e facilmente dislocabili, altre anormalità scheletriche, glaucoma.
ecco un caso
Coilonichia
Coilonichia
Vi consiglio un articolo free e un articolo di un blog che fanno una bella panoramica di tutte le più comuni anomalie ungueali:
Chvostek e trouseeau
Il SEGNO DI CHVOSTEK è stato descritto per la prima volta nel 1876 dall’austriaco František Chvostek e consiste in una contrazione dei muscoli innervati dal nervo faciale in risposta a una stimolazione a livello della guancia. Esistono diverse descrizioni di questo fenomeno. Quella che preferisco è la seguente:
Segno di Chvostek A) tipo I, B) tipo II (tratta da Signs of Hypocalcemia: Chvostek’s and Trousseau’s Signs, Urbano FL, 2000)
- Fenomeno di Chvostek di tipo I: il più noto, che si provoca percuotendo con un dito o col martelletto un punto che si trova sulla linea passante per l’angolo della mandibola e che è 2 cm davanti al lobo dell’orecchio e 0,5-1 cm sotto al processo zigomatico dell’osso temporale. Il segno è positivo quando i muscoli ipsilaterali del volto innervati dal faciale (compresi i muscoli circumorali e l’orbicolare dell’occhio) si contraggono (tutti o alcuni). La risposta tipica è lo stiramento laterale dell’angolo della bocca e della pinna nasale omolaterale.
- Fenomeno di Chvostek di tipo II: meno noto, che si provoca percuotendo un punto tra il terzo medio e il terzo superiore della linea che congiunge la prominenza zigomatica con l’angolo della bocca (Punto di Chvosteck). In questo caso si osserva la contrazione dei soli muscoli dell’angolo della bocca e della radice del naso.
- Fenomeno di Chvostek di tipo III: alcuni chiamano così il segno di Chvostek quando si ottiene la sola contrazione dei muscoli dell’angolo della bocca e di qualche fascio muscolare del naso e della fronte.
Il SEGNO DI TROUSSEAU, descritto dal francese Armand Trousseau (lo stesso della sindrome di Trousseau: tromboflebite causata da neoplasie viscerali quali il carcinoma del pancreas), si evidenzia gonfiando il bracciale dello sfigmomanometro e tenendolo gonfio per alcuni minuti interrompendo l’afflusso di sangue al braccio. Il segno è positivo quando si flettono polso e articolazioni metacarpofalangee, si estendono le dita e si flette il police sul palmo della mano (mano da ostetrico, spasmo carpopedale).
Entrambi i segni sono persenti in caso di ipocalcemia latente (tetania), ma anche nell’ipomagnesemia, nei soggetti con diarrea, difterite, morbillo, tetano, mixedema. L’ipocalcemia, in particolare, provoca un aumento dell’eccitabilità dei nervi del braccio e avambraccio e, nel caso del Trousseau, tale situazione è esacerbata dall’ischemia prodotta dallo sfigmomanometro.
Aggiungo che il segno di Trousseau è molto più sensibile e specifico per l’ipocalcemia rispetto al Chvostek, che, talvolta, può essere positivo anche nel sano perchè forse indica semplicemente un’irritabilità neuromuscolare.
Le cause più frequenti di ipocalcemia sono ipoparatiroidismo, pseudoipoparatiroidismo, ipovitaminosi D, insufficienza renale cronica, rabdomiolisi, pancreatite.
I Riflessi Spinali
Un riflesso è il risultato motorio di una risposta del sistema nervoso ad uno stimolo sensitivo periferico. Lo stimolo afferente raggiunge il midollo spinale, senza perciò giungere alla coscienza, e la risposta allo stimolo viaggia verso la periferia e produce un movimento stereotipato di un segmento corporeo. Tuttavia i riflessi sono modulati anche da centri soprasegmentari, cioè da altre regioni del sistema nervoso, compresa la corteccia.
L’evocazione dei riflessi è uno strumento molto utile nell’ambito dell’esame neurologico, in quanto la presenza di un riflesso permette di stabilire l’integrità di tutto il circuito nervoso di pertinenza. La qualità e l’intensità della risposta permettono inoltre di ipotizzare lesioni del sistema nervoso centrale o periferico.
Dal punto di vista neurofisiologico, l’arco riflesso inizia con uno stimolo sensitivo, che agisce sul tendine muscolare, sull’osso, oppure sulla cute o sulle mucose. Questo stimolo causa, direttamente o meno, un allungamento del muscolo; questo è registrato dai recettori presenti nei fusi neuromuscolari i quali, tramite fibre afferenti, portano il segnale al motoneurone del midollo spinale, dal quale parte un impulso efferente che viaggia nel nervo motorio e causa la contrazione del muscolo corrispondente.
Il riflesso più semplice è quello spinale, detto anche miotatico ( dal greco μῦς “muscolo” e τείνω “tendere”): esso è monosinaptico in quanto la fibra sensitiva del fuso neuromuscolare fa sinapsi direttamente sul motoneurone alfa nel midollo spinale. Altri riflessi coinvolgono più stazioni sinaptiche.
I riflessi più importanti in clinica si dividono in riflessi profondi (impropriamente detti osteo-tendinei) e riflessi superficiali. I riflessi possono essere fisiologici o patologici: quelli fisiologici sono fondamentali per regolare la contrazione muscolare durante la normale attività.
TECNICA GENERALE DELL’ESAME DEI RIFLESSI
Due elementi sono fondamentali perché l’esame dei riflessi sia attendibile: il martelletto deve essere di discreta qualità (se troppo leggero non causa un allungamento sufficiente del muscolo), ed il paziente deve essere il più possibile rilassato, a proprio agio, sdraiato o seduto. La posizione migliore è a metà del range di movimento del muscolo (arti in semi-flessione). Qualora un riflesso sia difficilmente evocabile, si può ricorrere a manovre di sensibilizzazione: per i riflessi degli arti inferiori si usa la manovra di Jendrassik (il paziente è invitato ad intrecciare tra loro le dita delle mani e a tirare con forza come per slacciarle), per gli arti superiori si può fare digrignare i denti.
Un riflesso è in genere classificato come: ASSENTE (areflessia) / TORPIDO (evocabile con difficoltà e/o con manovre di sensibilizzazione: iporeflessia) / NORMOEVOCABILE / VIVACE (non necessariamente patologico, normale specie nel giovane e nel soggetto ansioso) / SCATTANTE (a latenza molto breve, accentuato, può essere patologico) / POLICINETICO (il movimento è ripetuto più volte e l’eccitabilità è molto aumentata; si può accompagnare a clono ed all’estensione dell’area reflessogena). Fondamentale è la simmetria o l’asimmetria del riflesso, pertanto si deve sempre elicitare un riflesso ed il controlaterale, osservando che gli arti siano disposti in maniera simmetrica.
- Riflesso BICIPITALE, che interessa le radici C5-C6 (n. muscolocutaneo). Si elicita ponendo un dito dell’esaminatore nell’incavo del gomito del paziente, con il braccio in semi-flessione e sostenuto dall’esaminatore. Il martelletto percuote il dito (e quindi il tendine del muscolo bicipite) e in risposta si osservano una flessione ed una lieve supinazione dell’avambraccio.
- Riflesso TRICIPITALE, che interessa le radici C7-C8 (n. radiale). Si elicita percuotendo il tendine del tricipite subito sopra il gomito (subito sopra all’olecrano), ad arto semiflesso, mentre la mano sinistra dell’esaminatore sostiene il polso. Si osserva un’estensione e una pronazione dell’avambraccio. Il riflesso tricipitale dell’avambraccio, che si osserva per lesioni mielo-radicolari a livello di C7-C8, consiste in una flessione dell’avambraccio.
- Riflesso STILO RADIALE o SUPINATORE o RADIO FLESSORE, che interessa le radici C5-C6 (n. radiale). Si elicita percuotendo delicatamente il polso all’altezza del processo stiloideo del radio, con l’avambraccio semi-pronato e semi-flesso. Il risultato è la supinazione del polso e la flessione dell’avambraccio per contrazione del muscolo lungo supinatore.
- Riflesso STILO CUBITALE o CUBITO PRONATORE, che interessa le radici C8/T1 (n. mediano). Si elicita percuotendo l’apofisi stiloidea dell’ulna, mantenendo l’avambraccio semi-pronato e semi-flesso, ottenendo una lieve pronazione di mano e avambraccio per contrazione del muscolo pronatore rotondo.
A) R. Bicipitale; B) R. Tricipitale; C) R. Stiloradiale; D) R. Stilocubitale (immagini tratte da: http://digilander.libero.it/dante.clerici)
RIFLESSI FISIOLOGICI – RIFLESSI PROFONDI – ARTO INFERIORE
- il riflesso PATELLARE o ROTULEO, che interessa le radici L3-L4 (n. femorale). Si elicita percuotendo il tendine patellare, subito sotto il ginocchio (subito al di sotto della rotula); questo causa l’estensione della gamba per contrazione del muscolo quadricipite. Il riflesso è ottenibile a paziente seduto con le gambe penzoloni, oppure supino. In quest’ultimo caso l’esaminatore pone il proprio avambraccio sotto il ginocchio del paziente, in modo da flettere lievemente la gamba, con la mano appoggiata sulla coscia dell’altro arto inferiore. Sostenendo il ginocchio in lieve flessione percuote il tendine. Se c’è estensione dell’area reflessogena, il riflesso può essere evocato percuotendo sopra la patella (direttamente o con l’interposizione di un dito). Un riflesso esagerato può accompagnarsi a clono patellare.
- il riflesso ACHILLEO, che interessa la radice S1 (n. ischiatico). Si elicita percuotendo il tendine di Achille. La risposta consiste nella flessione plantare del piede. Se il paziente è supino, si tiene il tallone appoggiato al letto, mentre con la mano sinistra l’esaminatore tiene la punta del piede e lo flette leggermente in senso dorsale per sensibilizzare la risposta; se invece il paziente è in ginocchio sul letto, si mantiene il piede in sospensione ad angolo retto. Questo riflesso è il più difficile da ottenere, perché se la flessione dorsale è troppo scarsa o troppo pronunciata, il riflesso non si evoca. Un sostituto ai fini clinici è la percussione della pianta del piede. Il riflesso achilleo può essere assente negli anziani sani.
E) R. Patellare; F) R. Achilleo (immagini tratte da: http://digilander.libero.it/dante.clerici)
RIFLESSI FISIOLOGICI – RIFLESSI SUPERFICIALI
Questi riflessi sono provocati dalla stimolazione di recettori mucosi o cutanei. I più importanti sono:
- I riflessi ADDOMIALI superiore ed inferiore. Si elicitano per strisciamento di una punta smussa, dall’esterno verso la linea mediana nei quattro quadranti addominali (ponendo l’ombelico al centro). Si evoca in tal modo una contrazione della parete addominale con spostamento dell’ombelico dallo stesso lato. Le radici interessate sono T7-T10 (nn. Intercostali) per il r. addominale superiore, e T10-L2 (nn. Intercostali, ileo ipogastrico, ileo inguinale) per il r. addominale inferiore. Possono essere torpidi o assenti nelle persone obese, defedate, in gravidanza, o a seguito di interventi chirurgici. Negli altri casi, una a/iporeflessia può essere segno di lesione piramidale.
- Il riflesso CUTANEO PLANTARE, che interessa le radici L4-S2 (n. tibiale). Lo strisciamento di una punta smussa sulla pianta del piede (partendo dal tallone si striscia il margine laterale per poi medializzarsi una volta giungi alla base del quinto dito) provoca la flessione delle dita. Se il paziente soffre di solletico vi può essere un movimento volontario di flessione di tutto l’arto inferiore che maschera il riflesso.
- Il riflesso CORNEALE, consiste nell’ammicamento bilaterale quando si stimola lateralmente la cornea di un paziente che guardi verso l’alto, utilizzando un batuffolo di cotone appuntito o un pezzetto di carta. Questo riflesso riguarda l’arco trigemino-facciale (lo stimolo viaggia lungo la V branca del trigemino, quella oftalmica, mentre la risposta, originata nel ponte, viaggia sul faciale, che innerva il muscolo orbicolare delle palpebre).
RIFLESSI PATOLOGICI
- Il SEGNO DI BABINSKI consiste nell’estensione dell’alluce, accompagnata o meno dall’apertura a ventaglio delle altre dita del piede, in seguito ad uno stimolo tattile condotto con una punta smussa sulla pianta del piede, meglio se verso la sua superficie laterale (si parte dal tallone strisciando il margine laterale per poi medializzarsi una volta giungi alla base del quinto dito). E’ un affidabile indice di danno della via cortico-spinale. Se il segno è presente in modo inequivocabile, lo stimolo può essere modestissimo.
Segno di Babinski
(Leggenda vuole che Babinski abbia osservato questa risposta quando il vento spostava le coperte sui piedi di pazienti con lesioni del midollo spinale…). Il segno di Babinski si estingue rapidamente con la stimolazione ripetuta, perciò “la prima risposta” è quella che conta; si segnala che esistono diversi modi alternativi di evocarlo (vedi Manovra di Oppenheim – strisciamento verso il basso sul margine anteriore della tibia -, Manovra di Gordon – compressione del polpaccio con la mano e pizzicamento del tendine d’Achille -, Manovra di Chaddock – strisciamento sotto il malleolo esterno ed il bordo laterale del dorso del piede, da dietro verso avanti -). Nei primi mesi di vita il Babinski può essere presente senza alcun significato patologico.
- I SEGNI DI LIBERAZIONE FRONTALE (SLF) sono riflessi normalmente presenti nel bambino piccolo, che scompaiono nell’adulto e possono ricomparire nelle encefalopatie degenerative. Ricordiamo il grasp (stimolazione tattile del palmo della mano che causa la sua chiusura a pugno), il riflesso palmo-mentoniero (percuotendo l’eminenza tenar si evoca contrazione del muscolo mentoniero ed orbicolare della bocca).
- I SEGNI DI DANNO DELLA VIA CORTICO SPINALE sono riflessi minimi nel sano, esagerati dal danno di questa via nervosa. Sono varianti patologiche di un fisiologico, seppure minimo, riflesso di flessione delle dita, ottenuto con percussione del palmo della mano. Il più noto è il segno di Hoffmann, che si ottiene “pizzicando” con il proprio pollice l’unghia del dito medio del paziente, sostenendone la mano. La risposta consiste nella flessione di pollice ed indice.
- Il CLONO è un movimento involontario, a partenza riflessa, che consiste in una serie esauribile od inesauribile di scosse a carico di un muscolo che è stato bruscamente stirato. Il clono più facilmente evocabile è quello della caviglia, per brusca flessione dorsale passiva del piede. Il clono patellaresi evoca portando verso il basso la rotula. Il clono si accompagna in genere ad iperreflessia e spasticità, essendo un segno di danno della via cortico-spinale.
I riflessi sono aumentati quando c’è una lesione delle vie midollari che li regolano (lesione piramidale), ad eccezione di una lesione piramidale acuta o di una mielite trasversa acuta in cui inizialmente i riflessi sono aboliti (shock midollare). Quindi l’IPERREFLESSIA è un segno di interessamento del sistema piramidale. L’IPOREFLESSIA può invece essere segno di danno periferico (neuropatie periferiche, per es!). Qui sotto potete consultare una bella tabella che riassume le alterazioni dei riflessi e il loro significato:
Come si alterano i riflessi a seconda delle lesioni
ITTERO
Con ittero (o itterizia, dal greco ikteros, di significato incerto) si intende la colorazione giallastra delle mucose e della cute dovuta ad un aumento del livello sierico della bilirubina, pigmento che deriva dal metabolismo delle proteine contenenti il gruppo eme quali emoglobina, mioglobina e citocromi. Il 90% della bilirubina deriva dall’eliminazione dell’emoglobina dei globuli rossi: i globuli rossi vecchi o danneggiati vengono captati dal sistema reticolo endoteliale di tutti gli organi, ma in particolare nel fegato e nella milza, le cui cellule trasformano l’emoglobina prima in biliverdina (pigmento verde, innocuo e idrosolubile), per mezzo dell’enzima eme-ossigenasi, e poi in bilirubina, per mezzo dell’enzima biliverdina-reduttasi. La bilirubina è un pigmento giallo, tossico e non idrosolubile per cui, una volta liberata nel sangue, si lega all’albumina e solo in minima quantità resta libera in circolo (bilirubina libera, non coniugata o indiretta, valori sierici normali: 0,7 mg/dl). La bilirubina indiretta è liposolubile per cui può superare le membrane lipoproteiche e penetrare, per esempio, nel tessuto cerebrale dove può causare gravi danni neurologici (ittero nucleare o kernittero).
La bilirubina legata all’albumina giunge al fegato, dove viene coniugata dall’enzima glucuroniltraferasi ad una o due molecole di acido glicuronico: la bilirubina diventa quindi idrosolubile e viene detta coniugatao diretta (valori sierici normali: 0,2 mg/dl). La bilirubina coniugata viene escreta dal fegato nella bile, per mezzo della quale arriva nell’intestino dove viene metabolizzata dall’enzima della mucosa intestinale beta-glicuronidasi e resa stercobilina e urobilinogeno, che vengono escreti nelle feci e in piccola parte riassorbiti e metabolizzati dal fegato (circolazione entero-epatica). Una piccola quantità di bilinogeni non viene captata dal fegato e viene escreta per via renale nelle urine (urobilinogenuria: 2-4 mg/die).
Subittero (fonte Wikipedia)
Quando la bilirubina sierica totale supera il valore di 2,5 mg/dl, compare il SUBITTERO, ovvero la colorazione giallastra delle mucose (ben visibile a livello delle sclere), mentre se supera i 5 mg/dl compare l’ITTERO franco, con colorazione giallastra della cute, meglio visibile alla digitopressione (basta premere e strisciare due dita in direzione opposta).
L’ittero viene classificato in:
- ITTERO PRE-EPATICO: dovuto ad aumento della produzione di bilirubina indiretta (per esempio per una crisi emolitica).
- ITTERO EPATICO o EPATOCELLULARE: dovuto ad un danno epatico (ad esempio epatite acuta, cirrosi epatica), per cui aumentano sia la bilirubina indiretta che quella diretta (gli epatociti liberano la bilirubina già coniugata e non sono in grado di coniugare quella indiretta) oppure a un’alterazione della captazione o del metabolismo della bilirubina (sindrome di Gilbert, sindrome di Crigler-Najjar e così via).
- ITTERO POST-EPATICO o COLESTATICO: aumenta la bilirubina diretta perchè c’è un ostacolo alla sua escrezione (per esempio calcoli o neoplasie delle vie biliari, carcinomi della testa del pancreas e così via). In questo caso la bilirubina diretta, che è idrosolubile, viene riassorbita in circolo e può comparire nelle urine (urine color marsala) e diminuire nelle feci (feci acoliche).
L’itteo è fisiologico solo nel neonato nel quale è dovuto alla massiccia emolisi postnatale: questo ittero compare durante il 2°-3° giorno di vita (attenzione a quello che compare precocemente..potrebbe essere segno di atresia delle vie biliari, di incompatibilità materno fetale o di altra patologia) e persiste fino al 10° giorno di vita (talvolta persiste fino a 3 mesi: ittero da allattamento materno).
Per capire la causa dell’ittero sono fondamentali l’anamnesi e l’esame obiettivo (quest’ultimo utilissimo per rilevare segni di patologia epatica quali spider naevi, ginecomastia, circoli venosi superficiali, ecc…). Per quanto riguarda gli esami ematici da eseguire in prima battuta per orientare il sospetto diagnostico, è necessario eseguire un emocromo completo di conta dei reticolociti, il dosaggio delle transaminasi e degli indici di colestasi (fosfatasi alcalina e gammaGT), il dosaggio della bilirubina diretta e indiretta oltre che di quella totale.
Politelia
La presenza di capezzoli sovrannumerari (o politelia, dal greco poli= tanti e thélé= capezzoli) è il tipo più comune di malformazione del tessuto mammario e si presenta nello 0,2 – 5,6 % della popolazione (più frequentemente nel maschio, 1,7:1).
I capezzoli accessori sono localizzati lungo la “linea del latte“ (o “linea mammaria“), cioè la linea lungo la quale nell’embrione dei mammiferi si sviluppano le mammelle. Negli umani questa linea prende origine dall’apice dell’ascella e scende lungo il torace e l’addome per terminare in prossimità delle cosce. Questo fenomeno è spiegato perfettamente dalla teoria dell’evoluzione del mitico Darwin: la politelia è semplicemente un residuo della nostra evoluzione, le cui tappe vengono ripercorse dall’embrione durante il suo sviluppo. Nel nostro DNA è scritto che deriviamo da altri mammiferi, e quindi potenzialmente possiamo sviluppare più capezzoli o mammelle. La linea mammaria si sviluppa nell’embrione tra la quarta e la quinta settimana, quando si inizia a rendere visibile bilateralmente un ispessimento ectodermico lungo i lati dell’embrione, ventralmente. Durante il secondo e terzo mese gli elementi ghiandolari delle mammelle si formano sulla linea a livello di quarta e quinta costa, con consensuale regressione del resto dell’spessimento. Se la regressione non è completa possono residuare alcuni foci ectodermici che danno vita alla politelia. La politelia sembra possa essere ereditaria (trasmissione autosomica dominante con espressione incompleta).
I capezzoli accessori possono più o meno completi e ne esiste una classificazione (Kajava, 1915):
Politelia (nostro repertorio)
- Capezzolo completo: capezzolo, areola e tessuto ghiandolare (polimastia)
– Capezzolo e tessuto ghiandolare senza areola
- Areola e tessuto ghiandolare senza capezzolo
- Tessuto ghiandolare aberrante da solo
- Capezzolo, areola e pseudomammella (tessuto grasso che rimpiazza il tessuto ghiandolare)
- Capezzolo da solo (politelia, forma più comune)
- Areola da sola (politelia areolare)
- Talvolta è presente un ciuffo di peli (politelia pelosa)
Come detto, la politelia è la più comune delle alterazioni mammarie, e si presenta di solito con una macula che, nel 75% dei casi, presenta un diametro che può raggiungere al massimo il 30% del diametro dei capezzoli principali. La maggior parte dei capezzoli accessori sono singoli e localizzati subito sotto al capezzolo principale, come nel nostro esempio. Molto raramente si ritrovano al di fuori della linea mammaria, per esempio su schiena, spalle o collo. Di solito è un fenomeno parafisiologico, che resta misconosciuto e asintomatico. Talora possono cambiare di colore, diventare tumefatti o addirittura secernere latte durante le modificazioni ormonali tipiche dell’adolescenza, del ciclo mestruale o della gravidanza. Non è necessario alcun trattamento e l’escissione può essere eseguita per motivi estetici se il capezzolo è completo, oppure per ragioni diagnostiche (dubbio di neoplasia).
Infine si segnala che nel 23% dei casi la politelia si associa a patologie renali e delle vie urinarie (infezioni, malformazioni o neoplasie, spesso associate a ostruzione). Le altre associazioni descritte sono probabilmente casuali.
Auscultazione del torace
L’ascultazione del torace è un atto medico di importanza fondamentale. Bisogna effettuarla in maniera comparativa, partendo dagli apici, secondo lo schema della figura.
Auscultazione del torace (fonte: Bates' guide to physical examination)
Mi raccomando, il diaframma del fonendo va posto nelle sedi indicate, ovvero medialmente e sotto alle scapole! Naturalmente bisogna auscultare anche anteriormente, seguendo lo stesso schema.
Il paziente deve inspirare profondamente a bocca aperta, senza fare rumori con la bocca. Se il paziente è molto peloso, è necessario inumidire la superficie cutanea per ridurre i rumori dovuti all’attrito del fonendo con i peli.
RUMORI RESPIRATORI FISIOLOGICI:
1) Rumore respiratorio normale, anche noto, storicamente, come murmure vescicolare. E’ più intenso in fase inspiratoria e decresce in fase espiratoria (nonostante quest’ultima sia più lunga di quella inspiratoria) e ciò è dovuto al fatto che l’inspirazione avviene mediante contrazione muscolare, generando un flusso d’aria più veloce, rispetto all’espirazione, che è un fenomeno passivo. Il MV si genera per l’azione di filtro degli alveoli sull’aria in arrivo e si apprezza su tutto l’ambito, ma particolarmente nelle aree più periferiche. Il MV può diminuire di intensità (ostacolata pentetrazione di aria negli alveoli o riduzione dell’elasticità polmonare) oppure aumentare (spessore sottile della cavità toracica). Se in alcune zone l’aria non passa (per esempio per una atelettasia) si può percepire il cosiddetto silenzio respiratorio.
2) Rumore broncovescicolare: si genera nelle zone di passaggio dall’albero bronchiale agli alveoli, quindi per mescolanza di rumore bronchiale ed alveolare. Si ode meglio nelle zone dove il parenchima alveolare è meno presente, ovvero apici e primi due spazi intercostali.
3) Rumore o soffio bronchiale: ha una fase inspiratoria breve e una fase espiratoria lunga, talora separati da una pausa. Corrisponde alla proiezione dei bronchi sul torace e si apprezza particolarmente bene anteriormente. Può diventare patologico se si ode in periferia o solo da un lato, perchè può essere segno di addensamento polmonare.
RUMORI AGGIUNTI (o PATOLOGICI):
1) RUMORI DISCONTINUI (o RANTOLI o CREPITII o RANTOLI UMIDI): si distinguono in:
- a BASSA TONALITA’ (coarse crackles): sono i rantoli subcrepitanti, protoinspiratori, il cui reperto si modifica con la tosse. Sono segno di bronchite e si generano per il passaggio dell’aria attraverso il muco.
- ad ALTA TONALITA’ (fine crackles): sono i rantoli fini, anche detti rantoli crepitanti. Sono teleinspiratori e sono dovuti alla ritardata apertura degli alveoli: tipici della Broncopolmonite. Talvolta ad essi si sovrappongono gli sfregamenti pleurici, il cui reperto è molto simile.
2) RUMORI CONTINUI (o RONCHI o RANTOLI SECCHI): si distinguono in:
- a BASSA TONALITA’ (rhonchi): sono i ronchi classici, detti anche gemiti, che possono essere in ed espiratori. Sono segno di broncostruzione e si generano per il passaggio dell’aria in vie aeree ristrette per la presenza di muco o broncospasmo.
- ad ALTA TONALITA’ (wheezes): sono i classici sibili dovuti alla broncostruzione, e sono per lo più espiratori.
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