Fratture apparecchi gessati

Fratture apparecchi gessati

 

 

 

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Fratture apparecchi gessati

 

LE IMMOBILIZZAZIONI TEMPORANEE.

                OBIETTIVI:

  • ridurre le fratture;
  • limitare i danni tissutali;
  • prevenzione degli spasmi muscolari;
  • preparazione alla contenzione definitiva.

Le fratture scomposte ed instabili richiedono generalmente, prima di un trattamento definitivo, una riduzione tramite la trazione continua. Secondo il tipo di frattura, della sede anatomica e del tipo di trattamento distinguiamo in:

  • trazione manuale;
  • trazione cutanea;
  • trazione transcheletrica.

TRAZIONE MANUALE:
è la trazione eseguita con l'ausilio della forza muscolare degli operatori. Gli operatori eseguono una trazione, in genere di un arto, a valle e a monte della frattura in modo da ridurne la scomposizione.
Si utilizza in caso di riduzione di lussazioni, di fratture scomposte che verranno poi messe in trazione transcheletrica o in gesso.
La trazione in caso di applicazione di un gesso, deve essere mantenuta fino all'asciugatura dello stesso.
TRAZIONE CUTANEA:

  è indicata nei casi di frattura degli arti inferiori, quali ad esempio le fratture di collo di femore e quelle ingranate. Materiale: valva in gommapiuma (o kit monouso Estensore di Buck adesivo), filo in nylon per trazione di varie misure, peso non superiore ai 2,5Kg, carrucola di scorrimento. Procedimento: una volta posto il paziente a letto, controllare la sede di trazione (presenza di lesioni, sporgenze ossee, eritemi). Posizionare la valva o il kit monouso in modo tale che non stringa eccessivamente l’arto. Applicare il peso controllando il perfetto scorrimento del filo sulla puleggia della carrucola. Controllare che il piede non sia in posizione equina; è possibile posizionare sotto il tallone, per prevenire lesioni da decubito, materassini in silicone, ad aria o acqua. Accertarsi che i pesi non tocchino il pavimento e che la trazione avvenga lungo l’asse maggiore dell’osso fratturato.
 TRAZIONE TRANSCHELETRICA :
è di norma più efficace nel mantenere ridotta la frattura. La trazione è garantita da un filo metallico (Wilson o Kirschner) attraverso il frammento distale osseo; è usata nelle fratture diafisarie di femore (condilo femorale o in cresta tibiale), tibia (calcagno) ed omero (epifisi distale). Materiale sterile: kit comprendente fili metallici di varie misure, cannocchiale e chiave per trapano, garze orlate, due distanziatori di garza, pinza portatamponi, una compressa per la presa del trapano; servono anche guanti sterili e due garze di connettivina. Materiale per disinfezione, per un’eventuale tricotomia e guanti monouso. Materiale accessorio: staffa di trazione, filo di nylon di varie lunghezze, pesi non eccedenti il 10% del peso corporeo, doccia portante (Zuppinger) con castello a pulegge, trapano a batteria e chiave per bulloni. Procedimento: posizionare il paziente sul letto, possibilmente con piano rigido, tenendo in trazione l’arto. Controllare la sede di trazione per escludere eventuali lesioni, praticare la tricotomia se necessario e procedere alla disinfezione con betadine alcolico. Collaborare con il medico nel montare il cannocchiale al trapano ed alla scelta del filo in modo sterile. Una volta introdotto il filo metallico nella sede prescelta, disinfettare ulteriormente la zona, posizionare le garze di connettivina, una per lato, e quelle sterili. Avvolgere i distanziatori attorno al filo e stringere successivamente la staffa con la chiave: prestare attenzione alle sporgenze del filo per il rischio di pungersi. Se l’arto interessato è quello inferiore, è posto sulla doccia portante, infine montato il castello e collegati i pesi; nel caso dell’omero esiste una struttura portante apposita con reggibraccio. Sorveglianza: controllare che il filo di nylon scorra agevolmente sulle pulegge e che il peso non poggi a terra. Nell’arto inferiore, il secondo dito del piede, la parte centrale della rotula e la spina iliaca devono formare una linea retta (vedi figura). Prevenire l’equinismo del piede con una calza di sostegno o rialzi in silicone: quest’accorgimento evita anche le lesioni da decubito al tallone. Verificare che la cute non sia molto tesa per evitare compressioni nervose o vascolari. Quando si eseguono spostamenti o si procede al rifacimento del letto, non sganciare mai i pesi: si eviterà così lo spostamento dei monconi ossei dovuto a trazione muscolare. Sorvegliare nei giorni successivi lo stato di salute del paziente: monitorare eventuali patologie preesistenti, controllare che esegua la terapia antitromboembolica, favorire eventualmente il drenaggio di secrezioni polmonari con aerosol, controllare che il sito di trazione non presenti edema o arrossamenti, limitare il disagio da immobilizzazione. Dopo l’inserzione di trazione transcheletrica, il medico può richiedere una radiografia per verificare il corretto allineamento dei monconi.

LE IMMOBILIZZAZIONI PERMANENTI.

Permangono fino alla completa guarigione della frattura.
DI POSIZIONE: hanno lo scopo di mantenere la posizione neutra e fisiologica dell'arto (nelle fratture composte, nelle distorsioni severe, dopo intervento chirurgico per una maggior stabilità).
DI RIDUZIONE: nelle fratture scomposte che non necessitano di intervento chirurgico dopo la riduzione.
OBIETTIVI:

  • attenuare il dolore;
  • favorire il processo riparativo;
  • ridurre le complicanze.

TUTELE GESSATE.
L’apparecchio gessato costituisce una valida forma di contenzione per le fratture, sia ridotte manualmente che chirurgicamente, o solo come forma di immobilizzazione. Il materiale usato per raggiungere questo scopo ha subito un’evoluzione nei secoli; nel 1872 A. Matheysen, medico militare, propose l’utilizzo di garze imbevute di poltiglia di gesso per ottenere un bendaggio modellabile che alla fine potesse indurirsi. Oggi trovano applicazione per un gran numero di immobilizzazioni, gessi in resina sintetica e tutori ortopedici già pronti  all’uso.
L’ESECUZIONE DI UN APPARECCHIO GESSATO.
Il confezionamento di un apparecchio gessato richiede prima di tutto la conoscenza del materiale che sarà utilizzato, la posizione funzionale da far assumere al paziente durante l’esecuzione e la procedura di esecuzione. L’infermiere deve anche conoscere quali difetti può presentare un gesso al fine di prevenire e correggere.

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 L’infermiere che si presta ad eseguire una contenzione gessata, provvederà, come prima, cosa a preparare il materiale. Si precisa che la gestione del gesso deve avvenire in un luogo appropriato quale la sala gessi dove è possibile trovare tutto l’occorrente (vedi figura).
MATERIALE: si tiene a portata di mano le maglie tubolari, il cotone di Germania, un catino per l’acqua, bende di gesso o resina.
La maglia tubolare è messa a contatto con la pelle, generalmente in fibra di cotone, confezionata in rotoli di varie misure, estensibile e si adatta senza pieghe.. Lo scopo è di proteggere la cute da irritazioni, impedisce le sensazioni sgradevoli dovute alla sudorazione. Il cotone di Germania  può essere applicato direttamente sulla pelle, è formato da fibre di cotone grezzo e confezionato in rotoli di varie misure. Il cotone crea uno spazio elastico di protezione tra cute e gesso, assorbe l’umidità prodotta con la sudorazione. Ora dobbiamo distinguere il materiale di contenzione in fasce gessate o in resina. La benda gessata è preparata con garza in cotone impregnate di polvere di gesso (solfato di calcio). Quando la polvere di gesso s’idrata, per una reazione esotermica ritorna allo stato cristallino (CaSO42H2O) con notevole porosità ed alta resistenza al carico. Le fasce gessate sono confezionate in rotoli di varie misure o in stecche gessate di diversa larghezza, confezionate a fisarmonica in 4-5 strati. Le bende in resina sono prodotte con fibra di vetro impregnata di resina poliuretanica. Esse permettono un’immobilizzazione  rigida in breve tempo, sono confezionate in rotoli di diversa larghezza. I vantaggi rispetto al gesso è che la resina ha un peso inferiore con la possibilità di carico dopo 30 minuti ed è idrorepellente. Svantaggi: costosa, di applicazione più difficile che necessita di guanti per la presenza della resina. Poiché è meno porosa del gesso, rende difficoltoso lo scambio di umidità con l’esterno, quindi se si bagna internamente, non si asciuga. I bordi sono più taglienti, hanno scarse possibilità di correzione e bisogna prestare attenzione alle prese, perché essendo elastiche possono “ritirarsi”.
 Prima di considerare la procedura di esecuzione, l’infermiere deve prestare attenzione alle zone del corpo a rischio di compressione e alla posizione funzionale. Le zone meno protette dal tessuto molle (vedi figura), possono essere soggette a lesioni da decubito o a compressioni vascolari e/o nervose a causa del gesso; sarà cura dell’infermiere provvedere ad un’adeguata imbottitura. L’immobilizzazione prolungata provoca una perdita di funzionalità all’articolazione interessata, far assumere una posizione funzionale all’arto da ingessare facilita il recupero della mobilità. La posizione funzionale si trova a circa metà dell’ampiezza massima di escursione dell’articolazione (vedi figura ). Alcune patologie ortopediche richiedono un’immobilizzazione in estensione (lesioni tendinee), vanno decise sul campo.
            Chi confeziona l’apparecchio gessato deve: lavorare rapidamente, avere il materiale a portata di mano e pianificato il lavoro perché si hanno pochi minuti dall’immersione delle fasce in acqua al loro indurimento. Acqua e temperatura: la velocità di presa dipende dalla temperatura dell’acqua; un aumento di 10°C comporta una riduzione del tempo di lavoro di due minuti. Temperature superiori a 35°C possono causare ustioni, quindi, specie se si è inesperti, usare acqua fredda intorno ad un 20°C. cambiare spesso l’acqua, perché i residui di gesso e resine innalzano la temperatura della stessa. Usare come contenitore un catino profondo, così si facilita l’eliminazione di aria dalle fasce più in fretta. (vedi figura).  Strizzare  dopo l’immersione: meno acqua rimane inglobata, più elevata è la solidità finale, più rapido è il tempo di asciugatura. Attenzione alla resistenza: prestare molta attenzione alla zona ed al carico che deve sopportare il gesso; ci sono zone che vanno irrobustite, magari con l’ausilio di stecche. Asciugare: prima di lasciare la presa per la posizione funzionale, aspettare che il gesso “tiri”, altrimenti può cedere. La resina asciuga più velocemente, mentre il gesso richiede anche 24-48 ore a causa dell’umidità. Non appoggiare mai il gesso fresco per evitare deformazioni, usare archi per evitare il contatto con le coperte nel letto. Considerare che i tempi di asciugatura variano anche in base all’estensione del gesso; un pelvi-podalico richiede anche fino a cinque giorni! Fare attenzione alle stecche gessate, più di otto strati asciugano difficilmente.
            Procedura: norme. Accertarsi , che sotto il gesso non vengano a contatto superfici cutanee opposte (es tra le dita); ricoprire la zona con garze o cotone di Germania. Non applicare più di due strati di imbottitura, se è troppo spessa si limitano le funzioni di contenzione. Imbottire invece le zone a rischio come i talloni, i gomiti etc.. Non fissare le garze sotto l’imbottitura con cerotti, bensì con il cotone di Germania o la maglia di cotone. L’imbottitura deve essere più lunga di un paio di centimetri della tutela gessata per essere ribattuta sui bordi, così si chiude il gesso e si proteggono i bordi taglienti. Il gesso deve essere stretto quel tanto che basta ad impedire i movimenti dell’articolazione, ma non deve creare zone di compressione. Controllare che le zone di maggiore pressione siano irrobustite maggiormente, magari con stecche di gesso. (vedi figura)
Procedura: il paziente. Mantenere l’atmosfera di lavoro tranquilla, perché in genere il paziente è agitato prima di  un intervento di contenimento della frattura (paura del dolore, della situazione). Se l’arto interessato è quello superiore, togliere anelli e/o bracciali, assicurarsi che l’abbigliamento non sia di impedimento all’esecuzione. Proteggere la privacy del paziente, coprire le parti intime lasciando però visibili i contorni importanti. Proteggere abrasioni e ferite con garze sterili dopo aver accuratamente disinfettato la zona. Prima di eseguire un’operazione dolorosa, provvedere alla somministrazione di analgesici o, all’anestesia locale. Mantenere l’arto in scarico per l’edema eventualmente presente. Far assumere al paziente la posizione richiesta (funzionale o in estensione).
 Procedura: l’assistente. Quello dell’assistente è un compito importante, deve garantire un’ampia zona di sostegno, non appoggia mai le mani sotto la cavità del ginocchio o del tendine d’Achille. Lascia spazio per l’ingessatura facendo scorrere lateralmente le mani senza interrompere la funzione di sostegno, mantenendo sempre l’angolatura richiesta. La posizione corretta dell’articolazione tibiotarsica si ottiene effettuando l’estensione con la mano omolaterale al piede da immobilizzare (vedi figura).
Procedura: l’esecutore.  Dopo aver accertato che tutto il materiale sia a disposizione e che il paziente abbia assunto la posizione più comoda e confortevole rispetto all’esecuzione, prepara la maglia di cotone della lunghezza più appropriata (in genere 3- 4 centimetri più grande della tutela di contenimento).  Procede all’imbottitura con il cotone di Germania a giri circolari, evitando pieghe e stringhe. Si accerta che le zone di carico e quelle a rischio siano ben protette. Bagna con la tecnica precedentemente descritta la fascia o la stecca, secondo l’uso, la strizza, per eliminare l’acqua in eccesso, procede all’ingessatura applicando una  tensione moderata ed uniforme sulla garza. Procede con giri a spirale sovrapponendo ogni strato per metà circa al precedente. Anche in questo caso vanno evitate le pieghe e le stringhe. La misura della tutela gessata si prende tenendo in considerazione due dita sotto l’articolazione che rimarrà libera ( ad esempio per uno stivaletto si decide di tenersi sotto due dita dal ginocchio).
Tre o quattro strati risultano sufficienti per una tutela, per apparecchi che devono comportare sollecitazioni notevoli si possono applicare anche 5-8 strati. Modellare velocemente il gesso, provvedere all’impronta se richiesta: il gesso indurisce rapidamente, poi non sarà possibile modificarlo semplicemente. Solo dopo che la presa è avvenuta si può lasciare la posizione, si procede al taglio del gesso in eccesso, ad esempio per liberare le dita, si ribatte il cotone sui bordi e l’eventuale maglia fissandola con fasce d’amido o con        cerotti.
            Controlli: controllare che il gesso abbia fatto presa e che non ci siano stati spostamenti prematuri. Non devono essere presenti compressioni, né il gesso essere troppo stretto. La mobilità delle articolazioni libere non è preclusa, spiegare al paziente di muovere le dita per quanto riguarda gli arti, di cambiare spesso posizione per non favorire i decubiti e di tenere l’arto in scarico (per gli edemi ). Il paziente deve avvisare se, nei giorni successivi al gesso, accusa dolori in sedi anomale rispetto alla frattura, se ha una perdita di mobilità e di sensibilità alle estremità e se le stesse si presentano gonfie, fredde e cianotiche. Verificare la causa del disturbo prima di somministrare antidolorifici.

  ERRORI E CORREZIONI.

Un errore nella tutela gessata può causare seri problemi al paziente. Ad esempio:

  • il gesso è troppo largo; il paziente “ha collaborato” durante l’esecuzione della tutela gessata ed ha tenuto i muscoli contratti, oppure si è ridotto l’edema. Chi ha eseguito il gesso non ha portato la tensione necessaria o ha usato poche fasce. In questo caso il gesso non ottempera più alla sua funzione, và quindi sostituito con un gesso nuovo. Quando si rimuove il gesso, prestare attenzione all’uso della sega oscillante che può ustionare o tagliare la cute del paziente.
  • Il gesso limita il movimento; non si è tenuta la distanza (vedi sopra) dalle articolazioni, il gesso limita i movimenti e rosica la cute. Prima di licenziare il paziente controllare tutti i movimenti di flessione ed estensione dell’articolazione libera, provvedere con un taglio di forbici a liberare i tratti necessari ed imbottire i profili nuovamente.
  • Il gesso è troppo corto; se al contrario si liberano troppe zone, il gesso non ha un sostegno soddisfacente, in particolare nei gessi corti di polso e nello stivaletto causa attriti cutanei sulle sporgenze.
  • Il paziente lamenta un dolore localizzato; nel 99% dei casi ha ragione, specie se è localizzato nelle prossimità di una sporgenza ossea. L’imbottitura potrebbe essere inadeguata o eventuali pressioni sul gesso hanno formato “impronte” all’interno, il paziente potrebbe aver introdotto accidentalmente degli oggetti tra cute e ovatta. In tutti i casi si deve aprire il gesso o praticare una “tappa” per verificare l’assenza di lesioni.
  • Il gesso è privo di difetti; non lo è quasi mai, è possibile riscontrare screpolature, rammollimenti in alcune zone, zone asciutte a causa del tempo di immersione breve, protuberanze dovute ad imbottitura troppo spessa, angolazione fisiologica errata.

I BENDAGGI.

            Le fasciature erano già conosciute dagli antichi Egizi, basti pensare alle mummie! Spetta poi alla Scuola americana, ed in particolare agli staff medici del basket, il merito di riportare in auge l’uso delle fasciature per proteggere le articolazioni degli atleti (bendaggi funzionali). Seguirono l’esempio negli anni 70 i francesi e gli olandesi col “taping”, immobilizzazione parziale con bendaggi adesivi per i giocatori di calcio. Negli anni 80 anche la nostra medicina dello sport ha adottato i bendaggi funzionali come meccanismo di contenzione che si concilia con la libertà del movimento fisiologico.CLASSIFICAZIONE DEI BENDAGGI:
Secondo il tipo di bendaggio distinguiamo in: bendaggi semplici, effettuati con lo scopo di contenere o applicare sostanze medicamentose su una parte del corpo. Servono a fissare anche una medicazione, un ago o un catetere. Bendaggi compressivi, bendaggi elastici con lo scopo di comprimere una zona, per esempio su una ferita, in caso di prevenzione delle flebiti. Bendaggi composti, giri complessi con fasce elastiche o anelastiche a scopo antalgico, riabilitativo, preventivo e terapeutico.
Possiamo distinguere le bende in: anelastiche, non estensibili, offrono il miglior supporto durante il lavoro muscolare, una bassa pressione a riposo. Devono essere sempre eseguiti senza tensione. Elastiche, possono essere solamente elastiche longitudinalmente, trasversalmente o in tutti e due i sensi. Utilizzate soprattutto per i bendaggi funzionali e di supporto. Adesive o non adesive. Bende medicate, è il caso delle fasce medicate con ossido di zinco, antiedemigeno. Le bende sono confezionate in rotoli di varia lunghezza. È previsto l’utilizzo di materiale salvapelle in alcuni casi, cotone di Germania, maglia di cotone, bende in schiuma di poliuretano che assicurano l’assenza di scivolamento del bendaggio.
I requisiti principali sono: capacità di estendersi in modo uniforme, garantire un gradiente di pressione adeguato dalla periferia al centro. Essere confortevole e tollerata dal paziente, non emanare cattivi odori.

Tecniche di bendaggio.

I bendaggi sono applicati dopo la diagnosi del medico, scegliendo il materiale più adatto secondo il bendaggio da effettuare. Preparare adeguatamente la cute, depilando la zona interessata se necessario, sgrassando per favorire l’adesività della benda. È opportuno utilizzare il salvapelle se si è a conoscenza di allergie o cute particolarmente sensibile.indipendentemente dal materiale il bendaggio non deve essere troppo stretto per non causare ostacoli al ritorno venoso, edemi e piaghe da decubito. Lasciare libere le dita, come per le tutele gessate, onde controllare l’insorgere di un problema nervoso o circolatorio. Impugnare la benda fra pollice e indice di una mano per poterla srotolare, mentre l’altra mano guida e modella evitando le pieghe.
Prendiamo ora in considerazione le tecniche per alcuni bendaggi. Il giro di fermo serve ad assicurare stabilità al bendaggio quando non si utilizzano bende adesive. Il capo iniziale è appoggiato obliquamente sulla parte da fasciare, si effettua un giro circolare e si ribalta il lembo iniziale sporgente coprendolo con un altro giro circolare. Il giro circolare si utilizza per fasciare un breve tratto del corpo di forma cilindrica: il capo della fascia è orientato perpendicolarmente all’asse del segmento interessato, si procede ricoprendo 2/3 della benda precedente. Il giro spirale o dolabra currens, ricoprendo 1/3 della fascia precedente, si procede tenendo la fascia leggermente obliqua. Il giro a otto consiste in due spirali a forma di cappio incrociate fra loro a formare un otto, utile nei distretti articolari. La spiga si ottiene con giri obliqui che si portano dall’esterno verso l’interno e dal basso verso l’alto, incrociandosi e utilizzando un giro opposto. Merita attenzione il bendaggio alla Desault, utilizzato nelle lesioni scapolo omerali e di clavicola. Il materiale: maglia tubolare per il torace, cotone di Germania, bende autoaderenti, cerotti in tela. È preferibile eseguire il bendaggio con il paziente in posizione eretta, o seduta. Dopo aver applicato la maglia di cotone, si avvolge l’arto interessato con cotone e si posiziona un cuscinetto preparato precedentemente sotto il cavo ascellare. Si procede con giri a otto  alternati a giri circolari sul torace (vedi figura). Si esegue lo stesso con le fasce autoaderenti, fissandole con cerotti in tela per tutta  la lunghezza, in modo che non si arrotoli.

OSTEOSINTESI.
Trattamento della frattura in modo cruento tramite intervnto chirurgico, in genere se non in urgenza, l'intervento è meglio eseguirlo a 7-10 giorni dal trauma per l'eventuale riduzione di edema.
Vantaggi:

  • riposizione anatomica esatta,
  • possibilità di mobilizzazione precoce;
  • maggiore stabilità;

svantaggi:

  • rischio di infezione,
  • rischio anestesiologico;
  • cicatrice;
  • reintervento per la rimozione dei mezzi di sintesi.

Distinguiamo una fissazione extramidollare:

  • osteosintesi con viti;
  • osteosintesi con placche o placche e viti;
  • cerchiaggio con fili metallici;
  • fissatore esterno.

Fissazione intramidollare:

  • chiodo endomidollare;
  • fili kirschner;
  • endoprotesi (sostituzione  di una parte dell'articolazione: ad esempio la testa del femore in caso di frattura del colo femorale);
  • artroprotesi (sostituzione totale dell'articolazione, testa femorale e cotile, in caso di fratture pluriframmentarie o coxartrosi).

Fonte: http://campus.unibo.it/35265/1/immobilizzazioni_temporanee_e_permanenti.doc

Sito web da visitare: http://campus.unibo.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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