Medicina genetica

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Medicina genetica

MALATTIA DI ALZHEIMER

Il nome risale al neuropatologo che alla fine dell’800 descrisse la prima paziente con malattia di Alzheimer, caratterizzandola dal punto di vista istopatologico: allora non si conoscevano le demenze, si conoscevano soltanto alcune definizioni (“leucodistrofia metacromatica”: alterazione che si vedeva al microscopio ottico).

La malattia di Alzheimer appartiene al gruppo delle DEMENZE.

Sono tutte patologie caratterizzate da eterogeneità genetica (anche l’alzheimer): molti geni quindi possono essere associati allo stesso fenotipo, a quel preciso tipo di demenza.

DEMENZA alterazione globale, molto spesso irreversibile e progressiva delle funzioni cerebrali corticali, evolve nel tempo e non si arresta: in particolar modo, colpisce le funzioni cognitivo-sensoriali-motorie (apprendimento alterato, alterazione delle abilità percettivo-motorie del paziente, alterazione delle abilità sociali e del controllo delle reazioni emotivo atteggiamento “disfoico”, offuscamento dello stato di coscienza fino allo stato vegetativo).

Le cause di demenza sono numerose:

  • Malattia di Alzheimer
  • demenza vascolare
  • demenza a corpi di Levy
  • altro

Le cause meno comuni sono:

  • carenze vitaminiche (deficit di vitamina PP malattia delle tre “d” o pellagra: demenza, dermatite, diarrea; B1; B12)
  • endocrinopatie (assenza di ormoni tiroidei)
  • infezioni croniche (HIV, lue, malattie prioniche)
  • traumi (danno cerebrale diffuso)
  • neoplasie primitive o secondarie
  • malattie psichiatriche a lungo termine (meccanismo prevalentemente su base neurochimiche)
  • patologie degenerative del neurone (SLA)
  • vasculiti

 

Si possono distinguere due grandi sottogruppi di alzheimer:

  • FORMA SPORADICA: 75%, a insorgenza tardiva, oltre i 65 anni, patologia multifattoriale
  • FORMA FAMILIARE: 25% a insorgenza precoce, prima dei 65 anni, patologia usualmente autosomica dominante. Nella forma familiare si distinguono altri due sottogruppi:
  • Forme ad esordio precoce (<65 anni) legate ai geni APP, PS1, PS2
  • Forme ad esordio tardivo (>65 anni) legate ad APO-E

 

Le sedi cerebrali coinvolte nella patologia di Alzheimer sono:

  • Corteccia cerebrale: formazione del pensiero e del linguaggio

 

  • Ippocampo: essenziale per la conservazione della memoria
  • Gangli della base (nucleo caudato, putamen, amigdala): sono neuroni contenti acetilcolina, importanti per l’apprendimento e la memoria

 

Le caratteristiche cliniche della malattia di Alzheimer vengono distinte in quattro fasi:

    • Fasi precoci della malattia: interessano l’ippocampo. Il paziente comincia a perdere la memoria, per prima la memoria recente e in un secondo momento anche la memoria e lungo termine: perdita anche della capacità di svolgere compiti routinari.
    • Coinvolgimento della corteccia cerebrale: impoverimento del ragionamento, atteggiamento disfoico con esplosioni emotivi, fino ad arrivare alle alterazioni del linguaggio.
    • Perdita effettiva della massa neuronale: il quantitativo neuronale diminuisce, ci sono fenomeni degenerativi e apoptotici che portano a episodi di agitazione motoria molto pericolosa.
    • Fasi finali: il paziente non riconosce le persone e smette di parlare, perde il controllo degli sfinteri.

Il tempo medio dalla diagnosi alla morte è molto breve, si parla di circa 4-8 anni, sebbene vi siano casi in cui la malattia può durare per più di vent’anni.

Molto spesso, soprattutto nelle prime fasi, la malattia di Alzheimer è una malattia sotto-diagnosticata e mal-diagnosticata: soltanto in ¼ dei casi viene correttamente diagnosticata subito e quando ciò avviene, molto spesso viene maldefinita.
Può essere diagnosticata una demenza diversa da quella di Alzheimer che condiziona negativamente la terapia, può essere scambiata per depressione, per normale processo di invecchiamento, per un infarto cerebrale o può non essere per nulla riconosciuta una patologia sottostante.

 

Come si fa la diagnosi di malattia di Alzheimer?
Bisogna visitare bene il paziente per capire, attraverso test diagnostici clinici (NINCDS-ADRDA criteria), il grado di interessamento cognitivo della patologia per poter porre diagnosi della malattia di Alzheimer (specificità del 90% provata all’autopsia): in questo modo la diagnosi può essere posta con ragionevole certezza.
L’esame prevede due step diagnostici:

  1. Esame obiettivo/clinico
  2. Evidenza di alterazioni cerebrali nei casi più dubbi con brain imaging e test laboratoristici appropriati.

La diagnosi di certezza è quella basata sulla biopsia cerebrale: placche neuritiche senili e ammassi
fibrillari in ippocampo, corteccia temporale, nuclei della base: questo normalmente è un eccesso,
non è necessario richiedere sempre l’esame istopatologico.

Importante caratteristica delle patologie degenerative è il deterioramento progressivo: a questo si aggiungono esami di laboratorio nella norma, alterazioni metaboliche precoci nella corteccia parietale alla PET, atrofia dell’ippocampo nelle fasi avanzate alla RMN.

 

Esempio di PET: si vede che il paziente ammalato, rispetto al paziente normale, ha una serie di compromissioni, soprattutto del flusso, spostato dalla corteccia; inoltre presenta assottigliamento dei tessuti, riduzione della massa e anomalo utilizzo del glucosio (rosso indica anomalo utilizzo).

 

 

Esempio di RMN: riduzione della corteccia atrofia corticale nel paziente con AD.
Idrocefalo ex-vacuo altro segno molto importante, mancando il cuscinetto offerto dallo spessore neuronale a livello corticale, si verifica un espansione della massa cerebrale per idrocefalo.

 

Le principali lesioni istologiche sono due:

  1. PLACCHE AMILOIDI o NEURITICHE: lesioni extracellulari, sono usualmente di forma sferoidale, costituite da un deposito centrale di sostanza amiloide circondato da materiale filamentoso costituito da dendriti distrutti. Sono frammiste a processi gliali e microglia: la conformazione delle placche varia con lo stadio della malattia. A livello molecolare, la sostanza amiloide è principalmente composta da materiale proteico definito bA4: deriva dalla proteolisi di APP (precursore della proteina amiloide)
  1. AMMASSI NEUROFIBRILLARI: lesioni intraneuronali, sono grovigli rappresentati fondamentalmente da masse di filamenti abnormi “a fiamma” o globosi, situati nel citoplasma neuronale, in zona peri-nucleare e spesso si estendono fino ai dendriti apicali.

 

                                            
Placche amiloidi                                                            Ammassi neurofibrillari

 

Fattori di rischio: due gruppi principali

Fattori non genetici Þ potenzialmente modificabili
Fattori genetici Þ non modificabili

FATTORI DI RISCHIO NON GENETICI

  • Fattori di rischio vascolari:
    • ipertensione sistolica >160 mmHg
    • colesterolo sierico > 6.5 mmol/L
  • Fattori di rischio dovuti allo stile di vita:
    • fumo di tabacco
    • scarsa attività fisica
    • eccessivo consumo di alcool
    • traumatismi cranici (molto spesso legati al traumatismo post-partum)

 

  • Fattori di rischio socio-demografici:
    • età avanzata
    • sesso femminile
    • periodo di istruzione < 15 anni
    • lavoro che espone a tossine ambientali (es. metalli pesanti)
  • Altri fattori:
    • infezioni virali
    • depressione
    • PAN: panarterite nodosa (anamnestica)
    • ipertiroidismo
    • familiarità per sindrome di Down

 

FATTORI DI RISCHIO GENETICI
Determinano quattro diversi fenotipi:

Gene della proteina amiloide (APP), cromosoma 21
(*motivo per cui chi ha familiarità per la sindrome di Down è predisposto)
Determina la malattia di Alzheimer di tipo 1. Mutazioni rare (solo 20 famiglie).
E’ caratterizzata da un esordio precoce, in un fascia d’età compresa tra i 35 e i 50 anni.

Gene dell’apolipoproteina E (APO-E), cromosoma 19
Determina la malattia di Alzheimer di tipo 2. 
E’ associato anche a forme sporadiche a insorgenza tardiva (>65 anni).

Gene della presenilina 1 (PSEN1), cromosoma 14
Determina la malattia di Alzheimer di tipo 3.
Vi sono più di 50 mutazioni identificate nel gene: è la causa più comune di AD familiare a esordio precoce (28-60 anni), è una forma grave.

Gene della presenilina 2 (PSEN2), cromosoma 1
Determina la malattia di Alzheimer di tipo 4.
Rispetto alla presenilina 1, ha un esordio meno precoce e un andamento meno grave.

FISIOPATOLOGIA
In condizioni normali, la proteina prodotto di APP è coinvolta in meccanismi di adesione cellulare, nella crescita sinaptica (stimola la genesi sinaptica) ed è coinvolta in meccanismi di plasticità che portano alla riparazione di danni cellulari recettore di tipo G
Nel momento in cui il gene muta, si ha l’incapacità di formare l’intera proteina APP, si formano dei peptidi Ab4 più corti e questo comporta la formazione dell’amiloide, che si deposita e si accumula nelle placche extraneuronali: a questo si aggiungono cofattori, come APO-E (deposizione di proteoglicani) ed inibitori di enzimi (anti-chimotripsina).
La massa amiloide determina un impedimento di funzione neuronale così grave che si innescano dei meccanismi pro-apoptotici che conducono alla morte neuronale.
Questo determina malattia di Alzheimer ad insorgenza precoce ed inoltre, essendo l’amiloide extraneuronale pericolosa per la parete dei vasi, può causare emorragie cerebrali dovute ad indebolimento della parete vasale, con conseguente danno ischemico: questo è anche uno dei motivi per cui la degenerazione è rapida in questi pazienti, poiché spesso, al danno cellulare, si somma una componente emorragica che peggiora la situazione determinando un danno anche di tipo ischemico.

 

 

14/11/2011

Diagnosi di Alzheimer è praticamente solo clinica, poi si possono fare altri esami di accertamento.

L’istopatologia caratterizza la patologia di Alzheimer.

 

METABOLISMO DELL’APP (AD1)

In condizioni normali, l’APP viene tagliata da diversi enzimi in maniera corretta e procede con la sua normale degradazione.
In condizioni patologiche, tutto il sistema di enzimi taglia “male” l’APP, comportando la formazione di frammenti Ab4 che tendono prima a concentrarsi nell’ambiente extracitoplasmatico, poi a precipitare tra loro formando la placca.

 

Enzimi coinvolti nel metabolismo dell’APP:
b-secretasi
g-secretasi

Nel primo tipo di malattia di Alzheimer, prevale una funzione alterata della b-secretasi che non taglia in maniera adeguata il frammento proteico; nell’AD3 e AD4 c’è un’aumentata attività della g-secretasi, che causa un aumento di produzione di frammenti insolubili di proteina amiloide.
Il meccanismo è simile, ma coinvolge delle funzioni enzimatiche diverse: nell’AD1 è mutata la proteina che non può più essere tagliata dall’a-secretasi, nell’AD3 e AD4 è mutato direttamente l’enzima (presenilina).

 

Il frammento Ab4 è una proteina di 42 amminoacidi, prodotto del clivaggio proteolitico dell’APP, è il principale costituente della placca amiloide caratteristica dell’Alzheimer: studi di linkage hanno permesso di individuare la sede del gene responsabile dell’Alzheimer sul cromosoma 21 (per questo la trisomia 21 comporta una maggiore possibilità di sviluppare la patologia di Alzheimer prima dei 40 anni).
Inoltre, mutazioni del gene bAPP sono coinvolte in alcune forme ereditarie di emorragie cerebrali e amiloidosi vascolare che presentano abbondante deposito di Ab4: questo caratterizza un sottogruppo particolare di pazienti che non ha niente a che vedere con la patologia di Alzheimer, ma che sono colpiti da microinfarti cerebrali recidivanti.

 

PRESENILINE (AD3, AD4)
Sono famiglie di proteine transmembrana che svolgono funzioni di proteasi, g-secretasi: la Presenilina1 è presente sul cromosoma 14, è molto simile alla Presenilina2, localizzata sul cromosoma 1, codificano per proteine simili costituite da sette domini transmembrana.
Subiscono mutazioni missenso che comportano la produzione di Ab4: qui il gene dell’APP è perfettamente conservato, ma non funzionano bene le secretasi.

Il gene della Presenilina1 codifica per una proteina chiamata S182, la mutazione comporta una trasmissione autosomica dominante con demenza a esordio precoce, tra i 45 e i 55 anni.
Ha un andamento molto rapido con morte in pochi anni. Le mutazioni sono state identificate in numerose famiglie.

Il gene della Presenilina2 codifica per una proteina chiamata STM2: le mutazioni sono ad esordio precoce, ma meno di PS1, con una media attorno ai 53 anni.
L’andamento è meno grave, con una sopravvivenza media intorno a 11 anni.
Mutazioni identificate per la prima volta in una famiglia americana di origini germaniche del Volga e successivamente in una famiglia di Firenze.

 

APOLIPOPROTEINA E (AD2)
Proteina plasmatica di 299 aa coinvolta nel trasporto del colesterolo.
Esistono varie isoforme di Apo-E: E2, E3 ed E4.
La variante 3 è detta wild-type, che può essere associata a patologia, mentre quella che si associa costantemente a patologia è E4 che ha una particolare mutazione che altera la normale sequenza dell’Apo-E

 

L’isoforma E4 si associa a malattia di Alzheimer ad esordio tardivo.
Per le altre forme, il rischio di sviluppare la malattia è assolutamente basso (soprattutto per E2).

Questa forma di Alzheimer non è diversa dalle altre, cambia solo il meccanismo molecolare con cui questo avviene: differenti alleli Apo-E potrebbero esercitare i loro diversi effetti influenzando in modi diversi il metabolismo lipidico e/o la riparazione neuronale. Vi sono molte evidenze che diverse apolipoproteine siano coinvolte in meccanismi di mantenimento e riparo neuronale.
La variante E4 ha una forte attività di legame per Ab4, riducendone la clearance: si deposita a livello delle placche assieme a Ab4.
Inoltre, in presenza di Apo-E4, la proteina tau agisce più liberamente nel formare neurofilamenti

proteine tau: sono proteine maps (microtubule-associate proteins), costituite da varie isoforme (se ne contano 6 con numero di aa caratteristico), sono proteine solubili associate ai microtubuli neuronali, prerogativa peculiare del SNC, soprattutto per quanto riguarda l’assetto del citoscheletro all’interno del neurone per creare il flusso delle vescicole contenenti i trasmettitori sinaptici, quindi sono coinvolte sia nella struttura cellulare che nella trasmissione neuronale.
Queste proteine interagiscono con la tubulina, dando luogo alla sintesi e alla stabilizzazione dei microtubuli.
Quando la proteina tau è iperfosforilata (mutazione) a livello a livello di Ser262 e Ser214 forma precipitati insolubili e si separa dai microtubuli che perdono il collante, precipitano e formano aggregati microfibrillari.

 

In sintesi, i meccanismi patogenetici di Alzheimer sono:

TERAPIA

 

I potenziali target terapeutici della malattia di Alzheimer sono meccanismi anti-infiammatori, meccanismi che possono aumentare la clearance della Ab4 (stimolazione della microglia, che è lo “spazzino” del SNC), anti-ossidanti e tutto ciò che aumenta la funzione mitocondriale per ridurre lo stress ossidativo, antagonisti di NMDA (recettori del glutammato) contro l’azione eccitotossica (eccesso di eccitazione che porta a danno neuronale) del glutammato.
Trattamento con fattori di crescita porta a mantenimento e preservazione della funzione neuronale: di tutte queste soluzione, poche oggi sono nell’armamentario terapeutico.
Non esiste ancora oggi una terapia target per l’Alzheimer, non si conoscono cure che permettano di guarire dalla malattia o di ripristinare le funzioni mentali compromesse.

I trattamenti odierni prevedono:
FANS
ANTIDEPRESSI
TACRINA (inibitore della colinesterasi) unica terapia cui si affidano oggi i pazienti: inibisce l’esterasi che cliva l’Ach.

 

 

 

 

 

 

L’Ach ha una serie di step intracellulari standard:

 

 

 

 

 

 

 

L’acetilcolinesterasi taglia l’Ach inibendone l’azione: utilizzando inibitori dell’esterasi, viene mantenuta l’attività del neurotrasmettitore e viene aumentata la disponibilità di Ach che può essere utilizzata dal neurone (migliora la funzione neuronale).

 

 

 

 

 

15/11/2011

EMOCROMATOSI

Quando si parla di emocromatosi si parla dello spettro delle malattie del ferro, che vanno da una condizione di insufficienza (una delle forme di anemia) a una condizione di eccesso, in cui si attua un deposito di ferro in eccesso in vari tessuti dell’organismo, soprattutto in fegato, ghiandole endocrine, cute e altri.

 

OMEOSTASI FISIOLOGICA DEL FERRO

 

Il ferro viene assorbito soprattutto a livello dell’intestino prossimale (duodeno): la quantità media assorbita in un giorno è di circa 1-2mg/die.
Il ferro assorbito viene trasportato tramite transferrina, che rappresenta un pool globale di circa 4mg, e in questo modo arriva ai due principali organi di accumulo e di impiego, che sono i muscoli (mioglobina) e il midollo osseo (eritropoiesi).
Il sistema reticolo-endoteliale (connesso con la componente emopoietica di cui attua il catabolismo) ha un quantitativo pari a 600mg di ferro che viene prelevato dalle proteine e rimesso in circolo (torna a legarsi alla transferrina e può essere riutilizzato).
Il fegato gioca un ruolo importante: è sia un organo di accumulo che un organo di impiego e contiene circa 1000mg di ferro.
La quantità introdotta quotidianamente con la dieta controbilancia le perdite giornaliere di ferro, le quali ammontato a circa 1-2mg.

 

 

Sono due i fenomeni fondamentali che regolano l’omeostasi del ferro:
ASSORBIMENTO: intestinale, regolato dal contenuto globale di ferro (sideremia)
ESCREZIONE: non regolata dalla sideremia (desquamazione enterociti, emorragie, mestruazioni, gravidanza, etc).

Nell’emocromatosi, il feedback che porta al controllo di ciò che assorbiamo non funziona più, quindi l’ipersideremia non determina il blocco dell’assorbimento del ferro.

 

Assorbimento del ferro:
l’enterocita regola l’assorbimento del ferro.
A livello apicale, la citocromo B duodenale reduttasi rende
possibile la veicolazione intracellulare del ferro, che non
viene assorbito se non è convertito da ferro ferrico (Fe3+)
a ferro ferroso (Fe2+): un trasportatore di metalli
divalenti (DMT1) trasporta il ferro all’interno dell’enterocita.
A questo punto il ferro può essere già immagazzinato nelle
cellule epiteliali, legandosi alla ferritina, oppure, attraverso
trasportatori che consentono la fuoriuscita del ferro, il ferro
viene ossidato allo stato ferrico (ferro-ossidasi Efestina) e
trasportato fuori dalla cellula dal lato basale tramite
la Ferroportina.
Una volta in circolo, il ferro viene legato al suo trasportatore
plasmatico, la transferrina e veicolato agli organi.
A livello delle cellule della cripta, sul versante basale è
presente un recettore per la transferrina satura, HFE-TfR1,
il quale media un meccanismo di regolazione dell’assorbimento del ferro in base alla presenza o meno di transferrina satura.
Ipotesi della cripta il recettore baso-cellulare attivato dalla transferrina satura determina una riduzione del trasportatore a livello apicale (DMT1). Questo recettore è anche coinvolto nella maturazione enterocitaria (?).

L’assorbimento del ferro non è lo stesso a livello di altri tessuti, esistono delle piccole differenze:
nel sistema reticolo-endoteliale, quando i macrofagi fagocitano i globuli
rossi vecchi ne lisano il contenuto, liberando il ferro: il ferro viene a
questo punto immagazzinato nei depositi legato a ferritina oppure,
attraverso la ferroportina viene immesso nuovamente nel circolo
ematico.
Nel versante plasmatico il ferro è di nuovo ossidato allo stato
ferrico e legato alla transferrina.

 

A livello epatico, il ferro viene rilasciato dalla degradazione
intraepatocitaria di transferrina, emoglobina, eme e NTBI
(non-transferrin-bound serum iron): una volta all’interno
dell’epatocita, il ferro può essere immagazzinato nella cellula
legato alla ferritina, oppure immesso nuovamente in circolo
previa ossidazione e legato alla transferrina o alle NTBI (1).
Il fegato svolge anche un altro ruolo molto importante:
la sintesi dell’Epcidina (2).
L’epcidina è una proteina espressa in maniera dipendente
da carrier quali HFE, TfR2 (espresso prevalentemente a livello
epatocitario) ed emojuvelina, che fungono da sensori del ferro.
Attraverso questi sensori, l’epatocita sintetizza epcidina
(attraverso gli stadi di pro-pre-epcidina epre-epcidina) la quale regola negativamente l’emissione di ferro nel plasma favorendo l’internalizzazione e la degradazione della ferroportina.

In sintesi:

 

FISIOPATOLOGIA DELL’EMOCROMATOSI
L’emocromatosi è un disordine del metabolismo del ferro con accumulo a livello intraparenchimale e potenziale danno multiorgano.

Esistono due forme di emocromatosi:

  • emocromatosi primaria (o ereditaria): dovuta ad una mutazione in uno o più geni coinvolti nel metabolismo del ferro
  • emocromatosi secondaria: dovuta a sovraccarico di ferro secondario ad una patologia organica, sistemica, metabolica o iatrogena che determina il sovraccarico secondario.

Cause di emocromatosi secondaria:
- Anemie da carico di Fe

  • Eritropoiesi inefficace

            Sindromi talassemiche, anemia sideroblastica, mielodisplasia, diseritropoiesi congenita

  • Aumentata eritropoiesi

            Anemia emolitica cronica
- Terapia marziale o emotrasfusioni multiple
- Sindromi Metaboliche

  • Obesità / insulino-resistenza, ipertensione (emocateresi intravascolare)

- Epatopatie croniche

  • Epatiti, alcol, NASH, porfiria cutanea tarda

- Accumulo di Fe delle popolazioni africane

 

Cause di emocromatosi ereditaria (quota minore rispetto alla secondaria):
- HFE

  • C282Y omozigosi (95%) (cisteina tirosina, mutazione in assoluto più frequente)
  • C282Y/H63D eterozigosi (4%)
  • H63D omozigosi (1%) (istidina aspartato)

- Non HFE

  • Emocromatosi variante HJV (emojuvenina)
  • Emocromatosi variante epcidina
  • Emocromatosi variante TfR2
  • Emocromatosi variante ferroportina

- Altre forme

  • S. da iperferritinemia – catarratta congenita
  • Deficit di eme-ossigenasi (OH)
  • Accumulo neonatale di Fe
  • Aceruloplasminemia congenita
  • A-(ipo)transferrinemia congenita
  • Variante DMT1

Non è sempre detto che i pazienti con una forma frequentissima di emocromatosi ereditaria necessariamente debbano sviluppare l’emocromatosi nel tempo: questa mutazione non è così incisiva per quanto riguarda l’espressione fisiopatologica e clinica della condizione morbosa.
Esistono fattori ambientali: per esempio, l’epatite C o l’alcolismo possono precipitare l’evoluzione verso il danno d’organo e la slatentizzazione della malattia.
A volte, intercorre un lungo lasso di tempo prima che questi pazienti vengano riconosciuti come emocromatosici (questo è tipico dei pazienti con mutazione C282Y): per le altre mutazioni, di solito l’emocromatosi è grave e precoce (es: mutazioni epcidina), con alti valori di sideremia e coinvolgimento precoce di organi target (fegato, pancreas).

 

Le varie mutazioni responsabili di emocromatosi primaria (indicate in basso) influenzano lo sviluppo della patologia con tempistiche e meccanismi differenti: alcune forme sono più precoci e gravi (HAMP gene dell’epcidina, HJV), altre sono più tardive e insidiose, in relazione con la funzione svolta dalle diverse proteine.

 

MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL’EMOCROMATOSI
L’emocromatosi ha vari target tissutali:

  • FEGATO: epatomegalia; fibrosi che negli stadi iniziali può essere reversibile, ma che evolve verso la cirrosi se non trattata e quindi nel cancro
  • PANCREAS: soprattutto il pancreas endocrino, determinando diabete
  • CUORE: cardiomiopatie; scompenso; aritmie molto gravi, anche fatali
  • ARTICOLAZIONE: artropatie
  • CUTE: iperpigmentazione
  • ADENOIPOFISI: ipogonadismo ipogonadotropo, quindi infertilità e impotenza nell’uomo.

 

Biopsia epatica: si nota l’accumulo di ferro (macchie scure) all’interno degli epatociti

 

18/11/2011

EMOCROMATOSI EREDITARIA
Disordini ereditari del metabolismo del ferro con progressivo accumulo intraparenchimale e potenziale danno multiorgano.

Le caratteristiche fondamentali dell’emocromatosi ereditaria sono:

  • trasmissione genetica, per la maggior parte dei casi autosomica recessiva (solo una delle forme finora note è autosomica dominante);
  • determinano tutte un aumento del ferro nel distretto plasmatico, quindi aumenta la sideremia e la saturazione della transferrina;
  • si ha un incremento di ferro nel tempo nelle cellule parenchimali, che si associa all’aumento della ferritina e al danno d’organo;
  • l’eritropoiesi non tende ad aumentare, rimane costante (è condizionata da altri meccanismi e non solo dalla presenza di ferro in eccesso).
  • tutte questo forme rispondono alla salasso-terapia

Le forme ereditarie non sono forme frequenti (1 caso ogni 1500-200 abitanti in Italia), è più rara nei soggetti non caucasici (più diffusa al nord).

Classificazione genetica OMIM dell’emocromatosi ereditaria:

  • Tipo 1       HFE emocromatosi

 

  • Tipo 2A    Emocromatosi giovanile (da emojuvelina)
  • Tipo 2B    Emocromatosi da epcidina

 

  • Tipo 3       Emocromatosi da alterazione del recettore 2 della transferrina
  • Tipo 4       Emocromatosi da alterazione della ferroportina

 

 

GENE HFE
Il gene HFE è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6: il locus è vicino al sistema MHC I e, come le molecole MHC I, per funzionare deve legarsi alla b2-microglobulina, che ne consente l’espressione a livello della membrana cellulare. Regola l’interazione della transferrina con il suo recettore.
Ha un duplice ruolo:

  1. a livello epatico, lega TfR1, aumentando l’espressione di epcidina e quindi causando un calo nell’espressione della ferroportina;
  2. a livello enterocitario, lega TfR1 con conseguente diminuzione dell’espressione di DMT1 e del citocromo, con minor assorbimento di ferro a livello apicale.

Quando non è mutata, la cisteina in posizione 282 consente la formazione di ponti disolfuro:

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la cisteina è mutata, non si formano ponti disolfuro e non riesce a legare la b2-microglobulina, causando la mancata espressione di HFE.
Le forme omozigoti per questa mutazione rappresentano il 95% delle emocromatosi legate a HFE.
L’altra forma, meno frequente, è legata alla mutazione di un’istidina con aspartato, che consente il legame con la b2-microglobulina, ma causa comunque un’alterata funzione di HFE (è un danno “minore”) che non è funzionante: possono esistere forme omozigoti per questa mutazione (1%) oppure forme miste con la precedente (4%).

Quando c’è la mutazione C282Y, si blocca il legame tra b2-microglobulina e HFE, il quale viene distrutto a livello dell’apparato di Golgi: ne consegue che vi è un’aumentata espressione di DMT1 e di citocromo, con maggiore ingresso di ferro nell’enterocita, a livello egli epatociti c’è minor sentore della transferrina satura, viene prodotta meno epcidina e quindi espressione della ferroportina che causa un aumento del ferro in circolo che può andare a precipitare nei vari tessuti.
Questa però non è una variante completamente patologica di per sé: determina una forte predisposizione alla malattia, ma risente di molti altri fattori ambientali
crescita, mestruazioni, gravidanze, diete, perdite ematiche possono influenzare in negativo l’evoluzione della malattia (perché consumano ferro); viceversa, la patologia può essere accelerata da predisposizioni quali abuso etilico, sovraccarico di ferro per eritrocateresi (talassemia), infezioni croniche ricorrenti, HCV, NASH possono precipitare l’evoluzione verso una emocromatosi conclamata.
E’ per questo che all’inizio della patologia si può osservare solo un aumento del ferro plasmatico con aumento della saturazione della transferrina: nel tempo si può avere accumulo tissutale di ferro con aumento della ferritina. Quando si arriva ad avere test epatici, endocrini e glicemici alterati, significa che si è già arrivati al danno d’organo conclamato, con ferritina > 1000mg/ml (valore cut-off oltre il quale c’è danno d’organo).

 

GENI HJV/HAMP
Il gene dell’emojuvelina (HJV) è localizzato sul cromosoma 1: la mutazione responsabile nel 50% dei casi è un’omozigosi G320V (glutammato valina).
L’emojuvelina è una proteina di membrana con funzione di co-recettore, sente le variazioni della concentrazione di ferro portando all’attivazione della sintesi di epcidina.

Sono forme clinicamente severe ad insorgenza precoce (< 30 anni), con uguale frequenza nei due sessi.
L’interessamento epatico è simile all’emocromatosi di tipo 1, ma sono forme più gravi con maggiore coinvolgimento delle ghiandole endocrine (ipogonadismo, cardiomiopatia).

Il gene dell’epcidina (HAMP) è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 19: nella mutazione C282Y, l’epcidina viene sovraespressa per l’elevata disponibilità di ferro ed è per questo che all’inizio la malattia non è conclamata.
È molto simile alla forma precedente dal punto di vista clinico.

 

Tutte due determinano una minore espressione o l’assenza di espressione di epcidina, con conseguente incremento dell’attività della ferroportina e una maggiore quantità di ferro rilasciata in circolo e accumulo nei tessuti.

Gli aspetti clinici caratteristici sono uguali per le forme 2A e 2B: l’esordio è dopo i 10 anni, con dolore addominale e ipogonadismo ipogonadotropo (non ci sono gonadotropine), comparsa di aritmie e insufficienza cardiaca potenzialmente letale, intolleranza ai cibi, diabete, incremento di transferrina e ferritina.
Le manifestazioni cliniche principali sono:

  • cardiopatie
  • ipogonadismo
  • diabete

Il decorso è estremamente severo, ma c’è una risposta positiva ad una salasso-terapia aggressiva.

GENE TfR2
Il gene del recettore 2 per la transferrina è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7: è espresso soprattutto dal fegato, con un’affinità per il ferro minore del recettore 1.
È molto simile alla forma 1, ma è una forma più severa a insorgenza più precoce e colpisce soprattutto le popolazioni del mediterraneo.

La mutazione di TfR2 può essere concomitante con la mutazione di HFE si ha una ridotta espressione dell’epcidina, con aumentata funzione della ferroportina, che causa un aumento del rilascio in circolo di ferro e conseguente innalzamento della sideremia e quindi sovraccarico di ferro.

 

Caratteristiche cliniche delle forme 1 e 3 di emocromatosi (sono molto simili):

  • Localizzazione fegato, apparato endocrino, cuore
  • Sintomi e segni clinici esordio dopo i 40 anni; astenia, artralgie, impotenza, inferitilità, epatomegalia, diabete mellito, pigmentazione cutanea, cirrosi, scompenso cardiaco, aritmie; ­transferrina e ferritina.

 

  • Manifestazione clinica principale epatopatie (vs impronta cardiaca ed endocrina dei tipi 2A e B)
  • Accumulo di Fe epatociti

 

  • Decorso clinico moderato per il tipo 1, severo per il tipo 3
  • Risposta a salasso-terapia buona

 

 

GENE DELLA FERROPORTINA
FPN1 localizzato sul braccio lungo del cromosoma 2: è espresso da epatociti e macrofagi.
Quando è mutata, il ferro non viene escreto da macrofagi e fegato e si accumula al loro interno, con riduzione del ferro circolante e conseguente aumento del riassorbimento di ferro dall’intestino.

Caratteristico è l’aumento della ferritina, con accumulo di ferro soprattutto nei macrofagi e relativo risparmio del fegato, con livelli normali o bassi di transferrinemia (transferrina tende ad aumentare all’inizio, ma poi porta il ferro nelle cellule e da lì non esce più).

Esistono due varianti della forma 4:

  • Variante 1: caratterizzata da una maggiore saturazione di transferrina, con aumentato deposito epatocitario;
  • Variante 2: più frequente, caratterizzata da una riduzione della saturazione della transferrina, minor interessamento epatocitario e andamento clinico più benigno rispetto alla precedente.

Colpisce asiatici, caucasici e africani: è l’unica forma autosomica dominante.

 

C’è un calo di efflusso di ferro dai macrofagi, incremento di ferro intratissutale e un calo del ferro circolante e della transferrina satura.

Manifestazioni cliniche:

  • Localizzazione (fegato) milza
  • Sintomi e segni clinici esordio dopo i 40 anni; sintomi simili al tipo 1 + anemia lieve; ­ ferritina molto più alta rispetto alla transferrina che può essere normale o ridotta

 

  • Manifestazione clinica principale   epatopatie
  • Accumulo di Fe soprattutto nelle cellule reticolo-endoteliali

 

  • Decorso clinico lieve
  • Risposta al salasso scarsa poiché non c’è molto ferro libero da drenare

 

 

TERAPIA
Noi abbiamo pazienti che si presentano con quadro clinico caratterizzato da artrite, insufficienza cardiaca, diabete, malattie del fegato, alterazioni della pigmentazione della pelle, ipogonadismo, etc: la prima cosa da fare è valutare la percentuale di transferrina satura a digiuno.

Se la saturazione è inferiore al 45% è nell’arco della normalità; se la saturazione è in un range di dubbio (45-60), il paziente deve essere controllato, se la saturazione è superiore al 60%, bisogna valutare l’origine del paziente ed effettuare un test genetico (test per C282Y e H63D).

Il paziente con emocromatosi ha possibilità 1 su 10 di avere un partner portatore: è necessario identificare omozigoti e portatori eterozigoti.

Il follow-up del paziente consiste in un monitoraggio sia della trasferrina satura che della ferritina sierica ogni 3 anni.

La biopsia epatica viene effettuata a nuovi pazienti con HFE, elevata ferritina (> 1000mg/ml), ALT elevate, con o senza presenza di epatomegalia.

Il trattamento dell’emocromatosi è principalmente la salasso-terapia: ogni 450 ml di sangue vengono prelevati 0,23-0,25mg di ferro (con eccesso di ferro che può essere di 20-40mg), rendendo necessarie anche 80-160 sedute di salasso-terapia.
Si punta a ottenere una deficienza di ferro con salassi settimanali (saturazione transferrina <16% e ferritina < 15mg/L, oppure ferritina <50mg/L).
I salassi si mantengono ogni 2-3 mesi a seconda dei casi.

Terapia con chelanti del ferro
DESFERRIOXAMINA, può essere fatta sottocute, via endovena.
È importante evitare supplementi di vitamina C che tende ad aumentare l’assorbimento di ferro.
DEFERASIROX, farmaco in via di studio, assunto per via orale

 

 

 

AMILOIDOSI

Patologia caratterizzata dal disfolding delle proteine, alterato ripiegamento con accumulo di materiale proteico.
Questo meccanismo riguarda un gruppo di malattie ad espressione clinica sistemica o localizzata, con deposizione extracellulare di aggregati proteici in forma fibrillare: la deposizione comincia attraverso il polo neurovascolare, con conseguente alterazioni funzionali e strutturali degli organi coinvolti con un meccanismo simil-ischemico.

Non sono patologie molto frequenti: 8 casi per milione per anno, M=F, colpisce pazienti di 50-60 anni.
L’organo più colpito in assoluto è il rene (74%), seguito dal cuore (60%), dal fegato (27%), SNA, tratto gastrointestinale (innervazione), SNC, SNP, articolazioni, pancreas, milza, cute, etc.

La prognosi è infausta: 80% muoiono entro 12 anni dalla diagnosi.

 

DIAGNOSI
Si sospetta in qualsiasi paziente con malattia sistemica multiorgano senza causa apparente: si fa l’anamnesi familiare per forme ereditarie (forma autosomica dominante che si presenta con penetranze variabili, colpendo almeno un membro per generazione).

Diagnosi differenziale con:

  • Malattia ischemica (coronopatie)
  • Neuropatie
  • Insufficienze renali cromiche (Apo1 e Apo2)

La biopsia deve essere colorata in maniera speciale, tramite tecniche immunoistochimiche che ci permettono di vedere la deposizione di amiloide colorazione rosso Congo di organo affetto, grasso periombelicale o mucosa del retto (sensibilità del 70-80% ma solo in forme genetiche di amiloidosi).

 

MANIFESTAZIONI CLINICHE
Rene si presentano alterati per fenomeni ischemico-emorragici, al rosso Congo si vede la positività per la deposizione di materiale amiloide.
Le alterazioni renali sono spesso presenti nella forma di amiloidosi a catene leggere (AL), che è una delle forme più frequenti, così come è presente nelle forme legate a mutazioni di Apo1 e Apo2.
La caratteristica clinica fondamentale è la sindrome nefrosica.

Cuore anche il cuore può essere colpito. Classico coinvolgimento in corso di amiloidosi AL, soprattutto all’esordio (20% dei casi), ne deriva insufficienza cardiaca da deposizione di materiale a livello del miocardio, può esserci aritmia e cardiomiopatia restrittiva (materiale proteico rende le pareti del miocardio molto rigide); si possono anche avere cardiomiopatie, sempre per il coinvolgimento vascolare in corso di amiloidosi.

Fegato epatopatie cronica da deposizione di materiale amiloide.

Sistema nervoso si può avere coinvolgimento di parte del SNC, del SNP, del SNA, che danno varie manifestazioni, di cui le più importanti sono:

  • alterazioni sensoriali simmetriche di entrambi gli altri, centripete (tipico del coinvolgimento SNC-SNP);
  • neuropatia dolorifica e termina (SNC-SNP);
  • neuropatia sensitivo-motoria progressiva, tipica dell’amiloidosi legata a mutazione del gene della transtiretina;
  • disautonomia, caratterizzata soprattutto da ipotensione ortostatica (SNA);
  • sindrome del tunnel carpale;
  • disfunzione vescicale;
  • impotenza;
  • manifestazioni gastrointestinali (SNA)

Tutte queste manifestazioni si presentano in assenza di diabete oppure in presenza di gammopatia monoclonale.
Alla biopsia, si vede un fenomeno di dislocazione delle fibre nervose con compromissione della trasmissione e depositi di amiloide attorno alle arterie perforanti che peggiora la situazione, causando ischemica che danneggia il nervo.

Tratto gastrointestinale colpito nell’8% dei casi: presenta ulcerazioni anche a livello dell’intestino tenue, malassorbimento molto importante, turbe dell’alvo (diarrea, stipsi), può comparire vomito, possono esserci sub-occlusioni intestinali ricorrenti (ileo dinamico) con quadro di pseudo-ostruzione, macroglossia (deposizione di materiale proteico nella lingua “a pila di monete”).

Cute diatesi emorragica

Muscolatura pseudoipertrofia per infiltrazione di materiale amiloide

Ossa lesioni litiche, fratture spontanee

 

FISIOPATOLOGIA DELL’AMILOIDOSI
Le chaperonine sono proteine molto importanti, coinvolte nel corretto ripiegamento (folding) delle proteine durante la loro sintesi: se le proteine non subiscono un folding adeguato, non sono proteine mature e funzionanti, tendono a precipitare in fibrille che causano poi amiloidosi.

Il folding proteico di proteine di nuova sintesi è spontaneo e irreversibile e questo meccanismo comprende due step molto importanti:

  1. formazione di ponti disolfuro, che non avviene spontaneamente, ma è catalizzata dalla disolfuro isomerasi
  2. formazione di legami prolil-peptidici

 

Queste reazioni sono tutte facilitate dalle chaperonine: senza le chaperonine che legano le proteine non avviene l’avvolgimento adeguato, il piegamento necessari per la conformazione tridimensionale delle proteine.
Un’altra funzione importante delle chaperonine è quella di favorire l’eliminazione di proteine parzialmente ripiegate o ripiegate male.

 

 

 

 

 

 

 

Quando si hanno delle interferenze, come calore, stress, mutazioni, questi prodotti parzialmente ripiegati possono precipitare e formare aggregati di amiloide: l’organismo evita questo attraverso il legame con l’ubiquitina e la degradazione nel proteasoma (secondo meccanismo che interviene, dopo le chaperonine).

 

L’amiloidosi causa compressione e impedimento agli scambi tra il compartimento plasmatico e quello cellulare, che porta ad ipotrofia, atrofia, sclerosi e insufficienza d’organo con danno multiorgano.

 

Esiste un equilibrio tra le forme di fibrille ancora solubili nell’ambiente intracitoplasmatico e forme insolubili che portano alla formazione di amiloidosi: tutto parte da un seme che è rappresentato dal misfolding alo stato iniziale, che tende ad aggregarsi con altri frammenti mal ripiegati che poi precipitano e formano il materiale amiloidosico.

Classificazione delle amiloidosi:


CLASSIFICAZIONE

 

ANATOMICA

Amiloidosi sistemiche
Amiloidosi localizzate

EZIOLOGICA

Amiloidosi secondarie
Amiloidosi primarie

GENETICA

Amiloidosi ereditarie
Amiloidosi sporadiche

BIOCHIMICA

Tipo di proteina (> 20 tipi diversi)

 

 

 

 

 

 

 

 

AMILOIDOSI SISTEMICHE
Rappresentano circa l’80-90% di tutte quante le amiloidosi.
Possono essere ulteriormente classificate in:

  • forme legate a discrasie del sistema immunitario: soprattutto delle plasmacellule e dei linfociti B (plasmocitoma o mieloma multiplo). Le sedi maggiormente interessate sono il rene, surrene, intestino, cuore, milza, cute, articolazioni ed è caratterizzate da catene leggere k e l (amiloidosi AL);
  • amiloidosi reattiva sistemica: forma legata a flogosi cronica o a malattie linfoproliferative particolari (LH), colpisce rene, fegato, milza, surrene. È legata alla proteina nota come AA (amiloide associata);
  • forme legate a emodialisi (insufficienza renale cronica): colpisce soprattutto ossa, cute, articolazioni. È causata dall’Ab2m (b2-microglobulina);
  • forme familiari: Febbre Mediterranea (autosomica recessiva), l’amiloidosi (proteina AA) si localizza soprattutto a livello delle sierose e delle membrane sinoviali; Polineuropatia (autosomica dominante), colpisce i nervi periferici con depositi di ATTR (transtiretina mutata);
  • forma senile: colpisce cuore, grandi arterie polmone, prostata, pancreas ed è legato a una transtiretina normale (ATTR).

 

Patogenesi dell’amiloidosi sistemica:

Nelle discrasie immunitarie c’è un’iperproduzione di cellule B su base di uno stimolo indefinito, con elevata produzione di immunoglobuline che vanno incontro a proteolisi parziale, perché il sistema non è in grado di affrontare l’enorme quantità di materiale prodotto e quindi si crea un eccesso di catene leggere che vanno incontro a fenomeni di precipitazione e di accumulo.
Nelle forme reattive, legate alla flogosi cronica che attiva i macrofagi i quali producono citochine in grado di attivare una proteina dell’infiammazione detta Serum Amyloid Associated Protein (SAA), che si accumula perché la proteolisi non è sufficiente, con conseguente precipitazione e accumulo.

L’amiloidosi AL, caratterizzata dalle catene leggere, è una patologia poco frequente: le fibrille sono dovute a una proteolisi parziali con frammento N-terminale di immunoglobuline monoclonali (plasmocitoma), che comprende le regioni variabili e una porzione di quelle costanti.

L’amiloidosi da infiammazione cromica è dovuta al deposito del frammento N-terminale della proteina SAA (più probabilmente un’altra componente proteica non identificata), prodotta in corso di flogosi croniche (artrite reumatoide, infezioni croniche, febbri periodiche ereditarie, criopirinopatie (da crioglobuline), HIDS (sindrome da ­ IgD), TRAP, neoplasie come il LH e il carcinoma renale, etc).

 

AMILOIDOSI LOCALIZZATE
Sono il 10-20% delle amiloidosi: sono localizzate poiché derivano da patologie endocrine oppure da patologie cerebrali.

 

 

SEDE

FIBRILLA PROTEICA

Endocrine

Carcinoma tiroideo
Insulinoma
Diabete Tipo II

Tiroide
Pancreas
Pancreas

ACal (calcitonina)
AIAPP (amilina)
AIAPP (amilina)

Amiloidosi isolata atriale

Atri

AANF (fattore natriuretico atriale)

Cerebrali

M. Di Alzheimer

Encefalopatia spongiforme
HCHWA I (AD)

HCHWA O (AD)

Neocorteccia, ippocampo, amigdala
Neuroni cerebellari
Arterie/arteriole cerebrali e leptomeningee
Arterie/arteriole cerebrali e leptomeningee

Aβ (APP)

APrP
Cistatina C (glu/leu68)

Aβ (APP)

21/11/2011

AMILOIDOSI EREDITARIE
Sono rappresentate da una serie di patologie con una modalità di trasmissione autosomica dominante a penetranza variabile.
Ciascuna di queste patologie è conseguenza di una o più mutazioni di una proteina specifica che, pur manifestando distribuzione sistemica, esprime tendenza a depositarsi in tessuti preferenziali che ne condizionano l’espressione clinica (in virtù della penetranza variabile).

 

Le forme sistemiche sono fondamentalmente dovute a una particolare mutazione del gene della transtiretina.

 

TRANSTIRETINA
È una delle forme più importanti.
La transtiretina è una proteina plasmatica costituita da quattro subunità
identiche di 127 aa: è sintetizzata dal fegato, ma è presente anche nel
cervello (plesso corioideo) e nell’occhio (epitelio pigmentoso della
retina).
Trasporta la proteina legante il retinolo (vitamina A) e fino a 1/4 della
tiroxina sierica (trasportato nella parte centrale della proteina).
La transtiretina è codificata da un gene con 4 esoni:

    • esone 1 20  AA    (ne rimangono solo 3 nella forma matura)
    • esone 2 4-47 AA
    • esone 3 48-92
    • esone 4 93-127

Ad oggi sono note oltre 90 mutazioni del gene della transtiretina, dimostrate sugli esoni 2, 3 e 4, ma nessuna sull’esone 1.
Tutte queste mutazioni determinano una trasmissione della malattia autosomica dominante.

Il coinvolgimento del fegato è presente anche qui, come nelle altre forme di amiloidosi, ma è tardivo e risponde bene al trapianto.

Caratteristica clinica peculiare di questa forma di amiloidosi è una
neuropatia periferica sensitivo-motoria (bianco indica le aree coinvolte,
fondamentalmente un coinvolgimento a “calza” e a “guanto”): la
neuropatia non è pura, non è soltanto parestesie e difficoltà alla
deambulazione, ma è anche associata a disautonomia del SNA, poiché
questi pazienti possono avere ipotensione ortostatica, impotenza,
incontinenza, etc.
Anche la comparsa di gravi disturbi gastrointestinali devono fare pensare
a questa patologia (passano da condizioni di diarrea a stipsi, fino ad avere
crisi subocclusive ricorrenti CIPO).
Si possono avere anche sintomi urologici (ritenzione urinaria).
Il coinvolgimento del SNP è precoce, con comparsa di parestesie, poi manifestazioni di tipo motorio con direzione centripeta.
Raramente coinvolge il SNC, soprattutto a livello delle arterie meningee e cerebrovascolari.

La neuropatia è dovuta a deposizione di materiale amiloide, con disturbo della funzione del nervo, con danneggiamento, demielinizzazione con perdita della trasmissione del segnale (che è ciò che causa la clinica) e compressione dei vasi, che peggiorano il danno aggiungendovi l’ischemia.

Meccanismi patogenetici della mutazione della transtiretina:
Ipotesi: danneggiamento dei canali del calcio.
Questi canali regolano l’eccitabilità della membrana citoplasmatica in quanto, depolarizzandola con l’ingresso di calcio attivano altri canali (sodio e potassio) e inducono il potenziale d’azione.
Sono costituiti da 7 subunità che in parte formano il canale e in parte hanno funzione di modulazione.

 

Sono tre i meccanismi che portano al danno in corso di amiloidosi da transtiretina:

  1. la proteina della transtiretina tende a formare piccoli aggregati (non ancora fibrillari) che possono alterare la membrana citoplasmatica del nervo attraverso una sorta di legame con modificazione dei lipidi di membrana che attiva i canali del calcio, che in questo modo ricevono un falso segnale;
  2. la presenza di queste molecole legate alla membrana determina l’attivazione del sistema reticolo endoplasmatico rugoso, che libera il calcio contenuto all’interno, innescando un meccanismo pro-apoptotico;
  3. interazione con i recettori degli AGEs, che attivano trasmettitori intracitoplasmatici tra cui le MAPkinasi, con liberazione del calcio e conseguente meccanismo apoptotico e produzione diretta di superossidi e radicali liberi tossici per la cellula.

Le mutazioni della transtiretina possono causare alterazioni cardiache, ma tardive, rara manifestazione all’esordio, causa di una cardiomiopatia restrittiva (principale causa di exitus).

L’interessamento dell’occhio è caratterizzato opacità del corpo vitreo nel 25% dei casi: è un importante indicatore diagnostico, poiché con l’esame dell’occhio riesco a riconoscere le alterazioni tipiche dell’amiloidosi.

I pazienti affetti da questo tipo di amiloidosi possono sviluppare delle artriti e artrosi molto importanti distruzione articolare neuropatica (malattia di Charcot), è il nervo che porta a un non adeguato funzionamento articolare e al danno osseo. Scadente risposta ad interventi di fusione o protesi.

 

FORME RARE:
APOLIPOPROTEINA 1
Catena polipeptidica di 243 aa coinvolta nel trasporto del colesterolo.
Il gene che la codifica si trova sul cromosoma 11 e può essere mutato (si conoscono 12 mutazioni, generalmente sostituzioni di singoli nucleotidi): la proteina mutata comporta la deposizione di materiale amiloide costituto da frammenti di Apo1 di 83-93 aa dovuti a degradazione incompleta.
È autosomica dominante, sempre con penetranza variabile.

Si ha sia l’interessamento cutaneo che della laringe (mutazioni con formazione di frammenti N-terminali, NTD), che l’interessamento di rene, fegato e cuore (mutazioni con formazione di frammenti C-terminali, CTD).
Quando c’è la mutazione Glyc26Arg, c’è anche la presenza di neuropatia periferica.

 

GELSOLINA
Proteina sintetizzata dal muscolo scheletrico e nei macrofagi, il gene si trova sul cromosoma 9: responsabile del clivaggio dell’actina essenziale per il metabolismo e la riorganizzazione del citoscheletro.
Si conoscono due mutazioni associate a deposizione di amiloide composta di un segmento interno di gelsolina costituito da 71 aa comprendenti il residuo mutato (Asp187Asn, Asp187Tyr).
Si hanno distrofia corneale, neuropatia craniale (colpisce soprattutto i nervi cranici), lassità cutanea del volto.

 

LISOZIMA
Batteriolitico naturale, aumenta nelle patologie infiammatorie e nelle neoplasie ematologiche.
Si conoscono 4 mutazioni associate a deposizione di vari frammenti di lisozima o anche della proteina intatta.
L’amiloide determina un coinvolgimento del rene (a livello glomerulare) con tardiva insufficienza renale che si manifesta nella 3°/4° decade di vita: risponde bene a trapianto.

 

25/11/2011
CARCINOMA DEL COLON-RETTO

La stragrande maggioranza dei carcinomi del colon-retto è dato da forme sporadiche (circa 3/4), solo una piccola quota è familiare e in una minore parte ancora è stata identificata una componente genetica.

 

Per le forme genetiche, i fattori di rischio comprendono avere parenti stretti con adenoma/adenocarcinoma prima dei cinquant’anni: più aumenta l’età del malato, meno alto è il rischio di sviluppare il tumore, viceversa più parenti si hanno affetti dal carcinoma del colon-retto, più è alto il rischio di contrarlo.

 

 

Sequenza dello sviluppo del CCR:

  • mucosa colica normale
  • epitelio iperproliferante
  • adenoma con displasia
  • carcinoma

Tutti questi step vedono un coinvolgimento di geni sempre maggiore: tanto più avanza la lesione, tanto maggiore è il numero di anomalie che possono essere identificate.

Il primo aspetto è quello che coinvolge lo switch dall’epitelio normale a quello iperproliferante che prevede l’inattivazione dell’oncosoppressore APC: è fondamentale e gioca un ruolo centrale.
Successivamente intervengono altri aspetti, come la metilazione del DNA (fattore epigenetico anch’esso coinvolto nel processo), l’attivazione dell’oncogene RAS, la delezione del DCC (coinvolto soprattutto nella genesi della displasia, quindi nel passaggio ad adenoma) e l’inattivazione di p53 e da qui si arriva alla vera e propria formazione del cancro, con il processo metastatico che prevede anche la presenza di altre anomalie.

 

APC
È stato identificato sul braccio lungo del cromosoma 5 grazie a studi di linkage su pazienti con poliposi adenomatosa familiare (FAP): è caratterizzato da perdita di eterozigosità, si perde uno dei due alleli (lesione tipicamente riscontrata nelle lesioni neoplastiche a trasmissione genetica).
APC è fondamentale non soltanto nelle forme genetiche, ma anche in buona parte (70%) delle forme sporadiche.

Nel 90% delle mutazioni di APC si forma un codone di stop prematuro, con prodotto genico inefficace: in questo modo, non è più in grado di controllare l’espressione e la sintesi della bcatenina.

Questa versione tronca di APC viene impiegata per lo screening genetico.

APC è una proteina di grandi dimensioni, che regola il legame di numerose proteine che mediano l’adesione cellulare (bcatenina, gcatenina, GSK-3b, exina, tubulina, GB1, hDLG): vengono regolate attraverso fosforilazione che le porta a degradazione.

La bcatenina è la più importante media l’adesione inter-cellulare: quando non è più controllata dall’APC, vi è un accumulo intracitoplasmatico di bcatenina, la quale diventa un segnale nucleare per vari fattori di trascrizione, tra cui Tcf (T-cell-factor) che a sua volta determina up-regulation di vari oncogeni (COX-2, C-Myc, cyclin D1, PPAR-d)
proliferazione incontrollata degli enterociti delle cripte del colon

I ruolo di questa alterazione è precoce nel CCR: l’alterazione della bcatenina è stata riscontrata anche in polipi adenomatosi benigni (indice di precocità della mutazione).
Alterazioni di bcatenina possono portare alla formazione di polipi anche in presenza di APC normale, in quanto “successive” a quelle di APC .

Fondamentale è il ruolo delle up-regulation dei vari oncogeni a valle di APC, come PPAR (peroxisome proliferator-activating receptor gene): i FANS possono bloccarne la sintesi. Questo porta a un controllo della crescita cellulare: questo gene codifica per recettori nucleari coinvolti nel controllo del metabolismo di lipidi e nella crescita cellulare.
Se attivato, inibisce la crescita cellulare, ma favorisce la progressione della cellula in senso neoplastico.

I complessi meccanismi che portano alla formazione del CCR coinvolgono anche Wnt (wingless intern, scoperto nella drosophila, corrisponde a 19 geni circa nell’uomo) e due altre proteine, chiamate DHS (dishevelled: arruffato) e FZ (o FRZ, frizzled: arricciato)

le proteine Wnt si legano a recettori di membrana, recettori di tipo G della famiglia FZ, importanti per una funzione fondamentale della cellula che è la polarità cellulare: questa interazione porta all’attivazione delle proteine DHS (sono messaggeri intracellulari) che determinano un aumento della bcatenina, la quale attiva gli oncogeni.
Quando c’è eccesso di Wnt, si ha un’eccessiva produzione di bcatenina e quindi un’eccessiva attivazione degli oncogeni a valle del segnale.
In condizioni fisiologiche, il complesso Axin/GSK3 controlla la bcatenina degradandola tramite fosforilazione in presenza di APC: quando uno di questi fattori è mutato, la bcatenina non viene più degradata e si ha la progressione neoplastica.

 

 

 

 

 

 

I farmaci usati come anti-infiammatori non steroidei sono di potenziale aiuto per quanto riguarda la patologia neoplastica.
I FANS più vecchi, come l’aspirina, bloccano tutte e due le COX, bloccando quindi anche la sintesi delle prostaglandine protettive della mucosa e mediando un danno epiteliale: oggi si hanno prodotti più selettivi nei confronti della COX-2.
Diversi studi dimostrano che questi farmaci hanno un potenziale beneficio nei confronti dei pazienti che sviluppano adenomi: tuttavia non sono risolutivi (non eliminano completamente gli adenomi, li riducono di circa il 48,8%) e nel tempo gli adenomi riprendono a proliferare, quindi non sono sostitutivi della chirurgia, ma possono essere adiuvanti in preparazione all’operazione.

 

METILAZIONE
È un evento epigenetico, è una modificazione del DNA, non una mutazione.
Non si sa perché abbiamo questo meccanismo: probabilmente deriva da un residuo di antiche
infezioni virali (sarebbe un normale meccanismo di riconoscimento self/non-self dei virus), ma questa è solo un’ipotesi.
Si attua attraverso una modificazione chimica del DNA tramite aggiunta di un gruppo –CH3: può essere ereditata e modificata in seguito, legando l’anello pirimidinico della citosina porta al silenziamento genico.
È un processo fisiologico: è normalmente coinvolto nello sviluppo, come ad esempio nell’imprinting e nell’inattivazione del cromosoma X o nel silenziamento di elementi ripetitivi presenti nel DNA.

Si può avere:

  • ipometilazione: è precoce, determina instabilità cromosomica e loss of imprinting
  • ipermetilazione: associata alla regione promoter del gene, spesso indotta da un oncogene suppressor, concomitante alla funzione dell’ipermetilazione (?)

 

K-RAS
È un oncogene frequentemente coinvolto nel CCR: codifica per una famiglia di proteine transmembrana simili a G-proteins che agiscono come interruttori unidirezionali per la trasmissione di stimoli extracellulari di accrescimento nucleare.
In condizioni fisiologiche, oscillano tra la forma attiva (GTP) e quella inattiva (GDP): una mutazione puntiforme che renda la proteina resistente alla GTPasi, causa la fissazione della forma attiva con guadagno di funzione, funziona di continuo.
Le mutazioni di RAS si possono trovare nel 50% dei CCR sporadici e degli adenomi > 1 cm, ma solo raramente in adenomi di piccole dimensioni.

(un possibile test di screening prevede il dosaggio di RAS mutato nelle feci)

 

 

P53
Oncosoppressore molto importante che mappa sul cromosoma 17, trascrive per geni inibitori della crescita, in condizioni fisiologiche codifica per un attivatore trascrizionale di geni inibitori della crescita (>20) che interviene in condizioni di stress (es. danneggiamento del DNA, ¯O2) per facilitare la riparazione del DNA: previene la propagazione di cellule con DNA danneggiato.
È più frequentemente mutato nelle neoplasie maligne che in quelle benigne.
È un indice prognostico quod vitam negativo.

 

 

FORME FAMILIARI DI CCR

 

Poliposi adenomatosa familiare
Malattia autosomica dominante, colpisce 1 individuo su 7500/8000 nati vivi, con prevalenza di 3,2 su 100.000, M=F, si caratterizza per un numero elevatissimo di adenomi, fino a 100 (anche se non è sempre così).
Il 75-80% ha un genitore affetto, ma gli altri sono colpiti senza storia familiare (nuova mutazione o genesi non definita): solo lo 0,5-1% arriva a sviluppare il CCR, in calo anche per la sempre maggiore incidenza della diagnosi precoce, anche perché è ormai noto che questa patologia evolve malignamente nel 100% dei casi, e quindi vengono tenuti sotto controllo o operati in maniera risolutiva.
La mutazione si trova sul braccio lungo del cromosoma 5, a livello del gene dell’APC: in questa patologia, tutte le cellule hanno un allele mutato, ma la patologia insorge quando muta o è deleto anche l’altro allele.

 

La forma classica presenta centinaia di polipi, ma esistono anche forme più attenuate con un numero minore di lesioni e forme intermedie.

Il decorso clinico della patologia prevede la comparsa dei primi polipi durante la pubertà (13-15 anni): a 33 anni cominciano a comparire i primi sintomi (sanguinano), a 36 anni c’è la prima diagnosi. A 39 anni compare il carcinoma del colon (ovviamente se non si è intervenuti prima) e a 42 anni c’è morte sicura.

E’ importante ricordare che si possono formare lesioni a livello di stomaco e duodeno, anche in sede peri-ampollare.

Vi possono essere manifestazioni extra-intestinali:

  • a livello della retina
  • dentizione anomala
  • cisti epidermiche
  • tumori dermoidi
  • osteomi
  • tumori della tiroide
  • tumori del SNC

Queste manifestazioni sono legate a particolari mutazioni a livello di APC.

I test genetici devono essere effettuati:

  • in persone con caratteristiche incerte di FAP (esempio: numero di polipi non esagerato senza precedenti di familiarità)
  • in persone con più di 100 polipi ma senza altri casi noti in famiglia
  • in parenti di soggetti affetti da FAP con mutazione genetica nota

La mancata evidenza di mutazioni genetiche non esclude la FAP: c’è un 10% di falsi negativi.

Linee guida per i test genetici:

  • forte anamnesi familiare di CCR
  • risultati interpretabili adeguatamente (c’è chiarezza di trasmissione)
  • possibilità di influenzare screening e gestione dei pazienti o dei loro familiari

 

HNPCC (hereditary non-polyposis colorectal cancer)
(o syndrome di Lynch)
Lo 0,8-1% dei CCR è associato a questa sindrome: sono rari gli adenomi del colon in trasformazione maligna (non è che non ci sono, sono rari): il 45% degli affetti sviluppa altri carcinomi colici o extra-colici a 10 anni circa dal CCR primitivo.
Tipicamente si associano a instabilità microsatellitare e vi sono mutazioni nei geni coinvolti nel mismatch repair (MMR) in più del 95% dei casi.

 

La forma sporadica colpisce soprattutto la parte sinistra (colon discendente, sigma e retto), mentre l’HNPCC colpisce prevalente la porzione destra (cieco, colon ascendente, colon trasverso).

L’esordio è precoce: gli adenomi sono rari o addirittura assenti, possono esserci localizzazioni primitive multiple anche extra-coliche, si presenta con carattere autosomico dominante, si porta dietro il cancro dell’endometrio.

Per la corretta diagnosi di HNPCC, devono essere soddisfatti tutti i criteri di Amsterdam:

 

 

  1. 3 o più membri con CCR
  2. 2 o più generazioni coinvolte
  3. 1 membro parente di primo grado degli altri due
  4. In 1 o più membri diagnosi < 50 anni
  5. non vi è evidenza di FAP

 

Altri tumori connessi possono insorgere a livello di:

    • cute
    • ghiandole sebacee
    • vie epatobiliari
    • stomaco
    • tenue
    • vie urinarie
    • endometrio
    • ovaie

Questa patologia è correlata a mutazioni a livello dei geni MMR: questi sono geni che correggono accoppiamenti sbagliati nelle basi e piccole inserzioni o delezioni che avvengono durante la replicazione del DNA (hMSH2/6, hMLH1/3, etc).
Nell’HNPCC si possono verificare fino al 20% di CCR sporadici per altri eventi genetici (metilazione promoter, LOI, etc).

hMSH2 forma con hMSH6 un eterodimero che corre lungo la catena di DNA per identificare errori: hMLH1 si unisce a PMS2 e, sotto l’effetto di ATP legano hMSH2-hMSH6.
Il complesso di 4 proteine e 2 ATP attiva hEXOI ad effettuare la riparazione.
Nella sindrome HNPCC uno di questi geni può essere alterato e quindi la riparazione non avviene, creando situazioni instabili che portano al danno di funzione del DNA.

L’instabilità microsatellitare porta verso la metastasi e la diffusione del tumore.
Zone “microsatellitari” (sequenze ripetute di coppie di basi x 10-100 – NB: + lunghe nelle sedi neoplastiche rispetto ad altre sedi dello stesso individuo)

Mutazioni  accumulo di errori nel genoma particolarmente frequenti nelle zone “microsatellitari” che sono particolarmente “pericolose” perchè si trovano anche in geni che controllano la crescita (es. BAX apoptosi)    microsatellite instability (MSI)

Marker di perdita di attività di MMR (95% HNPCC)

 

 

ESAMI DI SCREENING PER CCR
Anamnesi familiare e personale

Sangue occulto nelle feci (SOF)
È il più semplice e meno costoso: test eseguiti su piccolissime quantità fecali, si ricerca la presenza di micro-tracce ematiche.
Non è sempre positivo: non tutti i polipi/CCR sanguinano.
Esistono molte altre cause di sanguinamento che possono dare un test falsamente positivo: ha una specificità del 96% (positivo - negativo), ma ha una sensibilità piuttosto bassa, tra il 30% e il 50%.
Il test dimostra la presenza di sangue, ma non può dire da dove viene quel sangue.
Si può aumentare la sensibilità ripetendo i test, ma aumentano anche i falsi positivi (es: sanguinano le gengive): si fa colonscopia per confermare.
Non è correlato a un sostanziale calo della mortalità o della morbilità: viene effettuato poiché aumenta la sensibilità al problema e, se positivo, può essere seguito da colonscopia che altrimenti non sarebbe stata eseguita.
Dati dell’Emilia Romagna:

  • 40.2% adesione all’invito a partecipare
  • 88.887 studiati mediante SOF 
  • 5.3 % SOF + (6.4% M, 4.3% F)
  • 75% colonscopie effettuate (3.5% rifiuta, 21.5% altro)
  • 21.4 / 1000 diagnosi di adenoma (M: 29.7, F: 14.2)
  • 3.8/ 1000 diagnosi di CCR (M: 5.4, F: 2.4)

 

Colonscopia

Clisma opaco

TC – Colonscopia virtuale

 

Fonte: http://www.appuntimedicina.it/tp-downloads/DeGiorgio.doc

Sito web da visitare: http://www.appuntimedicina.it

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