Microbiologia

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Microbiologia

 

 

Microbiologia Speciale

Streptococcus  pyogenes

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un cocco gram-positivo di forma più  spesso ovoidale, provvisto di capsula (formata da acido jaluronico) immobile, asporigeno, catalasi negativo. Forma catenelle di varia lunghezza, anche se è possibile ritrovarlo da solo o a piccoli gruppi. Piuttosto esigente dal punto di vista colturale, cresce bene su terreni ricchi a base di sangue o siero a temperatura di 35-37°C.
Proprio l'agar sangue permette di distinguere S. pyogenes da altri Streptococchi (a-emolitici o viridanti, g-anemolitici), in quanto le sue colonie sono circondate da un alone di  ß-emolisi.

FATTORI DI PATOGENICITA
S.pyogenes possiede una complessa anatomia, nella quale molte sostanze svolgono contemporaneamente un  ruolo sia strutturale che depositario di virulenza: la capsula di acido jaluronico, quando presente, serve ad impedire la fagocitosi da parte dei polimorfonucleati. Il polisaccaride C fa parte della parete cellulare e ne rappresenta l’antigene di superficie gruppo specifico. In base al diverso contenuto in ramnoso e acetilglucosammina si conoscono 18 diversi tipi di polisaccaride C, denominati da A ad H e da K a T tutti utili ai fini tassonomici: S. pyogenes nepossiede uno di tipo  A. La proteina M, insieme agli acidi  lipoteicoici, organizzati insieme in proiezioni filiformi, permette a S.pyogenes di aderire alle mucose iniziando così il processo infettivo. Essa rappresenta il più importante fattore di virulenza, in quanto possiede anche attività antifagocitaria. Si conoscono più di 80 sierotipi di proteina M. Sono frequentemente causa di febbre reumatica i sierotipi 1, 3, 5, 6, 18, 19 e 24.  I sierotipi 12, 49, 52, 55 e 57 sono da considerarsi nefritogeni in quanto causano sovente sequele glomerulonefritiche.
Altre proteine con diverse caratteristiche antigeniche come  le proteine F, R, T e G contribuiscono, con meccanismi di varia natura, alla virulenza dello Streptococco di gruppo A.
S.pyogenes' sintetizza, tra le sostanze extracellulari, due emolisine responsabili dell’alone di emolisi che questo microorganismo produce sulle piastre di agar-sangue: le streptolisine O ed S. La prima è termolabile e fortemente immunogena, tanto che la titolazione degli anticorpi prodotti dall’organismo rappresenta una delle più comuni metodiche per confermare l’avvenuta infezione. La seconda non ha potere immunogeno.
Le esotossine pirogeniche A e B conosciute un tempo come eritrogeniche, prodotte solo da alcuni lisogeni, stimolano la formazione di numerose citochine funzionando da superantigeni. Oltre ad essere responsabili del rush della scarlattina possono dare origine a gravi stati di shock, spesso in associazione a lesioni gravemente distruttive (fascite).
Molti isolati hanno inoltre la capacità di esportare sostanze ad azione enzimatica quali: streptochinasi, jaluronidasi, nucleasi, C5a peptidasi con azione proteolica su questo fattore complementare.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
La più comune manifestazione patologica sostenuta da S.pyogenes è la faringotonsillite, osservabile in tutte le età, ma più frequentemente tra i 5 e i 15 anni. Essa è caratterizzata da febbre elevata, faringodinia, cefalea, disfagia, linfoadenopatia cervicale e presenza di essudato in sede locale. Nei pazienti pediatrici il quadro può essere più sfumato. Da questa sede l’infezione può diffondere localmente (otite, sinusite, linfoadeniti, ascessi tonsillari ecc.) o produrre, a livello sistemico, polmoniti, meningiti, sepsi.
La faringotonsillite streptococcica è una delle più frequenti infezioni batteriche delle prime vie aeree. I portatori sani sono usualmente poco numerosi, con  incidenza variabile geograficamente tra il 5 e il 20%. La trasmissione avviene per via aerea diretta attraverso tosse, starnuti, talora durante la conversazione. Si comprende così come luoghi affollati (caserme, scuole, nosocomi, ecc.) favoriscano la diffusione di patologie sostenute da S.pyogenes, con maggiore  incidenza nei mesi invernali. L’infezione determina la produzione di anticorpi rivolti contro la proteina M, con funzione proteggente ma strettamente tipo-dipendente, per cui esiste ampia possibilità di reinfezione.
A partenza da una faringotonsillite, con meccansimo di tipo immunitario, questo patogeno può determinare lesioni a distanza quali le ben note sequele post-streptococciche: glomerulonefrite acuta e malattia reumatica.
A livello cutaneo, S.pyogenes si manifesta con diverse modalità, potendo infatti essere agente eziologico di erisipela, oltre ad impetigine, ascessi e flemmoni; solitamente la lesione primaria è una piccola soluzione di continuo della cute che evolve verso la piodermite. Sia l’erisipela che gli altri quadri possono essere causa primaria di glomerulonefrite, ma non di malattia reumatica che solitamente consegue ad un’angina streptococcica.
La scarlattina è un’eruzione esantematica dovuta all’azione delle esotossine pirogeniche prodotte da S.pyogenes. Essa è caratterizzata da faringotonsillite associata ad un caratteristico rush cutaneo, febbre e ad una variopinta serie di segni molto evocativi.
Nell’ambito della presente ondata di ritorno di ceppi S.pyogenes altamente virulenti è utile sottolineare la comparsa di una grave sindrome: la fascite necrotizzante. Si tratta di una localizzazione, per lo più agli arti inferiori, di particolare ceppi lisogeni di S.pyogenes che provoca estesa distruzione dei tessuti molli e, in seguito a produzione di tossine (pirogenica A e B), causa gravissime sintomatologia sistemica dovuta alla stimolazione di linfociti T con rilasci di mediatori chimici ed attivazione del Tumor-Necrosis-Factor.  
Tra le sequele post-streptococciche va annoverata la malattia reumatica che è caratterizzata da poliartrite migrante, cardite, corea, noduli sottocutanei ed eritema (segni maggiori di Jones), con febbre, alterazioni del tratto P-Q all'elettrocardiogramma, artralgie, elevazione degli indici ematochimici di flogosi (segni minori di Jones).  Questa coorte di sintomi si presenta a distanza di circa 3 settimane da un' episodio di angina streptococcica sostenuta da un ceppo reumatogeno. La febbre reumatica tende a ricorrere e i sintomi ad aggravarsi ad ogni nuovo attacco di faringotonsillite sostenuto da sierotipi M diversi. E’ una patologia tipica dell'infanzia, anche se le lesioni possono manifestarsi a distanza di molti anni (stenosi mitralica).  La teoria più accreditata per spiegare la genesi di queste lesioni, prevede che una reazione crociata tra antigeni streptococcici (epitopi della proteina M) e sarcolemma delle cellule del muscolo cardiaco sia alla base della patologia reumatica, sostenuta quindi da un meccanismo immuno-allergico.  In realtà tutti i pazienti mostrano livelli di anticorpi anti-streptococco estremamente più elevati dei soggetti che non sviluppano febbre reumatica.  Altri fattori, genetici e socioeconomici, sono certamente coinvolti. Fortemente diminuito di incidenza fino agli anni '80, il reumatismo articolare acuto si è riaffacciato oggi in molti Paesi, anche Europei.
La glomerulonefrite solitamente segue un'infezione cutanea o delle prime vie aeree e si manifesta con: proteinuria, edema, ipertensione, ematuria ed albuminuria.  Esistono ceppi più tipicamente nefritogeni di S.pyogenes e la patogenesi della malattia è imputabile alla deposizione di immunocomplessi a livello glomerulare con attivazione del complemento e conseguente flogosi con meccanismo presumibilmente sovrapponibile a quello della malattia reumatica.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
In caso di sospetta localizzazione faringo-tonsillare del microorganismo, la raccolta del campione attraverso un semplice tampone e la sua coltivazione in agar-sangue, incubato in anaerobiosi, potrà evidenziarne la presenza attraverso l'alone di ß-emolisi sempre presente.  Il riconoscimento del gruppo A può essere eseguito con estrema accuratezza attraverso tecniche di agglutinazione e immunofluorescenza.  Usualmente i laboratori di microbiologia clinica adottano test meno costosi quali l'inibizione della crescita da parte della bacitracina. La differenziazione dagli Streptococchi non appartenenti al gruppo A è sufficientemente affidabile con questa semplice metodica.  Sono disponibili anche numerosi test rapidi per evidenziare la presenza dell'antigene polisaccaridico streptococcico gruppo specifico. Essi sono preziosi quando la diagnosi è positiva ma, essendo poco sensibili in caso di negatività della ricerca è necessario ricorrere all' esame colturale.
Su S. pyogenes non si procede alla valutazione della sensibilità alla penicillina nei cui confronti in vitro, il patogeno si dimostra sinora sempre sensibile. Più utile il saggio dei farmaci alternativi alla penicillina in caso di ipersensibilità del paziente. Infatti, in alcune zone geografiche la resistenza al macrolidi, clindamicina e tetracicline, è piuttosto diffusa.

APPROCCIO TERAPEUTICO
La terapia delle infezioni sostenute da S. pyogenes si basa sul trattamento con ß-lattamici, sempre efficaci in vitro.  La mancata eradicazione da parte della penicillina, osservabile nel 15-20% del casi, può essere ascritta al fenomeno della "patogenicità indiretta". A causa della frequente sintesi di ß-lattamasi, da parte di microorganismi appartenenti alla popolazione batterica normale dell'orofaringe (Bacteroides, Stafilococchi, Moraxella. Haemophilus ecc.) S. pyogenes, intrinsecamente sensibile, viene protetto dall'effetto battericida della penicillina permanendo così nel sito di infezione con possibilità di produrre recidive e sensibilizzazione autoimmune.  Se si sospetta tale inconveniente si potrà orientare la terapia verso farmaci quali le penicilline protette dagli inibitori suicidi delle b-lattamasi, le cefalosporine, o, previo saggio in vitro, i macrolidi e le lincosamidi.
Protocolli terapeutici consolidati tesi a prevenire la febbre reumatica prevedono la somministrazione del farmaco prescelto (di solito un b-lattamico) per un periodo non inferiore ai 10 giorni. In presenza di un paziente che riferisca precedenti episodi di febbre reumatica, la profilassi per evitare le recidive consisterà nel ricorso a terapie cicliche parenterali con penicilline-ritardo che permettono di mantenere tassi ematici di antibiotico efficaci per periodi prolungati.   

BIBLIOGRAFIA
BISNO A: Streptococcus pyogenes  in Mandell GL et al.: Principles and Practice of Infectious Diseases.  Churchill Livingstone 1995
BROOK I: The role of b-lactamase producing bacteria in the persistence of streptococcal tonsillar  infection.  Rev of Infect Dis 1984; 6:601-607
HOGE CW, SCHWARZ B, TALKINGTON DF, et al.: The changing epidemiology of invasive group A streptococcal infections and the emergence of streptococcal toxic shock-llke syndrome.  JAMA 1993; 269:384-389

 Streptococcus pneumoniae

MORFOLOGIA E GENERALITA’
Il batterio si presenta nella tipica forma lanceolata o piriforme (cocco), in coppia (diplococco) talvolta disposto in corte catene, frequentemente capsulato.  Gram-positivo, asporigeno, aerobio-anaerobio facoltativo, non possiede la catalasi.  Mediante sospensione in inchiostro di china è possibile evidenziarne la capsula.  Nella parete cellulare è contenuta la sostanza C, polisaccaride complesso ed il polisaccaride CS, che precipita in presenza di calcio con la proteina C-reattiva del siero.  Tale legame può, in vivo, attivare la via alternativa del complemento.  Sulla superficie cellulare o in prossimità della stessa è collocato l'antigene R di solito isolato da pneumococchi non capsulati.  La proteina M pneumococcica anche se presente risulta priva di effetto antifagocitarío apprezzabile.

FATTORI DI PATOGENICITA
Il principale meccanismo responsabile della virulenza dello pneumococco è legato al polisaccaride capsulare, dotato di un intrinseco potere antifagocitario.  Esso possiede inoltre la capacità di neutralizzare gli anticorpi specifici che circolano durante la fase avanzata dell'infezione, in quanto diffonde liberamente nel liquidi interstiziali.
La capacità di sostenere la malattia è basata su fattori strutturali ed extracellularì.  La colonizzazione delle mucose respiratorie, primo momento dell'infezione, è mediata da proteine superficiali (adesine) che si legano a recettori glicoproteici delle cellule epiteliali umane.  Il tropismo per il polmone è favorito dalle modalità di diffusione aerea di questo patogeno, dall' esistenza in tale sede di opportuni recettori nonchè da una proteasi pneumococcica che idrolizza le IgA1, principale fattore di difesa in associazione ad un buon funzionamento dell'ascensore mucociliare del tratto respiratorio inferiore.
La resistenza alla fagocitosi (dovuta alla capsula) associata alla produzione e dismissione di prodotti tossici (pneumolisina, neuraminidasi, autolisina), favorisce la diffusione sistemica e l’invasività tissutale del germe.
Devono comunque essere tenute in considerazione situazioni "facilitanti" il superamento delle naturali difese dell'organismo quali l'alcolismo, il diabete e le immunodepressioni primitive e secondarie.  I fattori predisponenti più frequenti della polmonite pneumococcica sono gli stati di ipoventilazione secondari a pneumopatie croniche ostruttive o ad infezioni virali e le situazioni di scompenso cardiaco congestizio, che inducono stasi ematica e trasudazione endoalveolare.
Il 40-70% degli adulti sani è portatore orofaringeo di uno o più tipi di pneumococchi capsulati, la cui proliferazione è localizzata e limitata tuttavia dall'antagonismo del batteri della popolazione microbica residente.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
Nell'eziologia delle infezioni respiratorie in ambito comunitario, il ruolo svolto dallo pneumococco risulta di primaria importanza.  Esso è infatti patogeno primario della tipica polmonite lobare e di quadri meno caratteristici quali otiti e sinusiti acute che possono riconoscere peraltro una diversa eziologia (Emofili, Moraxella catarrhalis, Micoplasmi, virus, ecc.).
La polmonite lobare è caratterizzata da intensa astenia e dispnea di grado variabile, con dolore toracico, puntorio, esacerbato dal colpi di tosse, quest'ultima rapidamente produttiva.
Tipica è l'insorgenza repentina della malattia sovente preceduta da brivido scuotente e rialzo termico elevato.  Spesso questo quadro risulta "decapitato" dalla precoce somministrazione di antibiotici che ne modificano il decorso sintomatologico.
Lo pneumococco è altresì in causa nelle otiti medie acute del bambino.  L’interessamento del seni paranasali, nonchè la localizzazione mastoidea possono risultare il focolaio di partenza di una meningite acuta, quadro di notevole gravità anche per i possibili reliquati neurologici, tutt'altro che infrequenti.
Da ricordare infine la possibilità che S.pneumoniae produca endocarditi ed artriti secondarie a polmonite in pazienti defedati,
L’infezione pneumococcica è tra le più importanti cause di morte specialmente nel paziente anziano.  Globalmente si riscontrano da 3 a 5 milioni di decessi per anno causati da questo microorganismo, del quali circa 40.000 dovuti a complicante di otiti medie. I casi fatali di polmonite sono pari a circa il 20%; quelli in corso di meningiti salgono fino al 60%. In Italia, Streptococcus pneumoniae èil primo dei patogeni responsabili delle pneumopatie batteriche in soggetti sani ed è anche frequentemente isolato dall'escreato di soggetti affetti da polmonite virale. Nel pazienti immunodepressi la frequenza del suo isolamento risulta più bassa. Poichè di regola le infezioni da pneumococco sono endogene non è necessario l'isolamento del paziente.
I casi a patogenesi esogena si verificano in corso di epidemie o endemie, interessando prevalentemente comunità affollate e chiuse, mediante il passaggio di gocciolane di saliva emesse con starnuti e colpi di tosse da soggetto a soggetto.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Il procedimento di diagnostica eziologica si articola in tre fasi che comprendono l'esame microscopico diretto, l'isolamento del microrganismo in coltura, la ricerca degli antigeni circolanti e il dosaggio degli anticorpi.
Di fronte ad un quadro di polmonite è necessario ottenere, laddove possibile, l'espettorato del paziente.  Sarà poi essenziale effettuare almeno tre prelievi di sangue per emocoltura nelle 24 ore in caso di sospetta sepsi pneumococcica.
A partire dall'espettorato si allestiscono alcuni strisci che vengono fissati e colorati con il metodo di Grani e con inchiostro di china per evidenziare la presenza di ceppi capsulati.  Si può porre diagnosi presuntiva di pneumopatia pneumococcica allorquando nello striscio risultino visibili i diplococchi lanceolati, associati alla tipica popolazione cellulare "Infiammatoria" (granulociti polimorfonucleati e macrofagi alveolari).  Contemporaneamente l'escreato sarà insemenzato su agar sangue e incubato in CO2 (5%) a 35° C per 18 ore.
In presenza di segni di irritazione meningea, associati o meno a pneumopatia e batteriemia, sarà indispensabile ottenere un campione di liquor cerebro-spinale per analoghe indagini microbiologiche (colorazione di Gram, eventuale esecuzione del test di rigonfiamento capsulare [quellung], coltura). Una volta isolati microorganismi che si possano presumere pneumococchi, per una diagnosi differenziale con gli streptococchi a-emolitici, usuali contaminanti nel campioni di escreato, si utilizzerà la prova  di solubilità nella bile capace di lisare S. pneumoniae, mentre i microrganismi viridanti si dimostrano resistenti.
Semplice ed affidabile è anche la prova che impiega dischetti imbibiti di optochina: dopo incubazione in CO, a 35' C per una notte, solo gli pneumococchi mostrano un vasto alone di inibizione. Per tipizzare il patogeno isolato e classificarlo tra i ceppi di maggiore, intermedia o minore virulenza e frequenza, si utilizza I'Omniserum, siero polivalente verso 82 antigeni polisaccaridici capsulari.
Oltre alle precedenti metodiche è oggi possibile dimostrare la presenza di antigeni capsulari pneumococcici circolanti nel diversi liquidi organici mediante l'impiego di immunoelettroforesi, agglutinazione al latice e co-agglutinazione.  L’antigenemia ricorre nel 45-80% del casi di polmonite da S. pneumoniae, l'antigenuria in circa il 50-65%.
Minore diffusione hanno tecniche quali l'agglutinazione, la precipitazione, il RIA e l'EIA con cui vengono evidenziati anticorpi anticapsula, o contro l'emolisina pneumococcica.  Queste ricerche hanno essenzialmente un valore retrospettivo.

APPROCCIO TERAPEUTICO
A partire dall'introduzione della penicillina nel 1940 gli pneumococchi sono stati considerati uniformemente sensibili agli antibiotici e, per un lungo periodo, questa situazione è stata confermata in vitro per la totalità del ceppi saggiati.  A metà degli anni '60 fu isolato il primo stipite con moderata resistenza alla penicillina.  Successivamente il fenomeno è stato descritto in numerosi Paesi, con evidente variabilità circa l'incidenza di tale nuovo carattere.  Studi successivi hanno consentito di evidenziare l'emergenza di pneumococchi altamente resistenti alla penicillina e divenuti contemporaneamente refrattari a diversi farmaci, quali macrolidi, cloramfenicolo, tetracicline, rifampicina, cotrimossazolo.  Recentemente è stata anche evidenziata l'emergenza di resistenza ad alcune cefalosporine iniettabili di terza generazione.  Nei confronti dei ß-lattamici S. pneumoniae perde affinità per questi antibiotici in seguito ad una modificazione del bersaglio d'azione molecolare (gli enzimi che sintetizzano il peptidoglicano), mentre per le altre classi di antibiotici, la resistenza è mediata dalla produzione di enzimi inattivanti (diidropteroato-sintetasi, diidrofolato-reduttasi, acetiltransferasi) o per diminuzione di affinità a livello ribosomiale (rifampicina).
In alcuni Paesi Europei è stato osservato un progressivo e preoccupante incremento della penicillino-resistenza: 25% in Romania, 27% in Francia, 44% in Spagna, 50% in Ungheria.  In Italia i dati epidemiologici sono ad oggi più rassicuranti dimostrando un'incidenza massima del 2,9% e del 2,6% di resistenza intermedia ed elevata, rispettivamente.  Le prospettive per il futuro non sembrano tuttavia rosee in quanto è verosimile che le stesse forze selettive che hanno condizionato altrove l'evoluzione della refrattarietà in S. pneumoniae possanoriproporre anche nel nostro Paese un simile andamento negativo. Dove la resistenza non è ancora penetrata, la penicillina G rimane ancor oggi l'antibiotico di scelta nelle infezioni polmonari pneumococciche purchè somministrata ad alte dosi. Nei soggetti allergici alla penicillina, nella terapia della polmonite, potranno essere utilizzati macrolidi o cefalosporine di terza generazione. In corso di meningiti saranno impiegate primariamente le cefalosporine di terza generazione (ceftriaxone, cefotaxime) a causa non solo della loro intrinseca attività anche su ceppi eventualmente penicillino resistenti, ma anche per le favorevoli caratteristiche farmacocinetiche che consentono una buona penetrazione attraverso la barriera ematoliquorale.  Entrambe queste cefalosporine sono considerate farmaci di prima scelta grazie alla loro buona diffusibilità attraverso le membrane meningee infiammate e l'assenza di tossicità.
Nelle gravi setticemie in ambiente nosocomiale successive a polmoniti o meningiti sostenute da S. pneumoniae con alte resistenze alla penicillina oltre alle cefalosporine parenterali di terza generazione saranno preziosi i carbapenemici e i glicopeptidi.
Nell'ambito di programmi di prevenzione si consiglia la profilassi con penicillina V o eritromicina in pazienti ad alto rischio e la vaccinazione delle popolazioni residenti in aree ad elevata endemia di patogeni altamente resistenti mediante l'uso di vaccini polisaccaridici multivalenti.

Staphylococcus aureus

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un cocco Gram-positivo, aerobio, immobile, asporigeno privo di una capsula evidente, con caratteristica disposizione a grappolo, raramente a catenella, diplococco o elemento singolo.  Fermenta il mannitolo e si distingue dagli altri stafilococchi (S. epidermidis e S.saprophyticus sono i più importanti dal punto di vista clinico essendo frequentemente in causa nel determiniamo di infezioni legate a cateteri vascolari il primo e a quadri urinari il secondo) per l'attività coagulasica posseduta dal 99% degli stipiti.
Questo patogeno cresce bene a 35°C nei comuni terreni di coltura (agar-sangue, dove produce una evidente ß-emolisi).  Nel substrati solidi sintetizza un pigmento che colora di giallo oro le colonie rotondeggianti e lisce.  Tale pigmentazione non ha valore tassonomico.  Carattere peculiare, condiviso peraltro con gli altri appartenenti alla famiglia, è l'alofilia ovvero una tolleranza ad elevate concentrazioni di cloruro di sodio (fino al 10%) rispetto a molti altri ceppi batterici.  Questa caratteristica viene utilizzata per allestire terreni selettivi.
Al fini epidemiologici, S. aureus può essere suddiviso in 4 fagotipi principali, in base alla sensibilità nel confronti di una serie di batteriofagi specifici.  Ogni gruppo riflette caratteristiche comuni che comprendono fra le altre la particolare predilezione nel determiniamo di specifiche patologie. Lo Stafilococco aureo ha buona resistenza nell'ambiente essendo, tra i batteri non sporigeni, quello che mostra maggior capacità di sopravvivenza.  Alberga normalmente sulla cute e sulla mucosa nasofaringea di individui sani (30 %).  In ambiente ospedaliero l'incidenza di portatori di S. aureus è più elevata e il fatto costituisce un ulteriore fattore di rischio infettivologico.

FATTORI DI PATOGENICITA
La patogenicità è strettamente legata alla composizione della parete ed alla produzione di esoenzimi e tossine. Oltre agli acidi teicoici ed ai polisaccaridi presenti nella parete cellulare, spesso rivestita da uno strato mucopolisaccaridico (slime), capace di aderire con estrema affinità a superfici di natura idrofobica (cateteri, plastiche, corpi estranei in generale), S. aureus presenta la proteina A che si lega al frammmento Fe delle immunoglobuline G inibendo l'attivazione del complemento e quindi l'opsonizzazione.  Tra i fattori liberati nell'ambiente si annoverano almeno quattro emolisine.  In particolare l'emolisina a sicuramente collegata con la virulenza dei ceppi manifesta azione litica sugli eritrociti ed azione necrotizzante sulle membrane cellulari in particolare sul fibroblasti.  Essa è la principale responsabile delle lesioni che si osservano nei foci dove S.aureus si moltiplica.
La leucocidina provoca lesioni parietali nel fagociti, inibendone l'attività antibatterica. La tossina epidermolitica (esfollativa) causa lesioni a livello desmosomiale e altera la coesione cellulare a livello cutaneo, provocando una desquamazione diffusa più frequente nel neonati (sindrome da cute ustionata).  La tossina della sindrome da shock tossico, prodotta da alcuni stipiti di S.aureus, ha attività simile a quella della esotossina pirogenica dello Streptococco di gruppo A. Si assiste infatti allo stesso rilascio di mediatori chimici dell'infiammazione quali: Tumor Necrosis Factor, ínterleuchine, interferone.  Essa manifesta inoltre attività tossica diretta sulle cellule endoteliali. Le enterotossine sono prodotte da una buona percentuale di S.aureus vengono distinte in cinque diversi sierotipi (A, B, C, D, E).  Tutte estremamente termostabili e inattaccabili da enzimi proteolitici si rendono responsabili di episodi di tossinfezione alimentare con sintomatologia che compare da 1 a 6 ore dopo l'ingestione di alimenti contenenti la tossina.  La sindrome è caratterizzata da nausea, vomito, crampi addominali, ipotensione in seguito a stimolazione diretta dei neurorecettori a livello gastrointestinale e riverberazione al centro del vomito attraverso le vie vagali.
La coagulasi favorisce la formazione di un involucro di fibrina attorno al corpo batterico quale ulteriore protezione nel confronti dei polimorfonucleati.  Sempre con lo stesso meccanismo, tende a localizzare l'infezione piogenica.
S.aureus può produrre anche altri enzimi extracellulari quali: catalasi, stafilochinasi, jaluronidasi, nucleasi, lipasi e proteasi di cui non è noto lo specifico coinvolgimento nella patogenesi dell'infezione. Nonostante S.aureus abbia a sua disposizione tutte queste armi, necessita per virulentarsi di fenomeni predisponenti.  Questo microorganismo non può infatti da solo, produrre lesioni.  Soluzioni di continuo di cute o mucose, diminuzione delle difese immunitarie, diabete, traumi, tumori, ustioni, corpi estranei (anche latrogeni), facilitano la trasformazione di S.aureus da semplice commensale a pericoloso patogeno.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
S.aureus èun microorganismo ubiquitario e le lesioni da esso sostenute possono avere origine sia dal paziente per infezione endogena che dall'esterno (altri pazienti, personale sanitario ecc.). Data la grande diffusione di questo germe la popolazione sana presenta spesso antícorpi proteggenti che ne ostacolano la patogenicità.
Principale caratteristica delle infezioni stafilococciche è la suppurazione.  Essa in genere interessa la cute e I suoi annessi anche se è possibile la colonizzazione di tessiiti profondi.  Follicoliti, foruncoli, idrosadeniti, piodermiti, mastiti, ascessi eutanci sono le lesioni localizzate che spesso conseguono a scarsa igiene e/oa cause locali predisponenti quali macerazione, acne, eczemi ecc.  Lo stafilococco può determinare inoltre lesioni cutanee su base tossica (sindrome della cute ustionata).  Inoltre S.aureus, a partenza da foci cutanei spesso misconosciuti, può determinare gravi setticemie. L’invasione del tessuti profondi può interessare ossa ed articolazioni, valvole cardiache (specie nei tossicodipendenti e nel decorso postoperatorio), il polmone (in genere quale sovrainfezione in seguito a influenza), il sistema nervoso centrale e vari organi parenchimatosi.  Anche le prime vie aeree (otiti, sinusiti), e l'apparato urinario (cistiti, pielonefriti, ascessi renali) possono essere sede di infezione.
S.aureus  è  inoltre l'agente eziologico più incidente delle infezioni di ferite chirurgiche spesso sostenute da ceppi multiresistenti agli antibiotici. La sindrome da shock tossico è caratterizzata da iperpiressia, rush cutanei, sintomatologia gastroenterica, ipotensione.  Inizialmente osservata in donne mestruate che utilizzavano assorbenti interni il quadro è dovuto alla specifica tossina prodotta da alcuni stipiti di S.aureus  (gruppo fagico 1).  Sindromi simili sono state poi descritte anche in altri tipi di pazienti, specie ospedalizzati.
S.aureus rappresenta infine uno del principali agenti eziologici di tossinfezioni alimentari. I cibi (latte e derivati, carni precotte e creme) maggiormente a rischio di contaminazione da parte di personale colonizzato da ceppi produttori di enterotossine e addetto alla manipolazione degli alimenti o gli stessi prodotti conservati con metodiche non corrette, rappresentano il tramite più comune di questi quadri.
Un fenomeno preoccupante è costituito dall'emergere di stipiti meticillino-resistenti di provenienza  nosocomiale che causano importanti problemi terapeutici poichè questa resistenza è estesa anche a chemioterapici diversi dai ß-lattamici.  Se tale fenomeno si dovesse estendere anche al glicopeptidi diverrebbe molto difficile eradicare le gravi infezioni che i ceppi meticillino-resistenti causano in ambiente nosocomiale.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
La diagnosi microbiologica di infezione da S.aureus non presenta particolari difficoltà.  L’osservazione al Gram degli essudati di lesioni piogeniche che rivelano la presenza del cocchi a grappolo, l'efficacia delle emocolture nel depistaggio delle infezioni profonde o sistemiche, l'impiego di terreni selettivi, l'aspetto caratteristico delle colonie, la facile e rapida esecuzione del test della coagulasi, sono sufficienti per giungere  all’identificazione di questo patogeno.  Per quanto riguarda le tossinfezioni alimentari, il ricorso a metodi immunoenzimatici o radioimmunologici permette di evidenziare la presenza di tossine nel cibi incriminati.  L’accertamento dello spettro di sensibilità in vitro è essenziale in ogni tipo di infezione visto l'imprevedibile comportamento di questo patogeno nei confronti degli antibiotici.  Nel nostro Paese oltre il 92% di S.aureus  è oggi resistente alla penicillina.  Questa limitazione è facilmente superabile attraverso l'utilizzo delle isossazolil-penicilline negli stipiti di provenienza comunitaria.  In ospedale al contrario il tratto della meticillino-resistenza, pur molto variabile geograficamente e nei singoli reparti, è diffuso (25-35%) con punte molto elevate nelle unità di rianimazione e in chirurgia.  I ceppi meticillino-resistenti sono poco sensibili al ß-lattamici in generale anche se questi si dimostrano attivi in vitro.  Poichè sovente la meticillino-resistenza è associata a refrattarietà nel confronti di altri farmaci (rifampicina, tetracicline, sulfamidici, aminoglicosidi, macrolidi) nelle infezioni gravi la terapia deve essere basata sull'impiego del glicopeptidi (teicoplanina o vancomicina) nel confronti dei quali in S.aureus non sono stati ancora descritti problemi di resistenza.
E’ infine disponibile la tipizzazione fagica a scopo di sorveglianza epidemiologica.

APPROCCIO TERAPEUTICO
La scelta dell'antibiotico da utilizzare non pone problemi se riguarda infezioni contratte in ambito comunitario.  Ben diversa è la situazione per quanto riguarda i ceppi di provenienza nosocomiale. Nelle forme suppurativi locali, l'indispensabile drenaggio chirurgico può essere sufficiente.  Nel quadri profondi o sistemici (polmonite, sepsi ecc.) la terapia dovrà essere guidata dall'antibiogramma e potrà essere condotta utilizzando molecole dimostratesi attive in vitro.  Tra queste, considerazioni farmacocinetiche guideranno poi nella scelta definitiva.  Nelle sindromi più gravi e in reparti a rischio di alta incidenza di ceppi meticillino-resistenti, è prudente l'impiego iniziale di glicopeptidi.
La profilassi è basata essenzialmente su misure di scrupolosa igiene del locali e delle mani del personale sanitario.  I portatori nasali possono essere depistati tramite l'esame di tamponi.  Se necessario, l'uso di creme antibiotiche topiche associate a terapia sistemica può contribuire, temporaneamente in genere, all'eradicazione di S.aureus.
Un'attenta gestione del portatori nasali e del personale con evidenti lesioni cutanee, associata ad una ottimale conservazione degli alimenti ed alla scrupolosa osservanza delle norme igieniche, rappresenta l’approccio più efficace per prevenire i casi di tossinfezione alimentare.

BIBLIOGRAFIA
BASSETTI D, SCHITO GC: Le infezioni nosocomiali da Gram-positivi: aspetti microbiologici, clinici e terapeutici.  Masson 1991 SCHITO GC, VARALDO PE: Trends in the epidemiology and antibiotic resistance of clinical Staplylococcus strains in Italy.  A rev'ew.  J Antimierob Chemother 1988; 21- 67-78
WALDVOGEL FA: S.aureus including toxlc shock syndrome.  In Mandell GL et al.: Principles and Practice of Infectious Disease.  Churchill Livingstone 1995

Haemophilus influenzae

MORFOLOGIA E GENERALITA
Si tratta di un piccolo coccobacillo Gram-negativo, aerobio, asporigeno, talora capsulato e di aspetto pleiomorfo quando osservato da materiali patologici.  L’invecchiamento tende ad accrescere l'eterogeneità morfologica dando luogo a forme decisamente bacillari che possono evolvere verso la perdita della capsula e la lisi.  Su terreni solidi, le colonie, coltivate in agar-cioccolato o in terreno di Levinthal, si presentano piccole, rotonde, iridescenti, senza fenomeni di emolisi e crescono meglio in atmosfera al 5% di CO,. Questo "amante del sangue" (Haemophilus) necessita per la crescita del fattori V e X, rispettivamente ematina e NAD.  Dal punto di vista strutturale, H. influenzae può sintetizzare 6 polisaccaridi capsulari sierotipicamente distinti (a, b, e, d, e, f,).  Il polisaccaride b è particolarmente associato alla virulenza.  I ceppi privi di capsula fanno parte della popolazione microbica normale dell'orofaringe (25-50% degli adulti e fino all'80% del bambini sono portatori), ma possono comportarsi da patogeni opportunisti causando otiti, sinusiti ed esacerbazioni acute delle broncopneumopatie croniche ostruttive.

FATTORI DI PATOGENICITA
H.influenzae di tipo b con la sua capsula costituita da poliribosilribitol-fosfato (PRP) è il responsabile della stragrande maggioranza delle patologie invasive legate a questo microorganismo (90%).  La capsula, antifagocitaria per eccellenza, manifesta particolare attività antigenica stimolando la produzione di anticorpi protettivi dotati di reattività crociata nel confronti di antigeni capsulari di altri batteri meningotropi.  Il germe possiede endotossine delle quali è però dífflclle definire il ruolo patogenetico nelle infezioni sistemiche.  Negli emofili non capsulati agiscono come fattore citotossico per le cellule ciliate respiratorie. I pili che consentono l'adesività al ceppi non capsulati e le IgA-proteasi capaci di distruggere queste immunoglobuline sulla superficie dei tessuti, quando presenti, concorrono ad aumentare la patogenicità degli emofili. La virulenza è legata direttamente allo stato immunitario dell'ospite. Il bambino nei primi 6 mesi di vita è protetto dagli anticorpi ereditati dalla madre.  Le infezioni sostenute da H.influenzae di tipo b raggiungono il massimo di incidenza tra i sei mesi e i due anni di età, fase in cui avviene il passaggio tra l’immunità di origine materna e quella propria dell'individuo.
H.influenzae capsulato causa infatti raramente malattie nell'adulto in cui è già stata raggiunta la piena efficienza del sistema immunitario.
Dopo aver superato la barriera mucosa del naso-faringe attraverso meccanismi di endocitosi, raggiunto il sistema circolatorio, i ceppi di H.influenzae capsulati e specialmente quelli appartenenti al sierotipo b, possono raggiungere diversi organi bersaglio: meningi, epiglottide, orecchio medio.  Durante la fase batteriemica può esservi diffusione a polmoni, pericardio e tessuto osseo.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
H.influenzae di tipo b è la causa più comune di meningite fino al 2 anni di età nelle popolazioni non vaccinate.  La sintomatologia, molto conclamata, può essere preceduta da Laringite, sinusite, otite.  Successivamente compare febbre, letargia, irritabilità.  La meningite sostenuta da H.influenzae conduce spesso ad esiti neurologici anche gravi. Un'altra temibile localizzazione specie in età pediatrica è quella dell'epiglottide, che si presenta tipicamente edematosa con aspetto a ciliegia, a rapida evoluzione con ostruzione ingravescente delle prime vie aeree e possibile exitus del paziente nelle prime 24 ore in assenza di tracheotomia.
Quadri meno drammatici, sostenuti da ceppi capsulati di tipo b, sono le celluliti e le artriti. I ceppi non capsulati sono più sovente responsabili di infezioni non invasive delle prime vie aeree (otite media, sinusite acuta) e polmoniti (causate anche dal ceppi capsulati).  Nell'adulto per esprimere la loro patogenicità, questi microorganismi necessitano di condizioni predisponenti quali broncopneumopatie croniche ostruttive, diabete, immunodepressione (anche iatrogena), infezioni virali pregresse.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Per evitare le sequele neurologiche nella meningite e l'alta mortalità legata alle altre patologie invasive e sistemiche sostenute da H.influenzae, la diagnosi dovrà essere tempestiva: la pratica dell'emocoltura è pertanto preziosa.  Una colorazione di Grani del liquor o di altro materiale patologico può evidenziare i batteri Gram-negativi pleiomorfi. L’eventuale conferma del sospetto diagnostico si avrà dal successivo isolamento di germi che si sviluppano su agar-cioccolato ma non su agar-sangue.  Test rapidi quali l'agglutinazione al lattice, la co-agglutinazione, la controimmunoelettroforesi e test immunoenzimatici sono utili per evidenziare, specie nel liquor, la presenza di antigeni capsulan batterici anche in condizioni (pretrattamento antibiotico) in cui la coltura può risultare negativa.

APPROCCIO TERAPEUTICO
Nella pratica laboratoristica è sempre necessario saggiare la capacità di H. infliien ae di sintetizzare ß-lattamasi, vista la progressiva diffusione di ceppi, specie capsulati, ampicillino-resistenti.  Quando presente, la ß-lattamasi degli emofili si identifica con TEM-1, un enzima codificato da plasmidi e proveniente dal mondo degli enterobatteri.  L’incidenza di ampicillino-resistenza varia nel nostro Paese dal 5 al 30% in analogia a quanto riscontrato ad altre latitudini (5-50%).  In queste condizioni è conveniente affrontare la terapia empirica utilizzando penicilline protette da inibitori suicidi delle ß-lattamasi, cefalosporine di terza generazione orali o parenterali, fluorochinoloni (nell'adulto) o i nuovi macrolidi tenendo presente che l'eritromicina è inattiva contro questo patogeno.  Nel casi più gravi (meningite, epiglottite e altre infezioni sistemiche) è codificato l'impiego di cefalosporine parenterali di terza generazione (ceftriaxone, cefotaxime), anche per motivi farmacocinetici.  Una possibile alternativa è rappresentata dal cloramfenicolo.
Il vaccino costituito dal poliribitolfosfato capsulare (tipo b) coniugato con proteine di altre specie batteriche, somministrato ad iniziare dai due mesi di vita, ha non solo ridotto drasticamente l'incidenza delle malattie da H.influenzae b nel bambini, con riduzione fino al 70% delle meningiti e di altri quadri sistemici ma ha anche abbassato corrispondentemente il tasso di portatori.  La rifampicina può essere utilizzata per interrompere la catena epidemiologica nel casi sporadici. in ambito familiare.

BIBLIOGRAFIA
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DAUM RS, GRANOFF DM, MAKELA PH, et al. (eds): Epidemiology, pathogenesis, and prevention of Haemophil s injllíenzae disease.  J Infect Dis 1992; 165 (suppl 1): SI -S206 JORGENSEN JH: Update ori mechanisms and prevalenee of antimicrobial resistance in Haemophilus iíifluenzae.  Clin Infect Dis 1992; 14:1119-1123
SCHITO GC, DEBBIA EA, PESCE A: Problematiche microbiologiche emergenti in terapia.  Rivista di Infettivologia Pediatrica. 1991; suppl. 3:27-34

Moraxella catarrhalis

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un coccobacillo Gram-negativo reniforme, asporigeno, immobile che si presenta all'esame microscopico con un aspetto che ricorda molto da vicino le Neisserie.  Cresce bene in terreni al sangue o in agar cioccolato a 35' C, specie in atmosfera addizionata di CO2 formando piccole colonie lisce grigio-biancastre di aspetto mucoide.
Conosciuta da circa 100 anni, è stata a lungo considerata parte della normale popolazione microbica delle alte vie respiratorie.  Occasionalmente riscontrata anche a livello cutaneo e del tratto urogenitale, dal 1980 circa è assurta al ruolo di patogeno emergente, soprattutto in pediatria (sinusiti ed otiti medie acute,) e negli adulti immunocompromessi (polmoniti, infezioni sistemiche).
La sofferta classificazione tassonomica, che l'ha vista trasmigrare dal genere Neisseria a Branhamella ed infine a Moraxella, è indicativa delle difficoltà oggettive di attribuire a questo germe un esatto ruolo eziologico.

FATTORI DI PATOGENICITA
Le conoscenze riguardo alla virulenza di M. catarrhalis non sono a tutt'oggi particolarmente sviluppate è stata dimostrata la presenza di pili che favoriscono l'adesione alle mucose.  Produce inoltre, in quanto Gram-negativo, un'endotossina che agisce a livello locale favorendo i fenomeni infiammatori.  La capsula, spesso presente, protegge nel confronti della fagocitosi operata dai polimorfonucleati.
L’espressione della patogenicità richiede la contemporanea esistenza di fattori predisponenti quali: caduta delle difese immunitarie, ospedalizzazione, quadri respiratori cronici, diabete, alcolismo, linfomi, leucemie, infezioni virali, ecc..

MANIFESTAZIONI CLINICHE
M.catarrhalis è un frequente agente eziologico di otite media e sinusite acuta nel bambino, preceduta solo da S. pneumoniae e H.influenzae.  Ha inoltre possibilità di provocare una più vasta gamma di patologie meningiti, sepsi, endocarditi, artriti settiche, cheratiti, oftalmite neonatale (da differenziare da quella blenorragica).  Negli adulti insieme a H. infuenzae, S. pneumoniae e K. pneumoniae, è responsabile di esacerbazioni acute nel corso di broncopneumopatie croniche ostruttive.
Dal punto di vista epidemiologico, la colonizzazione delle prime vie aeree da parte di M. catarrhalis presenta recrudescenze stagionali con un picco più alto durante i mesi freddi, seguendo l'andamento tipico delle patologie respiratorie.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Le caratteristiche presuntive riscontrate alla colorazione di Gram di un essudato, verificando la validità del campione specie quando si tratti di un espettorato (prevalenza di polimorfonucleati sulle cellule epiteliali squamose), devono essere validate dall'esame colturale su agar cioccolato.  L’analisi biochimica confermerà il sospetto diagnostico.

APPROCCIO TERAPEUTICO
Come per altri patogeni l'analisi microbiologica deve essere completata valutando l'eventuale produzione di ß-lattamasi.  Il test si effettua utilizzando una cefalosporina cromogena (nitrocefin), i  ceppi ampicilino-resistenti per produzione di ß-lattamasi è in costante ascesa, con punte che hanno raggiunto in alcuni Paesi anche il 90-95% degli isolati. Gli enzimi, sintetizzati sotto dominio cromosomico denominati BROI e BR02, sono sensibili agli inibitori suicidi delle ß-lattamasi (clavulanato, sulbactam, tazobactam).  La terapia può pertanto essere affrontata con numerosi farmaci attivi: associazione di penicilline con inibitori suicidi, cefalosporine di terza generazione, macrolidi e fluorochinoloni (adulto).
Sono attualmente allo studio vaccini preparati con proteine della membrana esterna del microorganismo che devono tuttavia essere ancora valutati dal punto di vista dell'efficacia clinico-profilattica.

BIBLIOGRAFIA
PICKETT MJ, HOLLIS DG, BOTTONE EJ: Miscellaneous gramnegative bacteria in: Balows A, Hausler WJ.,Herrmann K.L., et al., eds.  Manual of Clinical Microbiology, 5th ed.  Washington, DC:American Society for Mierobiology 1991:410-28
VERGHESE A, BERK SL: Moraxella (Branhamella) catarrhalis.
Infect Dis Clin N Am 199 I; 5:523-3 8
VARALDO PE, NICOLETTI G, SCHITO GC, MAIDA A, FACINELLI B, STEFANI S, GIANROSSI G, MURESU E: Circulation in Italy of ß-lactamase-producing strains within the major groups of bacterial pathogens.  Eur J Epidemiol 1990:287-292

Pseudomonas aeruginosa

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un bastoncino Gram-negativo, aerobio stretto, mobile per flagelli polari e fimbrie, asporigeno, ossidasi positivo, talora provvisto di capsula lassamente organizzata che conferisce alle colonie un aspetto mucoide.  Produce alcuni pigmenti tra cui, caratteristica, la piocianina di colore verde.  A causa delle sue enormi capacità biochimiche non presenta esigenze colturali particolari ed è pertanto diffuso in natura soprattutto negli ambienti umidi (suolo, acque, piante, animali, uomo compreso).  Può moltiplicarsi e contaminare acqua distillata, disinfettanti, soluzioni per infusione endovenosa e strumentarlo chirurgico.  Le colonie sviluppatesi su terreni comuni si presentano sfrangiate, emanano caratteristico odore di frutta e spiccano sul terreno modificato dalla diffusione del pigmenti che, singolarmente o associati, sono prodotti dal germe (plocianina, pioverdina, piorubrina).

FATTORI DI PATOGENICITA
P,aeruginosa si comporta da patogeno opportunista ed è pertanto rara l'infezione in soggetti immunocompetenti.  In presenza di soluzioni di continuità della cute o delle mucose (ferite) è assai difficile contenerla.  Essa è infatti dotata di pili che consentono le prime fasi di adesione agli epiteli e di strati esopolisaccarldici (alginato nel glicocalice del ceppi tipici del pazienti affetti da fibrosi cistica) che, oltre a costituire una difesa contro la fagocitosi e l'attività anticorpale, funzionano come fattori schermanti nel confronti di molti antibiotici.  Nella patogenesi delle infezioni rivestono grande rilevanza le tossine, gli enzimi extracellulari ed il lipopolisaccaride parietale.
L’esotossina A che inibisce la sintesi proteica con un meccanismo assimilabile a quello della tossina difterica (ADP-ribosilazione del fattore 2 di allungamento delle catene polipeptidiche), e possiede attività necrotizzante, è riconosciuta come il principale fattore di virulenza.  L’esotossina S, simile alla precedente nel meccanismo d'azione molecolare, oltre ad essere citotossica aumenta l'invasività del ceppi nel pazienti ustionati e danneggia il parenchima in corso di infezioni croniche del polmone.  L’elastasi e la proteasi alcalina, enzimi con attività necrotizzante su tessuti e vasi idrolizzano collagene, fattori del complemento ed immunoglobuline.  La fosfolipasi C (emolisina termolabile) ed il glicolipide (emolisina termostabile) dotati di spiccata attività su lapidi e lecitine, in particolare sul surfactante polmonare, contribuiscono in maniera determinante alla patogenesi della polmonite da Pseudomonas. I pigmenti idrosolubili, attraverso la mediazione di radicali liberi tossici, hanno azione distruttiva sugli epiteli, specialmente quelli ciliati delle vie aeree.  Il lipopolisaccaride, immunogeno come la esotossina A, è infine responsabile di manifestazioni analoghe a quelle prodotte da altri patogeni Gram-negativi (febbre, shock, ipotensione, coagulazione intravascolare disseminata).  Esso possiede una tossicità minore rispetto alle endotossine delle Enterobacteriaceae.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
P. aeruginosa è uno del più importanti patogeni nosocomiail, responsabile del 10% circa delle infezioni ospedaliere.  Le varietà mucose provocano infezioni respiratorie o sovrainfezioni in pazienti con bronchiti croniche e bronchiectasie.  Nella fibrosi cistica, quadro a carattere genetico delle ghiandole esocrine associato nell'albero respiratorio a produzione di muco eccessivamente viscoso, le infezioni da ceppi che sintetizzano un glicocalice di alginato sono estremamente frequenti, difficili da eradicare e causano elevata morbilità e mortalità in questi pazienti.  Negli ustionati gravi P aeru-ginosa può contaminare le superfici esposte con successiva disseminazione sistemica, spesso letale.
La setticemia, a partenza da soluzioni di continuità anche dovute a cateterizzazioni, è un'eventualità da temere specie in pazienti ematooncologici, immunodepressi, chirurgici e nel neonati prematuri. Endocarditi possono insorgere nei tossicodipendenti o in seguito a manovre chirurgiche.  Le infezioni urinarle complicate sono quasi sempre associate a cateterizzazione in ambiente nosocomiale, anche se una certa quota può avere origine ematogena. Più rare, ma non per questo da sottovalutare, sono le infezioni endooculari, del sistema nervoso centrale, delle articolazioni e del tessuto osseo alla cui origine stanno spesso manovre invasive chirurgiche. Tra le infezioni che si verificano in ambiente comunitario si annovera l'otite esterna dei nuotatori, in cui la macerazione, dovuta a permanenza di acqua nel condotto uditivo, crea un habitat idoneo al proliferare del patogeno con frequenti recidive.  Quest'ultima localizzazione, che comporta una prognosi più grave, si può osservare anche nel paziente diabetico.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
L’isolamento del patogeno non presenta particolari difficoltà.  P.aeruginosa cresce bene infatti su tutti i terreni selettivi per i Gram-negativi. La successiva identificazione di specie e la separazione dalle altre numerose Pseudomonas, meno frequenti nella patologia nosocomiale, può avvenire attraverso l'impiego di gallerie biochimiche miniaturizzate. L’esecuzione dell'antibiogramma è obbligatorio per guidare la terapia in quanto il microorganismo, oltre a presentare refrattarietà notevole a molte classi di farmaci (penicilline, cefalosporine di prima e seconda generazione, tetracicline, macrolidi, cloramfenicolo, sulfamidici) dovuta a mancata penetrazione di queste molecole, evolve molto frequentemente verso una multiresistenza nel confronti di medicamenti inizialmente attivi.

APPROCCIO TERAPEUTICO
Il trattamento delle infezioni sostenute da P aeruginosa è in continua evoluzione.  Nelle infezioni delle vie urinarie e più in generale nelle infezioni comunitarie, è possibile avvalersi con successo della monoterapia con fluorochinoloni o cefalosporine di terza generazione come ceftazidime, ceftriaxone, cefoperazone.  Nei quadri sistemici nosocomiali è consigliabile ricorrere a combinazioni di farmaci (aminoglicosidi associati a ß-lattamici).  Il razionale di tale atteggiamento tiene in considerazione la possibilità che l'azione terapeutica possa sfociare in un effetto battericida sinergico, essenziale per dominare le gravi infezioni prodotte da questo microorganismo.  Generalmente si utilizzano tra i ß-lattarnici le penicilline anti-Pseudomonas (carbenicillina, ticarcillina) o ureidopenicilline (ad esempio, piperacillina) e tra gli aminoglicosidi sono selezionati tobramicina o amlkacina.  Altri antibiotici attivi su questo germe sono l'aztreonam ed i carbapenemici (imipenem, meropenem).
La frequente antibiotico-resistenza osservata in questo patogeno può derivare da una ridotta penetrazione o da modificazione enzimatica degli aminoglicosidi, mentre i ß-lattamici possono essere inattivati da ß-lattamasi di natura sia cromosomica che plasmidica. Al fine di limitare al massimo la diffusione di P aeruginosa in ambiente nosocomiale, può essere utile il controllo periodico di tutti gli arredi del locali, vista la predilezione del microorganismo per gli ambienti umidi, e degli strumentari, specie nel reparti di terapia intensiva.
Dal punto di vista epidemiologico, è utile la tipizzazione del ceppi implicati in infezioni nosocomiali per seguirne l'eventuale diffusione ed attuare le necessarie misure di prevenzione.  U uso di un vaccino polivalente costituito da antigeni somatici di vari sierotipi di P aeruginosa, utile specie nei soggetti ad alto rischio, è tutt'ora sperimentale.

BIBLIOGRAFIA
PASSADOR L, COOK JM, GAMBELLO MJ et al.: Expression of Pseudomonas aeruginosa virulence genes requires cell-to-cell communication.  Science 1993; 260,1127-1130
JARVIS WR, MARTONE WJ: Predominant pathogens in hospital infections.  J Antimicrob Chemoter 1992; 29 (Suppl.  A): 19-24
MOLINARI G, GUZMAN CA, PESCE A and SCHITO GC: Inibition of Pseudomonas aeruginosa virulence factors by subinhlbitory concentrations of azithromycln and other macrolide antibioties.  J Antimicrob Chemoter 1993; 31:681-688
DURACK DT: Pseudomonas aeruginosa: a ubiquitous pathogen. in Schaechtcr M, Medoff G, Schlessinger D: Mechanisms of microbial disease. eds.  William & Wilkins, Baltimore 1989

Neisseria meningitidis

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un cocco Gram-negativo, immobile, asporigeno, aerobio, ossidasi positivo, per lo più disposto caratteristicamente a coppie.  All'esame colturale la colonia si presenta di colore grigiastro, trasparente, a superficie liscia ed a margini netti.  Terreni selettivi quali Thayer Martin o New York City, contenenti antibiotici oltre che metaboliti indispensabili per la crescita, permettono l'isolamento del meningococco anche a partire da materiali polimicrobici.  Neisseria meningitidis cresce meglio se coltivata in atmosfera al 5-10% di CO2.

FATTORI DI PATOGENICITA
La virulenza del meningococco è favorita dalla capacità di aderire alle cellule mucipare dell'epitello delle prime vie aeree, unione resa possibile da strutture altamente differenziate quali i pili.  Come per il gonococco, la produzione di una IgA-proteasi, presente solo nel ceppi virulenti, entra in gioco nel facilitare la sopravvivenza e la moltiplicazione sulla superficie delle mucose.  La successiva endocitosi consente il trasporto oltre la membrana basale con passaggio nel torrente circolatorio. La capsula di natura polisaccaridica, fortemente antigenica salvo che nel gruppo B, protegge dalla fagocitosi nella fase invasiva ed è anticomplementare.  Essa sta inoltre alla base della classificazione in nove sierogruppi, di cui i più frequenti sono A, B, C, Y. Nell'ambito del gruppi sono distinguibili vari sierotipi, definiti da antigeni presenti sulla membrana esterna.  La potente endotossina legata alla parete cellulare, di natura lipopolisaccaridica, attiva il complemento e causa fenomeni di necrosi endoteliale e di infiammazione disseminata.
Il meningococco si trova quale costituente della popolazione microbica normale naso-faringea in una percentuale variabile dal 5 al 15% degli individui nel periodi interepidemici.  Lo stato di portatore conduce alla sintesi di anticorpi. Poichè l’immunizzazione richiede tempo, in alcuni soggetti, specie per passaggi continui del ceppo in popolazioni chiuse (scuole, asili nido, cascane) da virulentazione con tendenza a travalicare la semplice colonizzazione ed il passaggio in circolo.  In queste circostanze, il germe utilizza i meccanismi di invasione della mucosa naso-faringea e dopo una fase batteriemica spesso fugace e misconosciuta, raggiunge gli organi bersaglio, principalmente il sistema nervoso centrale e, in minor misura, cute, ghiandole surrenali, polmone, articolazioni, endocardio.  Nella più comune localizzazione meningea, dopo l'arrivo ai plessi corioidei si assiste ad una drammatica risposta infiammatoria, responsabile della grave sintomatologia.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
La modalità più comune di trasmissione della meningite epidemica è quella aerea attraverso le goccioline di Fliigge emesse da portatori sani cui consegue colonizzazione di mucose (nasofaringea, congiuntivale) di soggetti sprovvisti di adeguato corredo anticorpale nel riguardi del ceppo invasore.  La malattia presenta tipiche recrudescenze stagionali, con una maggior incidenza durante i mesi invernali e primaverili, colpendo preferenzialmente la fascia di età compresa fra i 6 mesi ed i 2 anni.  In questo periodo si assiste alla caduta degli anticorpi protettivi materni, non adeguatamente controbilanciata dal funzionamento di un sistema immunitario in maturazione.  Un altro picco d'incidenza si ha intorno al 20 anni, in coincidenza con il servizio militare, dove un gruppo eterogeneo di persone convive in condizioni predisponenti l'infezione quali il sovraffollamento e la presenza di portatori di un'ampia varietà di sierogruppi differenti di N.meningitidis.  Dopo una breve fase di incubazione (2-3 giorni), iniziano i primi sintomi che nelle forme più lievi sono quelli di una banale Laringite.  Più raramente, in seguito a fulminante sepsi meningococcica, si assiste ad una forma gravissima caratterizzata da coagulazione intravascolare disseminata, porpora, shock ed interessamento delle capsule surrenali (sindrome di Waterhouse-Friderlchsen).  Il quadro clinico più frequente è tuttavia quello rappresentato dalla meningite acuta purulenta con cefalea, vomito, fotofobia, febbre, rigidità nucale con agitazione psicomotoria che rappresentano i sintomi di esordio della malattia.  Si sviluppa in seguito la tipica sindrome meningea con posizione fetale "a cane di fucile", iperitono muscolare, positività alle manovre di Kernig, Brudzlnskl, Laségue.
Un'adeguata terapia antibiotica instaurata precocemente permette nella maggioranza del casi di decapitare prontamente la meningite e di evitare reliquati neurologici.
Durante il decorso è possibile assistere a localizzazioni metastatiche secondarie a carico di diversi organi ed apparati: ossa, articolazioni, polmone, endocardio, seni paranasali, ascessi e trombosi cerebrali.

 

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Devono essere utilizzati i materiali più idonei provenienti dal sito di infezione.  Saranno pertanto considerati liquori sangue, liquido sinoviale, tamponi naso-faringei, espettorati, agoaspirati ecc.. Sui campioni provenienti da distretti sterili è opportuno, per una rapida e preziosa diagnosi presuntiva, effettuare l'esame microscopico diretto previa colorazione di Gram.  In caso di positività sarà possibile evidenziare la presenza di diplococchi Gram-negativi all'interno del polimorfonucleati abbondantemente rappresentati.  Gli esami colturali si avvolgono di terreni anche non selettivi se i campioni provengono da zone usualmente sterili (liquor, sangue, essudati).  La positività del tampone naso-faringeo, obbligatoriamente insemenzato in terreni selettivi, permette di depistare i portatori.  La speciazione può essere  ottenuta tramite speciazione e prove biochimiche e successiva determinazione del sierogruppo.  Nel casi sospetti, con coltura negativa per precedente uso di antibiotici, una diagnosi rapida è consentita dalla ricerca, tramite agglutinazione al latice o coagglutinazione, dell'antigene polisaccaridico.  Il test non è in grado di rilevare meningococchi del gruppo B.

APPROCCIO TERAPEUTICO
In presenza di una sindrome meningea, ad eziologia ancora sconosciuta ed in attesa del risultato degli esami di laboratorio vista anche la gravità della patologia, è meglioiniziare una terapia empirica con un antibiotico attivo sui più comuni agenti eziologici della meningite (meningococco, pneumococco, emofilo, streptococco di gruppo B, E. coli) che si presentano con diversa incidenza in funzione dell'età.  In tal caso la scelta potrà cadere sulle cefalosporine parenterali di terza generazione (il ceftriaxone rappresenta la molecola di elezione) che per spettro, resistenza alle ß-lattamasi e proprietà farrnacocinetiche, sono le molecole più idonee nell'affrontare questa emergenza medica.  Se la diagnosi è confermata, la penicillina (ampicillina) resta efficace nella fase acuta.  In caso di ipersensibilità al ß-lattamici il cloramfenicolo, che penetra bene la barriera ematoliquorale, dà garanzie di successo.
La prevenzione può essere attuata con due modalità: chemioprofilassi e profilassivaccinale.  La prima, utilizzabile per limitare un'epidemia in comunità chiuse (familiari, asili nido, caserme, ecc.) e che è indipendente dagli accertamenti colturali a rischio di false negatività, si avvale della somministrazione di minociclina rifampicina per os o di ciprofloxacina.
La vaccinazione è attualmente utilizzata solo su popolazioni particolarmente a rischio. Il polisaccaride di gruppo B ha scarso potere immunogeno e non viene utilizzato per la profilassi.

BIBLIOGRAFIA
TUNKEL AR, SCI-IELD WM: Pathogenesis aiìd pathophyslology of bacterial meningitis.  Ann Rev Med 1993; 44:103-120
McGEE ZA, STEPHENS DS, HOFFMAN LH: Mechanisms ofmucosal invasion by pathogenic Neisseria.  Rev Infect Dis 1983- 5: S708-S714
MORELLO JM, JANDA WM, DOERN GV: Neisseiria and Branhamella. in Balows A, Hausler WJ, Herrmann KL et al. eds.  Manual of Clinical Mierobiology. 5th ed.  Washington, DC: American Society for Mierobiology 1991:258-76

 

Neisseria gonorrhoeae

MORFOLOGIA E GENERALITA
E’ un cocco Gram-negativo, asporigeno, aerobio obbligato, ossidasi positivo, immobile, che si presenta all'esame microscopico con l'aspetto caratteristico di "chicco di caffè".  Nel preparati di materiale patologico, è spesso visibile all'interno di polimorfonucleati. Il germe, estremamente esigente dal punto di vista nutrizionale, produce colonie morfologicamente "mature" dopo 48 ore di incubazione con aspetto liscio e privo di pigmentazione.  Neisseiria gonorrhoeae è un microorganismo molto sensibile agli agenti chimico-fisici, per cui il suo habitat naturale è ristretto alle mucose dell'uomo che è anche l'unico serbatoio di questo patogeno.

FATTORI DI PATOGENICITA
Condizionano la virulenza del microorganismo vari fattori tra cui i pili, il lipopolisaccaride. le proteine della membrana esterna, l'IgA-proteasi.  I pili conferiscono al germe la capacità di aderire all'epitelio superficiale delle mucose, di resistere alla fagocitosi, di ingannare le difese immunitarie attraverso variazioni di fase e/o antigeniche che rendono questa struttura proteica estremamente pleimorfaIl lipopolisaccaride, in virtù del proprio mimetismo antigenico, protegge il germe dall'effetto battericida del siero.  Le tre principali proteine della membrana esterna (OMP), favoriscono ulteriormente la penetrazione, la disseminazione a distanza e la coesione del microorganismi tra di loro.  In vitro questa proprietà porta alla comparsa di colonie compatte e opache.  La proteina OMP I (porina) ne permette, se presente, la tipizzazione.  Infine, le IgA-proteasi inattivano le immunoglobuline di superficie limitandone l'azione battericida e favorendo il processo di colonizzazione.  Il germe non produce esotossine note.

MANIFESTAZIONI CLINICHE
La gonorrea, nonostante l'utilizzo massivo di farmaci di indubbia efficacia, si colloca al primi posti fra le malattie batteriche contagiose.  Le mutate condizioni socio-economiche (maggior libertà sessuale, rapporti anche in giovane età, diffusione di contraccettivi orali a scapito di profilattici) hanno di fatto favorito, insieme al pericolo costituito dal casi asintomatici, molto frequenti (fino al 50%) nella donna. il diffondersi dell'infezione.  E tutt'ora difficile avere un indice della reale incidenza della malattia.  I casi denunciati rappresentano solo la punta di un iceberg, come testimoniato dal consumo annuo anche nel nostro Paese di spectinomicina (antibiotico utilizzato esclusivamente per eradicare questo patogeno).  Le dosi consumate sono infatti estremamente più numerose del casi notificati, pur permanendo l'obbligatorietà della denuncia.
Nonostante il meccanismo patogenetico della blenorragia sia comune in entrambi i sessi, dal punto di vista pratico è utile distinguere l'infezione del maschio da quella della femmina.  Nel primo, a distanza di 3-4 giorni dal contagio (che data la labilità del patogeno è quasi esclusivamente sessuale), il paziente nota una secrezioni uretrale purulenta, associata a dolore e bruciore alla minzione.  Nella seconda l'infezione decorre più frequentemente in maniera asintomatica o paucisintomatica, essendo il secreto frammisto alle secrezioni vaginali.  Data la localizzazione a livello cervico-uretrale risulta evidente la possibilità che la donna diffonde più facilmente del maschio, solitamente sintomatico, la malattia in questo periodo. In entrambi i sessi l'infezione, se trascurata, può diffondere per contiguità (epididimiti. prostatiti, proctiti).  La faringotonsillite è i frequente. Nella donna l'estensione alle t-iibe può determinare pelviperitonite, ascessi (malattia infiammatoria pelvica) e residuare in stenosi cicatri~ ziale con conseguente ipo- o infertilità.  Più rara la diffusione per via eliiatica a partenza da qualsiasi focus blenorragico che determina esantema e poliartralgia migratoría.  Nel casi più gravi la setticemia può sfociare in endocarditi o meningiti.
L’oftalmoblenorragia che il neonato contraeva durante il passaggio nel canale del parto è praticamente scomparsa grazie all'adeguata profilassi attuata sistematicamente.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Come molti agenti eziologici di infezioni a trasmissione sessuale, Neisseria gonorrhoeae risulta molto fragile nell' ambiente, per cui, se i campioni non sono adeguatamente raccolti e trasmessi al laboratorio il successo diagnostico viene compromesso.
Nella blenorragia dell'uomo e nella congiuntivite la diagnosi può essere posta, con oltre il 95% di confidenza, su un campione costituito da un tampone uretrale o oculare, con la sola attenta analisi di un preparato microscopico che riveli la presenza del tipici diplococchi Gram-negativi associati ad una notevole componente granulocitaria.  Più difficile effettuare un prelievo idoneo nella donna. L’esame batterioscopico è infatti infido, per la concomitanza nella popolazione microbica normale dell'apparato genitale di microorganismi che possono simulare Neisseria gonorrhoeae.  Nella malattia infiammatoria pelvica sono necessari ottenibili solo con tecniche invasive essendo fuorvianti i tamponi vaginali, uretrali e cervicali.  Per l'esame colturale è necessario utilizzare mezzi specifici quale ad esempio il terreno selettivo di Thayer-Martin che andrà incubato a 35 °C in atmosfera al 5-10% di CO2.
Il patogeno verrà identificato biochimicamente tramite la positività al test dell'ossidasi e la fermentazione differenziale del carboidrati.  Non sono disponibili test sierologici affidabili per la diagnosi indiretta, mentre sono in rapido sviluppo test immuno-enzimatici e sonde genetiche adatte alla ricerca diretta del patogeno e in grado di eliminare gran parte delle difficoltà legate ai metodi tradizionali, derivanti dalla fragilità del germe e dalle sue esigenze colturali.

APPROCCIO TERAPEUTICO

Fino agli inizi degli anni '70 la terapia della blenorragia non ha comportato particolari difficoltà.  La penicillina risultava sempre risolutiva anche se, a partire già dal 1950 il germe richiedeva dosaggi più elevati del farmaco.  La colonizzazione da parte di TEM- 1, proveniente da enterobatteri, con conseguente diffusione del plasmide capace di produrre ß-lattamasi ha cancellato in molti Paesi l'efficacia della penicillina ed ha costretto a modificare i protocolli terapeutici.  Le cefalosporine parenterali di terza generazione e tra queste il ceftriaxone, per la possibilità di una monosomministrazione nonchè per l'intrinseca stabilità a ß-lattamasi tipo TEM-1, sono oggi il caposaldo della terapia.  In alternativa sono utilizzabili i macrolidi, la spectinomicina e le tetracicline.  Sebbene queste ultime siano efficaci anche nel quadri sostenuti da Chlamydia trachomatis che spesso sono associate all' infezione blenorragica (uretrite post-gonococcica), l'evoluzione costante di Neisseria gonorrhoeae verso l'acquisizione di resistenze costringe spesso all'adozione di protocolli terapeutici complessi.
Nonostante i costi sociali elevati e la grande diffusione della blenorragia e delle sue sequele, non sono disponibili piani di prevenzione realmente efficaci.  Unico caposaldo continua ad essere, nel rapporti sessuali a rischio, l'uso del profilattico.  In assenza di un vaccino proteggente, la totale eradicazione del patogeno con antibioticoterapia appropriata, dal malati e dal loro partner e l'adozione di corretti comportamenti in ambito sessuale, sembrano costituire la condotta migliore da tenere allo scopo di limitare la diffusione della blenorragia.

BIBLIOGRAFIA
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Enterobacteriaceae

MORFOLOGIA E GENERALITA

Il genere Enterobacteriaceae comprende una grande varietà di Gram-negativi aerobi e
anaerobi facoltativi, asporigeni, ossidasi negativi, dotati di caratteristiche morfologiche e colturali comuni.  Le dimensioni medie sono di 3 x 0,5 micron con lunghezza molto variabile, da forme coccoidi a forme francamente filamentose.  Possono essere mobili per flagelli peritrichi e produrre capsula o esopolisaccaridi.
Crescono con facilità nei terreni di coltura complessi o selettivi (Agar desossicolato-eltrato, eosina-blu di metilene).  Al fini identificativi possono essere utili i terreni differenziali quali il Me Conkey che permette di discriminare i ceppi fermentanti il lattoso (es.  E. coli) da quelli privi di ß-galattosidasi.
Gli enterobatteri si ritrovano comunemente nel tratto intestinale dell'uomo e degli animali, ma sono talora presenti, come semplici colonizzatori, sulla cute, nell'apparato genitale femminile e nell'albero tracheo-bronchiale.  Data la preminente localizzazione intestinale di questi microorganismi, la presenza di E. coli è assunta quale indice di contaminazione fecale delle acque.
Svariati sono gli schemi tassonomici utilizzati per incasellare le numerose specie, generi e tipi di enterobatteri.  Poichè la disamina di questo complesso argomento travalica gli scopi della presente analisi basti accennare che test colturali e biochimici nonchè metodi sierologici sono le basi per questa differenziazione.

 

FATTORI DI PATOGENICITA

La patogenicità degli enterobatteri è strettamente legata alla struttura antigenica della parete cellulare che contiene tre categorie principali di antigeni.  La sostanza K, di natura polisaccaridica, circonda il germe e rappresenta nel genere Klebsiella la base per la suddivisione in sierotipi. La sua localizzazione periferica può determinare l'eclissi degli antigeni sottostanti e quindi falsare le prove di agglutinazione utilizzate per la diagnosi sierologica.  Compito principale di questa struttura similcapsulare è quello di eludere la fagocitosi e la successiva attivazione del complemento.
L’antigene somatico 0, di natura polisaccaridica, è identificabile con l'endotossina la cui parte attiva, di natura lipidica (lipide A,), affonda nel corpo batterico ed è causa delle manifestazioni generali comuni a tutti i Gram-negativi quali febbre, leucopenia, attivazione della cascata del complemento, coagulazione intravascolare disseminata, shock.  Gli antigeni proteici H, fiagellari, sono deputati alla mobilità.  Nelle specie uropatogene questo carattere viene considerato importante per l’invasività e la possibile risalita al parenchima renale.  Contribuiscono con vari meccanismi d'azione, all'estrinsecazione della virulenza la presenza di fimbrie o pili (P) che iniziano la colonizzazione in distretti specifici e la produzione di proteine che, trasportate all'esterno della cellula, manifestano attività cito- ed entero-tossiche.  La capacità di chelare il ferro attraverso la sintesi di enzimi con altissima affinità per questo cofattore favorisce la sopravvivenza e lo sviluppo delle Enterobacteriaceae nellepossibili fasi invasive.

MANIFESTAZIONI CLINICHE DI ESCHERICHIACOLI
E’ sicuramente il patogeno opportunista più frequentemente isolato nel nostro Paese, rappresentando circa il 25% del ceppi che vengono identificati e saggiati nell'antibiogramma. E’ l’agente eziologico dell'80-90% delle infezioni delle vie urinarie in ambito comunitario.  Dall'intestino, dove alberga nella popolazione microbica normale, può colonizzare le vie urinarie con meccanismo solitamente ascendente anche grazie alla sua mobilità per flagelli peritrichi e alla presenza di fimbrie (tipo 1) che ne permettono l'adesione al recettori specifici delle cellule uroepiteliali delle basse vie escretrici.  Se dotati di fimbrie P i batteri possono progredire e causare infezioni di notevole gravità del parenchima renale (pielonefriti).  I sintomi, quando presenti (è frequente anche una "batteriuria asintomatica"), sono costituiti da: disuria, pollachiuria, stranguria e, in caso di infezione delle alte vie si aggiungono febbre e dolore in sede lombare.  Fattori favorenti la colonizzazione del distretto urinario sono i rapporti sessuali, che promuovono il reflusso vescicale nella donna, malformazioni, urolitiasi, ipertrofia prostatica e cateterismi.  L’ampia diffusione di questa patologia da E. coli è sostenuta da pochi sierotipi, circa 10, sugli oltre 150 riconoscibili in base a tipizzazione degli antigeni 0, H e K.
I ceppi uropatogeni dispongono come fattori di virulenza , oltre a quelli già citati e comuni agli enterobatteri, di una citotossina con attività anche emolitica (a-emolisina) e di siderofori (aerobactina) che provvedono all'indispensabile sequestro del ferro in un ambiente che poco ne contiene.  Anche se usualmente E. coli è ospitato nella popolazione microbica normale dell'apparato digerente, esso può talora causare affezioni intestinali che, sulla base dei diversi meccanismi di patogenicità posti in atto, è possibile ricondurre a cinque microorganismi distinti: enterotossigeni (ETEC), enteropatogeni (EPECI), enteroinvasivi (EIEC), enteroemorragici (EHEC) ed enteroadesivi (EAEC).
La prima fase, essenziale nell'eziopatogenesi della malattia da ceppi ETEC, è rappresentata dalla colonizzazione mediata dall'adesività all'epitelio intestinale, capacità quest'ultima sotto il controllo di un plasmide trasferibile.  I vari stipiti sono caratterizzati da diverso comportamento clinico ed epidemiologico, essendo i ceppi di tipo ETEC responsabili di sindromi diarroiche nel bambini o negli adulti che si recano in zone in via di sviluppo (diarrea del viaggiatore), con meccanismo patogenetico legato alla produzione di enterotossine termolabili (LT) e/o termostabili (ST).  Queste sostanze agiscono aumentando i livelli intracellulari di AMP-ciclico (analogamente al coleragene) o di GMP-ciclico, con richiamo di liquidi ed elettroliti nel lume intestinale.  Le tossine sono codificate da plasmidi che possono o no veicolare anche i fattori di colonizzazione dell'epitelio intestinale e che, ancorando i batteri alle cellule bersaglio, condizionano la sintomatologia.  L’unico serbatolo di ETEC è rappresentato dall'uomo e la via di trasmissione è quella classicamente coinvolta nelle patologie di questo tipo: il circuito orofecale.  L’infezione è caratterizzata da diarrea acquosa crampiforme, con corteo sintomatologico di lieve entità che si limita per lo più ad un senso di nausea e prostrazione in usuale assenza di febbre.
E.coli definito EPEC è responsabile di diarrea con febbre e leuocitosi nei neonati.  Oggi la sua diffusione è alquanto più limitata.  La patogenesi della malattia è legata ad un gioco di rafforzamento reciproco tra geni plasmidici che codificano un particolare fattore di adesività e geni cromosomici che dominano la sintesi di una intimina capace di rafforzare l'adesione del patogeni alla superficie degli enterociti.  Il risultato è la scomparsa dei microvilli ed il riarrangiamento del citoscheletro, fenomeni che conducono ad una diarrea che può anche cronicizzare.  Il serbatolo del ceppi EPEC è contemporaneamente umano ed animale.  I ceppi EIEC provocano una sintomatologia simile a quella presente nella dissenteria bacillare sostenuta da Shigella.  Il meccanismo patogenetico è infatti analogo, con invasione degli enterociti e moltiplicazione intracellulare di E. coli cui conseguono lesioni necrotico-emorragiche della mucosa.  La sintomatologia comprende pertanto diarrea mucosanguinolenta, febbre, compromissione dello stato generale e presenza di leucociti nelle feci.  La trasmissione avviene come sempre per via oro-fecale e determina quasi esclusivamente casi sporadici e rari.
I ceppi enteroemorragici (EHEC), epitomizzati dallo stipite 0157:H7, sono produttori di una tossina citotossica simile a quella sintetizzata da Shigella che inibisce la sintesi proteica.  Dopo una iniziale fase di adesione del germe alla mucosa, la tossina determina una vera e propria colite emorragica non accompagnata da febbre. L’eventuale passaggio in circolo della tossina può determinare la sindrome emolitico-uremica provocando danni al letto vascolare del rene.  Il principale serbatoio è rappresentato da alimenti provenienti da animali contaminati: carni macinate mal cotte e latte crudo.
I microorganismi di tipo EAEC attualmente si distinguono solo per la capacità di aderire in vitro a cellule diploidi ed in vivo agli enterociti, provocando diarrea acquosa con tendenza alla cronicizzazione.
Alcuni ceppi di E. coli, in particolare quelli provvisti di polisaccaride capsulare KI, sono tra i maggiori responsabili di meningiti neonatali, presentando analogie di struttura e patogenesi con altri agenti eziologici quali lo Streptococco di gruppo B (S. agalactiae), N. meningitidis e H. influenzae.
E.coli può anche comportarsi da patogeno opportunista, specie in ambito nosocomiale, sostenendo infezioni delle vie respiratorie, dell'apparato urogenitale sia nel maschio che nella femmina ed inoltre peritoniti, osteomieliti, artriti, sepsi, ecc.. Tali quadri sono favoriti sia da una diminuita sorveglianza da parte delle difese dell'ospite, sia dalla circolazione di ceppi particolarmente virulenti.

MANIFESTAZIONI CLINICHE DI PROTEUS MIRABILIS
Questo bastoncino dallo spiccato plelomorfismo si distingue per la sua capacità di sciamare sul terreni di coltura ricoprendo tutti gli altri batteri con una patina che lo rende subito riconoscibile.  Non fermenta il lattoso ed è un forte produttore di ureasi.  P.mirabilis colonizza normalmente il tratto intestinale dell'uomo e, al pari di E. coli, può determinare infezioni delle vie urinarie, specie in ambito comunitario.
Fattori di virulenza che favoriscono dapprima la colonizzazione e quindi l'infezione sono i flagelli, i pili e l'attività ureasica.  Quest'ultima, determinando alcalinizzazione delle urine, consente la formazione di calcoli di fosfato-ammonico-magnesiaco che, comportandosi come corpi estranei, diminuiscono le difese locali e proteggono dall'azione degli antibiotici.
Altra specie di frequente isolamento, ma più spesso in ambito nosocomiale, è P. vulgaris, che si diversifica da P.mirabilis per la capacità di produrre indolo.  Il germe dimostra inoltre più spiccata chemioresistenza. E’ causa di infezioni delle vie urinarie, setticemie, infezioni addominali e sovrainfezioni di ferite ed ustioni.

MANIFESTAZIONI CLINICHE DI KLEBSIELLAPNEUMONIAE
K.pneumoniae si distingue dagli altri enterobatteri per essere assolutamente immobile.  In compenso essa sintetizza una cospicua capsula che conferisce alle colonie un aspetto mucoso su terreni di coltura solidi e costituisce la base della tipizzazione degli oltre 80 sierotipi (antigene K).  Ospitata, come i precedenti microorganismi, nel tratto intestinale essa è ugualmente causa di infezioni delle vie urinarle di natura per lo più comunitarie.  A livello ospedaliero K.pneumoniae esprime tutta la sua potenziale patogenicità.  L’acronimo K.E.S. (Klebsiella, Enterobacter-, Serratia) definisce infatti un gruppo di patogeni accomunati dalla prevalente diffusione nosocomiale e dalla difficoltà di eradicazione.
K.pneumoniae come altri germi capsulati (emofili, pneumococchi) causa polmoniti lobari, favorite da situazioni quali alcolismo, broncopneumopatie croniche ostruttive, deficit immunitari.  A partenza dal foci urinari o respiratori può evolvere verso sepsi o meningiti.

DIAGNOSI MICROBIOLOGICA
Partendo da campioni clinici congrui alle varie sedi di infezione l'identificazione delle diverse specie di enterobatteri non presenta particolari difficoltà.  L’aspetto delle colonie, su terreni indicatori o selettivi, risulta caratteristico; l'idrolisi del lattosio, l'eventuale sciamatura, l'aspetto mucoso delle colonie possono consentire già dal primo isolamento una diagnosi presuntiva.  La successiva identificazione attraverso gallerie biochimiche miniaturizzate permette di raggiungere agevolmente una speciazione. La tipizzazione del ceppi di E. coli causa di diarrea (,EPEC, ETEC, EIEC, EHEC, e EAEC già descritti) pone problemi più complessi che sono di solito affrontati in centri specializzati.  Superati i metodi sierologici, sono divenute attualmente disponibili sonde genetiche estremamente specifiche ma costose che permettono di abbreviare notevolmente i tempi delle indagini e che sono preziose ai fini epidemiologici.

APPROCCIO TERAPEUTICO
In presenza di una patologia sostenuta da Enterobacteriaceae s'impone, specie nelle infezioni nosocomiali, una terapia guidata dall'antibiogramma.  L’incidenza di resistenze sconsiglia infatti un approccio empirico poichè tra questi patogeni è frequente lo scambio di informazioni plasmidiche che veicolano numerosi geni capaci di conferire refrattarietà a più antibiotici contemporaneamente.  In Italia, i dati epidemiologici confermano una diminuita attività di alcuni ß-lattamici dato il larghissimo impiego clinico di cui ha goduto questa classe di antimicrobici. L’analisi dell'ampicillino-resistenza (circa il 45%) e il suo superamento, anche se non totale, da parte di associazioni con inibitori suicidi, permette di confermare che il meccanismo alla base di questo fenomeno è l'acquisizione di una ß-lattamasi plasmidica.  Sebbene questi enzimi superino i 100 tipi diversi, solo alcuni sono preminenti per ampia circolazione negli enterobatteri e rilevanza clinica.  Tra questi primeggiano TEM-1, TEM-2 e SHV-1, tutti sensibili alle associazioni. di ß-lattamici idrolizzabili (amoxicillina, ampicillina, piperacillina) con inibitori suicidi (clavulanato, sulbactam, tazobactam) ed alle cefalosporine di III generazione orali.  Il ricorso a molecole intrinsecamente stabili all'azione delle ß-lattamasi quali le cefalosporine di terza generazione, i carbapenemici, gli aminoglicosidi e i fluorochinoloni appare giustificato in infezioni sistemiche nosocomiali gravi quando l'urgenza clinica non consenta di mirare la terapia.
In ambito comunitario le refrattarietà rimangono a tutt'oggi di gran lunga meno incidenti di quelle riscontrate in ambito nosocomiale.  Appare ragionevole pertanto, soprattutto nelle infezioni delle vie urinarie non complicate, impostare una terapia empirica che consideri l'eziologia e l'epidemiologia locale, facendo ricorso a chemioterapici poco impiegati per via sistemica (cotrimossazolo, norfloxacina, fosfomìcina-trometamolo ecc.).
Raramente in E. coli e Proteus, più facilmente in K. pneumoniae possono essere elaborate ß-lattamasi insensibili agli inibitori suicidi ma superabili da parte di monobattamici, cefalosporine di terza generazione e carbapenemici.  In K. pneuíiioniae ha iniziato a circolare anche nel nostro Paese una resistenza mediata da ß-lattamasi a spettro esteso capaci di idrolizzare anche le cefalosporine più recenti .
In pazienti debilitati i batteri della popolazione microbica normale intestinale possono trasformarsi in temibili patogeni.  Particolare attenzione va pertanto prestata al serbatolo delle infezioni ed alla prevenzione della trasmissione delle stesse, vista la facilità con cui le Enterobacteriaceae colonizzano le mani del personale sanitario e sopravvivono nel liquidi (umidificatori, soluzioni per terapia parenterale, ecc.)
Sarà pertanto essenziale mantenere l'asepsi e l'igiene delle mani durante le terapie parenterali.  Lo strumentarlo delle cateterizzazioni dovrà essere perfettamente sterilizzato.  Per quanto riguarda la diarrea del viaggiatore, ai soggetti che si recano in zone a rischio sarà sufficiente consigliare le comuni misure igieniche preventive, ed eventualmente l'utilizzo di farmaci come il cotrimossazolo o i chinolonici.

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CORINEBATTERI

Con la collaborazione di L.Drocchi

Bacilli  Gram-positivi, aerobi facoltativi, asporigeni ed immobili, hanno forma a clava e disposizione a palizzata o a ideogrammi cinesi; possono presentare alle estremità granulazioni di polifosfati dette  metacromatiche perché si tingono in rosso-viola con la colorazione al blu di metilene o di toluidina.
Ad eccezione delle specie sicuramente patogene (C. diphtheriae e gruppo JK), i corinebatteri si trovano comunemente nell’ambiente e nella flora microbica umana mucosa e cutanea, questi ceppi saprofiti possono comportarsi da opportunisti, soprattutto nei soggetti immunodepressi, causare faringiti, uretriti, e lesioni cutanee purulente.

  • DIPHTHERIAE

Agente eziologico della difterite; sorgente d’infezione: portatori nasofaringei sani e malati.
All’età di 10 anni il 70% della popolazione è immune, la protezione anticorpale si perde con l’età: a 65 anni il 50% è nuovamente suscettibile all’infezione. La trasmissione è aerea.
L’infezione si localizza a: rinofaringe, tonsille, palato molle e laringe ed il bacillo non invade il torrente circolatorio. La tossina prodotta dal batterio agisce, invece, sia localmente dando necrosi della mucosa, sia a distanza, veicolata dal sangue, causando gravi lesioni degenerative a livello del miocardio, fegato, rene e surrene, nervi cranici e periferici.
La tossina, proteica, termolabile (p.m. 62.000 d) è costituita da 2 subunità. La subunita B riconosce e lega i recettori della cellula bersaglio permettendo così alla subunità A di  entrare nella cellula e di inibire la sintesi proteica. Il frammento A in sé non è tossico ed infatti gli anticorpi attivi sono quelli diretti contro il frammento B perché impediscono il legame della tossina alla cellula bersaglio.
La dose letale della tossina difterica è di 0.1mg/Kg.
La sua produzione è sotto il controllo del Fago b e non tutti i corinebatteri la producono. I ceppi non produttori causano forme localizzate (vie aeree superiori) generalmente non gravi, quelli produttori forme localizzate gravi con o senza generalizzazione.
Il segno clinico più tipico è la faringotonsillite con presenza di membrane grigiastre che oltrepassano i limiti tonsillari il cui distacco provoca sanguinamento. I sintomi di accompagnamento sono: disfagia, dispnea, cianosi, edema del collo, iperpiressia, nausea e vomito. L’azione della tossina a livello delle alte vie respiratorie può portare ad ostruzione laringea per edema. L’effetto tossico sistemico può causare insufficienza cardiaca progressiva e acuta, insufficienza renale, paralisi della deglutizione.
La mortalità nelle forme gravi non trattate è intorno al 30%.

DIAGNOSI:
Esame microscopico con l’impiego di sieri antitossina coniugati con fluorescina.
Esame colturale di tampone faringeo o frammenti di pseudomembrane su terreno di Loeffler contenente siero coagulato e su agar-sangue-tellurito di potassio dove il C. diphtheriae dà colonie nerastre.
Dimostrazione della produzione di tossina:

  • Inoculazione di brodocoltura in cavia
  • Prova di precipitazione: su piastre di agar contenente una striscia di carta bibula inbevuta di antitossina, si semina il bacillo perpendicolarmente alla carta bibula e, nei punti d’incontro fra carta e strisciata, se c’è la tossina, si ha la precipitazione.

PROFILASSI:
Vaccino obbligatorio al 3°, 5° e 11° mese con richiamo al 5° anno di età.
Somministrazione di anatossina (tossina inattivata con formaldeide) che non previene l’infezione ma riduce la suscettibilità alla tossina; la stessa non elimina lo stato di portatore.

TERAPIA:
Da iniziare subito dopo la diagnosi clinica senza attendere quella microbiologica: 20.000-100.00 U di antitossina per e.v. in 60 minuti.
L’eritromicina è utile per eradicare lo stato di portatore.

BORDETELLA

Con la collaborazione di L.Drocchi, R.Zaffoni

Il Genere  Bordetella comprende tre specie: pertussis, parapertussis e bronchiseptica, tutte responsabili  di affezioni acute dell’albero respiratorio e con sovrapponibile sensibilità agli antibiotici.
Sono coccobacilli Gram-negativi, aerobi obbligati, produttori di catalasi, mobili o immobili, asporigeni, capsulati. Possiedono antigeni capsulari e un antigene somatico di natura proteica comune.

BORDETELLA PERTUSSIS
E’ l’agente eziologico della pertosse. Il batterio, molto fragile al di fuori dell’organismo umano, è a circolazione esclusivamente interumana ed è trasmesso dai soggetti nella fase iniziale della malatta, non è dimostrata l’esistenza di portatori sani. La trasmissione è aerea.
La sua patogenicità è dovuta a diversi fattori: azione fagocitaria della capsula, tossicità del lipopolisaccaride di superficie  (endotossina), effetto vasocostrittore della tossina dermonecrotica, azione lesiva sugli epiteli ciliati della citotossina tracheale, funzione emoagglutinante ed emolitica, ma soprattutto all’azione di una tossina pantropa che agisce facendo aumentare la conversione di ATP in AMPc nelle cellule bersaglio.
I primi fattori elencati causano accumulo delle secrezioni bronchiali, infiammazione e necrosi della mucosa bronchiale che a loro volta determinano la classica sintomatologia respiratoria della pertosse: tosse inizialmente produttiva e succcessivamente secca e stizzosa, ad accessi preceduti da tipica inspirazione rumorosa e seguiti da emissione di muco denso e vitreo e, talvolta, vomito.
La tossina pantropa, detta tossina della pertosse, è responsabile di vasodilatazione e quindi ipotensione, di stimolazione della secrezione insulinica  e quindi ipoglicemia e di linfocitosi.
Sono da temere complicanze encefalopatiche, broncopolmoniti per sovrapposizione di altri generi batterici e la morte per asfissia soprattutto nel lattante. La prognosi è riservata nel primo anno di vita in cui la pertosse ha una mortalità del 20%.
Per la diagnosi generalmente  sono sufficienti i dati clinici, sono tuttavia frequenti forme aspecifiche o attenuate non diagnosticabili clinicamente.
L’indagine batteriologica  viene eseguita su tampone nasofaringeo  utilizzando il terreno  di Bordet-Gengou contenente sangue, patata, glicerina e penicillina per eliminare la flora delle vie respiratorie; difficilmente e comunque  dopo un’ incubazione di 4-7 gg  si ottiene la crescita  del  batterio in colonie piccole, convesse e lisce,  utillizzabili per l’identificazione del batterio tramite agglutinazione con siero specifico. In caso di sucessivi passaggi su piastra le colonie da lisce diventano rugose e i batteri perdono progressivamente i fattori responsabili della patogenicità.
La profilassi è ottenuta con vaccinazione obbligatoria al terzo, quinto e undicesimo mese, il vaccino antipeertosse è allestito con B. pertussis in fase patogena, uccisa con adeguato trattamento. Temibile, seppur rarissima, l’encefalite da vaccino.
La B. pertussis  è sensibile a diversi antibiotici fra i quali ampicillina, cotrimossazolo, tetracicline; il loro uso modifica il decorso della malattia  se iniziato precocemente cioè nella fase di tosse produttiva e riduce la durata del periodo di contagiosità del malato che, in assenza di terapia,   si prolunga fino alla quarta settimana di malattia.
Le immunoglobuline specifiche conferiscono protezione immediata ma transitoria.


Mycobacterium tuberculosis  (in collaborazione con Ugo Campora)

La tubercolosi è un’infezione causata da due specie di micobatteri: Mycobacterium tuberculosis e Mycobacterium bovis. Nonostante questi microorganismi possano infettare  qualsiasi organo, in pratica è di gran lunga preminente la localizzazione polmonare, caratterizzata istologicamente dalla formazione del tipico granuloma. (Haas et al., 1995) 
INCIDENZA
L’uomo è l’unico serbatoio di M.tuberculosis e si calcola che nel mondo più di un miliardo di persone siano state infettate da questo microorganismo e che i nuovi casi ammontino a sedici milioni ogni anno, mentre tre milioni di persone muoiono annualmente in seguito a questa malattia. (Glassroth, 1994).
Le infezioni da micobatteri hanno fatto registrare negli ultimi anni un preoccupante incremento dei casi anche nei paesi industrializzati. Tra le cause che stanno determinando il risveglio di una patologia che si riteneva in estinzione dobbiamo annoverare sicuramente la diffusione delle infezioni sostenute da HIV e l’immigrazione di soggetti provenienti da paesi ad alta endemia tubercolare.
Grande importanza eziologica hanno assunto ultimamente anche i cosiddetti MOTT (Mycobacteria Other Than Tuberculosis) che, sebbene no siano agenti eziologici di tubercolosi propriamente detta ed abbiano un’incidenza nettamente inferiore a quella di M.tuberculosis a causa della loro minor virulenza, possono causare infezioni in pazienti con alterazioni della risposta immune. (Costa et al 1995)
Alcune classificazioni propongono assieme a M.tuberculosis e M. bovis, sia per la sovrapponibilità dei quadri clinici che presentano, sia per la notevole similitudine biologica anche M africanum nel cosiddetto Mycobacterium tuberculosis complex.  

Tabella 1. Classificazione dei principali micobatteri.

 

M.tuberculosis

M.kansasii complex

M. kansasii

M.tuberculosis complex

M.bovis

 

M.gastri

 

(M. africanum)

 

 

 

 

 

M.terrae

 

M.avium

M.terrae complex

M.nonchromogenicum

M. avium complex

M.intracellulare

 

M.triviale

 

M. xenopi

 

 

 

 

M foruitum complex

M. fortuitum

M.scrofolaceum complex

M.scrofolaceum

 

M.chelonae

 

M.simie

 

 

 

 

M.parafortuitum complex

M.parafortuitum

M.gordonae complex

M.gordonae

 

M.vaccae

 

M.szulgai

 

 

           


             


Tab 2. Micobatteri isolati da vari materiali patologici durante il periodo 1990-1994 in Italia su un totale di 5616 campioni di cui 208 positivi 

Pazienti HIV negativi

Pazienti HIV positivi

Agente eziologico

Campioni positivi (tot 156)

%

Campioni positivi
(tot 52)

%

 

M. tuberculosis

114

73.1

27

51.9

 

M. avium complex

4

2.6

5

9.6

 

M.xenopi

7

4.5

8

15.4

 

M. kansaasi

1

0.7

1

1.9

 

M. fortuitum complex

15

9.6

--

--

 

M. gordonae

11

7.1

10

19.3

 

M. scrofolaceum

2

1.3

--

--

 

M. flavescens

2

1.3

1

1.9

 

 

 

 

 

 

 

   
Tratto da Costa D. et al., Microbiologia Medica 1995

PATOGENICITA
Non si conosce ancora bene il meccanismo che sta alla base dell’azione patogena del Mycobacterium tuberculosis. Questo microorganismo non produce esotossine, quindi l’azione patogena sembra imputabile ad una sua tossicità intrinseca legata ad alcuni lipidi della parete cellulare presenti in grande quantità (circa il 60 % del peso secco). Questa caratteristica spiega la particolare idrofobicità che presentano questi microorganismi ed anche l’impermeabilità ai coloranti e l’alcool-acido resistenza. Analizzati dal punto di vista biochimico, questi lipidi risultano essere in parte vere e proprie cere, in parte glicolipidi, questi ultimi denominati micosidi dei quali uno in particolare è considerato essere direttamente correlato con la virulenza: il fattore cordale. I ceppi privati di questo micoside infatti risultano avirulenti pur conservando la vitalità, è in grado di inibire la migrazione dei polimorfonucleati in vitro e risulta letale se somministrato sottocute nel topo. Un altro micoside di notevole importanza è la cera D, sostanza localizzata nello strato basale della parete formata da acidi micolici e da un glicopeptide. Ha il potere di aumentare l’immunogenicità ed induce inoltre una ipersensibilità di tipo ritardato alla tubercolina. La frazione fosfatidica grezza è direttamente responsabile della tipica reazione granulomatosa che porta alla formazione del tubercolo comprese la necrosi caseosa. Ciononostante la tubercolosi non è una malattia altamente contagiosa e nel soggetto immunocompetente causa, come unico segno dell’avvenuta infezione, la reattività alla PPD.
Le conseguenze dell’inalazione o ingestione di bacilli tubercolari variano principalmente in funzione della virulenza del microorganismo ed al grado di resistenza che offre all’infezione l’organismo ospite. Solitamente l’infezione primaria nell’ospite immunocompetente produce una reazione autolimitante anche se, nei casi estremi, la malattia può progredire portando a morte il soggetto infettato.
Le lesioni istopatologiche caratteristiche della malattia possono essere di tipo essudativo o produttivo. Le prime sono presenti nelle fasi iniziali del contagio o quando il microorganismo prolifera in carenza di risposta immune adeguata da parte dell’organismo infettato, mentre le seconde sono tipiche della fase in cui il soggetto infettato ha sviluppato una ipersensibilità alle proteine tubercolari. in questo caso i macrofagi si dispongono concentricamente attorno ai focolai di infezione sotto forma di cellule epitelioidi che si allungano a formare i granulomi tubercolari tipici di questa malattia. Alcune di queste cellule talora si fondono tra loro a formare le cellule giganti caratterizzate dalle presenza di numerosi nuclei e da bacilli viventi intracitoplasmatici. Le cellule epitelioidi vengono circoscritte dal parenchima dell’organo colpito grazie alla presenza di linfociti e fibroblasti in proliferazione. Mentre nella fase iniziale dell’ infezione è di gran lunga più frequente la localizzazione intracitoplasmatica dei bacilli, nella fasi più tardive è più facile ritrovarli in sede extracellulare, probabilmente perché i macrofagi attivati riescono meglio a distruggerli una volta fagocitati.  

DIAGNOSI
Per la ricerca di M. tuberculosis nell’espettorato si consiglia di raccogliere il campione del mattino per tre giorni consecutivi, mentre in presenza di una sospetta localizzazione alle vie urinarie sarà opportuno raccogliere la totalità di urine emesse nelle 72 ore.
I campioni devono pervenire al laboratorio meglio se entro 30 minuti dalla raccolta e in ogni caso non oltre le 24 ore se refrigerati. I campioni vengono innanzitutto processati previa sedimentazione per centrifugazione.
Primo passo nella diagnosi laboratoristica consiste nell’allestimento del preparato microscopico: strisci colorati con metodiche che evidenzino l’alcool-acido resistenza tipica dei Micobatteri come la metodica di Ziehl-Neelsen; una volta colorati con carbolfucsina applicata per 2-3 minuti contemporaneamente al riscaldamento del vetrino, quest’ultimo viene lavato con acqua e quindi decolorato per circa 30-60 secondi utilizzando una soluzione di HCl al 3 % in alcool etilico, mentre la tecnica di Kinyoun, sovrapponibile alla precedente, non prevede l’impiego del calore. Solamente i micobatteri riescono a mantenere il colore rosso della fucsina dopo questo trattamento. Per aumentare il contrasto si tratta quindi il vetrino con blu ddi metilene: il reperto microscopico di piccoli bacilli rossi in campo blu è diagnostico e permette di avere una risposta preliminare in pochissimo tempo (10 minuti). In alternativa è possibile colorare il vetrino con auramina: in quest’ultimo caso dovrà essere visionato tramite un microscopio a fluorescenza. La sensibilità dell’esame microscopico è purtroppo bassa e richiede perché sia positiva una carica di 10.000 bacilli/ml, (Haas et al., 1995) dato che sottolinea, se considerato da una diversa angolazione, la grande importanza di una eventuale positività e che giustifica il fatto che viene considerato altamente sospetto il riscontro anche di un solo batterio. (tronci, 1995)
La diagnosi definitiva si ottiene però tramite l’esame colturale ostacolato dall’esasperante lentezza di crescita dei micobatteri. Primo passo è la liquefazione e decontaminazione del campione, che solitamente viene eseguita utilizzando N acetil cisteina come mucolitico in soluzione con idrossido di sodio all’ 1%: quest’ultimo garantisce l’uccisione di tutti gli altri microorganismi , mentre i micobatteri risultano protetti grazie alla particolare ricchezza in acidi grassi. I terreni che vengo solitamente utilizzati per la coltivazione dei micobatteri possono essere liquidi o solidi.                 
I metodi di coltura tradizionali necessitano di 4-6 settimane di incubazione prima che si possa procedere con la tipizzazione. (Haas et al., 1995)
Nuovi sistemi rilevano il consumo di ossigeno da parte dei micobatteri in fase di moltiplicazione attiva utilizzando un sensore fluorescente mentre altri si avvalgono di cromogeni o rilevano produzione di CO2.
E’ possibile anche utilizzare metodi radiometrici che utilizzano terreni di coltura addizionati di acido palmitico radiomarcato e che permettono di evidenziare una crescita batterica in 9-16 giorni.
Mycobacterium tuberculosis può essere identificato utilizzando l’inibizione specifica causata dal para-nitro-alfa-acetilamino-bata-idrossipropiofenone (NAP test), HPLC, con DNA probes o con i test biochimici tradizionali. Questi ultimi però necessitano di ulteriori settimane per la ricrescita dei ceppi, mentre test di nuova generazione richiedono 3-5 giorni (NAP test) o addirittura 2-4 ore (HPCL e DNA probes). Unico inconveniente è la necessità di avere a disposizione una massa batterica sufficiente per l’esame. Per ovviare a questo inconveniente, molte speranze sono rivolte alle tecniche di amplificazione genica (Polymerase Chain Reaction).  Questa è una tecnica sensibile e molto specifica anche se non è ancora in grado di fornire dati importanti nella valutazione clinico-epidemiologica come ad esempio la quantità del DNA batterico presente nel campione e se apparteneva a batteri morti o vivi. Questa tecnica è molto promettente ma necessita di spazi appositamente dedicati, strumenti costosi, personale altamente specializzato (Tronci, 1995).

RESISTENZA E TERAPIA
La terapia della tubercolosi si protrae usualmente per periodi molto lunghi (6-9 mesi), questo perché le molecole utilizzate necessitano per agire di organismi metabolicamente attivi, mentre M. tuberculosis cresce molto lentamente.        Un altro caposaldo della terapia antitubercolare è l’utilizzo contemporaneo di più chemioterapici. Questa condotta diminuisce di gran lunga la possibilità di selezionare resistenti: la notevole quantità di batteri presenti a livello della lesione e la diminuita efficacia delle difese messe in atto dall’ospite permettono ai rari mutanti resistenti di moltiplicarsi grandemente favoriti in passato dall’esposizione ad un unico farmaco. (Glassroth, 1994)
L’emergenza di resistenti spontanei è la regola ed è direttamente proporzionale alla quantità di bacilli esposti al farmaco. D’altra parte la presenza di multiresistenza è il risultato della probabilità di essere resistente di ogni singolo bacillo e non resistenze multiple manifestate da un singolo germe. (Glassroth, 1994)
Nel paziente affetto da tubercolosi è verosimile suddividere i bacilli in tre differenti sottopopolazioni delle quali la prima è la maggiormente rappresentata e corrisponde ai microorganismi che si sviluppano attivamente in ambiente extracellulare; una seconda sottopopolazione anch’essa intracellulare si riproduce più lentamente della precedente nel contesto della necrosi caseosa, mentre la terza, anch’esse a lenta crescita, si riproduce in ambiente intracellulare ed  è quella presente all’interno dei macrofagi e dei monociti. Non tutti i farmaci antitubercolari dimostrano la stessa efficacia nei confronti di queste tre sottopopolazioni, infatti isoniazide, streptomicina ed etambutolo risultano essere particolarmente attivi nei confronti delle popolazioni extracellulari metabolicamente attive; la rifampicina sembrerebbe attiva unicamente nei confronti della porzione di bacilli extracellulari a crescita più lenta. I micobatteri intracellulari sono invece sensibili alla pirazinamide che sperimentalmente si è dimostrata molto efficace. Recenti studi hanno dimostrato come la terapia della tubercolosi possa essere protratta per un periodo di tempo più breve con risultati eccellenti quando si utilizzino antitubercolari attivi nei confronti delle suddette sottopopolazioni. (Glassroth, 1994)   
Una volta iniziato il trattamento, si assiste a miglioramento della sintomatologia in 2-3 settimane, anche se sono necessari almeno due mesi perché si negativizzi l’escreato.
Nei pazienti adulti con localizzazione unicamente polmonare è possibile intervenire con protocolli terapeutici che prevedono una terapia della durata di sei mesi comprendente in associazione isoniazide, rifampicina e pirazinamide. A questo protocollo terapeutico è possibile associare, per un periodo di due mesi, un altro antitubercolare quale la streptomicina.
I protocolli di durata maggiore (nove mesi) prevedono l’utilizzo di isoniazide e rifampicina con l’eventuale aggiunta di etambutolo per i primi due mesi.
I pazienti sottoposti a terapia antitubercolare possono essere considerati non più infetti dopo 2-4 settimane.   
In caso di sospetta resistenza ai farmaci si dovrà iniziare la terapia comprendendo quattro farmaci (isoniazide, rifampicina, etambutolo e pirazinamide) finché non sia noto l’esito dell’antibiogramma. 

Tab.3  Antitubercolari utilizzati nella terapia della tubercolosi

Antitubercolari maggiori

Antitubercolari minori

Antitubercolari nuovi o sperimentali

Isoniazide

Etionamide

Fluorochinoloni

Rifampicina

Cicloserina

Clofazimina

Antitubercolari maggiori aggiunti

Kanamicina

Amoxicillina-clavulanato

Pirazinamide

Capreomicina

 

Etambutolo

Amikacina

 

Streptomicina

PAS

 

 

Triacetazone

 

     
PROFILASSI
Nei pazienti che presentino come unico sintomo la cutireazione alla tubercolina fortemente positiva (alone superiore a 10mm) è stata proposta in passato a scopo profilattico la somministrazione di isoniazide, ma attualmente ci si sta interrogando sulla sua reale utilità in questi casi o se non sia meglio intervenire utilizzando un regime terapeutico comprendente più antitubercolari in associazione ed in particolare sembrerebbero efficaci terapie più brevi comprendenti anche la rifampicina. (Haas et al., 1995)
La vaccinazione contro la tubercolosi utilizzando vaccini preparati utilizzando vari ceppi dei bacilli di Calmette e Guèrin ha dato risultati controversi. Recenti studi hanno infatti dimostrato come il grado di protezione conferito possa variare notevolmente. Molto probabilmente la vaccinazione è utile nel prevenire le forme più aggressive evitando la disseminazione. Il BCG non è di alcun aiuto nelle persone che sono già state infettate e che presentano quindi positività alla reazione cutanea alla tubercolina ma non solo: il soggetto vaccinato che presenta positività alla tubercolina pone il dubbio se questa sia imputabile ad una infezione o alla riuscita vaccinazione. Circa il 6-12 % dei vaccinati vanno incontro ad un interessamento linfonodale locoregionale di tipo puramente infiammatorio. La vera complicazione è l’evoluzione in senso suppurativo che l’OMS stima  intorno a 0,14 e 0,34 % nei bambini in età prescolare vaccinati per via intradermica mentre risulta essere di più comune riscontro (fino al 4.3%) se i soggetti hanno età inferiore a due anni. Complicazioni generalizzate o fatali sono non solo eccezionali ma anche limitate a soggetti molto giovani ed affetti da gravi disordini dell’immunità cellulare. (Ajjan, 1993)

Tab. 4.* Criteri per la prescrizione di terapia preventiva in persone con cutireazione positiva alla tubercolina.

 

Età

Categorie

Età inferiore a 35 anni

Età superiore a 35 anni

Con fattori di rischio (infezione da HIV, esposizione recente al bacillo, cutireazione positivizzata recentemente, Rx torace positivo, tossicodipendenti)

Trattare a qualsiasi età se la reazione a 5 unità di PPD è maggiore di 10 mm (o maggiore di 5 mm se il contatto è avvenuto recentemente, HIV positivi o in presenza di dimostrazione di focolaio tubercolare dimostrato all’esame radiografico.,

Senza fattori di rischio ma con storia di immigrazione da aree ad alta endemia, 

Trattare se PPD 10

non trattare

Senza fattori di rischio

Trattare se PPD 15

non trattare

 

 

 

 

 

 

*Tratto da Haas DW and Des prez RM, 1995

BIBLIOGRAFIA
Glassroth J. Tuberculosis. In Niederman MS, Sarosi GA, Glassroth J. Respiratory Infection. W.B. Saunders Company.1994
Haas DW, Des Prez RM. Mycobacterium tuberculosis. In Mandell GL, Douglas JE, Bennett JE: Principles and Practice of Infectious Diseases, New York. Churchill Livingstone 1995
Mims CA, Dimmock NJ, Nash A, Stephen J. Mim’s pathogenesis of Infectious Disease, Fourth Edition. 1995. Academic Press Inc. San Diego


I MICETI

Con la collaborazione di D.Bacca, B.Musolino.

 

Considerati per molto tempo dei vegetali, sono organismi unicelulari, eucarioti, aerobi o anaerobi facoltativi che si sviluppano per estensione continua con formazioni di ramificazioni cellulari. Immobili, sono largamente diffusi, potendosi presentare in elementi singoli (lieviti) o come colonie filamentose multicellulari (muffe).
In natura vivono negli strati superficiali del suolo o come commensali (commensalismo= associazione tra animali di cui uno riceve vantaggi mentre l’altro non è nè avvantaggiato, nè danneggiato) di vari organismi vegetali ed animali. Una cellula singola può dar luogo a forme filamentose multinucleate, a gemmazioni, a organi di fruttificazione con numerose spore e a celule sessualmente differenziate. Sono ubiquitari e necessitano di substrati organici per la crescita; le spore sono veicolate dall’aria.

MICETI  - Lieviti (tallo unicellulare)
- Muffe (tallo miceliale)
- Funghi dimorfi (lieviti a 37°C, soprattutto nei tessuti    infetti; muffe a
25°C in coltura.

MUFFE

Elemento fondamentale della crescita è l’ifa: struttura ramificata tubulare di 2-10m; via via che si sviluppa una colonia o tallo, le ife formano una massa di filamenti intrecciati detta micelio.
Le ife che penetrano nel terreno per assorbire sostanze nutritive costituiscono il micelio vegetativo, quelle proiettate sopra la superficie del terreno, quindi a contatto con l’aria, il micelio aereo.
Poiché la parte aerea spesso porta cellule riproduttive è anche nota come micelio riproduttivo. La maggior parte delle colonie è costituita da un intreccio di ammassi secchi irregolari e filamentosi, al cui centro vi sono cellule morte per lo scarso contenuto di alimentri e accumulo di sostanze tossiche (acidi organici). Le ife sono suddivise da setti parietali. I miceli non settati sono cenocitici cioè i loro nuclei sono circondati da masse continue di citoplasma.

LIEVITI

Organismi unicellulari ovali disposti a volte a catenelle (pseudoife). Citologia: cellule eucariotiche con numerosi cromosomi e membrana nucleare, mitocondri, reticolo endoplasmatico e vacuoli. Il citoplasma dele cellule in crescita è ricco di ribosomi (costante di sedimentazione 80S) alcuni dei quali legati a strutture membranose del reticolo endoplasmatico (microbodies); corpi membranosi e granuli di inclusione di natura lipidica o glicogeno, completano il quadro citologico della cellula fungina. La loro parete cellulare che a differenza dei batteri manca di peptidoglicano,  componenti lipopolisaccaridici e di acidi teicoici, presenta vari polisaccaridi, complessi proteici e peptidi che nel loro insieme individuano una parte rigida microfibrillare ed una  plastica amorfogranulare.
La parte microfibrillare è costituita da cellulosa o da un suo analogo, il glucano, o da chitina con residui di N-acetilglucosamina; questi sono legati tra loro mediante ponti b-1-4. Un altro tipico componente polisaccaridico della parete è il mannano.
Le funzioni della parete cellulare fungina, non indispensabile per la vitalità del fungo (sferoplasti o protoplasti vitali dopo digestione da parte di enzimi capaci di idrolizzare vari polimeri parietali), sono principalmente quelle di proteggere dalle variazioni osmotiche, consentire l’interazione con l’ambiente e l’ospite. Per i funghi che possiedono la capsula formata da strutture fibrose (Criptococcus neoformans), la stessa ha capacità di aderire a varie superfici ed è un importante fattore antifagocitario.  

RIPRODUZIONE

I miceti si riproducono per mezzo di spore che possono avere un’origine sessuale (funghi perfetti) o asessuale (funghi imperfetti). Questi due tipi di riproduzione in genere si alternano nel ciclo vitale di in fungo.
Riproduzione asessuata: i nuclei si dividono dando luogo a cellule polinucleate; si ha formazione di un nuovo clone senza intrvento di gameti e fusione nucleare per:

  • sporulazione seguita da gemmazione delle spore
  • gemmazione
  • frammentazione dele ife.

Le spore asessuate possono essere localizzate agli apici e ai lati delle ife,  o all’interno di esse. Nel primo caso verranno definite conidi, nel secondo artrospore e clamidospore. Le clamidospore ricordano in parte le spore dei batteri essendo caratterizzate da un involucro molto spesso che conferisce resistenza al calore e all’essiccamento (endosporulazione). Le artrospore si formano per frammentazione delle ife e i condi per processo simile alla gemmazione. Le spore presentano anche più nuclei, morfologia variabile e caratteristiche che possono essere importanti per la loro identificazione.
La gemmazione costituisce il meccanismo principale riproduttivo dei funghi: la cellula madre dà luogo per estroflesione alla cellula figlia molto più piccola. Rimane sulla parete della  cellula genitrice una cicatrice da distacco detta ”cicatrice da gemmazione”.

Riproduzione sessuata:  il processo avviene secondo le seguenti tappe:

  • il nucleo della cellula donatrice (maschile) penetra nella cellula ricevente (femminile);
  • il nucleo maschile e quello femminile si fondono a formare uno zigote diploide;
  • attraverso una meiosi il nucleo diploide dà origine a 4 nuclei aploidi alcuni dei quali possono essere ricombinanti genetici. La condizione di aploidia si associa spesso ad un lungo periodo di sviluppo vegetativo.

 


CICLO PARASESSUALE (RICOMBINAZIONE MITOTICA)

 

E’ un fenomeno di ricombinazione tra DNA parentali senza intervento di gameti differenziati; dimostrato in Aspergillus si svolge nelle seguenti tappe:

  • Fusione di ife e presenza nello stesso citoplasma di nuclei aploidi. L’eterocarionte  può rimanere stabile e i 2 nuclei possono dividersi in modo singolo.
  • Raramente si ha fusione dei 2 nuclei con formazione di nuclei diploidi eterozigoti che tendono a dividersi in sintonia con nuclei aploidi.
  • A bassa frequenza 1-10.000 i nuclei diploidi ricombinano tra loro.
  • Formazione dei nuclei aploidi, cellule e nuclei di DNA parentale e ricombinato.


TASSONOMIA

FICOMICETI: hanno ife prive di setti, spore asessuate contenute in sacchi  detti sporangiofori;      possono avere ciclo sessuale specie  le forme acquatiche.
ASCOMICETI: presenza di aschi, strutture sacciformi che contengono spore sessuate (ascospore); queste ultime sono prodotte a seguito di accoppiamento sessuato. In un asco vi sono 8 ascospore.
BASIDIOMICETI: si distinguono per le loro spore sessuate dette basidiospore perché si formano in strutture specializzate dette basidi. Funghi delle piante alcuni producono alcaloidi tossici per l’uomo o di interesse farmacologico (ergotamina e muscarina)
DEUTEROMICETI (FUNGHI IMPERFETTI) comprendono la maggior parte di funghi patogeni per l’uomo; la denominazioni di “funghi imperfetti” deriva dal fatto che non sono mai stati visti fenomeni di sessualità. Le ife sono settate e i conidi simili a quelli degli ascomiceti.

 

TIPI DI MICOSI

 

Possiamo suddividere le micosi in 4 gruppi principali a seconda del tessuto di volta in volta interessato dal tipo di infezione.

  • Micosi sistemiche o profonde (primarie ed opportunistiche)  che interessano prevalentemente gli organi interni ed i visceri; spesso sono disseminate coinvolgendo tessuti differenti.
  • Micosi sottocutanee che interessano cute, sottocute, fasce muscolari ed ossa.
  • Micosi cutanee che interessano l’epidermide, i capelli e le unghie; i responsabili di queste affezioni sono detti dermatofiti e le relative paatologie vengono chiamate dermatofitosi o dermatomicosi.
  • Micosi superficiali che interessano solo i peli e gli strati più superficiali dell’epidermide.

PATOGENESI:

Le micosi sistemiche primarie sono l’Istoplasmosi (Histoplasma capsulatum), la Blastomicosi (Blastomyces dermatitidis), la Coccidioidomicosi (Coccidioides immitis) e la Criptococcosi (Cryptococcus neoformans). Sono causate da funghi saprofiti del suolo. L’infezione viene contratta per inalazione delle spore che arrivate nel polmone provocano una micosi polmonare primaria. Dai foci polmonari i germi sia per via ematogena che per via linfatica possono coinvolgere altri organi con formazione di ascessi e granulomi. Non esiste la trasmissione interumana.
Le micosi sistemiche opportunistiche che coinvologono cute, mucose ed organi interni possono essere causate sia da lieviti che da muffe. La premessa per la loro comparsa è la notevole debolezza delle difese da parte dell’organismo; anche per questo sono più frequenti in pazienti affetti da diabete, neoplasie maligne, soggetti trattati per lunghi periodi con antibiotici a largo spettro, con farmaci immunosopressori o con corticosteroidi, pazienti trapiantati, pazienti in radioterapia, soggetti immunodepressi (AIDS).Le malattie prodotte da questi microorganismi possono interessare l’apparato respiratorio (Aspergillosi) o le mucose e la cute (Candidosi).
Le micosi sottocutanee sono  causate da funghi  che penetrano attraverso ferite della cute; essi provocano infezioni locali, croniche e granulomatose. L’incidenza riguarda più frequentemente le regioni tropicali e subtropicali (Sporotricosi).
Le micosi cutanee sono determinate da funghi filamentosi che si trasmettono direttamente mediante contatto umano e indirettamente tramite indumenti o animali. La localizzazione dei focolai primari corrisponde al punto di contatto, per questo più frequentemente colpiti sono i piedi e le parti scoperte del corpo (capelli, cuoio capelluto).
Le condizioni che favoriscono lo sviluppo di dermatofiti nella cute sono:

  • le cellule dello strato corneo dell’epidermide sono morte e distanti dai meccanismi difensivi dell’ospite;
  • lo strato corneo ben idratato dalle ghiandole sudoripare e dalla perdita d’acqua transepidermica, ha una temperatura inferiore a quella del corpo ed il suo pH va da 5.5 a 6.7
  • lo strato corneo è composto da proteine, aminoacidi, lipidi, idrati di carbonio e tracce di elementi necessari per lo sviluppo dei dermatofiti
  • alcuni siti anatomici favoriscono la colonizzazione e lo sviluppo dei dermatofiti (spazi interdigitali delle dita dei piedi, pieghe crurali nei maschi, l’incavo dello strato corneo della lamina distale dell’unghia, ipercheratosi dello strato plantare).

alcuni prodotti cosmetici alterano il microambiente di aree limitate dello strato corneo.
Esempi di micosi cutanee:

  • Tinea corporis: (Es.Microsporum canis) su cute priva di peli
  • Tinea pedis (piede d’atleta): (Es. T. rubrum ) colpisce soprattutto le gambe
  • Tinea capitis ( Es.T. tonsurans) colpisce prevalentemente i cuoio capelluto .
  • Tinea unguium (Es. T. rubrum) coinvolge le unghie.

CANDIDOSI DEL CAVO ORALE

Le infezioni di interesse stomatologico sono in costante aumento e per il gran numero di portatori di protesi ortodontiche e per la localizzazione orale di mughetto in pz. affetti da HIV. La possibilità di una sucessiva disseminazione dell’infezione suggerisce di intervenire  precocemente con opportuni trattamenti igienici e farmacologici. Il cavo orale rappresenta la “finestra aperta” sull’apparato digerente e come tale riconosce un ecologia microbica assolutamente originale; C. albicans per es. è ospite costante di tutto il tratto digerente. In assenza di manifestazioni cliniche il suo riscontro nel cavo orale assume la connotazione di saprofitismo che esclude la necessità di trattamento farmacologico. Numerosi fattori possono rompere questo normale equilibrio: l’alimentazione e soprattutto diete carenti di apporto vitaminico e ricche di carboidrati, la cattiva igiene orale di denti e gengive, l’abitudine al tabagismo.
Le localizzazioni fungine primarie o successive a disseminazione possono interessare direttamente la mucosa del cavo orale, possono coinvolgere la mucosa della lingua o le commissure delle labbra. I quadri clinici vanno dalla stomatite alla candidosi acuta pseudomembranosa (mughetto), dalla glossite eritematosa alla cheilite angolare.
Il mughetto costituisce la forma più comune di stomatite da Candida albicans; esso è caratterizzato dalla comparsa in qualsiasi punto della mucosa orale di un essudato biancastro (da cui il nome) cremoso disposto spesso in macule a spruzzo o a chiazze e simulante un’infezione difterica. Le “pseudomembrane” se rimosse lasciano intravedere la mucosa sottostante eritematosa e dolente. Il materiale del mughetto è costituito sia da componente miceliale che da cellule in desquamazione, leucociti e fibrina. Il quadro clinico può comparire a qualsiasi età ma è più comune nella prima settimana di vita per la contaminazione del neonato durante il parto.

 

DIAGNOSI:
L’accertamento diagnostico per le infezioni fungine comporta l’esecuzione di esami di laboratorio basati essenzialmente sull’osservazione a fresco del materiale prelevato dalla sede della lesione, opportunamente stemperato in soluzione fisiologia sterile ed eventualmente pretrattato con idrossido di potassio.
L’esame colturale su terreni selettivi (Agar-Sabouraud) con l’aggiunta di cloramfenicolo e cicloesimide, con un pH di 5-6 permette la sucessiva identificazione.
Esiste anche la possibilità di dimostrare anticorpi contro antigeni fungini nel siero del paziente (sierologia).


Tabella 1: Principali agenti antifungini

FARMACO

MECCANISMO D’AZIONE

TOSSICITA’

INDICAZIONE TERAPEUTICA

RESISTENZA

Nistatina, anfotericina B (polienici).

Si legano agli steroli della cellula fungina, destabilizzandola.
Citocidi.

Elevata per via sistemica

Candidosi mucocutanee (Nistatina).
Micosi sistemiche (Anfotericina B)

Virtualmente assente.

Miconazolo, Econazolo, Chetoconazolo, Fluconazolo (imidazolici)

Blocco della sintesi di ergosterolo. Citostatici e citocidi.

Variabile.

Candidosi micocutanee, Pitiriasi, Dermatofizie, Micosi sistemiche (chetoconazolo)

Rara.

Fluorocitosina

Inibizione della sintesi degli acidi nucleici, fenomeni di  sinergismo con i farmaci polienici. Citostatica.

Moderata.

Candidosi sistemica, Criptococcosi.

Frequente.

Griseofulvina

Blocca la sintesi del fuso mitotico

Significativa

Dermatofizie (tigne).

Rara.

 

 

 

Fonte: http://www.microbiologia.unige.it/dpb/Appunti/SpecMic.doc

Sito web da visitare: http://www.microbiologia.unige.it

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