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Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Queste note sul neuroblastoma, attraverso alcuni "esempi" e la discussione di aspetti della malattia, intendono fornire a genitori e parenti di un bambino affetto da questa patologia alcune informazioni per affrontarla con più consapevolezza.
Anche attraverso queste note, v’invitiamo a chiedere a medici ed infermieri tutto ciò che riterrete opportuno.
Primo esempio
Mario è un bimbo di 20 giorni, che fin dalla nascita ha un addome un po’ voluminoso e da qualche giorno presenta piccoli "noduli” sottocutanei. Per tali motivi il pediatra ne consiglia il ricovero in un reparto ospedaliero. Gli esami del sangue rivelano solo una modesta "anemia", ma l'ecografia dell'addome dimostra un fegato aumentato di volume, con immagini nodulari nel suo contesto, ed il surrene destro ingrandito.
Alcuni giorni dopo il ricovero viene eseguita la biopsia di un nodulo sottocutaneo e l'esame istologico dimostra trattarsi di neuroblastoma.
La precocissima età e la presenza di focolai multipli di malattia nel fegato definiscono inequivocabilmente un tipo molto particolare di neuroblastoma, il cosiddetto stadio 4-S (S sta per "speciale"). La "speciale" particolarità sta nel fatto che le lesioni tumorali, dopo una fase di crescita della durata variabile da alcune settimane ad alcuni mesi, in 8 casi su 10 tendono a regredire spontaneamente, cioè senza bisogno di alcuna terapia.
Secondo esempio
Maria è una bimba di 5 anni che si è fratturata un braccio cadendo dalla bicicletta. Poiché la frattura va ridotta in anestesia generale, la piccola viene sottoposta ad una radiografia del torace. Con sorpresa di tutti, la radiografia rileva un'ombra tondeggiante vicina alla colonna vertebrale. Una TAC toracica evidenzia unamassa di forma ovale, a limiti netti, ben distinta dai grossi vasi, dal polmone e dal cuore.
Nelle urine viene dosata una quantità anormale di acido vanilmandelico, una sostanza che deriva dall’adrenalina, ed è prodotta sia dal sistema nervoso simpatico che dai tumori che ne originano (si sa infatti che il neuroblastoma deriva proprio da residui non propriamente sviluppati del sistema nervoso simpatico).
Si decide di intervenire chirurgicamente, la massa viene asportata completamente. Nel corso dell'intervento l'operatore non trova linfonodi di aspetto patologico, vengono eseguiti anche 4 aspirati midollari e 2 biopsie ossee, che escludono l'infiltrazione del midollo osseo da parte del tumore. Nei giorni successivi viene eseguita la scintigrafia con MIBG e quella scheletrica, che non evidenziano altre lesioni. L'esame istologico dimostra trattarsi di un neuroblastoma che mostra aspetti di maturazione (ganglioneuroblastoma).
L'asportazione completa del tumore e l'assenza di metastasi definiscono uno stadio 1, cioè un tumore localizzato, per il quale non è necessaria alcuna ulteriore terapia, ma solo periodici controlli per tre anni.
Terzo esempio
Antonio è un bimbo di 2 anni e mezzo che è sempre stato bene ed è cresciuto regolarmente ma, da due o tre mesi circa, presenta una certa riduzione dell'appetito e qualche vago e saltuario dolore addominale. Il pediatra l'ha visitato più volte accuratamente senza rilevare nulla di particolare; da due-tre giorni però il bimbo è più pallido e noioso e sembra salire le scale con qualche difficoltà. I genitori, preoccupati, lo portano all'ospedale.
All'esame clinico sembra di riscontrare una piccola massa addominale a sinistra ed un difetto di forza degli arti inferiori. Viene eseguita una RMN addominale che evidenzia una massa retroperitoneale sinistra paravertebrale con linfoadenomegalie circostanti ed una piccola propaggine della massa nello speco vertebrale che comprime il midollo spinale. Il difetto di forza agli arti inferiori si aggrava nello spazio di poche ore e viene deciso un intervento di laminotomia per decomprimere il midollo spinale ed eseguire l'esame istologico del tumore che s’infiltra nel canale vertèbrale. Durante l'intervento viene anche posizionato un catetere vascolare. La diagnosi è di neuroblastoma stadio 3 con compressione epidurale spinale (gli aspirati e le biopsie osteomidollari eseguiti durante l'intervento sono risultati negativi, così come la scintigrafia scheletrica che verrà eseguita qualche giorno dopo). Il piccolo viene sottoposto ad alcuni cicli di chemioterapia, la motilità degli arti viene completamente recuperata e la massa addominale si riduce di volume mentre le linfoadenomegalie scompaiono completamente così che, ad alcuni mesi di distanza dal primo arrivo in ospedale, i medici procedono ad un intervento chirurgico sulla massa addominale che viene asportata radicalmente. Dopo il trattamento verranno fatte alcune sedute di radioterapia e poi il piccolo verrà seguito regolarmente anche per evidenziare in tempo utile eventuali recidive o alterazioni della colonna vertebrale legate al primo intervento.
Quarto esempio
Lucia è una bimba di 4 anni che da alcune settimane presenta febbre, anche alta, per brevi periodi con dolori ossei vaghi e migranti. Gli antibiotici non hanno cambiato la situazione ed il pediatra, anche se gli esami del sangue sononormali, pensa ad una "febbre reumatica" e chiede il ricovero della piccola in una clinica universitaria. Anche qui tutti gli esami sembrano normali, ma la febbre e i dolori persistono cosicché i medici eseguono un puntato midollare pensando ad una forma di leucemia. L'esame del midollo rivela invece le tipiche cellule del neuroblastoma, e le indagini immunologiche su queste con anticorpi monoclonali confermano la diagnosi. Si cerca la neoplasia primitiva, ma l'ecografia dell'addome e la radiografia del torace sono negative. Viene eseguita una scintigrafia con MIBG, che evidenzia numerose metastasi ossee ed una piccola lesione ipercaptante retrovescicale. La TAC dell'addome centrata sulla regione pelvica evidenzia una masserella presacrale. La diagnosi è di neuroblastoma, stadio 4. La piccola viene operata per l'asportazione del tumore primitivo, la conferma istologica della diagnosi e l'esecuzione di esami di biologia molecolare (oncogeni, citogenetica) e le viene posizionato un catetere vascolare centrale. Subito dopo, viene iniziata la chemioterapia; dolori e febbre scompaiono e, dopo alcuni cicli, vengono ripetuti la scintigrafia con MIBG, i puntati midollari e la TAC dell'addome. Tutti gli esami sono negativi, la piccola è in remissione completa ma il trattamento non può essere interrotto perché la ripresa della malattia è pressoché certa: bisogna praticare una chemioterapia molto più forte che richiede la raccolta delle cellule staminali periferiche o l'espianto del midollo osseo e, successivamente, un blocco di chemioterapia a dosi più alte rispetto ai cicli precedenti, seguito dalla reinfusione di quanto criopreservato. Terminato il periodo di tossicità della terapia massiva, grazie anche all'uso di fattori di crescita emopoietici, la piccola può essere dimessa. Verrà poi eseguita la radioterapia sulla sede del tumore primitivo e poi un mantenimento con farmaci che avranno lo scopo di far maturare eventuali cellule neoplastiche e potenziare le difese immunitarie contro il tumore.
Ora dovrà ripetere un'estesa valutazione dello stato di malattia e poi tornerà per periodici controlli della malattia e per evidenziare eventuali effetti tardivi della chemioterapia eseguita.
GENERALITA' SUL NEUROBLASTOMA
Il neuroblastoma rappresenta il 10% circa dei tumori pediatrici ed è terzo per frequenza dopo le leucemie ed i tumori cerebrali. La sua incidenza nella fascia d’età tra 0-15 anni è di 8-10 casi per milione di bambini per anno. Esso è tuttavia il tumore più frequente in età prescolare. L’età mediana alla diagnosi è attorno ai 2 anni. Circa 120 nuovi casi di neuroblastoma sono diagnosticati annualmente nel nostro paese. E’ inoltre di gran lunga il più frequente tumore congenito (6 su 10 tumori scoperti in utero o nel primo mese di vita sono neuroblastomi).
Il neuroblastoma origina dalle cellule della primitiva cresta neurale, che nel corso della vita embrionale vanno a localizzarsi nei gangli simpatici e nella midollare del surrene. Dunque, esso si localizza dove sono presenti cellule del sistema nervoso simpatico e, quindi, nel surrene ed in un qualsiasi ganglio simpatico del collo, del torace, dell'addome o della pelvi, anche se la sede di gran lunga più frequente è l'addome ed, in particolare, il surrene.
In realtà, il termine neuroblastoma include tutti i tumori del sistema nervoso simpatico, indipendentemente dal loro grado di differenziazione, e cioè:
Per questo motivo, si dovrebbe preferire il termine di tumori neuroblastici, anche se il termine neuroblastoma rimane ancora in uso nel contesto clinico e nei protocolli terapeutici.
Come per altri tumori del bambino, i genitori spesso si sorprendono che loro stessi o il pediatra non se ne siano accorti prima, ma i tumori sono un'evenienza rara nei bambini e purtroppo i sintomi spesso sono vaghi e simulano altre malattie, anche banali, assai più frequenti. In alcuni casi, la sua scoperta può essere del tutto casuale, ad esempio durante una visita di controllo o nel corso d’indagini eseguite sul sospetto d’altre malattie. Va anche detto che, nel caso del neuroblastoma, non sempre una diagnosi più precoce significa una minor estensione della malattia e maggior possibilità di guarigione.
Le cellule di neuroblastoma possono andare incontro a differenziamento spontaneo o indotto. La trasformazione maligna può essere il risultato dell’incapacità di rispondere ai normali segnali differenziativi. Numerosi studi hanno dimostrato la presenza di noduli neuroblastici microscopici nel surrene fetale, riscontrati all’autopsia. Questi noduli hanno la massima frequenza fra la diciassettesima e la ventesima settimana di età gestazionale, quindi regrediscono progressivamente. Sono considerati residui del normale sviluppo surrenalico fetale, ma sono costituite dalle stesse cellule del neuroblastoma. Inoltre, lo screening del neuroblastoma eseguito in passato in Giappone, Germania e Nord America e gli screening per malformazioni renali eseguiti in alcune regioni d’Italia hanno condotto alla diagnosi di numerosi casi di neuroblastoma, a caratteristiche favorevoli, in neonati o bambini di pochi mesi. Questi dati confortano l’ipotesi che nelle prime età della vita il neuroblastoma sia più frequente di quanto comunemente rilevato e sia destinato a spontanea regressione.
Perchè mio figlio si è ammalato di neuroblastoma?
Questa è la domanda che più spesso i genitori pongono ai medici nel momento drammatico della comunicazione di questa diagnosi. Purtroppo, la risposta più frequente è: "non lo sappiamo".
A tutt'oggi, infatti, le cause genetiche o ambientali che portano allo sviluppo del neuroblastoma sono ancora sconosciute. E' probabile che l'origine di questo tumore sia da una parte causata da un gene e dall'altra da fenomeni epigenetici.
Sebbene siano stati identificati diversi geni che hanno un ruolo importante nello sviluppo di questa malattia, quali ad esempio MYCN, Caspase 8 e Id2, il gene neuroblastoma, cioè quello associato alla malattia e che sicuramente ne è la causa, non è stato ancora identificato.
Il ruolo dei fattori ambientali sembra essere poco rilevante. Sono tuttavia stati descritti dei casi di associazione tra neuroblastoma e :
- alcune infezioni virali.
Raramente l'alterazione che porta alla comparsa del neuroblastoma è ereditata direttamente dai genitori; è possibile invece che si erediti una predisposizione alla malattia, che potrebbe diventare poi manifesta solo dopo l'azione di fattori esterni. In tal senso, fattori ambientali (virali, batterici, chimici o fisici) possono probabilmente intervenire nel determinare una modificazione genetica, dando quindi avvio a quella catena di eventi che porterà alla crescita del neuroblastoma.
L’1 – 2% dei casi di neuroblastoma è rappresentato da forme familiari. Il neuroblastoma familiare presenta una notevole eterogeneità: nella stessa famiglia possono coesistere casi a diversa istologia ed aggressività. Inoltre, la possibile presenza in una famiglia di casi che spontaneamente regrediscono e pertanto non vengono diagnosticati condiziona la bassa frequenza dei casi familiari. Molte regioni genomiche sono state studiate come loci candidati per il neuroblastoma familiare, ma nessuna è stata finora confermata. Gli studi più recenti riguardano il cromosoma 6.
Lo studio di famiglie che hanno avuto uno o più soggetti con neuroblastoma è di estrema importanza perché è uno dei mezzi migliori per aiutarci ad identificare il gene della malattia, da tempo la fondazione Neuroblastoma sostiene la ricerca in questo campo.
I sintomi con cui si manifesta sono vari, alcuni aspecifici e subdoli, come febbre, debolezza, pallore, vomito, cambiamento d'umore, mentre altri dipendono dalla sede ove il tumore origina: tosse e difficoltà del respiro nei casi a sede nel torace, dolori addominali o aumento di volume dell'addome, nei casi a sede addominale.
In caso di localizzazione toracica, comune è la sindrome di Claude-Bernard-Horner (miosi, esoftalmo, ptosi palpebrale), conseguente alla infiltrazione o compressione del “ganglio stellato”.
La presentazione addominale la si ha nei due terzi dei casi in cui ci si trova di fronte ad una massa addominale, mediana o laterale. Alla palpazione la massa risulta solitamente di consistenza dura, fissa, non dolente. La compressione dei vasi venosi e linfatici può determinare edema agli arti inferiori. Ipertensione e segni di ipersecrezione simpatica (sudorazione, tachicardia) sono poco comuni.
La regione latero-cervicale è sede del tumore primitivo nel 2-3% dei casi. In questa sede la neoplasia simula un aumento di volume linfonodale, così la diagnosi istologica di neuroblastoma è solitamente una sorpresa.
Anche in caso di localizzazione pelvica, si ha un’incidenza pari al 2-3 %. Il quadro clinico, in questo caso, è caratterizzato da turbe dell’alvo e/o minzionali.
Al momento della diagnosi, la malattia è disseminata in oltre la metà dei casi. Le sedi più comunemente coinvolte sono scheletro e midollo osseo. Una peculiare modalità di metastatizzazione è data dall’interessamento orbitario, con conseguente ecchimosi ed esoftalmo. Le metastasi epatiche sono poco frequenti. Anche in caso di malattia disseminata si hanno, comunque, sintomi aspecifici, come pallore, anoressia, rifiuto della marcia, cambiamento d’umore, che possono essere male interpretati e, pertanto, ritardare la diagnosi di settimane o, addirittura, di mesi. Frequentemente si può avere febbre non rispondente alla terapia antibiotica.
Il neuroblastoma plurifocale, o stadio 4 s (s sta per “speciale”), presenta un quadro clinico del tutto caratteristico, che interessa esclusivamente i bambini nei primi mesi di vita e costituisce l’8-10% dei casi di neuroblastoma. Il tumore infiltra diffusamente il fegato, spesso anche il midollo osseo e la cute, quest’ultima in forma di noduli bluastri. Il coinvolgimento epatico può determinare un’epatomegalia ingravescente. Nei casi più gravi, l’ingrandimento del fegato può portare all’innalzamento del diaframma e causare, così, una disfunzione respiratoria, a volte incompatibile con la vita (20% dei casi). Dato il coinvolgimento epatico, potrebbe anche instaurarsi un quadro detto “coagulazione intravasale disseminata”, con gravi conseguenze. L’aspetto straordinario dello stadio 4 s consiste nel fatto che nell’80% dei casi, dopo un progressivo incremento delle lesioni (in particolare dell’epatomegalia) della durata di alcuni mesi, segue la loro lenta regressione. La chemioterapia, in questi casi, è di limitato beneficio, ma in alcuni casi in cui siano presenti sintomi gravi può accelerare o ridurre la regressione.
In circa un terzo dei casi di neuroblastoma si ha l’infiltrazione dei forami intervertebrali contigui (ciò si spiega considerando la connessione esistente tra sistema nervoso simpatico e midollo spinale). Tuttavia i sintomi di compressione midollare si sviluppano solo in una minoranza di casi, pari al 7-10% di tutti i neuroblastomi; si tratta di dolore vertebrale, turbe della sensibilità, disfunzione sfinterica, ipotonia degli arti inferiori, tutti sintomi di difficile interpretazione nel bambino piccolo. Di fondamentale importanza è la tempestiva scoperta di questa complicanza dal momento che, se non viene trattata, la sua evoluzione è verso la paraplegia irreversibile.
Opsomioclono
Questa sindrome si presenta nell’1-2% dei casi; il quadro clinico è caratterizzato da atassia, movimenti mioclonici e nistagmo erratico (cioè, un anomalo movimento degli occhi, tanto che si parla di “sindrome degli occhi danzanti”). Alla base della sindrome vi è un meccanismo di reazione autoimmune.
Sindrome della diarrea acquosa
Si tratta di una modalità di presentazione piuttosto infrequente, dovuta alla produzione di “VIP”, cioè di polipeptide intestinale vasoattivo da parte della massa tumorale.
I sintomi tendono a regredire dopo asportazione del tumore o chemioterapia.
DIAGNOSI
La diagnosi di neuroblastoma va confermata e definita in un centro specializzato, con esami e indagini indispensabili per impostare un piano di cura.
I bambini temono le cure, le iniezioni e le procedure talvolte un po’ dolorose che devono essere utilizzate e, ad esempio, sapendo di dover tornare in ospedale o in ambulatorio possono, le notti precedenti, avere incubi o non riuscire a dormire e divenire assai nervosi. I bambini possono rifiutarsi di sottostare a queste procedure, non accettando che una cura possa essere più dolorosa della malattia stessa. Alcuni hanno scoppi di rabbia che possono indirizzare verso medici, infermieri ma anche verso i genitori stessi. Ad esempio, possono accusare i genitori di non proteggerli mentre altri fanno loro del male o di causare loro dolore facendoli curare. Se la malattia tumorale è da tempo in remissione e non dà sintomi, a maggior ragione i bambini non capiscono il perché dei disagi provocati dalle cure,dato che per loro non è facile capire perché, per guarire, debbano star male.
Un consiglio molto importante è quello di “preparare” vostro figlio/a avvisandolo sempre in anticipo su ciò che dovrà affrontare, della possibilità di sentire un po’ di dolore, a che cure e procedure verrà sottoposto e con quali conseguenze.
Gli esami del sangue in parte intendono valutare le condizioni generali del bambino e d’alcuni organi, come fegato e rene, in parte esprimono la specifica attività del tumore (ad esempio, LDH e VMA sono sigle che sentirete ripetere). Un esame molto semplice, ma di grande importanza, viene eseguito sulle urine del bambino (preferibilmente, nella raccolta delle 24 ore): in molti casi di neuroblastoma esse contengono, infatti, elevate quantità dì acido vanilmandelico e omovanillico, sostanze che sono normalmente prodotte in piccole quantità dalle cellule del sistema nervoso simpatico (l'uno e l'altro sono il prodotto metabolico finale di adrenalina e noradrenalina, ormoni secreti, appunto, dal sistema nervoso simpatico) e che risultano elevate in oltre il 90% dei casi; esse sono utili sia ai fini diagnostici sia per valutare la risposta alla terapia.
Successivamente, si procede ad una serie d’indagini radiologiche per meglio definire sede, dimensioni, rapporti ed eventuale diffusione a distanza del tumore. Dopo la "tradizionale" radiografia del torace si esegue solitamente un'ecografia,simile a quella cui ci si sottopone durante la gravidanza, con cui si ottengono immagini utili a definire dimensioni, rapporti ed estensione della malattia nella cavità addominale, nonché le condizioni dei vari organi addominali, come il fegato, che può essere sede di lesioni neoplastiche, i reni e le vie urinarie, che possono essere spostati e compressi dal tumore. Potrà poi essere eseguita una TAC(tomografia assiale computerizzata), ossia un insieme di radiografie riprodotte attraverso un computer, capace di dare un'immagine a tre dimensioni del tumore e degli organi e strutture vicini.
Un'altra indagine radiologica, la RM, o Risonanza Magnetica, viene oggi sempre più comunemente eseguita per la maggior capacità di valutare i rapporti del tumore con i vasi sanguigni e la colonna vertebrale, dove il tumore è facilmente in grado di penetrare, comprimendo così il midollo spinale.
Tutte queste indagini non sono né dannose né dolorose, e possono essere ripetute senza pericolo. TAC e RM richiedono, tuttavia, la completa immobilità del paziente per un periodo di tempo abbastanza protratto. Nei bambini più piccoli, pertanto, devono essere eseguiti in sedazione o in anestesia generale. I bambini più grandi possono avere paura dei macchinari, in particolare della risonanza: l’essere chiusi senza potersi muovere, i rumori strani e le luci improvvise sono aspetti poco piacevoli anche per un adulto. Il bambino può essere accompagnato da uno o da entrambi i genitori fino all’ingresso della sala e dovrà essere rassicurato sul fatto che non proverà dolore. Durante l’esecuzione della risonanza magnetica un familiare può assistere il proprio figlio da vicino.
Tra gli esami strumentali importanti includiamo anche quelli scintigrafici, ed in particolare la scintigrafia scheletrica e quella che utilizza la Meta-iodo-benzilguanidina (MIBG).
Le indagini scintigrafiche sono relativamente semplici e non traumatiche, all’esecuzione delle quali i genitori dei piccoli pazienti possono attivamente contribuire restando accanto ai loro figli per tutto il tempo necessario. Le indagini scintigrafiche non solo forniscono immagini, ma danno “informazioni” anche sulla funzione delle strutture esaminate. Questa duplice capacità è conseguenza del fatto che le sostanze utilizzate, i radiofarmaci, dopo essere stati introdotti nell’organismo del paziente, in qualche modo partecipano all’attività metabolica dei tessuti studiati. Ad esempio, il radiofarmaco utilizzato per eseguire la scintigrafia scheletrica, esame che consente di visualizzare precocemente le lesioni ossee, partecipa direttamente al metabolismo del tessuto osseo. Dunque, a differenza di un esame radiologico, che può evidenziare una lesione solo quando questa ha già modificato la densità dell’osso, la scintigrafia scheletrica permette di localizzare le sedi di patologia, dal momento che rileva le alterazioni del metabolismo osseo provocate dalla lesione (ad esempio, una metastasi).
La scintigrafia scheletrica si esegue iniettando nel sangue un isotopo radioattivo che va a fissarsi nelle ossa ove esista una qualsiasi lesione che induca ad una riparazione ossea, come avviene nei casi d’eventuali metastasi. Nel caso della scintigrafia con MIBG, s’inietta una sostanza, la guanidina, legata a iodio radioattivo, che viene catturata specificamente dalle cellule di neuroblastoma, mettendo così in evidenza sia il tumore che le sue metastasi. Il 5-10% dei neuroblastomi non risulta tuttavia positivo a questa indagine. Nelle immagini che si ottengono, gli aggregati di cellule tumorali si rilevano come "segnali luminosi". L’esecuzione della scintigrafia con MIBG prevede la somministrazione per via endovenosa del radiofarmaco. Successivamente, a distanza di 24 o 48 ore, a seconda del radioisotopo utilizzato, viene eseguito l’esame scintigrafico. I bambini possono trascorrere questo intervallo di tempo a casa propria o, più frequentemente, nel reparto ospedaliero presso il quale sono ricoverati. Questo esame non è doloroso né dannoso, dura almeno 20 minuti e richiede una preparazione specifica, cioè l'assunzione orale di iodio (in forma di gocce di Lugol) per evitare che lo iodio radioattivo contenuto nella MIBG vada a fissarsi alla tiroide alterando la qualità dell'esame. La soluzione di Lugol è molto amara ma può essere resa accettabile mescolandola allo zucchero in un cucchiaio di plastica. L’esame scintigrafico comporta la sistemazione del paziente su di un apposito letto e la rilevazione della distribuzione del tracciante in tutto il corpo (si parla, infatti, di scintigrafia “total body”) mediante la sonda di uno strumento che si chiama Gammacamera, a sua volta collegato ad un computer, che consentirà l’elaborazione e lo studio delle immagini rilevate. Il bambino potrà avere accanto a sé un genitore per tranquillizzarlo, ad esempio leggendo un libro. A volte è opportuna la sedazione farmacologica. L'esame è della massima importanza, perché dà informazioni precise sulla sede e l'estensione del tumore, meno precise sulle sue dimensioni; c’è però da dire che, a differenza di altri metodi di diagnostica per immagini (ecografia, TC), che sono indispensabili per definire, appunto, la forma, le dimensioni e la sede di una massa, la scintigrafia con MIBG si pone, invece, come un’indagine volta a riconoscere il tipo di tessuto di cui quella massa è costituita. Infatti, la scintigrafia possiede un alto grado di specificità dal momento che non solo è in grado di individuare la presenza di tessuto patologico, ma anche di confermare che quel tessuto patologico è neuroblastoma. Per tale motivo la scintigrafia con MIBG è un’indagine fondamentale nella diagnosi di neuroblastoma all’esordio, dato il suo irrinunciabile contributo alla stadiazione, essendo lo strumento migliore per individuare la presenza di localizzazioni a distanza del tumore primitivo. C’è da dire, inoltre, che la scintigrafia con MIBG è un esame fondamentale anche nella valutazione della risposta alla terapia; infatti, il confronto tra esami scintigrafici eseguiti alla diagnosi e nel corso della terapia consente di documentare la regressione tumorale, fornendo all’oncologo un dato indispensabile per la scelta delle modalità terapeutiche.
Se il tumore primitivo non capta MIBG viene eseguita la scintigrafia scheletrica con tecnezio, allo scopo di individuare eventuali lesioni ossee.
Un'altra tappa fondamentale nello studio dell’estensione del tumore è la valutazione midollare, che comprende l'esecuzione di due-quattro aspirati midollari e uno-due biopsie ossee, ossia il prelievo con aghi di maggior calibro di frammenti d'osso e midollo osseo, allo scopo di escludere la presenza di cellule tumorali. La biopsia osteomidollare non si pratica in bambini di età inferiore all’anno, dato che in essa è tecnicamente difficile e non scevra di rischi. Questa valutazione viene eseguita in anestesia generale, usualmente a seguito di un intervento chirurgico o del posizionamento del catetere vascolare. Tale indagine potrà essere ripetuta durante il trattamento per documentare l'effetto della terapia. Se la valutazione si limita ad un'unica puntura ossea, questa potrà essere eseguita con una semplice anestesia locale. Alla diagnosi , aspirato midollare e biopsia hanno pari sensibilità diagnostica, mentre dopo trattamento, la biopsia ossea rivela una sensibilità maggiore.
A volte, potrà essere necessario ricorrere ad indagini particolari o ripeterne alcune risultate insoddisfacenti. Altre volte, i risultati degli esami si faranno attendere più del previsto, portando ad un certo allungamento dei tempi diagnostici e creando ansia ed insoddisfazione.
Per la famiglia sono sicuramente giorni d'angoscia, anche se chi assiste e cura il bambino è disponibile a discutere qualunque problema. In particolare, occorre chiarire che l'inizio della terapia consegue all’acquisizione di tutti quei risultati che possono modificare il giudizio d’estensione di malattia e, di conseguenza, il piano di cura.
Alla diagnosi potrà rendersi necessario eseguire un intervento chirurgico sul tumore. In qualche caso, l'intervento eliminerà il tumore completamente con possibilità di guarigione, senz'altra terapia, superiore al 90%. Più frequentemente, invece, l'intervento si limiterà al prelievo di una piccola parte del tumore con la quale si acquisiranno importanti informazioni su caratteristiche istologiche - biologiche (ad esempio, presenza di anomalie genetiche).
Nei pochi casi in cui un intervento chirurgico è sconsigliabile a causa di condizioni generali seriamente compromesse, o per un eccessivo rischio anestesiologico, la diagnosi potrà fondarsi sull’infiltrazione del midollo osseo da parte delle cellule di neuroblastoma aggregate in una configurazione caratteristica, detta a “pseudorosetta”, associata ad un aumento dei cataboliti urinari dell’adrenalina e noradrenalina, l’acido omovanillico e vanilmandelico.
FATTORI PROGNOSTICI
Al termine delle indagini citate, e spesso solo dopo l'intervento chirurgico, sarà possibile avere un quadro completo ed impostare il trattamento. Il tipo di terapia ed il giudizio prognostico sulla malattia dipendono, in larga misura, da tre fattori: due clinici, cioè l'età del bambino e l'estensione della malattia, ossia lo stadio del tumore, ed uno biologico, ossia l'oncogene MYCN. Questi fattori sono efficaci di per sé a determinare il decorso clinico e la possibilità di guarigione del tumore; vi sono poi altri fattori, prognosticamente rilevanti al momento della loro segnalazione, che si associano ai tre fattori "indipendenti" (cioè efficaci di per sé) di cui detto.
ETA'
I bambini di età inferiore all'anno hanno prognosi significativamente migliore, indipendentemente dallo stadio. Da notare che, nello stadio 4 s, i casi diagnosticati nei primi 2 mesi di vita hanno una prognosi peggiore perché la progressione ha più tempo di agire prima che si inneschi il meccanismo regressivo, cosa che avviene solitamente dopo il sesto mese.
STADIO
L'estensione locale della malattia (cioè dimensioni e rapporti con gli organi circostanti) e l'eventuale disseminazione tumorale svolgono un ruolo importante dal punto di vista prognostico, indipendentemente dall'età. Fa eccezione lo stadio 4 s (s sta per "speciale"), in cui, a prescindere dalla plurifocalità delle lesioni tumorali, vi è una tendenza alla regressione spontanea.
Stadio 1: Il tumore è per lo più piccolo e confinato ad un'unica sede (tumore primitivo), ed il chirurgo riesce a rimuoverlo radicalmente. Tutte le indagini rivelano l'assenza di cellule maligne in altri organi. Questa condizione non richiede, in genere, terapia postoperatoria.
Stadio 2: Il tumore è più esteso, ma rimane confinato ad un'unica sede. L'asportazione da parte del chirurgo lascia minimi residui, che a volte penetrano nella colonna vertebrale. Cellule tumorali possono infiltrare i linfonodi che drenano l'area dove ha sede il tumore.
Sarà necessario acquisire i risultati dello studio delle caratteristiche genetiche delle cellule tumorali (amplificazione di MYCN, delezione di 1p...) per impostare il programma terapeutico poiché solo una minoranza dei casi, presentando particolari caratteristiche, deve essere trattata.
Stadio 3: Il tumore è confinato alla regione d'origine e non ci sono metastasi a distanza, è grosso e/o infiltra le strutture circostanti, per cui non può essere asportato chirurgicamente in modo completo al primo intervento. I linfonodi della regione in cui il tumore ha origine sono sedi di metastasi della neoplasia primitiva. Sarà necessaria una terapia per cercare di ridurre il tumore e permettere poi a1 chirurgo di rimuoverlo completamente; la chemioterapia sarà più o meno aggressiva in rapporto alle caratteristiche genetiche delle cellule tumorali.
Stadio 4: Il tumore, indipendentemente dalle dimensioni e caratteristiche originarie, ha disseminato cellule malate in altri organi, quali il midollo osseo, lo scheletro, il fegato o linfonodi distanti dalla sede primitiva. Questo testimonia la sua aggressività biologica, cosicchè sarà necessario un intenso trattamento per eliminare la malattia.
Stadio 4 S: E' una forma speciale di neuroblastoma che insorge nei primi mesi di vita, con una disseminazione particolare che coinvolge soprattutto cute e fegato (non lo scheletro), che può regredire completamente in modo spontaneo. In alcuni casi, specie quando il coinvolgimento epatico è massivo, può essere necessaria una spinta alla regressione con un breve ciclo di terapia. Il tumore primitivo, spesso piccolo, potrà essere asportato subito o dopo che le lesioni metastatiche siano almeno parzialmente regredite.
ONCOGENE MYCN
Gli inizi degli studi molecolari relativi al neuroblastoma risalgono agli anni ’70. Nel 1983 venne fatta la cruciale scoperta che l’amplificazione dell’oncogene MYCN è correlata con un andamento molto aggressivo della neoplasia (che si esprime con alto indice proliferativo ed assenza di differenziazione). Per “amplificazione” si intende la presenza di un numero di copie del gene superiore a tre, ma nel neuroblastoma il gene MYCN può essere amplificato sino a 700 volte; l’amplificazione di MYCN costituisce una caratteristica biologica intrinseca del tumore, ed il suo stato non si modifica durante il corso della malattia. E’ questo uno dei primi esempi in oncologia di un’anomalia genetica prognosticamente rilevante, tale da influenzare l’approccio terapeutico. La presenza di un’amplificazione dell’oncogene MYCN è stata riscontrata nel 30 % – 40 % dei casi di tumore di pazienti in stadio 3 e 4, a prognosi infausta, mentre si è trovata raramente nel tessuto tumorale di pazienti di stadio 1 e 2. Nei rari casi di malattia localizzata e di stadio 4 s, tale fenomeno determina un alto rischio di recidiva, per cui è richiesto un trattamento più intenso. Nello stadio 4 l'amplificazione dell'oncogene comporta un peggioramento prognostico significativo, ma meno importante.
L’acronimo MYCN fu derivato dalla sua elevata omologia con il più noto oncogene C-MYCN. Venne scoperto studiando due strutture cromosomiche presenti nelle cellule del neuroblastoma umano stabilizzate in colture in vitro: i Double Minutes (DMs) e le Homogeneously Staining Regions (HSRs). Queste strutture rappresentano la manifestazione, a livello citogenetico, dell’amplificazione dell’oncogene MYCN. Il gene MYCN umano è localizzato sul braccio corto del cromosoma 2 e codifica per un fattore di trascrizione, che non è mutato nei casi con amplificazione. In condizioni fisiologiche, nell’uomo l’espressione di MYCN è limitata all’encefalo, correla con lo sviluppo embrionale ed è massima nel feto e minima nell’adulto. MYCN, dunque, riveste un ruolo importante negli stadi precoci di alcune vie del differenziamento cellulare.
ALTRI FATTORI PROGNOSTICI :
E' IMPORTANTE TENERE PRESENTE IL SIGNIFICATO DI QUESTI TERMINI:
Metastasi:Sono ammassi più o meno grandi di un numero molto variabile di cellule maligne che hanno invaso organi e strutture diverse da quelle del sistema nervoso, da cui ha avuto origine il tumore primitivo. Gli organi più frequentemente colpiti sono il midollo osseo., lo scheletro, i linfonodi e il fegato.
Remissione completa: E' la situazione in cui la malattia in seguito al trattamento non è più rilevabile né all'esame obiettivo né alla diagnostica per immagini o biochimica. Questa scomparsa della malattia in alcuni casi è reale e duratura, in altri solo apparente e il tumore può ripresentarsi dopo un periodo di intervallo.
Recidiva (o ricaduta):E' il ricrescere della neoplasia, nella sede del tumore primitivo o in altre sedi, dopo che il trattamento o la chirurgia ne avevano indotto la riduzione o la scomparsa.
Può avvenire anche dopo parecchi mesi da un apparente completa guarigione e le possibilità di curarla sono molto minori.
RICERCA CLINICA E BIOLOGICA
Il neuroblastoma è per diversi aspetti un tumore "unico":
Queste caratteristiche del neuroblastoma hanno stimolato gli studiosi della biologia tumorale a cercar di comprendere i meccanismi che sono alla base di comportamenti così peculiari.
LA SCOPERTA DI NUOVI MECCANISMI CHE PORTANO AL TUMORE
Per comprendere meglio la biologia del neuroblastoma è importante tenere presente il meccanismo con cui interagiscono tre proteine denominate Id2, Rb, MYCN. Esse sia controllano la proliferazione della crescita normale sia contribuiscono alla formazione dei tumori. In generale, Id2 favorisce la proliferazione cellulare e, nel caso in cui la sua attività non sia controllata, causa, nel topo, morte o disordini delle cellule nervose e del sangue; Rb è la proteina che controlla Id2, regolandone l'attività. Questo dimostra come sia importante un equilibrio tra le due molecole: se vi è troppo Id2 rispetto a Rb, la proliferazione delle cellule non è regolata. L'interesse per questo tipo di dati è rappresentato dal fatto che Id2 è elevato in alcune linee di neuroblastoma, il che suggerisce che Id2 potrebbe essere coinvolto nella trasformazione delle cellule dallo stato normale a quello tumorale. Gli autori vanno oltre e spiegano perchè Id2 è elevato nelle linee cellulari di neuroblastoma e solo in alcune di esse. Si dimostra come i livelli di Id2 siano indotti da una famiglia di proteine (MYC), una delle quali (MYCN) è espressa ad alti livelli nelle linee di neuroblastoma.
Riassumendo: Id2 dunque non è "il gene del neuroblastoma", inteso nel senso della genetica classica, ma Id2 controlla l'attività pro-crescita cellulare, mentre Rb la limita. Di conseguenza la normalità si ha quando vi è un equilibrio tra i due. Per cause sconosciute, in circa il 20% dei casi di neuroblastoma il gene che codifica per MYCN si amplifica e la cellula arriva ad avere molte copie del gene, quindi elevati livelli della proteina MYCN. A sua volta, MYCN stimola la produzione di Id2, che quindi sfugge al controllo di Rb. Questi risultati, che sono stati qui brevemente riassunti, sono basati su diversi esperimenti e dati, e ci illustrano il meccanismo di deregolazione della proliferazione tumorale. Sono, quindi, risultati di indubbia utilità per conoscere la biologia del tumore, e perciò utili per trovarne una possibile cura. E’ noto, infatti, che MYCN è amplificato in alcuni neuroblastomi; si può quindi ipotizzare che inibendo MYCN si possa far regredire il tumore. E' stato evidenziato anche che MYCN è connesso ad Id2, e che quindi anche un'inibizione di Id2 (con farmaci, terapia genica, etc.) potrebbe avere lo stesso effetto, ampliando di fatto le vie di ricerca per giungere ad una terapia antitumorale efficace.
La ricerca non ha mai fine perché ad ogni scoperta si associano tanti quesiti e si deve procedere per passi successivi. Che cosa causa l'amplificazione di MYCN, che è la causa dell'eccessiva produzione di Id-2 nel neuroblastoma? Che cosa causa il tumore quando MYCN non è amplificato? Quali altre alterazioni geniche sono necessarie per formare una cellula di neuroblastoma? Che cosa succede nei tumori in vivo nel paziente? Quali strategie possono essere usate per normalizzare questo e/o altri meccanismi alterati nel tumore?
Come per la maggior parte dei tumori, nel neuroblastoma i trattamenti più consolidati e ben sperimentati sono la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia. Il ruolo di ognuno di essi, comunque, varia considerevolmente in base all’età del paziente, all’estensione ed alle caratteristiche biologiche del tumore.
E’ in sperimentazione la possibilità di un’altra modalità terapeutica, quella biologica; essa affiancherebbe le tradizionali con l’obiettivo di cercare di indurre la differenziazione della cellula tumorale o di causarne la morte con meccanismi immunologici.
I trials clinici sono il metodo standard di trattamento dei bambini con cancro; infatti, circa il 75% dei pazienti pediatrici affetti da neoplasia sono trattati secondo un trial clinico. I trials clinici sono studi di ricerca che mettono a confronto la miglior terapia disponibile al momento per quel tipo di tumore (trattamento standard) con terapie nuove, che potrebbero funzionare meglio. Il cancro nel bambino è raro, per questo è difficile per i medici pianificare protocolli di trattamento senza sapere come vengono trattati gli altri bambini affetti dallo stesso tipo di patologia. Dal momento che queste terapie sono nuove, questi bambini vengono monitorati con molta attenzione.
Bisogna, comunque, ricordare che ogni bambino che si ammala è un individuo unico e particolare, ed i confronti con situazioni che possono apparire simili sono nella maggior parte dei casi fuorvianti. Ciò vale per tutte le malattie e, a maggior ragione, per i tumori pediatrici.
Consiste nell’asportazione totale o parziale del tumore. L’intervento è radicale quando il tumore è asportato completamente (ed esso costituisce terapia unica e sufficiente quando non ci sono lesioni metastatiche), con residui in caso contrario. Si parla di biopsia quando l’intervento si limita all’asporazione solo di parte della neoplasia o solo di un suo piccolo frammento; a volte si decide di fare una biopsia per motivi diagnostici o per la valutazione pre o intraoperatoria della possibilità di asportare la massa per intero.
Nell’ultimo decennio, la mortalità e morbilità operatoria si sono notevolmente ridotte grazie ai progressi della diagnostica per immagini, che ha permesso una miglior definizione del rischio chirurgico (relativo, soprattutto, alla struttura della massa neoplastica ed ai suoi rapporti con le strutture vascolari).
· Si parla di neuroblastoma localizzato operabile in base allo studio radiologico della neoplasia, che permette di prevedere l’asportazione completa del tumore con minimo rischio per il paziente, senza dover rimuovere o danneggiare funzionalmente organi importanti (in particolare, evitando la nefrectomia) e senza rottura della massa.
Esso costituisce circa il 20% di tutti i casi di neuroblastoma e la probabilità di guarigione è superiore al 95%. I principali “fattori di rischio” sono il volume tumorale, la presenza di aree necrotiche al suo interno e l’intimo rapporto con grossi vasi, strutture nervose, rene.
Dopo l’asportazione chirurgica, in assenza di fattori istologici e/o biologici sfavorevoli, non viene somministrata nessuna terapia “precauzionale”.
· Si parla di neuroblastoma localizzato inoperabile quando lo studio radiologico documenta la presenza di uno o più fattori di rischio (per es., rapporti troppo stretti con organi vitali) e, quindi, consiglia di praticare la sola biopsia. Costituisce anch’esso il 20% dei casi. In questi pazienti si effettuano alcuni cicli di chemioterapia con l’obiettivo di ridurre la massa tumorale; l’intervento chirurgico viene programmato in un momento successivo alla diagnosi (chirurgia differita). Generalmente la chirurgia tende a risparmiare menomazioni, tuttavia a volte si preferisce sacrificare un rene e praticare, per es., una nefrectomia, se questa consente di ottenere l’asportazione radicale del tumore. Infatti, in questi casi, il vantaggio dato dalla possibilità di un intervento radicale supera, a livello prognostico e terapeutico, lo svantaggio della menomazione stessa.
In caso di estensione del tumore entro il canale del midollo spinale il rischio è costituito proprio dalla compressione spinale (radiologicamente, si parla di neuroblastoma a “clessidra”). In questi casi si fa una biopsia diagnostica del tumore primitivo, e poi è importante iniziare subito la chemioterapia. La chirurgia sulla componente endorachidea (laminectomia) è riservata a rari casi in cui c’è un rapido peggioramento della sintomatologia neurologica.
· In caso di neuroblastoma disseminato è certamente importante, a scopo diagnostico, l’intervento chirurgico bioptico. E’ in studio se l’asportazione del tumore primitivo all’esordio influenzi favorevolmente la prognosi.
Le complicanze secondarie all’intervento chirurgico sono attualmente fortemente ridotte grazie alla corretta valutazione preoperatoria.
Un’operazione chirurgica rappresenta sicuramente un evento importante, tanto per il bambino quanto per i genitori, ed è importante tenere presente alcune cose. E’ opportuno chiedere informazioni ai medici ed ai chirurghi in particolare, per aver ben chiaro che cosa vostro figlio dovrà affrontare insieme a voi, cosicché possiate anche prepararlo. E’ opportuno tener presente che, oltre al tempo dell’intervento, bisogna aggiungere i tempi dell’anestesia: se vi si dice, per esempio, che un’operazione dura tre ore, ciò può significare tre ore inclusi i tempi di anestesia o tre ore solo per l’intervento vero e proprio: in questo secondo caso non spaventatevi se dopo quattro ore vostro figlio non è ancora uscito dalla sala operatoria, probabilmente gli anestesisti lo stanno ancora risvegliando. Pertanto, per evitare inutili ansie, è meglio sapere in anticipo che i tempi possono essere più lunghi.
A volte capita che i genitori si sentano male alla vista del figlio “con vari tubi” alla fine dell’intervento, quali flebo per farmaci, per nutrizione endovenosa, drenaggio per la ferita (ovvero un tubicino impiantato dal chirurgo sotto la ferita per consentire l’emissione di sangue e liquido, che altrimenti ristagnerebbero), etc. I “tubi” sono assolutamente normali e, per quanto sgradevoli, sono necessari. In breve tempo, comunque, verranno rimossi l’uno dopo l’altro. Non bisogna scoraggiarsi e tenete presente che i primi tre giorni post-operatori saranno i più difficili, poi vostro figlio starà rapidamente meglio. Gli saranno, comunque, somministrati i necessari farmaci antidolorifici. E’ importante pensare che la via chirurgica, per quanto dolorosa, è a volte una via obbligata che può dare ottimi risultati sotto il profilo oncologico. Tenete presente, inoltre, che i bambini hanno una capacità di ripresa superiore a quella degli adulti, che i loro tessuti si rimarginano assai più velocemente e che essi dimenticano il dolore fisico più rapidamente dei grandi.
Per quanto riguarda i punti, ce ne è di diversi tipi: alcuni si riassorbono, altri invece devono essere tolti e possono essere di vario tipo (filo o graffette metalliche). Spetta al chirurgo decidere quale tipo utilizzare, ma non vi allarmate se, ad esempio, userà punti metallici: la cicatrice non sarà diversa rispetto agli altri tipi di punti.
Così come voi dovete essere preparati all’operazione, lo dovrà essere anche vostro figlio: dovrete dirgli nel modo più semplice ed affettuoso che cosa lo aspetta. Non fatelo troppo presto, per non generare ansia, ma dovrete comunque avvertirlo, in modo diverso a seconda dell’età. Ad un bambino piccolo non date spiegazioni mediche complesse: per esempio, potreste dirgli che mentre dorme il dottore “guarderà dentro la sua pancia”e che al suo risveglio voi sarete lì vicino.
Durante il decorso postoperatorio, proteggetelo dai troppi visitatori, sarà stanco e vorrà riposare; inoltre, ogni persona è portatrice di germi e l’organismo del bambino, benché sotto terapia antibiotica, sarà indebolito: nei primissimi giorni consentite solo l’accesso ai familiari più stretti. Preparate anche fratelli e sorelle all’operazione, nel modo più semplice e chiaro.
Consiste nella somministrazione, per lo più per via venosa, di farmaci cosiddetti antiblastici che, con meccanismi diversi, uccidono quei tipi di cellule che si moltiplicano rapidamente e che includono, oltre alle cellule tumorali, anche cellule sane come quelle del sangue e della mucosa gastrointestinale ( e ciò è responsabile degli effetti tossici della chemioterapia).
L'efficacia della chemioterapia nelle neoplasie del bambino è maggiore rispetto all'adulto. I farmaci chemioterapici sono detti anche antiblastici; questa parola deriva dal greco anti (contro) basto (germogliare), proprio per indicare che queste sostanze impediscono alle cellule di "germogliare", cioè di riprodursi. Gli antiblastici agiscono, perciò, direttamente attraverso vari meccanismi solo su cellule capaci di riprodursi. Essi, una volta somministrati, entrano nel circolo sanguigno e vanno a colpire il cancro nelle parti del corpo ove si è localizzato; si parla, infatti, di terapia sistemica. In genere, i farmaci antiblastici sono somministrati per via endovenosa. Per evitare ripetute punture venose, ma soprattutto per evitare che questi farmaci possano creare lesioni delle vene periferiche e, nel caso di rottura del vaso, ai tessuti circostanti, si preferisce somministrarli attraverso un catetere venoso centrale, invece che tramite puntura venosa periferica. I primi cateteri venosi centrali risalgono ai primi anni ’70. Oggi sono strumenti indispensabili nei reparti di Oncologia Pediatrica, dove hanno contribuito notevolmente al miglioramento della qualità di vita del bambino oncologico. Il catetere venoso centrale è un tubicino sottile e morbido, di materiale anallergico, che viene introdotto chirurgicamente, in anestesia generale, in un grosso vaso venoso del collo. Una delle sue estremità seguirà il percorso di questo grosso vaso fino al suo sbocco nell'atrio destro del cuore e sarà posizionato sotto guida radiografica, in modo tale da non creare inconvenienti. Nel tipo di catetere più frequentemente usato, l'altra estremità è posizionata per un tratto sotto la cute della parte alta del torace attraverso un "tunnel", il cui sbocco sarà al centro del torace, tramite un minuscolo foro cutaneo destinato a cicatrizzarsi in breve tempo attorno al tubicino. Dal torace del bambino questo tubicino sporgerà per una decina di centimetri; a questa estremità è applicato un dispositivo che consente di mantenere chiuso il catetere quando non è utilizzato e di raccordare poi gli strumenti che consentono la somministrazione della terapia ed il prelievo del sangue. Il catetere consente, quindi, di avere sempre a disposizione una via di accesso venoso, cosa importantissima in caso di emergenza e, nello stesso tempo, consente di non obbligare il piccolo paziente all'immobilità di un arto, data la prolungata durata di alcune infusioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, per diminuire gli effetti tossici dei farmaci senza ridurne gli effetti terapeutici, viene eseguito una sorta di "lavaggio" con infusioni di notevoli quantità di liquidi, e queste durano anche più di 24 ore.
Il catetere venoso centrale deve essere medicato due - tre volte la settimana; la medicazione deve essere effettuata in condizioni di sterilità (guanti e mascherina), viene normalmente eseguita da un genitore e comprende la pulizia della sede d’emergenza cutanea (con soluzione fisiologica e disinfettante iodato) e l’eparinizzazione del lume.
I rischi connessi al catetere venoso centrale sono principalmente:
- infettivologici: si potrebbe verificare sepsi, infezione del tragitto sottocutaneo;
Per prevenire questi rischi, i cateteri sono dotati di due dispositivi: una “cuffia” di ancoraggio al sottocute ed una “cuffia” antibatterica.
Il bambino portatore di catetere venoso centrale deve, quindi, osservare alcune semplici norme comportamentali: evitare traumi toracici nella regione d’emergenza del catetere; evitare di sfilarsi il catetere; evitare bagni in acqua: è consentita la doccia, previa protezione del catetere con pellicola adesiva.
La durata e l’intensità del trattamento dipendono dall’estensione della malattia e dai fattori di rischio; la malattia locale è infatti controllata con la chirurgia e la radioterapia, mentre la malattia sistemica con la chemioterapia. I farmaci antiblastici sono somministrati per un breve periodo e in dosi non elevate quando si tratta di distruggere un piccolo residuo tumorale, dopo che l’intervento sia risultato quasi completamente radicale. Se ciò non è possibile (perché la neoplasia è troppo sviluppata o vi sono metastasi) l’atteggiamento terapeutico adottato pressoché da tutti è quello di somministrare farmaci antiblastici a dosi importanti per un breve periodo (3-4 mesi) per distruggere il maggio numero possibile di cellule tumorali.
I pazienti sono suddivisi in fasce di rischio:
· Basso rischio: include i pazienti di stadio 1, quelli di stadio 2 (tranne se di età maggiore ad 1 anno, amplificazione dell’oncogene MYCN e/o istologia sfavorevole) ed i pazienti 4s di età inferiore ad 1 anno (senza amplificazione dell’oncogene MYCN).
In questi casi, la terapia consiste unicamente nell’asportazione chirurgica del tumore primitivo, fatta eccezione per lo stadio 4s, in cui quest’ultima non modifica la prognosi. Una chemioterapia precauzionale di breve durata è indicata solo nello stadio2 con istologia sfavorevole.
Per quanto concerne i tumori di stadio 1 e 2, la sopravvivenza complessiva è superiore al 95%; le recidive sono rare, per lo più precoci, e si possono guarire con la chemioterapia. Rari sono i casi di amplificazione di MYCN (fattore prognostico sfavorevole), costituendo solo il 5%.
Per i tumori di stadio 4s la sopravvivenza è intorno all’80%. L’epatomegalia può essere tanto rilevante da causare, soprattutto in bambini di età inferiore a due mesi, una grave compromissione respiratoria. In questi ed in altri casi, più rari, con alterazione della funzionalità epatica e compressione midollare, è indicata la chemioterapia (associazione carboplatino + etoposide), finalizzata ad ottenere un miglioramento clinico, in attesa della regressione spontanea del tumore; la radioterapia, comportando gravi esiti, non è più usata per ridurre l’epatomegalia o la compressione spinale.
· Rischio intermedio: include i pazienti di stadio 3 o 4 di età inferiore a 12 mesi, senza amplificazione dell’oncogene MYCN, e di stadio 3 di età superiore ai 12 mesi, senza amplificazione dell’oncogene MYCN e istologia favorevole.
Questo gruppo di pazienti è trattato in modo alquanto eterogeneo: in genere, viene praticata una biopsia diagnostica iniziale a cui segue una fase di chemioterapia, con l’obiettivo di ridurre il volume del tumore e permetterne la successiva asportazione.
· Alto rischio: include i pazienti di stadio 2, 3 con MYCN amplificato e/o istologia sfavorevole, di stadio 4 (età alla diagnosi maggiore di un anno) e di stadio 4s con MYCN amplificato. La sopravvivenza a 5 anni è inferiore al 30%.
La terapia si suddivide in più fasi:
· INDUZIONE: l’obiettivo è ottenere la massima riduzione di volume del tumore primitivo e delle metastasi. Una terapia di breve durata diminuisce il rischio che si sviluppino delle cellule resistenti alla chemioterapia. Una risposta rapida e completa all’induzione aumenta la possibilità di guarigione.
· CHIRURGIA DIFFERITA
· CONSOLIDAMENTO: dopo aver ridotto al minimo possibile il tumore primitivo e le metastasi utilizzando tutte le armi terapeutiche, e dopo l’accurata esecuzione di molte indagini volte ad evidenziare nel modo più preciso la quantità di tumore residuo, si somministrano dosi molto forti di farmaci antiblastici (chemioterapia ad alte dosi o megaterapia), eventualmente associate a radioterapia con MIBG terapeutica. Per superare gli effetti tossici di questo trattamento, è necessario praticare un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali periferiche. Molto brevemente, questo significa che prima di esporre il bambino alla megaterapia, bisogna prelevare dal piccolo una quota di cellule staminali emopoietiche (ossia in grado di rigenerare le cellule del sangue). Ciò può avvenire attraverso un abbondante prelievo di midollo osseo per mezzo di multipli agoaspirati dalle creste iliache in anestesia generale, o attraverso ripetute raccolte di cellule dal sangue periferico (aferesi di cellule staminali periferiche). Queste sono cellule progenitrici degli elementi del sangue che verranno “messe in salvo” criopreservandole (cioè congelandole) e, una volta somministrata al bambino la megaterapia, verranno reinfuse per via venosa e spontaneamente torneranno nel midollo osseo, dove rigenereranno le normali componenti cellulari del sangue. La raccolta delle cellule staminali periferiche è resa possibile dall’uso di fattori di crescita che aumentano la proliferazione e la circolazione in periferia di queste cellule. L’uso di cellule staminali periferiche, anziché di midollo osseo, permette un recupero ematologico più rapido, riducendo la tossicità. E’ inoltre ridotto il rischio di infondere cellule tumorali.
Per quanto riguarda l’irradiazione corporea totale (usata fino al 1990), gli studi condotti dai maggiori gruppi europei concordano nell’escluderla dalla terapia ad alte dosi, dato che è stata responsabile di importanti effetti tossici a distanza a carico del sistema endocrino, muscolo-scheletrico e riproduttivo.
· METODI BIOLOGICI , per eradicare la malattia residua minima sono in corso di sperimentazione l’uso di un derivato della vitamina A (acido cisretinoico) che porta a differenziare la cellula neoplastica, l’uso di citochine e anticorpi che stimolano il sistema immunitario e potenziano le difese antitumorali; questo per impedire che la maggioranza dei casi sviluppi una recidiva della malattia, dovuta alla persistenza di cellule tumorali a livello midollare, non svelabili con i metodi disponibili. Sono in corso di valutazione sofisticate tecniche di biologia molecolare, che potrebbero aumentare considerevolmente la capacità di svelare il residuo midollare minimo.
I farmaci più frequentemente usati per il neuroblastoma sono l’Ifosfamide, l’Adriamicina, l’Endoxan, il Carboplatino ed il Cisplatino, il VP16, il Thiotepa, il Melfalan ed il Busulfano.
Questi farmaci, usati pressoché esclusivamente per via venosa, vengono adoperati in combinazioni a blocchi, intervallati da un periodo di riposo più o meno lungo, necessario affinchè l’organismo non venga danneggiato e ne smaltisca gli effetti tossici. Come già accennato, il piano di cura del singolo bambino affetto da neuroblastoma sarà differenziato in base a molteplici fattori, quali lo stadio, l’età ed in alcuni casi le caratteristiche biologiche (oncogeni, citogenetica) della neoplasia e la sua risposta alla terapia. Ogni bambino, quindi, può essere trattato in modo più o meno diverso e questo vi verrà spiegato con calma ed in momenti successivi.
EFFETTI TOSSICI (PRECOCI E TARDIVI) DA CHEMIOTERAPIA
Come già detto precedentemente, i farmaci antitumorali attualmente in uso non agiscono selettivamente sulle cellule tumorali, ma su tutte le cellule proliferanti, determinando così effetti tossici, che si manifestano durante e/o nei giorni immediatamente successivi alla loro somministrazione (tossicità precoce), o a distanza di mesi o anni (tossicità tardiva).
Ogni farmaco presenta effetti tossici specifici, che dipendono dalla dose, dalla via di eliminazione, dalle caratteristiche farmacologiche.
I tessuti più sensibili alla chemioterapia sono, comprensibilmente, la cute e gli annessi cutanei (capelli), le mucose, il midollo osseo e gli organi emuntori (fegato e rene).
TOSSICITA’ PRECOCE
· Tossicità midollare: si ha una diminuzione delle cellule del sangue con anemia, piastrinopenia (che comporta un aumentato rischio di emorragie), neutropenia (cioè diminuzione delle cellule deputate alla difesa dalle infezioni, il cui rischio dunque aumenta). La durata ed entità della tossicità dipende dal farmaco somministrato. Durante questa fase vanno evitati traumi, ambienti affollati ed il contatto con persone che possono trasmettere infezioni. In caso di febbre, il bambino va indirizzato tempestivamente ad un Centro competente. In caso di eccessiva anemia o piastrinopenia, il bambino naturalmente verrà supportato con trasfusioni. Alcuni cicli di terapia prevedono la stimolazione del midollo osseo con un fattore di crescita (G-CSF) a partire da 48 ore dopo il termine della chemioterapia, per ridurre la durata della neutropenia; l’efficacia, tuttavia, non è dimostrata.
· Alopecia: si tratta di uno degli effetti collaterali più evidenti di alcuni farmaci chemioterapici e della radioterapia, se effettuata sul cranio. Pur trattandosi di un problema temporaneo, la calvizie dura alcuni mesi, ovvero per tutto il tempo del trattamento. Una volta terminata la somministrazione dei farmaci, i capelli ricrescono come prima. La perdita dei capelli può, comunque, essere psicologicamente difficile da sopportare per i bambini e, soprattutto, per gli adolescenti, dato che costituisce un segno evidente di uno stato di malessere. Inoltre la caduta dei capelli è disomogenea, e la mattina il bambino si troverà ciocche sparse sul cuscino; non essendo ciò molto piacevole, è meglio tagliarli completamente prima che ne cominci la caduta, sia per un aspetto igienico sia dal punto di vista estetico, tenendo in considerazione il probabile impatto psicologico di una testa con chiazze di capelli.
I bambini sotto i 7 - 8 anni in genere soffrono questo problema meno dei loro genitori, che talvolta si sentono quasi "imbarazzati" a mostrare in pubblico il figlio calvo (atteggiamento non corretto), mentre quest'ultimo e gli altri bambini possono non dare molto peso alla cosa, se non all'inizio. I bambini possono magari tagliare i capelli alla loro bambola o scegliere bambolotti senza capelli.
La calvizie può risultare più demoralizzante per le bambine, soprattutto se avevano una chioma fluente; esse si possono coprire la testa con un foulard o con un cappello. La soluzione parrucca ha alcuni aspetti negativi e va quindi considerata bene. Se i genitori accettano la calvizie del figlio, la accetterà anche lui; è importante rassicurare il piccolo paziente che si tratta di un fenomeno temporaneo, connesso alle terapie; si deve cercare di non viverla come una menomazione, anche se a volte l'atteggiamento della gente, che può dimostrare una curiosità morbosa o una compassione non richiesta, non aiuta, ma bisogna cercare di non dare loro peso.
E' importante, comunque, avvertire in anticipo il piccolo paziente che perderà i capelli, in modo da dargli il tempo di abituarsi all'idea. La decisione di indossare un cappello, un foulard o una parrucca deve essere sua: se preferisce mostrarsi senza capelli, è una decisione che va rispettata: spesso i ragazzi sono meno inibiti degli adulti!
· Vomito: si presenta durante la somministrazione del farmaco e talora persiste per 24-48 ore dopo. Oggi si riesce a controllare abbastanza bene questo effetto collaterale mediante la somministrazione di uno o più farmaci antiemetici (ondansetron, corticosteroidi, H1-antagonisti) a partire da 30 minuti prima e fino al termine della somministrazione dei farmaci antiblastici. Bisogna tenere presente che non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo alle terapie, tanto che alcuni bambini piccoli possono provare meno nausea degli adulti. La risposta è individuale, perciò non ci si deve far impressionare troppo da altri casi: la reazione di vostro figlio potrebbe essere migliore di quella di altri bambini e, comunque, i medici ne discuteranno con voi ed interverranno nel modo più opportuno per contrastare questi effetti collaterali.
· Mucosite: l’esfoliazione delle mucose, soprattutto del cavo orale, è frequente, anche se la sua gravità varia da farmaco a farmaco. Occorre provvedere ad un adeguato supporto nutrizionale e a terapia antidolorifica, se necessaria. Le ulcerazioni della bocca e delle gengive, così come le micosi, possono essere prevenute facendo regolarmente gli sciacqui disinfettanti che verranno prescritti. E’ importante che convinciate vostro figlio a pulirsi regolarmente la bocca con queste soluzioni, per cercare di limitare lo sviluppo delle stomatiti (mucosite del cavo orale), che incide sulla possibilità del bambino di ingerire cibo.
· Perdita di peso, astenia: un calo dell’appetito è assolutamente normale, ma se il bambino vomita molto e non riesce ad assumere cibo per troppo tempo, tanto da dimagrire in modo eccessivo, si potrà intervenire nutrendolo per endovena per qualche periodo. Non bisogna forzarlo ma è necessario accettare la sua inappetenza.
Lo stesso discorso è valido per l’astenia. E’ normale che i bambini trattati con farmaci chemioterapici si sentano deboli e necessitino di periodi più lunghi di sonno. Se il vostro bambino si sente stanco, bisogna lasciarlo riposare, senza forzarlo a fare ciò che non gli va.
I principali effetti tossici “specifici” dei chemioterapici utilizzati nel trattamento del neuroblastoma sono:
-Vincristina: neuropatia periferica (dolori addominali ed ossei, ileo paralitico, iporeflessia).
-Ciclofosfamide (Endoxan): cistite emorragica. Quando si usa un farmaco nefrotossico per la mucosa vescicale, è opportuno somministrare al bambino liquidi in abbondanza. La prevenzione della cistite si effettua ricorrendo ad un uroprotettore, il MESNA.
-Carboplatino: tossicità renale ed acustica.
-Etoposide (VP16): ipotensione, reazioni anafilattiche (il farmaco viene preceduto dalla somministrazione di antistaminici).
-Adriamicina: cardiotossicità.
-Busulfano: epatotossicità.
-Melphalan: epatotossicità.
TOSSICITA' TARDIVA
La tossicità da farmaci antitumorali, che si manifesta anche a distanza di anni dal trattamento, è ancora poco nota. Il bambino guarito da tumore dovrà, quindi, essere sottoposto a periodici controlli, per valutare la possibile insorgenza di complicanze tardive a carico dei principali organi ed apparati.
RADIOTERAPIA
E’ una metodica attraverso la quale si distruggono le cellule tumorali con la somministrazione di radiazioni dall’esterno. I tumori pediatrici sono altamente radiosensibili. Tuttavia, a parte il linfoma di Hodgkin ed il rabdomiosarcoma, dove la radioterapia continua ad avere un ruolo irrinunciabile nel controllo loco-regionale della malattia, la radioterapia viene limitata il più possibile, in considerazione dei danni, a volte anche severi, che le strutture irradiate possono subire, incluso il rischio di neoplasie secondarie. Le sequele radio-indotte sono più gravi nei bambini trattati in età prescolare.
Per quanto riguarda il neuroblastoma, è stato dimostrato che si tratta di una neoplasia sensibile a basse dosi (20-25 Gy); le cellule di neuroblastoma hanno scarsa capacità di riparazione dal danno provocato dalle radiazioni. La radioterapia, nel neuroblastoma, può:
Il trattamento radioterapico richiede estrema precisione tutte le volte in cui viene erogato. Infatti, prima di iniziare il trattamento effettivo, viene eseguito il cosiddetto “centraggio”, che consiste nell’individuazione della massa bersaglio e degli organi critici da irradiare attraverso un esame TC .
E’, quindi, di cruciale importanza che la posizione assunta al momento del centraggio venga riprodotta in modo fedele ed in assoluta immobilità ad ogni seduta, e ciò è permesso grazie a sistemi di immobilizzazione (in materiale termoplastico, modellati in modo personalizzato), adattabili a diversi distretti corporei, in modo da garantire un corretto posizionamento del paziente. L’utilizzo di questi sistemi di immobilizzazione diventa particolarmente importante nei piccoli pazienti, per impedire spostamenti durante il trattamento ed evitare di irradiare organi sani vicini al tumore.
Già durante la fase preparatoria, in cui viene modellato il sistema di immobilizzazione ed eseguito il centraggio TC, circa il 50% dei pazienti necessita di anestesia. Questa è necessaria abitualmente per bambini al di sotto dei 3 anni, meno frequentemente in quelli di età superiore a 5 anni. Sorprendentemente, la tolleranza ad anestesie ripetute è ottima.
La radioterapia viene somministrata quotidianamente 5 giorni ogni settimana, in una sola frazione giornaliera o, in alcuni casi, con due frazioni giornaliere separate da almeno 6 ore tra di loro. La seduta di radioterapia ha la durata di pochi minuti ed il trattamento avviene sempre sotto la sorveglianza dell’operatore attraverso un sistema video-audio.
Gli effetti collaterali sono correlati con la sede da irradiare, la dose per singola frazione e la dose totale di radiazioni da erogare, l’età del paziente e l’eventuale associazione chemioterapica. I tessuti più sensibili alle radiazioni sono l’osso in accrescimento, l’encefalo, le ghiandole endocrine, gli organi riproduttivi, il rene ed il cristallino. E’ quindi importante ottimizzare il piano di cura, calcolando la dose ricevuta dagli organi critici. Si è diminuita l’incidenza di effetti acuti e tardivi scegliendo di effettuare “frazionamenti non convenzionali” della dose di radiazioni da erogare, ricorrendo a dosi singole basse per seduta, sedute ripetute più volte nella giornata, dosi totali ridotte. Il medico radioterapista può, inoltre, decidere di sospendere temporaneamente il trattamento in caso di compromissione delle condizioni cliniche del paziente e/o importante danno al midollo osseo.
TERAPIA RADIOMETABOLICA (MIBG TERAPEUTICA)
Nel neuroblastoma la radioterapia si può condurre anche con modalità diverse, cioè “dall’interno”, attraverso la somministrazione endovenosa di un isotopo radioattivo, lo Iodio-131 ( 131I ) coniugato ad un veicolo “selettivo” (guanidina). Si usa questa metodica perché la particolare “simpatia” delle cellule tumorali per la guanidina consente la somministrazione della radioterapia in maniera più mirata. La MIBG (metaiodobenzilguanidina) terapeutica richiede una particolare attenzione nella preparazione con lo iodio per bocca e viene eseguita in speciali stanze del reparto di medicina nucleare perché, per alcuni giorni dopo la somministrazione, il paziente emette una piccola quantità di radiazioni. Attualmente, la radioterapia metabolica con 131I-MIBG trova un’indicazione convincente solo nel residuo postchirurgico (captante MIBG).
PROTOCOLLI E TRATTAMENTI SPERIMENTALI
Attualmente tutti i bambini affetti da neuroblastoma che vengono trattati in centri AIEOP (aderenti all'Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica), così come in molti altri centri europei o americani, vengono inseriti in "protocolli terapeutici", ossia, a seconda delle caratteristiche della malattia, vengono trattati con schemi terapeutici comuni e decisi collegialmente, così da raccogliere il maggior numero possibile di informazioni e poter a poco a poco modificare i trattamenti sulla base di dati consistenti.
Lo sforzo attuale di molti gruppi operanti in più centri di diverse nazioni è quello di adottare gli stessi criteri di stadiazione, così da favorire lo scambio internazionale di informazioni, e da alcuni anni i centri europei stanno lavorando intensamente per utilizzare protocolli terapeutici comuni.
In alcune situazioni, poi, si stanno sperimentando nuovi farmaci antiblastici, o nuove associazioni, o diverse modalità terapeutiche, come farmaci differenzianti (capaci cioè di modificare le caratteristiche biologiche della neoplasia trasformandola da maligna in benigna) o immunostimolanti (capaci cioè di aumentare le difese dell'organismo contro la neoplasia).
A proposito di questi farmaci abbiamo già molte informazioni, ma esse devono ancora essere provate per definirne le reali potenzialità terapeutiche.
Tutto questo verrà discusso con voi, così che possiate dare il vostro consenso a questi trattamenti e ne siate pienamente informati. Si tratta di una collaborazione importante perché può consentire di identificare nuove armi contro il tumore per migliorare il trattamento del vostro bambino e di altri che saranno colpiti da questa malattia.
Fonte: http://www.aieop.org/files/files_htmlarea/pubblicazioni_tiziana/comitati/stranieri/SM%20Neuroblastoma.doc
Sito web da visitare: http://www.aieop.org
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