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LABORATORIO SUI DISTURBI MOTORI E SUL LINGUAGGIO DEL CORPO
(PROF. A. MAUGERI)
La sindrome di Down
Nel 1866 un medico inglese a nome John Haydon Langdon Down stese la prima descrizione clinica di quella condizione complessa che ora porta il suo nome: sindrome di Down. Evidentemente Down ai suoi tempi non poteva fare altro che un rapporto clinico, ovvero la esposizione dei più importanti e frequenti sintomi, non essendo assolutamente disponibili conoscenze genetiche. Nel complesso dei sintomi osservati e descritti, risultarono significativi per Down la morfologia del viso e, soprattutto il deficit dell'intelletto, tanto che propose la denominazione di idiozia mongoloide oppure mongoloidismo o anche mongolismo o altre ancora più fantasiose.
Per tanto tempo questa specie di epiteto mongoloide identificò più che degli individui, una categoria uniforme, priva di personalità: soggetti mentalmente ritardati destinati ineluttabilmente alla dipendenza totale dalla famiglia o dalla società.
La terminologia che si usa attualmente riconosce con il termine sindrome la plurifocalità dei sintomi che interessano contemporaneamente diversi organi ed apparati, ma la scienza identifica persone Down diversificate e singolarmente originali che si possono incontrare nei banchi di scuola, in una festa fra amici e, sempre più spesso, anche in un posto di lavoro.
Le anomalie cromosomiche nella Sindrome di Down
Esistono tre diversi tipi di anomalie cromosomiche nella Sindrome di Down, il loro effetto finale è comunque identico: nelle cellule dei vari organi geni del cromosoma 21 sono in triplice dose. L'anomalia più frequente è la trisomia 21 libera completa (95% dei casi): in tutte le cellule dell’organismo vi sono tre cromosomi 21 invece in due; ciò è dovuto al fatto che durante la meiosi delle cellule germinali la coppia dei 21 non si è disgiunta come avrebbe dovuto (90% dei casi durate la meiosi della cellula uovo materna, 10 % durante la meiosi degli spermatozoi paterni). Più raramente si riscontra la trisomia 21 libera in mosaicismo (2% dei casi): nell’organismo della persona con la sindrome sono presenti sia cellule normali con 46 cromosomi che cellule con 47 cromosomi (la non disgunzione della coppia 21 in questo caso si è verificata alle prime divisioni della cellula uovo fecondata). Come conseguenza, non tutte le cellule dell'embrione che si sta formando conteranno il cromosoma in più. Il bambino potrà avere meno aspetti legati alla sindrome, sia da un punto di vista fisico che mentale. Ma questo varierà da bambino a bambino, e a seconda della sua percentuale di cellule trisomiche. La percentuale di cellule normali e di cellule trisomiche può variare da un numero minimo al 100%Infine, il terzo tipo di anomalia, anch’essa rara, è la trisomia 21 da traslocazione (3% dei casi): il cromosoma 21in più (o meglio una parte di esso, almeno il segmento terminale) è attaccato ad un altro cromosoma di solito al numero 14, 21, o 22.
Di questa anomalia cromosomica non sono sostanzialmente note. Semmai sono disponibili delle osservazioni statistiche le quali si concretizzano nei seguenti dati:
le anomalie nel numero e/o nella struttura dei cromosomi sono un evento abbastanza frequente, nell'ordine del 9% di tutti i concepimenti. Però nella grande maggioranza dei casi le stesse anomalie non sono compatibili con lo sviluppo dell'embrione, cosicché esso viene spontaneamente abortito;
questi dati di frequenza sono straordinariamente costanti nelle diverse popolazioni e verosimilmente anche nel tempo; sembra dunque che l'errore cromosomico sia una caratteristica costante della riproduzione;
non sono stati individuati fattori (chimici? fisici? ormonali? del padre, della madre? dell'ambiente?) che influenzino significativamente la frequenza dell'anomalia cromosomica. Esiste tuttavia un dato statistico (epidemiologico) di costante riscontro: l'incidenza della sindrome aumenta in proporzione diretta all'età della madre al concepimento.
Valga, relativamente al dato statistico appena citato, la seguente tabella:
Età della madre incidenza alla nascita
inferiore a 30 anni 1 : 1.500
fra 30 e 34 1 : 580
fra 35 e 39 1 : 280
fra 40 e 44 1 : 70
oltre 45 1 : 38
Per fare la diagnosi prenatale (sempre s'intende mediante l'esame cromosomico) si debbono ottenere cellule del feto e queste possono essere di due tipi:
gli amniociti o cellule presenti nel liquido amniotico. Per ottenerle si effettua un prelievo di una piccola quantità di liquido in un periodo compreso fra la 14a e la 18a settimana di gestazione: evidentemente questa data non deve solo essere calcolata sul calendario della gestazione, ma scelta in base all'esame obiettivo della gravidanza sempre con il criterio di ottenere la diagnosi quanto prima possibile;
le cellule dei villi coriali (questi sono propriamente la parte fetale della placenta). Il prelievo o villocentesi è più precoce dell'amniocentesi ed avviene sotto guida ecografica, come anche l'amniocentesi del resto.
Una possibilità molto interessante, tuttora oggetto di ricerca, sarebbe quella di ottenere cellule fetali con un sistema meno "cruento" ed invasivo dei due precedenti: si ipotizza, per esempio, di trovare ed identificare cellule fetali nel sangue materno.
OBIETTIVI TERAPEUTICI DEL NUOTO NEL SOGGETTO DOWN
Il NUOTO è una delle migliori forme di esercizio che permette di migliorare diverse componenti fisiologiche e non delle persone Down. Esercita tutto l’organismo non sovraccaricando nessuna parte del corpo che si muove in un ambiente rilassante in cui la circolazione, la respirazione, la resistenza muscolare e le secrezioni corporee aumentano poco ma abbastanza per essere efficaci ai fini del benessere.
Per i Down, come per tutti gli handicappati mentali, il nuoto è molto più di uno sport, è per loro un rilassamento generale che favorisce il loro sviluppo. Attraverso il nuoto il Down è portato in modo giocoso ad assaporare un successo importante. E’ proprio di esperienze positive, come l’influenza positiva dell’acqua sul corpo o la gioia ed il divertimento in acqua, di cui il diversamente abile ha bisogno.
Bisogna sempre tener conto delle diverse capacità di apprendimento del soggetto con deficit mentale. Egli reagisce sovente ad altri segnali: è più emotivo. Il Down fa fatica ad imitare perfettamente un movimento poiché la sua motricità è disturbata.
Alla base dell’attività notatoria preventiva e riabilitativa vi è l’atteggiamento educativo che non deve mai essere troppo esigente, ma neanche ipoesigente perché altrimenti il soggetto non si sente stimolato. Bisogna, poi, introdurre innovazioni: l’approccio col bambino Down ha bisogno di continue innovazioni e di strategie per impedire un rischio che è portato dalla qualità del deficit e dall’immaturità della personalità a fare apprendimenti stereotipati. Questi rappresentano un grave rischio di appiattimento delle possibilità di sviluppo del pensiero e dell’adattamento sociale del Down.
Durante l’apprendimento è importante che il bambino venga gratificato, che sia apprezzata ogni sua più piccola conquista e sdrammatizzato ogni insuccesso.
L’apprendimento dei vari esercizi prevede tempi di lavoro diversi rispetto a quelli che si applicano nei casi di bambini normali per il fatto che la capacità di attenzione del bambino Down è ridotta e la memorizzazione degli apprendimenti richiede maggiori reiterazioni. Proprio per questo bisogna sottolineare che per il bambino Down non ha alcun senso la fretta; nel caso in cui quest’ultima dovesse prevalere indurrebbe ansia, irritabilità, aggressività e soprattutto ritardo o persino regressione dell’apprendimento.
Gli obiettivi terapeutici del nuoto sono:
L’obiettivo organico si riferisce allo sviluppo di scopi specifici che concernono l’efficienza delle funzioni fisiologiche del corpo:
L’obiettivo neuro-muscolare è basato sulla ricerca di occasioni per sviluppare le funzioni percettivo-motorie.
L’acqua da numerose possibilità di aumentare l’efficienza di molti meccanismi percettivo-motori come il ritardo dello sviluppo di schemi loco-motori, spesso presenti nei Down come saltare su uno o due piedi, galoppare o correre. In questi casi l’acqua offre una buona superficie che sommata a una leggera resistenza rallenta i movimenti in sequenza facilitandone l’apprendimento.
Schemi non loco-motori possono essere aggiunti per rendere certi esercizi più fantasiosi e quindi più interessanti ed inoltre aiutano a sviluppare l’equilibrio.
In piscina, allo scopo di stimolare intensamente lo sviluppo dello schema corporeo e della coordinazione è molto indicato l’uso di spugne, oggetti morbidi e leggeri che facilita l’adattamento in acqua.
Il nuoto così appare all’handicappato come un gioco dove è consentito l’uso di giocattoli, strumenti fondamentali per coinvolgere il bambino. Sport inteso come gioco, importante mezzo che stimola e permette la formazione di nuove acquisizioni.
L’obiettivo interpretativo mira a stimolare ed a intensificare la coscienza di sé e del proprio corpo.
L’acqua è l’ambiente multidimensionale nel quale esplorare, scoprire e sperimentare nuove possibilità di movimento.
Il bambino deve essere aiutato ad acquisire coscienza delle proprie funzioni corporee nell’attività fisica.
L’obiettivo sociale dell’attività fisica manifesta la voglia da parte del disabile di poter interagire con altre persone per sviluppare modi migliori di comunicazione.
Spesso durante le lezioni di nuoto il Down può battersi alla pari con persone non disabili e questo rinforza l’immagine di sé e la fiducia nelle proprie possibilità di stabilire contatti sociali. Il nuoto incoraggia a un uso costruttivo del tempo libero.
Principale responsabile di un maggiore adattamento del disabile è il fattore indipendenza personale o autonomia funzionale. Raggiungere questo obiettivo permette alla persona con disabilità di essere più sicura delle proprie capacità e di poter partecipare più attivamente alla vita sociale.
L’ultimo è l’obiettivo emozionale: in ogni lezione di nuoto bisogna inserire delle occasioni di riuscita. Il fatto che il nuoto sia uno sport che non tutti sono capaci di fare, aumenta la gratificazione che il disabile trae da una partecipazione coronata da un successo.
L’ AUTISMO
La parola autismo richiama mutismo, isolamento, indifferenza nei confronti dell'ambiente esterno, una sorta, insomma, di silenzio dell’anima.
La medicina classifica la sindrome autistica all'interno dei Disturbi pervasivi dello sviluppo, a significarne l'insorgenza in età neonatale con compromissione della normale crescita intellettuale ed emotiva, ma non di quella fisica.
I bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma sono affetti da gravi anomalie nella comunicazione e da ritardo mentale di entità variabile, presente nel 75% dei casi ma, non sufficiente, da solo, a spiegare tutti i sintomi della malattia.
Sia nei soggetti ritardati che nei soggetti con normale intelligenza, infatti, il profilo delle prestazioni è spesso molto disomogeneo, con aree di grande abilità, come memoria, calcolo, competenze spaziali, e aree profondamente compromesse.
LE IPOTESI EZIOLOGICHE
L 'autismo non ha una singola causa ma nasce da un insieme di fattori: genetici, organici, biochimici e psicologici, che interferiscono creando una frattura nello sviluppo cerebrale normale, in una fase precoce della vita fetale. La componente genetica sembra responsabile solo di una maggiore vulnerabilità a sviluppare la malattia.
Gli studi di brain imaging hanno evidenziato anomalie in diverse strutture cerebrali, in particolare nel cervelletto, nell'amigdala, nell'ippocampo, nel setto e nei corpi mammillari. La ricerca neurochimica suggerisce che vi siano delle alterazioni nel metabolismo della serotonina, della dopamina e di altri neurotrasmettitori. Il significato di tutte queste osservazioni e, soprattutto, il ruolo che ciascuna occupa nella patogenesi resta ancora da chiarire, anche perché troppo poco si conosce del funzionamento del cervello.
Manca ancora un'immagine precisa, ma di certo si è sfatata una delle prime ipotesi: i genitori, con il loro comportamento, non sono in alcun modo responsabili della malattia dei loro figli.
I SINTOMI
Nei bambini autistici sono compromesse l'interazione sociale, la comunicazione verbale e quella non verbale, ovvero la mimica dei gesti con cui il bambino si esprime prima di iniziare a parlare. Il comportamento, gli interessi e le attività sono ristretti, ripetitivi e stereotipati. Il linguaggio, quando è presente (circa il 50% dei casi) è ripetitivo (ecolalico), è caratterizzato dall'uso scorretto della prima e della seconda persona, viene usato in forma non adeguata a comunicare, per esempio con frasi senza significato o fuori del contesto. La carenza dell'immaginazione e dell'imitazione non consentono il normale gioco infantile, che viene sostituito da movimenti stereotipati privi di senso.
Questi bambini sono ostacolati nello sviluppo delle relazioni sociali, della comunicazione e dei meccanismi emozionali, sembrano perciò assenti ma possono essere ipersensibili a particolari stimoli. Sin dai primi mesi, infatti, possono mostrare fastidio, e di conseguenza ansia e nervosismo, per un odore, un suono, il contatto fisico da cui si ritraggono. La loro incapacità a comunicare è particolarmente evidente, e dolorosa, in quanto non rispondono alla voce dei genitori, sfuggono lo sguardo e non riescono a esprimere le emozioni che ci si aspetterebbe da loro. Tutto questo non nasce da una precisa volontà di isolamento ma dalla loro percezione del mondo esterno che è distorta o carente.
I sintomi hanno un esordio precoce, prima dei tre anni di età, e perdurano nel corso della vita intera, pur con le modificazioni che il progredire dell'età solitamente comporta. Certi segni possono essere riscontrabili fin dalla nascita o comparire successivamente, in quest'ultimo caso il bambino spesso perde le competenze gestuali e linguistiche che aveva già acquisito.
QUADRO CLINICO
Il Disturbo Autistico è uno dei più gravi disturbi dell’età evolutiva.
Il quadro clinico è caratterizzato sia da disturbi sul piano comportamentale sia da altri sintomi.
Sul piano comportamentale i disturbi caratterizzanti il quadro clinico sono riconducibili alla compromissione di tre aree principali:
a). L’interazione sociale;
b). La comunicazione verbale e non verbale;
c) Il repertorio di attività ed interessi.
A questa triade sintomatologica di disturbi comportamentali si associano frequentemente altri due sintomi caratteristici
d). Il ritardo mentale;
e). L’epilessia.
Ancora possono essere presenti altri sintomi da tenere in debito conto in fase di trattamento.
Fra di essi uno dei più comuni è l’abnorme risposta agli stimoli sensoriali di natura uditiva (sirene, cigolii, campanelli), visiva (flash, luci intense, determinati oggetti), o tattile. Questi stimoli possono scatenare violente reazioni di panico, con tentativi di proteggersi.
L’iperattività è un altro sintomo frequentemente osservato. I bambini autistici, infatti, presentano molto spesso labilità attentiva e comportamenti ipercinetici.
Inoltre possono avere condotte auto-aggressive, quali battere il capo contro la parete o colpirsi il capo con il pugno.
Tra i sintomi caratteristici sono inclusi, infine, alcune particolari abilità:
• un’eccezionale memoria per numeri e date;
• un’inaspettata capacità di leggere e recitare interi brani.
a) Compromissione dell’interazione sociale e comportamenti ad essa correlati.
Nel corso del primo anno di vita, la compromissione dell’interazione sociale è tipicamente espressa dal deficit del canale di scambio privilegiato in tale periodo: vale a dire il contatto occhi-occhi. I genitori riferiscono la “sfuggenza dello sguardo” del bambino, la “difficoltà di agganciare lo sguardo”, “presenza di uno sguardo assente”.
Frequenti,nel primo anno di vita, sono le anomalie delle posture corporee. I genitori hanno difficoltà a tenere in braccio il bambino che “sguscia da tutte le parti”. Ciò è dovuto sia ad una insofferenza per il contatto fisico, sia ad una incapacità da parte del piccolo di adattare la sua postura alla postura di chi lo tiene in braccio. Questa incapacità viene definita come un disturbo del dialogo tonico.
Nel corso delle sviluppo la compromissione dell’interazione sociale si arricchisce di comportamenti sempre più espliciti e caratteristici. Il bambino si aggira tra gli altri come se non esistessero; tende ad isolarsi; quando chiamato non risponde; non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe delle sue attività; utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento (il bambino, ad esempio, prende il braccio dell’altro senza guardarlo negli occhi e lo indirizza verso una cosa, che lui da solo non riesce a prendere).
Il piccolo non richiede la compagnia dei coetanei.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto va sottolineato che, anche se l’isolamento e la chiusura in se stessi rappresentano tratti patognomonici, non sono infrequenti comportamenti apparentemente paradossi. Alcuni bambini autistici, ad esempio, non solo non rifiutano il contatto fisico, ma anzi lo ricercano attivamente, ma con modalità inappropriate e spesso dispensano baci a persone viste per la prima volta o ad estranei. In merito a questo aspetto, alcuni Autori hanno individuato tre sottogruppi di bambini autistici:
1. Bambini inaccessibili, che si tirano fuori da qualsiasi rapporto sociale;
2. Bambini passivi, che tendono ad isolarsi ma sono in grado di interagire quando sono sollecitati;
3. Bambini attivi ma bizzarri, che prendono iniziativa nell’interazione sociale ma lo fanno in maniera inopportuna ed inappropriata.
Questi diversi profili possono riscontrarsi nello stesso bambino in diverse fasi dello sviluppo.
b) Compromissione della comunicazione e comportamenti ad essa correlati.
Uno dei motivi principali che spinge i genitori a richiedere una consultazione specialistica è rappresentato dal fatto che “il bambino non parla”. Il deficit espressivo, peraltro, non è compensato da alcuna forma di comunicazione alternativa. I vari canali rappresentati dallo sguardo, dalla mimica, dai gesti, o sono assenti o vengono utilizzati in maniera impropria e limitatamente al soddisfacimento di richieste particolari.
Con il passare degli anni, mentre alcuni bambini non riescono ad acquisire alcuna espressione verbale, altri presentano un progressivo sviluppo del linguaggio, che può addirittura diventare particolarmente fluente. Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta qualitativamente inadeguato. Il linguaggio può essere infatti caratterizzato da:
• ripetizione delle domande che gli vengono poste piuttosto che rispondere alle stesse;
• gergolalie fluenti inintelligibili;
• inversioni pronominali;
• ripetizione di parole, frammenti di frasi o intere frasi memorizzate, ma pronunciate senza aderenza al contesto;
• alterazioni della prosodia;
• stereotipie verbali.
Sul piano del linguaggio di comprensione, vengono segnalati alcuni deficit molto particolari, quali l’incapacità di riconoscere i motti di spirito, i doppi sensi, le metafore e le locuzioni idiomatiche.
c) Modalità di comportamento, attività ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati.
Sono inclusi in questo gruppo di disturbi tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle azioni che per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri.
Molto spesso tali comportamenti sono genericamente denominati con il termine di stereotipie.
Il repertorio dei comportamenti osservabili è molto variabile:
• dondolarsi;
• assumere posture bizzarre;
• guardarsi le mani;
• guardarsi allo specchio;
• leccare;
• osservare l’acqua che scorre;
• osservare la lavatrice in funzione;
• versare l’acqua da un contenitore all’altro;
• disegnare sempre la stessa cosa;
• emettere determinati suoni;
• ripetere le stesse parole o frasi;
• recitare le scene di film (sempre le stesse).
Nell’ambito di questo gruppo di disturbi rientra anche la ritualizzazione di alcune abituali routine quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi secondo sequenze rigide ed immutabili. Questo bisogno di immutabilità si verifica anche nel gioco, nella disposizione degli oggetti nella sua stanza o nei percorsi da seguire nelle uscite. Quando vi sono cambiamenti il bambino se ne accorge e prova profondo disagio reagendo anche con rabbia, aggressività auto od eterodiretta.
Inoltre il bambino dimostra attaccamento esasperato ad oggetti insoliti: una pallina, un pezzo di stoffa o di plastica.
d) Il ritardo mentale.
Circa il 75% dei pazienti autistici presenta ritardo mentale. Una frequenza così elevata di co-morbilità ha da sempre sollevato notevoli discussioni. E’ difficile stabilire se alcuni comportamenti atipici siano riferibili all’autismo o al ritardo mentale comunque presente.
e) L’epilessia.
L’epilessia si verifica in circa il 30-40% dei casi. Le crisi insorgono soprattutto in epoca adolescenziale ed assumono le caratteristiche delle crisi parziali complesse (complessi fenomeni illusori ed atti motori parzialmente finalizzati) e tonico-cloniche generalizzate. Le crisi tonico–cloniche generalizzate (grande male) sono caratterizzate da rigidità tonica di tutte le estremità seguita dopo 15 – 30 sec. da tremore, dovuto al rilassamento. Segue la fase clonica, cioè una contrazione muscolare interrotta da decontrazioni e quindi movimenti scomposti. Sono possibili dei rischi per il paziente consistenti nel mordersi la lingua o le guance; frequentemente si ha insufficienza urinaria.
Per lo più, l’autismo e l’epilessia vengono considerati epifenomeni di un comune danno encefalico.
5. CRITERI DIAGNOSTICI
Al fine di individuare i sintomi dell’Autismo in modo semplice, sono stati messi a punto dei criteri diagnostici che, in base ad un assegnato numero di domande, consentono di comprendere se vi sia necessità di un approfondimento.
Un dei criteri è il seguente, basato su 9 domande del Pediatra al genitore e su 4 osservazioni del bambino:
Domande ai genitori:
1) Al bambino piace essere dondolato o fatto saltellare sulle ginocchia?
2) Si interessa agli altri bambini?
3) Gli piace arrampicarsi sui mobili o sulle scale?
4) Si diverte a fare giochi tipo nascondino?
5) Ogni tanto gioca a “far finta “di preparare da mangiare o altro?
6) Ogni tanto usa il dito per indicare o chiedere?
7) Ogni tanto usa il dito per indicare interesse in qualcosa?
8) E in grado di giocare in modo appropriato con i giocattoli( ad esempio macchinine o mattoncini) oltre che metterli in bocca o manipolarl o farli cadere?
9) Il bambino porge ogni tanto oggetti al genitore per farglieli vedere?
Osservazione durante la visita pediatrica:
10) Durante la visita il bambino fissa mai negli occhi?
11) E’ possibile ottenere l’attenzione del bambino,. indicare poi un oggetto interessante della stanza, fare il segno con il dito e nominarlo come un
“ Oh, guarda..” e osservare che il bambino effettivamente si giri a guardare ciò che è stato indicato?
12) Avendo davanti dei cubi, quanti ne riesce ad impilare?
13) Chiedendo ” Dov’è la luce.” o” Mostrami la luce” , eventualmente replicando la domanda con un altro oggetto che può capire (es. l’orsacchiotto), il bambino, riesce ad indicare con il dito e contemporaneamente a guardare in faccia l’interlocutore?
Almeno 7 risposte negative su 13 tra domande ed osservazioni lasciano ipotizzare che il bimbo sia da considerare nello spettro Autistico.
Teorie cognitivo-comportamentali. Programma TEACCH
(Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children )
L'efficacia sui comportamenti problematici di questi interventi è tanto maggiore quanto più è precoce l'età in cui vengono attuati. In base a specifiche linee guida, si ha la possibilità di scegliere all'interno di un gruppo di tecniche volte all'acquisizione o all'incremento di comportamenti adattivi, basate sull'uso del rinforzo subito dopo la comparsa dei comportamenti desiderati, così da aumentarne la frequenza. Di questo gruppo fanno parte:
a) il concatenamento, grazie al quale la risposta desiderata compare gradualmente perché ricompensata con stimoli rinforzatori;
b) il modellaggio, ossia un rinforzo sistematico dei comportamenti che sempre più somigliano a quello meta a partire da uno iniziale selezionato perché già osservato nel repertorio del paziente;
c) il modellamento, cioè l'apprendimento da un modello per imitazione;
d) il prompting, mediante il quale il raggiungimento del comportamento meta avviene con l'impiego di suggerimenti fisici gestuali e visivi.
Un secondo gruppo di tecniche è invece finalizzato al decremento dei comportamenti inadeguati, e si avvale del rinforzo differenziale di altri comportamenti. Esso è composto da:
a) estinzione, ottenuta non prestando attenzione al comportamento inadeguato;
b) saziazione, cioè una somministrazione volutamente eccessiva del rinforzatore;
c) pratica negativa, che prevede la ripetizione per un numero troppo grande di volte del comportamento indesiderato;
d) procedure aversive, come il mascheramento visivo, il time-out e l'ipercorrezione.
Gli strumenti appena descritti sono tutti utilizzati nel TEACCH di Shopler. È necessario però, nella scelta delle attività, individualizzare il programma in base a quattro criteri che lo possano così rendere specifico per la singola persona e veramente efficace.
1) con modello di interazione si intende la contestualizzazione dell'intervento all'interno del sistema di relazioni di cui fa parte il bambino in modo da poterne meglio cogliere bisogni e potenziale di apprendimento.
2) con prospettiva di sviluppo s'intende ribadire l'importanza della definizione delle aree in cui il bambino manifesta buone capacità e quelle in cui esse sono carenti, così che l'intervento possa essere coerente con il livello di sviluppo del bambino nelle diverse aree.
3) con relativismo del comportamento, ci si riferisce alle difficoltà dei bambini affetti da Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, di estendere la risposta comportamentale a contesti diversi da quello in cui è stata appresa.
4) la gerarchia di addestramento permette di ordinare gli obiettivi particolari da raggiungere col trattamento secondo una scala di urgenza crescente che vede come interventi immediati quelli volti a modificare in senso positivo i comportamenti che mettono a rischio la vita del bambino, per poi strutturare il programma in vista dell'adattamento al contesto familiare, quindi a quello scolastico e infine a quello extrascolastico.
Una parte importante del programma è rappresentato dalla valutazione, che avviene attraverso tre modalità diverse:
1) la prima che prevede l'uso test intellettivi e scale standardizzate, riguarda la valutazione dello sviluppo;
2) la seconda modalità è quella dell'osservazione dei modelli di comportamento del bambino;
3) la terza è rappresentata dalla raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori, in cui vengono anche individuate le loro aspettative nei confronti del bambino e i problemi principali che essi si trovano ad affrontare. La valutazione dello sviluppo si avvale di uno strumento specifico chiamato Profilo Psicoeducativo (P.E.P.): il P.E.P. consente di determinare lo sviluppo del bambino nelle aree dell'imitazione, della percezione, delle abilità motorie, dell'integrazione oculo-manuale, e delle capacità cognitive.
Le aspettative e gli obiettivi che ci si attende di raggiungere, per ogni bambino, vengono distinte in :
1) aspettative a lungo termine,
2) aspettative intermedie tra 3 mesi ed un anno.
3) gli obiettivi educativi immediati. Un appropriato intervento dovrà prevedere un coordinamento tra i tre livelli.
L'intervento dovrebbe inoltre sviluppare per prime quelle capacità che sono implicite in altre; se, per esempio, il bambino non ha sviluppato la capacità di imitazione, bisogna sviluppare prima questa, prima di procedere alla stimolazione del linguaggio.
La procedura fin qui descritta è finalizzata alla definizione delle mete educative; il passaggio successivo è quello di formulare, a partire dalle mete educative, degli obiettivi educativi specifici. Ciascun obiettivo educativo specifico viene poi tradotto in attività didattiche, costruite tenendo conto di tutte le variabili citate in precedenza, sia individuali che contestuali. Accanto ad attività didattiche specifiche è previsto l'utilizzo di tecniche di modificazione del comportamento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problema.
Uno dei princìpi fondamentali dell'intervento è quello per cui l'acquisizione di abilità da parte del bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell'ambiente di vita del bambino, sia familiare, sia scolastico. È importante, in particolare, che l'ambiente di apprendimento sia strutturato e prevedibile e che le attività che gli vengono proposte siano precise e, soprattutto per i bambini che non parlano, comprensibili al di là delle indicazioni verbali.
La strutturazione deve riguardare sia gli spazi sia i tempi di lavoro; per es. possono essere utilizzate delle immagini che descrivono i vari momenti della giornata, e al bambino viene insegnato ad associarne ciascuna ad un preciso momento/attività della sua giornata.
In pratica, per fornire una certa autonomia ai soggetti autistici, si abitua il soggetto, con l’ausilio del terapista e dei genitori, a svolgere i compiti che dovrà affrontare quotidianamente
Il soggetto autistico è normalmente in contrasto con tutti i cambiamenti, ma con questo metodo riesce ad assimilare uno stile di vita più o meno normale e quindi può essere in grado di avere nel tempo un minimo di autonomia.
Il conseguimento di ulteriori abilità va ricercato con passaggi graduali, in modo da evitare il rischio, sempre presente, di una involuzione come forma di reazione verso trattamenti non graduali.
Pet Therapy
Nata negli Stati Uniti, solo da pochi anni viene praticata anche in alcuni centri del nostro Paese. Letteralmente significa terapia con animali, viene chiamata anche terapia dolce e prevede l'utilizzo degli animali per migliorare la qualità di vita delle persone e mira a seguire il soggetto problematico e non tanto il problema o la malattia, in tal modo l'animale diventa il ponte invisibile tra operatore e soggetto seguito.
Gli animali in quest'ottica, diventano co-terapeuti, diventano il mezzo per raggiungere lo scopo. L'animale prima di tutto offre la possibilità di stabilire una relazione, non fa domande, accetta incondizionatamente chi ha di fronte qualsiasi sia la sua patologia o problematica sociale.
In questo senso l'amicizia che si stabilisce con un'animale non è solo terapia, ma anche prevenzione e protezione dell'equilibrio psico-fisico dell'individuo.
Molto importante è l'elemento ludico, il bambino in particolar modo attraverso il gioco raggiunge risultati difficilmente ottenibili con attività imposte prettamente terapeutiche e/o riabilitative. Agli animali si può insegnare, dagli animali si può imparare.
La Pet Therapy si suddivide in:
1) Terapia Assistita con Animali (A.A.T.), che risulta essere una terapia vera e propria rivolta a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure, dove viene precedentemente fatto un progetto individualizzato da seguire, che prevede la scelta dell'animale adatto in base allo scopo da raggiungere e la presenza di un'équipe multidisciplinare che collabori a tale progetto (compresa la stesura e la verifica del progetto stesso);
2) Attività Assistite con Animali (A.A.A.) che mirano a migliorare la qualità di vita delle persone in situazione di disagio, in quanto l'animale risulta, essere un perfetto tramite per lo sviluppo delle relazioni.
3) Attività ludica, la Pet Teraphy viene utilizzata anche a livello ludico (gioco), per la socializzazione, per favorire la comunicazione e per lo sviluppo e/o potenziamento della responsabilità e dell'autostima.
L'animale in sé è un "catalizzatore" sociale capace di creare situazioni positive e rilassanti; cane, gatto, cavallo, delfino (e non solo) sono gli animali più conosciuti che svolgono un importante ruolo nei confronti di persone con disabilità psicofisica.
Il cane, in particolar modo, è il soggetto preferito dai seguaci della Pet Therapy; come cane sociale per migliorare le condizioni psichiche e/o fisiche di bambini, adulti, anziani; come cane di servizio per aumentare la mobilità delle persone con limitazioni fisiche, come cani da passeggio per persone cieche o sorde.
La Delfinoterapia è un'attività praticata negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è giunta verso il 1993 e viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi. È una terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per taluni disturbi psichici.
I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo benessere psico-fisico che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che nuotano e giocano con loro.
L’Ippoterapia, detta anche Riabilitazione Equestre, è destinata a coloro che presentano disturbi neuromotori, motori sensoriali e relazionali, (e quindi adattissima anche ai soggetti Autistici).
Il cavallo stimola il proprio "cavaliere" nell'equilibrio, nel coordinamento motorio, nel processo Spazio-temporale. Si ha, inoltre, un forte beneficio psicologico con conseguente aumento dell'autostima.
Gli scopi della Riabilitazione Equestre sono la conservazione degli arti sani, lo sfruttamento dei gruppi muscolari colpiti da alterazioni invalidanti e miglioramento della situazione statica e dinamica, ottenendo dei miglioramenti sulle condizioni psichiche.
All’ippoterapia sembra opportuno dedicare maggiore spazio in quanto riesce a stimolare non solo il lato affettivo del paziente ma anche l’aspetto muscolare ed i fattori mirati all’equilibrio ed alla percezione dello schema motorio.
Elemento fondamentale di tale attività è il cavallo che mette a disposizione una ricchezza di strumenti naturali quali il ritmo, la sua corporeità, le sensazioni. provocate dal suo movimento, non statiche ma in continuo mutamento, che scatenano delle reazioni in chi ci sta sopra risvegliando in loro capacità che in altro modo difficilmente avrebbero potuto sperimentare, data la particolarità dello "strumento" utilizzato.
Già nel 1801 Goethe affermava: “Il motivo per il quale un maneggio svolge un’azione così benefica sulle persone dotate di ragione è che qui, unico posto al mondo, è possibile comprendere con lo spirito e osservare con gli occhi l’opportuna limitazione dell’azione e l’esclusione di ogni arbitrio e del caso. Qui uomo e animale si fondono in un tutt’uno, in misura tale che non si saprebbe dire chi dei due effettivamente sta addestrando l’altro.”
LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
DEFINIZIONE E FATTORI ETIOLOGICI
Che cos’è una paralisi cerebrale infantile
La paralisi cerebrale infantile costituisce un capitolo molto importante della neuropsichiatria infantile.
E’ molto difficile dare una definizione e fare una descrizione che vada ad attribuire unità a questo gruppo eterogeneo di sindromi ,anche se dal punto di vista clinico può essere considerato come un raggruppamento di quadri sintomatologici diversi, accomunati da un evidente disturbo motorio di origine encefalica.
Si può affermare che la p.c.i. è definita come un’alterazione persistente ,ma non immodificabile del movimento e della postura che si manifesta nel primo anno di vita ed è dovuta ad un’alterazione non progressiva del Sistema Nervoso Centrale.
Il disturbo più evidente di questa sindrome cerebrale infantile è il disturbo della motilità .Questa manifestazione clinica è sempre accompagnata da altri disturbi più o meno intensi di tipo sensoriale ,mentale e convulsivo.
Anche se il termine p.c.i. è entrato nella pratica ed è accettato dalla maggioranza degli studiosi, bisogna porre una scrupolosa attenzione sul significato di questi tre termini.
La parola "paralisi", definisce solo la perdita parziale o totale dell’attività motoria. Questo termine, non comprende nel suo significato la presenza di atti parassitari che vanno a disturbare quelli volontari ,né quella di un deficit qualitativo della motricità, consistente nella incoordinazione tonico-posturale. Dato che il termine paralisi è un po’ riduttivo, quello più appropriato sarebbe, discinesia intendendo un movimento anormale o involontario dei muscoli del corpo dovuto ad una alterazione del sistema nervoso centrale.
Definire "cerebrale" il disturbo motorio è limitativo in quanto, il cervelletto od il tronco encefalico , possono essere una sede del danno. Sarebbe più coretto utilizzare il termine encefalico.
Infine anche l’utilizzo di infantile è pressoché imprecisato , poiché esiste una seconda infanzia che si protrae molto più dei tre anni di vita, precoce, perciò sembrerebbe la parola più adatta.
Secondo tale analisi la formula più precisa per riferirci a tale sindrome è discinesia encefalica precoce non evolutiva .
Cause o fattori etiologici delle P.C.I.
I fattori determinanti le p.c.i. sono molteplici e a volte è difficile stabilire le cause per ogni singolo caso. Ciò si verifica perché spesso tale patologia è determinata da varie lesioni per cui è molto difficile stabilire una correlazione fra la causa e la lesione organica.
I fattori etiologici si possono distinguere in :
- fattori agenti prima della nascita
- fattori agenti durante la nascita
- fattori agenti dopo la nascita
FATTORI PRENATALI
Alcuni studiosi includono in questo gruppo di fattori anche quelli ereditari .
Fra le p.c.i. vengono incluse specifiche malattie ereditarie, come la paraplegia spastica, i tremori congeniti e l’atetosi familiare, che sono determinate da alterazioni di natura genetico dello sviluppo del sistema nervoso.
Fra le cause prenatali dobbiamo collocare al primo posto il fattore anossia cerebrale che è indotto da alterazioni placentari (distacco intempestivo, impianto anomalo ,infarto della placenta), oppure da compressione del cordone ombelicale in fase intrauterina o da vari disturbi materni, come l’ipotensione e l’anemia. L’anossia del feto provoca quadri di grave ipotensione arteriosa con conseguente danno cerebrale, perché si viene a determinare una grossa diminuzione di apporto sanguigno nel sangue placentare e di conseguenza fetale.
Vi sono poi le infezioni virali materne che hanno una fondamentale responsabilità sulla determinazione della p.c.i. e tra di esse in particolare modo la Rosolia che ha un’azione dannosa nell’embrione nei primi tre mesi di gravidanza. Anche la Toxoplasmosi materna può determinare nel feto una encefalite da toxoplasma. In genere tutte le infezioni virali della madre possono causare delle lesioni encefaliche.
La esposizione ai raggi x della donna incinta, soprattutto nel primo trimestre di gravidanza, causa cospicue alterazioni cerebrali del feto. Proprio per questo sono sconsigliati gli esami radiologici alle donne in gravidanza.
I disturbi dismetabolici sono da considerarsi come un’ulteriore causa di p.c.i., fra cui il diabete .
Vi è poi il cosiddetto ittero nucleare, anch’esso causa di p.c.i., in quanto si viene ad instaurare un processo tossico a carico del sistema nervoso. Generalmente gli itteri neonatali sono dovuti alla incompatibilità sanguigna materno-fetale,( Fattore Rh.)
Inoltre le deficienze vitaminiche o proteiche hanno una grossa influenza sulla morbosità del feto e sull’immaturità.
Infine la prematurità e l’immaturità sono condizioni molto particolari, in quanto il bambino appare particolarmente vulnerabile dal punto di vista neurologico: Infatti sia nell’immaturo che nel prematuro esiste una particolare fragilità capillare, per cui aumenta il rischio di eventi emorragici cerebrali e trombosi al momento del parto.
Tutte queste cause prenatali danno origine ad alterazioni nervose del feto di tipo malformativo.
Fattori perinatali.
Fra il gruppo di fattori connatali, l'anossia del neonato è la causa più considerevole di p.c.i. ed é spesso associata a lesioni vascolari, che determinano emorragie e necrosi dell'encefalo.
Anche se l'encefalo del bambino appena nato può resistere per un maggior tempo alla mancanza di ossigeno rispetto agli adulti, un'anossia di lunga durata che interessa una vasta zona cerebrale, provoca danni irreversibili che possono interessare anche l'area che comanda il movimento.
L'Anossia o l'asfissia nel periodo perinatale è causata da lesioni traumatiche dei vasi, da torsione del cordone ombelicale, da ostruzioni respiratorie meccaniche ( aspirazione del liquido amniotico) e da alterazioni della pressione sanguigna determinata dalla somministrazione di farmaci alla madre nel momento del travaglio.
Rientrano in questo gruppo di fattori i traumi diretti all'encefalo, in caso di parto distocico o per l'utilizzo di particolari strumenti come il forcipe e la ventosa.
Quest'ultime non hanno molta rilevanza dato che alcune statistiche recenti evidenziano una minor correlazione fra tali fattori e l'insorgenza di p.c.i.
Sia le lesione anossiche che traumatiche sono molto piu' pericolose se il feto presenta delle fragilità vascolari (tipica del bambino immaturo).
FATTORI POST NATALI.
I fattori post-natali rispetto a tutti gli altri, hanno statisticamente una minima incidenza nel determinare le p.c.i.
Non tutti gli autori sono d'accordo nello stabilire uno stesso limite al periodo cronologico in cui la noxa (causa) agisce, determinando danni al tessuto cerebrale.
Alcuni studiosi, sono convinti che la causa patogena agisca in un periodo limitato che va dalla nascita a pochi giorni o settimane dopo il parto, altri invece prolungano il periodo fino ad alcuni anni di vita.
Nonostante ciò la maggioranza degli studiosi sono concordi nello stabilire il limite cronologico d'azione nella noxa al dodicesimo mese di vita. Infatti entro il primo anno il processo mielizzante delle fibre nervose del S.N.C. dovrebbe ormai essersi completato .
Tra le cause post-natali vanno inclusi inoltre tutti i processi di tipo infiammatorio sia delle meningi che dell'encefalo, e perciò tutte le encefaliti e encefalopatie parainfettive o post-infettive che potrebbero dare luogo a p.c.i. in un bambino nel primo anno di vita.
Inoltre a tali cause infettive si devono aggiungere tutte le lesioni cerebrali verificatesi nel periodo post-natale e in genere provocate da traumi cranici, turbe vascolari e neoplasie.
Quest'ultimo gruppo di fattori una volta verificatisi creano delle alterazioni di tipo infiammatorio, che danno esito a fatti cicatriziali, i quali vanno ad ostacolare il successivo sviluppo del nevrasse.
La diagnosi della P.C.I.
Nel caso in cui un neonato abbia subito traumi prima, durante, e dopo il parto, si può formulare una diagnosi di lesione cerebrale.
La diagnosi della p.c.i. solitamente è possibile quando il bambino, affetto da questa sindrome, presenta particolari ed inconfondibili segni che si verificano pochi giorni dopo la nascita e che fanno pensare ad una sofferenza cerebrale. Infatti il bambino mostra una cute molto pallida, dovuta alle conseguenze secondarie di una anemia grave, oppure a lesioni del tessuto cerebrale con una particolare espressione del viso, sguardo fisso e occhi sbarrati, e il volto esprime una intensa sofferenza ed ansia.
Altro segno caratteristico è la presenza di una certa difficoltà nella respirazione (dispnea) e una incapacità nella alimentazione, nonostante risulti presente il riflesso della suzione.
In presenza di tali fatti è necessario attuare un controllo generale con un esame neurologico in modo da verificare in che misura il cervello ha subito dei danni. Non è così semplice, però, diagnosticare precocemente tale patologia, soprattutto perché le ripercussioni del danno cerebrale sull'apparato motorio si notano col tempo.
CLASSIFICAZIONE DELLE P.C.I. IN BASE :
- disturbo motorio
- alle forme cliniche
- ai sintomi associati al disturbo motorio
Classificazione base al tipo di disturbo motorio
La classificazione proposta dalla American Academy for Cerebral Palsy, è da tenersi la più esauriente.
Seguendo questa si possono distinguere sette gruppi fondamentali di paralisi infantile considerando il disturbo motorio.
A - FORMA SPASTICA
E’ caratterizzata da alterazioni che colpiscono prevalentemente le vie piramidali, atte alla coordinazione dei movimenti volontari e tale forma si manifesta con la perdita della motricità.
Il fenomeno basilare di questa forma consiste nell'aumento patologico del tono posturale, dovuto all'inefficienza del potere inibitorio del primo motoneurone e alla super efficienza del secondo neurone di moto.
Questo tipo di paralisi si presenta con un'ipertonia che è evidentemente più accentuata a carico dei muscoli flessori degli arti superiori ed estensori di quelli inferiori, interessando in particolare le parti corporee terminali (come avambraccio, la mano, la gamba e il piede).
Si nota, inoltre, un'accentuazione del riflesso di stiramento. La resistenza allo stiramento è massima all'inizio e cede poi bruscamente (fenomeno del coltello a serramanico).
B - FORMA ATETOSICA.
A causa delle lesioni localizzate a livello corticale, in questa forma si evidenziano disturbi di tipo extrapiramidale. Questa paralisi è caratterizzata dalla presenza di alterazioni ipercinetiche (aumento dei movimenti involontari), che si manifestano in movimenti subcontinui, irregolari nella ampiezza e nella frequenza e piuttosto lenti .Tali fenomeni si alternano al movimento volontario, rendendolo inadeguato ed inefficiente dal punto di vista funzionale. L'atetosi può essere accompagnata sia da ipotonia che da ipertonia muscolare.
Inoltre la muscolatura mimica, quella della fonazione e degli arti superiori, sono i distretti muscolari più interessati.
C - FORMA ATASSICA. Questo tipo di p.c.i. è espressione sia di una lesione cerebrale sia di un danno a carico dei propriocettori ( recettori che raccolgono gli stimoli provenienti dall'interno di un organo).
Il disturbo più evidente, nei soggetti affetti da questa forma, è l'incapacità di coordinare i movimenti, che si manifesta con un'alterazione dell'equilibrio in stazione eretta, barcollamento nel cammino, incoordinazione e tremore della mano.
Si nota quindi un notevole ritardo nello sviluppo motorio che aumenta in particolare modo quando questi bambini iniziano a camminare. Perciò essi si muovono in stazione eretta a gambe larghe e rigide, in modo da acquisire maggior equilibrio nel movimento.
Molte volte assieme a queste alterazioni, si verificano delle altre che vanno a compromettere la vista, l'udito ed il linguaggio. Quest'ultimo spesso interessato nel senso di un rallentamento nell'emissione della parola, che viene scandita in modo particolare.
D - FORMA RIGIDA. E' caratterizzata da ipertonia muscolare plastica di tipo. extra piramidale che determina una resistenza uniforme nei movimenti passivi di flesso - estensione ed interessa nella stessa misura sia i segmenti prossimali che quelli distali.
E - FORMA CON TREMORE. I sintomi più caratteristici di tale forma sono i tremori e questa manifestazione clinica è piuttosto rara. Tali fenomeni sono rappresentati da una ipercinesia fine, rapida e ripetitiva, presente in particolare modo nei segmenti distali (sono soprattutto interessante le mani).
F - FORMA ATONICA. E’ caratterizzata da una drastica riduzione del tono muscolare ed è molto rara.
G - FORMA MISTA. E' costituita dalla combinazione delle precedenti forme di p.c.i. determinando quadri clinici poliedrici che possono essere classificati tenendo in considerazione il sintomo prevalente. Si distinguono perciò quadri con ipertonie di tipo piramidale extrapiramidale, distonia atetoide e atassia.
Classificazione della P.C.I. in base alle forme cliniche.
In base alla distribuzione topografica del disturbo motorio si possono evidenziare le seguenti forme cliniche di p.c.i.
1 MONOPLEGIA. Questa forma è caratterizzata dalla perdita della mobilità di un solo arto. Tale quadro è molto raro, perché solitamente si tratta di una emiplegia o una diplegia nella quale l'arto, che apparentemente non sembra colpito, conserva una discreta attività funzionale.
2 PARAPLEGIA. Il deficit motorio è localizzato ai soli arti inferiori ed è sempre bilaterale. Solitamente si osservano anche dei lievi difetti motori agli arti superiori. La forma di paralisi, che si verifica, però può essere sia di tipo spastico che rigido.
3. EMIPLEGIA. E’ un difetto motorio che interessa una sola metà del corpo (quella contro laterale cerebrale). Le alterazioni sono di tipo spastico prevalente dell'arto superiore.
4. TETRAPLEGIA.Questo è il quadro più frequente e più grave. Le lesioni motorie interessano tutti e quattro gli arti e sono inabilitati da un deficit prevalentemente di tipo rigido e con minor frequenza può essere di tipo spastico.
5 DOPPIA EMIPLEGIA .Questo quadro consiste in una emiplegia bilaterale di tipo spastico che interessa in particolare modo gli arti superiori.
Idroterapia
L'acqua dal punto di vista educativo può essere considerata come un qualsiasi processo che aiuti la persona a maturare sul piano psico- fisico -sociale e a valorizzare le specifiche potenzialità.
Inoltre l'ambiente piscina offre innumerevoli opportunità quali la sperimentazione di nuove sensazioni di gioco e divertimento, di gratificazione, di relazione, di sicurezza e di autonomia. Queste opportunità sono maggiormente benefiche per i soggetti con difficoltà motoria, in fase evolutiva e con insufficienza mentale.
Il movimento in acqua e il nuoto:
- potenziano e valorizzano il complesso d'energie latenti in ogni individuo;
- facilitano l’esplorazione e la conoscenza;
- aiutano la presa di coscienza dello schema corporeo;
- richiedono il controllo, del corpo nel suo insieme, in una strutturazione spazio temporale con il controllo del capo, del respiro, dell'equilibrio e della postura
- richiedono l'educazione al rilassamento globale e segmentario; facilitano il controllo dell'ansia e delle proprie emozioni.
- l'ambiente "acqua" offre,migliori opportunità ,ai disabili fisici ,rispetto a qualsiasi altro ambiente, in quanto esso:
- riduce la forza di gravità, escludendo i problemi di 'carico" esistenti in alcuni ambienti con il galleggiamento.
- favorisce una maggior ampiezza di movimenti a livello articolare
- a determinate temperature (28°e 32°)- riduce il dolore;
- il galleggiamento è in diretta relazione con il grado di rilassamento; viene sentita e valorizzata la parte del corpo non malata;
- l’ambiente piscina è meno stressante di una palestra.
Le finalità della terapia .
Gli interventi terapeutici si fondano in particolare modo sul recupero della motricità, poiché l’aspetto caratteristico della p.c.i. è il deficit motorio. Tuttavia la terapia deve ugualmente tenere in considerazione le sfera affettiva e psichica di ogni bambino.
Lo scopo dell’intervento terapeutico è quello di favorire l'inserimento di questi soggetti in un ambiente sociale molto stimolante dai punto di vista psico affettivo.
Si tratta di un gruppo di miopatie geneticamente determinate ed ad andamento
progressivo Le lesioni istologiche, secondarie ad un’alterazione della membrana delle
fibre muscolari sono caratteristicamente di tipo necrotico-degenerativo: si osserva in
genere una marcata differenza del diametro delle fibre per la compresenza di fibre
necrotiche rigenerative ed ipertrofiche.
La fibrosi e l’involuzione adiposa si riscontrano in gradi diversi, a seconda delle
singole entità patologiche.
La distrofia muscolare di Duchenne (dmd)è una comune malattia neuromuscolare
che ha un’incidenza approssimativamente di un bambino su 3.500 bambini maschi
nati vivi.Sebbene la malattia sia presente fin dalla nascita e possa causare ritardi allo
sviluppo,come un ritardo nell’inizio della deambulazione,il paziente affetto di solito
non presenta sintomi fino a 3 o 5 anni di vita. I disturbi iniziali spesso includono una
debolezza alle gambe che si manifesta nella difficoltà a correre e a salire le scale e nei
problemi ad alzarsi dal pavimento. Quando il bimbo affetto cresce, la mancanza di
forza muscolare causa un’iniziale curvatura convessa alla colonna vertebrale (lordosi)
e un’andatura dondolante durante la camminata. La graduale perdita della funzione
muscolare generalmente porta alla perdita della deambulazione entro 12anni. La
progressiva perdita della forza muscolare continua lungo il corso della vita
interessando prima i muscoli prossimali affetti più tardi i muscoli distali con
conseguente insufficienza respiratoria e morte che frequentemente avviene durante
l’adolescenza o comunque entro i primi 20 anni.
La distrofia muscolare di Becker(bmd) è un disordine allelico meno comune di
quello di Duchenne colpendo solo un bambino maschio su 30.000 nati vivi.
L’andamento della bmd è molto più variabile e meno severo di quello della dmd,
infatti, per esempio, molti pazienti con bmd riescono a camminare bene fino all’età
adulta e possono vivere senza particolari deficit funzionali. A livello cellulare
entrambe le distrofie comportano la perdita di singole fibre muscolari. La tipica
architettura delle fibre muscolari viene sconvolta e c’è una marcata degenerazione,
rigenerazione e fibrosi nei muscoli. Mentre vi sono diverse anormalità che possono
essere svelate fin dalla nascita la fibrosi e la degenerazione grassa divengono più
evidenti più tardi.
La distrofia muscolare di Duchenne è il più noto quadro ereditario, nota anche come Distrofia Muscolare Infantile Pseudoipertrofica, termine non specifico dato che la pseudoipertrofia è riscontrabile anche in alcune delle altre distrofie e qualche volta anche nelle sindromi neurogene.
Manifestazioni cliniche:
L’esordio è variabile.I sintomi possono presentarsi per la prima volta quando il
bambino inizia a camminare e comunque la malattia non viene riconosciuta nel primo
bambino che viene ad essere colpito in una famiglia fino a che quasi non va a scuola.
In retrospettiva i genitori del bambino possono ricordare che il suo sviluppo motorio
era rallentato. Il decorso nei primi fratelli maschi più giovani è simile ma i genitori
hanno ormai acquisito la capacità di riconoscere le più piccole anomalie già osservate
nel figlio precedente e se ne accorgono già dopo la fase dei primi passi.
Nella maggior parte dei casi il bambino presenta andatura ondeggiante e barcollante
con tendenza a varismo podalico.
Talvolta alcuni bambini lamentano dolenza a carico dei polpacci, specialmente in
caso di esercizio fisico. In questa malattia sono state documentate alterazioni
psichiche. Il quoziente intellettivo medio dei bambini affetti da distrofia muscolare di
Duchenne è 85. anche se il 30% di tali piccoli pazienti ha un quoziente intellettivo
inferiore a 75.
Decorso clinico:
La malattia è lentamente ingravescente, con progressivo decadimento muscolare
associato a ipertonia muscolare e deformazioni dello scheletro. Superata l’adolescenza,
la maggior parte dei pazienti è costretta alla sedia a rotelle. Per quanto un’ipostenia
degli arti superiori sia di solito subclinica nelle fasi precoci della malattia, un esame
particolarmente attento può generalmente dimostrare un certo grado di ipostenia a
carico dei muscoli deltoidi all’età di otto anni.
Man mano che la malattia prosegue, si rendono manifeste deformazioni
scheletriche. Abbastanza precocemente possono comparire contratture dei muscoli
gastrocnemi, con seguente iperetrazione dei tendini di Achille che costringe il
bambino ad una deambulazione sulle punte dei piedi. Anche i muscoli flessori
dell’anca si fanno contratti e per un’ipostenia della muscolatura paraspinale può
svilupparsi una scoliosi. Appena inizia l’atrofia i muscoli del polpaccio sembrano
riacquistare il loro normale aspetto, dando luogo alla cosiddetta pseudoipertrofia.In
realtà il tessuto muscolare è stato sostituito dal tessuto adiposo, infatti i polpacci
cosiddetti “erculei”non hanno capacità contrattile. La maggior parte di tali pazienti
non impara mai a camminare o correre adeguatamente e ciò risulta evidente quando
durante l’esame obiettivo gli viene chiesto di camminare o correre.
Esame obiettivo:
All’esame obiettivo, i segni di un’evidente ipostenia a carico della muscolatura
prossimale sono numerosi. Uno dei metodi migliori per evidenziare la presenza di
un’ipostenia muscolare consiste nell’avere il paziente che giace prono
sul pavimento che esegue la manovra di Gowers. Nelle fasi precoci della malattia,il
paziente è in grado risollevarsi aiutandosi con le mani o appoggiando una mano su
una coscia;man mano che la malattia prosegue è costretto ad usare entrambe le mani
per alzarsi e a portarle in successione dal pavimento al ginocchio e poi alla coscia a
causa dell’interessamento dei muscoli glutei e spinali. Una volta raggiunta la
posizione eretta, assume una postura lordotica che spesso compare se si mette a
sedere.
I muscoli facciali ed estrinseci dell’occhio non vengono colpiti. La gran parte di essi
muore entro la fine della seconda o l’inizio della terza decade di vita. Il decesso può
essere conseguenza di infezioni respiratorie, in quanto anche il più lieve processo
patologico può rivelarsi fatale per l’insufficienza polmonare dovuta alla grave
ipostenia della muscolatura toracica.
Considerando che al momento non esiste una terapia che permetta di guarire da
questa malattia diventa importantissima una fisioterapia il più efficace possibile per
ritardarne la fatale evoluzione. La fisioterapia andrà iniziata il più precocemente
possibile.
Per ritardare la comparsa delle retrazioni tendinee sono indicate la mobilizzazione
passiva e i raggi infrarossi., associando la somministrazione di vasodilatatori
periferici.
Per cercare di mantenere una buona funzionalità della muscolatura bisognerà eseguire
esercizi di cinesiterapia attiva.
Per mantenere un’adeguata capacità respiratoria bisognerà porre l’attenzione su tutte
quelle attività che sollecitano l’apparato respiratorio: iniziando precocemente il
programma fisioterapico si potrà ricorrere, ad esempio, all’uso di strumenti musicali a fiato.
Non bisogna nemmeno tralasciare che la distrofina è presente anche nel tessuto
cardiaco quindi anche questo apparato risente della sua assenza, sarà quindi
opportuno cercare di sollecitarlo ma senza mai esagerare.
Per il raggiungimento degli obiettivi del trattamento delle distrofinopatie sarebbe
importante affiancare il nuoto.
In acqua il soggetto con distrofia potrà eseguire molti dei movimenti che non riesce
ad eseguire fuori dall’acqua e questo gli darà grandi benefici sia da un punto di vista
motorio sia da un punto di vista psicologico. Infatti il nuoto è efficace sia per
mantenere abbastanza forza nei gruppi muscolari, sia per stimolare l’apparato
respiratorio e l’apparato cardio-circolatorio, sia per la mobilità articolare, sia per
ritardare la comparsa della scoliosi, sia per lo sviluppo degli analizzatori percettivi,
sia per l’aumento della stima di se. Inoltre basterebbe considerare solo il fatto che
spesso chi è già costretto ad utilizzare un tutore o una sedia a rotelle riesce ancora a
camminare in acqua o a nuotare, anche solo per brevi tratti. Oltre agli esercizi di
ginnastica in acqua, a chi inizia il programma precocemente e quindi ancora in
discrete condizioni fisiche, potrà essere insegnato il dorso che è abbastanza semplice
malattia, visto che non pone problemi di respirazione subacquea. IL movimento
da imparare e permette di essere eseguito anche nelle fasi un po’ più avanzate della
tradizionale di gambe dorso potrà anche essere sostituito da un calcio a gambe flesse.
Particolare attenzione dovrà essere posta sulle capacità fisiche del soggetto che non
dovrà mai essere affaticato eccessivamente, inoltre bisognerà adottare delle precauzioni per l’ingresso in acqua e per evitare infezioni polmonari.
SCALA DI SVILUPPO DELLE ABILITA’ MOTORIE PER DISABILI ( TEST )
Abilità senso-motorie e motorio-prassiche elementari
1 Ortostatismo ed equilibrio statico
2 Deambulazione, salto, corsa ed equilibrio dinamico
Abilità percettivo e ideo-motorie
1. Organizzazione dello schema corporeo, gnosoprassie corporee semplici e conoscenza del corpo
4. Percezione tattile e semplici gnosoprassie tattili nello spazio manipolativo e gestuale
Abilità percettivo e ideo-motorie
6 Integrazione visivomotoria nella deambulazione
7 Integrazione visivomanipolativa, gnosoprassie costruttive e grafismo
8 Coordinazione oculomanuale e oculopodalica complesse
9 Integrazione sonoromotoria e gnosoprassie gestuali semplici
10 Gnosoprassie motorie complesse nello spazio deambulatorio
Sa memorizzare (e ripetere al contrario e da bendato) un percorso tracciato al suolo
Abilità espressivo comunicative coi linguaggi non verbali
Abilità espressivo-comunicative coi linguaggi motori
2. Abilità di espressione e comunicazione gestuale
Fonte: http://www.oocities.org/it/ray_hayes2003/SISSIS/appuntimaugeri.doc
Sito web da visitare: http://www.oocities.org
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