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Traumi del Torace
Il trauma è una lesione dovuta all’azione violenta di agenti esterni.
Nei traumi maggiori, politrauma, si ha la lesione di due o più organi con compromissione attuale o potenziale delle funzioni vitali.
Sono rare le lesioni del cuore e dei grossi vasi ma le lesioni cardiovascolari associate possono compromettere severamente la prognosi.
TRAUMI DEL TORACE
Le cause traumatiche sono responsabili di 100.000 morti/anno negli U.S.A e 15000 morti/anno in Italia. I traumi del torace sono circa il 10% di tutte le lesioni traumatiche.
Il 25% delle lesioni traumatiche fatali sono direttamente imputabili a traumi del torace che, in base all’eziologia, sono suddivisi in traumi aperti, da ferita penetrante, e traumi chiusi.
I traumi aperti (forza distribuita su piccola superficie cutanea)
Compressione o Lacerazione (accelerazione o decelerazione).
sono dovuti a punta, punta taglio o arma da fuoco e, in questi casi, l'agente traumatico mette in comunicazione l'ambiente esterno con il cavo pleurico (ferita soffiante).
Circa il 30% dei traumi aperti, richiedono un intervento chirurgico d’emergenza o urgenza.
I traumi chiusi (forza distribuita su ampia superficie cutanea)
Sono la conseguenza d’impatti violenti del corpo contro un ostacolo fisso, oppure il risultato di una lesione inferta da un oggetto contundente smusso che causa la frattura delle coste senza ledere la cute: i monconi ossei possono ledere il parenchima polmonare con conseguente pneumotorace ed emotorace.
Circa il 10% dei traumi chiusi richiedono un intervento chirurgico d’emergenza o urgenza.
Il trauma toracico interessa, generalmente, più strutture anatomiche contemporaneamente, con conseguenze patologiche comuni a lesioni diverse.
Le lesioni possono essere:
- Lesioni di parete
Contusioni
Fratture costali semplici
Fratture costali multiple (“a lembo mobile”)
Fratture sternali
Rotture diaframmatiche ed ernie
- Lesioni delle vie aeree e del polmone
Rotture tracheo-bronchiali
Contusione polmonare
Pneumotorace (chiuso-aperto-iperteso)
Emotorace/Chilotorace
- Lesioni del cuore e dei grossi vasi
Il trauma toracico mette quindi in pericolo la vita del paziente attraverso tre
modalità fisiopatologiche:
1) INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
• pneumotorace;
• pneumotorace aperto;
• pneumotorace iperteso;
• volet costale (lembo mobile);
• contusione polmonare;
• polmonite ab ingesti
2) SHOCK EMORRAGICO
• emotorace;
• emomediastino.
3) SHOCK CARDIOGENO
• tamponamento cardiaco;
• contusione cardiaca;
• pneumotorace iperteso;
ITER DIAGNOSTICO
a) Ispezione:
- OSSERVAZIONE (ferite penetranti a carico del torace; distensione delle vene del collo; deviazione della trachea; alterazioni della simmetria toracica; movimenti paradossi.)
- PALPAZIONE (enfisema sottocutaneo; crepitio osseo).
- PERCUSSIONE (suono ipofonetico nell'emotorace; suono iperfonetico nel pneumotorace)
- ASCULTAZIONE (assenza di reperti in caso di collasso polmonare; toni cardiaci ottusi nel tamponamento cardiaco).
b) Toracentesi
Puntura della parete toracica per l'estrazione di liquido pleurico.
La toracentesi terapeutica è eseguita per alleviare l'insufficienza respiratoria causata da un versamento pleurico massivo.
c) Radiografia (Rx) torace
Tecnica radiodiagnostica che consente di riprodurre fotograficamente parti interne del corpo, impiegata per individuare fratture costali e dello sterno, corpi estranei, modificazioni patologiche.
d) Tomografia Assiale Computerizzata (TC) e Angio TC
TC o TAC: tecnica radiografica in cui l’organo in esame viene esplorato trasversalmente a varie profondità da un sottilissimo fascio di raggi X, da cui risulta una serie di immagini che permettono l’identificazione di piccole lesioni non apprezzabili con la radiologia comune.
ANGIO TC: esame radiologico delle vene, delle arterie o dei vasi linfatici.
e) Toracoscopia diagnostica - terapeutica
Esame per via endoscopica dello spazio pleurico dopo induzione di pneumotorace.
TORACOSTOMIA CON TUBO DI DRENAGGIO: Inserimento di un tubo nella cavità pleurica attraverso una piccola incisione. Per il pneumotorace, il tubo viene generalmente inserito nel 2° o 3° spazio intercostale anteriore alla linea emiclaveare ed è diretto verso l'apice del polmone. Nel caso di versamenti pleurici e altri liquidi nel torace, il tubo viene inserito sulla linea ascellare media a livello del 5° o 6° spazio intercostale ed è diretto posteriormente.
PNEUMOTORACE
In condizioni normali, la pressione nello spazio pleurico è minore di quell’atmosferica a causa della retrazione elastica del polmone. Dopo un trauma l’aria può, a causa della lesione, raggiungere la cavità pleurica determinando il collasso del polmone.
Il pneumotorace aperto si ha quando una ferita penetrante nel torace produce una comunicazione continua tra l'esterno e la cavità pleurica che permette all'aria esterna di entrare nello spazio pleurico, determinando il collasso del polmone.
Nel pneumotorace chiuso la parete del torace ritorna "a tenuta" dopo la penetrazione dell'aria (p. es., a causa di un ago da toracentesi, di un catetere venoso centrale percutaneo attraverso le vene succlavie, di una costola fratturata o di un coltello), oppure l'aria può continuare a entrare (p. es., quando questa penetra da un polmone leso da una costola fratturata).
L'aria può anche infiltrarsi nel mediastino e di qui nello spazio pleurico in seguito alla rottura di un bronco o alla perforazione dell'esofago.
Il paziente presenta:
• dolore toracico;
• difficoltà respiratoria;
• suono timpanico alla percussione del torace;
• all'ascultazione, soffio bronchiale tenue e silenzio respiratorio;
• alla palpazione, assenza del fremito vocale tattile.
TRATTAMENTO
Il paziente deve essere posto in una posizione confortevole semiseduta (SCONSIGLIATO IN CASO DI LESIONI ALLA SPINA DORSALE).
Alte concentrazioni di ossigeno devono essere somministrate a pressione positiva, il trasporto deve avvenire con molta cautela e sotto monitoraggio continuo.
Il trattamento definitivo consiste nel posizionamento di un drenaggio mediante toracotomia.
PNEUMOTORACE APERTO (ferita soffiante)
E' la conseguenza diretta di una ferita penetrante del torace, da arma da fuoco o da arma bianca, che crea una comunicazione tra l'ambiente esterno e lo spazio pleurico; può essere anche conseguente a grave incidente automobilistico, caduta accidentale, lesione da parte di frammenti di vetro o metallici.
La severità del trauma è direttamente proporzionale al diametro della ferita e, quando il diametro di questa lesione supera i 2/3 di quello della trachea l'aria, durante ciascun atto respiratorio, passa preferenzialmente attraverso il difetto toracico seguendo la via di minor resistenza.
Si assiste, quindi, al collasso completo del parenchima polmonare con conseguente sbandieramento del mediastino verso il polmone controlaterale: la ventilazione è compromessa con conseguente ipossia e grave pericolo per la vita del paziente.
Il riconoscimento di questo tipo di lesione avviene durante l'ispezione del torace quando è possibile osservare una soluzione di continuo sulla parete del torace da cui fuoriesce sangue frammisto a bolle d’aria (ferita gorgogliante). E’ inoltre presente cianosi, grave insufficienza respiratoria e dolore toracico.
TRATTAMENTO
Consiste nella chiusura immediata della ferita con una medicazione sterile fissata con del cerotto solo su tre lati in modo da creare un effetto valvola.
Quando il paziente inspira, la medicazione collabisce sulla ferita impedendo l'ingresso di aria, quando il paziente espira, il lato aperto della medicazione permette all'aria di fuoriuscire.
La chiusura ermetica di tutti i lati della medicazione determina un accumulo d’aria nella cavità toracica e, conseguentemente, la formazione di un pneumotorace iperteso.
Il trattamento definitivo consiste nella sutura con tecnica chirurgica con posizionamento di un drenaggio mediante toracotomia.
PNEUMOTORACE IPERTESO
Le cause più frequenti sono rappresentate da un pneumotorace spontaneo o da un trauma chiuso.
Si realizza quando si ha un continuo passaggio d’aria nello spazio pleurico attraverso una lesione che funge da valvola unidirezionale.
L'aria che penetra nella cavità pleurica non ha possibilità di uscire, determinando il completo collasso del polmone e la deviazione controlaterale del mediastino e della trachea.
Inoltre, interferendo col ritorno venoso al cuore (aumento della pressione venosa centrale) compromette la ventilazione dell'altro polmone.
Il paziente presenta:
- dispnea;
- tachipnea;
- ipotensione e turgore delle giugulari a causa dell'aumento della pressione venosa centrale;
- deviazione tracheale: segno tardivo di pneumotorace iperteso (nel collo la trachea è fissata alla colonna cervicale quindi una sua deviazione indica una pressione intratoracica severa);
- insufficienza respiratoria;
- all'ascultazione, assenza di murmure vescicolare;
- alla percussione, iperfonesi plessica.
TRATTAMENTO
La diagnosi clinica di PNX iperteso impone l'immediato posizionamento di un ago cannula di grosso calibro (14-16 G), nel secondo spazio intercostale sulla linea emiclaveare dell'emitorace affetto, per permettere la fuoriuscita dell'aria e quindi la decompressione toracica.
Questa manovra converte lo PNX iperteso in uno PNX semplice con immediato miglioramento delle condizioni cliniche del paziente.
Il trattamento definitivo consiste nel posizionamento di un drenaggio mediante toracotomia.
FRATTURA COSTALE
Una singola frattura costale indica un trauma modesto, tuttavia la frattura delle prime tre coste sta ad indicare un trauma violento (queste ossa sono più corte, robuste e meglio protette)
La frattura di una, o di più coste, può determinare la presenza di monconi ossei allineati oppure mobili che possono esser causa di perforazione polmonare, pneumotorace o emotorace.
Il paziente presenta, generalmente, dolore che si accentua ad ogni atto respiratorio tanto da poter compromettere la ventilazione polmonare e la capacità di espettorazione.
Le secrezioni bronchiali tendono a ristagnare nelle vie respiratorie e questo può essere causa di atelettasia (Condizione di collasso e di mancata aerazione di parte o di tutto un polmone).
TRATTAMENTO
Il trattamento di base consiste controllare il dolore mediante somministrazione di analgesici, anche oppiacei e la fasciatura del torace, non sempre indicata se determina un aggravamento della ventilazione. Infiltrazione. Trazione dello scheletro. Tracheostomia per ridurre lo spazio morto.
VOLET COSTALE (LEMBO MOBILE)
Si verifica quando un segmento del torace perde la continuità con il resto della gabbia toracica, generalmente ha causa di un trauma con fratture costali multiple o di una lesione frontale a carico dello sterno.
La presenza del lembo mobile determina una netta diminuzione dell'efficienza respiratoria con la comparsa di:
- ipossia.
- riduzione della compliance.
- aumento delle resistenze delle vie aeree e quindi del lavoro respiratorio.
- dolore toracico.
- movimenti paradossi a livello toracico.
Il lembo toracico inizialmente può non essere evidente, a causa della scarsa escursione del torace ma la palpazione di un crepitio derivante dalla frattura delle coste o della cartilagine può aiutare nell'identificazione.
Durante l'inspirazione, il torace si espande e al suo interno si crea una pressione negativa, il lembo toracico in questa fase rientra verso l'interno.
Durante l'espirazione, invece, il lembo toracico viene spinto all'esterno dalla pressione positiva endopleurica, mentre la gabbia toracica rientra.
La presenza di un Volet costale posteriore è compatibile con una funzione respiratoria buona, invece, in altra sede può comportare un'alterazione grave degli scambi respiratori con necessità di intubazione endotracheale e somministrazione di ossigeno.
TRATTAMENTO
- adeguata ventilazione;
- somministrazione di ossigeno umidificato;
- attento controllo della somministrazione intravenosa di cristalloidi al fine di prevenire un sovraccarico idrico o un’insufficiente idratazione del paziente;
- utilizzo di FANS o di oppiacei per combattere il dolore.
CONTUSIONE POLMONARE
E’ una lesione abbastanza frequente in corso di trauma toracico chiuso ma non si manifesta con segni specifici. L’insufficienza respiratoria è il primo sintomo ed è direttamente proporzionale all’entità dell’area contusa.
Il paziente presenta:
- dispnea,
- insufficienza respiratoria,
- dolore toracico,
- tosse (a volte).
La diagnosi si basa comunque sulla radiografia del torace che mette in evidenza un’area omogeneamente radio-opaca corrispondente all’edema alveolare e all’emorragia.
TRATTAMENTO
Il trattamento si basa sulla somministrazione di ossigeno a pressioni positive e, in situazioni gravi, è necessaria l’intubazione e la ventilazione meccanica.
Le contusioni polmonari tendono a risolversi spontaneamente, tuttavia se sono trascurate possono essere causa di focolai broncopneumonici.
EMOTORACE
Raccolta di sangue a livello dello spazio pleurico (anche oltre 1500 cc) comunemente dovuta ad una ferita penetrante (anche da trauma chiuso) che lede i vasi della circolazione sistemica o polmonare.
I vasi interessati sono quelli intercostali, l'arteria mammaria interna o i grossi vasi intratoracici.
Spesso in un trauma penetrante al pneumotorace si associa un emotorace. Questa condizione prende il nome di EMOPNEUMOTORACE.
A causa della raccolta ematica si manifesta instabilità emodinamica, anemia acuta ed ipossia.
Le vene del collo possono essere collassate secondariamente alla severa ipovolemia o distese a causa degli effetti meccanici della perdita di sangue a livello della cavità toracica.
I sintomi sono:
- dolore toracico;
- respiro superficiale;
- dispnea;
- all'ascultazione, un soffio bronchiale dolce;
• alla percussione, ipofonesi alla base del torace;
• se la raccolta ematica è molto abbondante il mediastino è spostato verso il lato sano.
La diagnosi certa può essere fatta solo mediante una semplice radiografia, (da effettuare con paziente in posizione seduta).
TRATTAMENTO
Correzione delle alterazioni circolatorie e ventilatorie, con la somministrazione di ossigeno e di liquidi.
Decompressione della cavità toracica mediante tubo toracostomico.
Una toracocentesi esplorativa può confermare il sospetto clinico ed essere indicazione per un drenaggio toracostomico di urgenza.
TAMPONAMENTO CARDIACO
Il cuore è circondato da un sottile sacco anelastico, sacco pericardico, costituito da due foglietti fibrosi separati fra di loro da uno spazio virtuale detto spazio pericardico, dove è presente una minima quota di liquido che permette ai due foglietti di scorrere liberamente l'uno sopra l'altro.
A causa di lesioni penetranti (ferita da arma da fuoco) o a causa di un trauma chiuso, si può determinare una raccolta di sangue intrapericardica derivante dal cuore o dai grossi vasi.
La conseguenza diretta del tamponamento cardiaco, da un punto di vista fisiologico, è l'alterazione del riempimento diastolico ventricolare.
La compressione si fa sentire maggiormente a destra dove il ventricolo ha pareti più sottili e questo determina due fatti importanti:
- impossibilità di completo riempimento ventricolare destro con conseguente stasi nell'atrio destro e turgore delle giugulari;
- il ridotto riempimento ventricolare destro porta ad una riduzione della gittata cardiaca con la comparsa di ipotensione arteriosa e collasso.
Il paziente presenta:
- tachicardia;
- aumento della Pressione Venosa (turgore delle giugulari);
- ipotensione;
- ottundimento dei toni cardiaci;
- polso paradosso (caduta inspiratoria della pressione sistolica >10mmHg);
- dolore toracico (che può anche non essere presente);
- se il tamponamento s'instaura in modo subacuto, sono presenti edemi periferici, epatomegalia ed ascite.
- l'ECG mostra spesso basso voltaggio e slivellamento concavo verso l'alto del tratto ST, riduzione di ampiezza dei complessi QRS e alternanza elettrica dell'onda.
TRATTAMENTO
La pericardiocentesi (manovra strumentale, che si attua a scopo esplorativo o per lo svuotamento del cavo pericardico, mediante un apposito attrezzo detto “trequarti”), per via sottoxifoidea, è indicata in quei pazienti che non rispondono alle usuali misure rianimatorie per uno shock emorragico e che potenzialmente potrebbero essere portatori di tamponamento cardiaco.
LESIONE DELLA TRACHEA O DEI GROSSI BRONCHI
Sono lesioni che hanno un’elevata mortalità, spesso provocate da ferite penetranti a livello del collo o del torace superiore, sono frequentemente associate a lacerazione degli organi vicini. Le fratture tracheali si osservano spesso in prossimità della carena.
I pazienti presentano grave insufficienza respiratoria che impone l’intubazione orotracheale o naso tracheale tuttavia, se la ferita è ampia, gran parte dell’aria non raggiunge le vie aeree distali.
Nel caso non sia possibile stabilizzare il paziente con le manovre rianimatorie s’impone l’intervento chirurgico d’urgenza.
Il trattamento comporta:
- il sostentamento delle funzioni vitali;
- il tamponamento della ferita;
- la somministrazione di ossigeno;
- l'intervento chirurgico di urgenza.
Carcinoma Polmonare
Il cancro del polmone rappresenta la più frequente causa di morte, nell’ambito della patologia
neoplastica, per entrambi i sessi.
Diversi studi epidemiologici hanno confermato che il fumo di tabacco costituisce il più importante fattore di rischio e si ritiene sia responsabile dell’85 % circa dei casi di Carcinoma Polmonare osservati.
Il rischio di contrarre il carcinoma polmonare è in stretta correlazione con:
- Numero di sigarette fumate
- Età di insorgenza dell’abitudine al fumo
- Maggior contenuto di nicotina
- Assenza di filtro nelle sigarette
Esistono altri fattori genetici e ambientali ma sembra chiaro che il fumo di tabacco sia il primo responsabile di questa patologia.
Le forme di tumore più frequenti sono 4, classificati istologicamente in 2 categorie:
- Carcinoma Anaplastico a Piccole Cellule o Microcitoma
- Carcinoma Polmonare Non a Piccole Cellule o Non Microcitoma (che comprende il carcinoma
squamoso o epidermoide, l’adenocarcinoma e il carcinoma a grandi cellule).
La classificazione Microcitoma e Non Microcitoma può trovare una validità anche per l'iter terapeutico del paziente:
- la terapia chirurgica costituisce il trattamento elettivo dei Non Microcitomi
- la terapia medica, (pur essendovi casi di interesse chirurgico), è il trattamento preferibile per Microcitoma, con la Chemioterapia e la Radioterapia.
MICROCITOMI
Il carcinoma polmonare Microcitoma è un tumore molto aggressivo e rapidamente evolutivo. Quindi non è pensabile dominare la malattia con il solo trattamento (locale) chirurgico.
Anche dopo un intervento “radicale”, il tumore tende a riprendere sia localmente, sia a distanza, per l'elevata probabilità di cellule tumorali preesistenti disseminate nei vari organi.
NON MICROCITOMI
I carcinomi polmonari non microcitomi rappresentano circa l’80% dei tumori polmonari e sono riconducibili a tre istotipi principali:
- Carcinoma squamoso (incidenza 25%)
- Carcinoma a grandi cellule (incidenza 10%)
- Adenocarcinoma (incidenza 50%)
Il trattamento del carcinoma polmonare comporta tre opzioni terapeutiche: chirurgia, radioterapia e chemioterapia, usate singolarmente o in varie combinazioni temporali.
STADIAZIONE
La stadiazione del cancro al polmone permette di identificare gruppi di pazienti con caratteristiche cliniche omogenee, che possono essere trattati con terapie assimilabili e che hanno prognosi simile.
Stadiazione clinica (C.F. Mountain, 1997)
FATTORE T
Elementi relativi alla neoplasia primitiva.
T1
Neoplasia con diametro massimo di 3 cm, circondata da polmone o pleura viscerale sani, senza evidenza broncoscopica di invasione prossimale del bronco lobare.
T2
Neoplasia con diametro massimo di 3 cm che infiltra il bronco principale ad oltre 2 cm della carena; che affiora alla pleura viscerale; associata ad atelettasia lobare o lobite ostruttiva.
T3
Neoplasia di qualsiasi dimensione che invade la parete toracica e/o diaframma, pleura parietale, tessuto adiposo del mediastino, pericardio parietale; che infiltra il bronco principale a meno di due cm. dalla carena (non coinvolta)
T4
Neoplasia di qualsiasi dimensione che invade organi o strutture mediastiniche (cuore, grossi vai, carena, trachea, esofago, corpi vertebrali); che presenta versamento neoplastico pleurico o pericardico; che presenta moduli satelliti nel lobo interessato dal tumore primitivo.
FATTORE N
Eventuale interessamento dei linfonodi loco regionale.
NO assenza di metastasi linfonodali.
N1 metastasi a linfonodali peribronchiali e/o ilari omolaterali.
N2 metastasi a linfonodi mediastinici omolaterali e/o caranli.
N3 metastasi a linfonodi mediastinici e/o ilari controlaterali, sovraclaveari o scaleni
FATTORE M
Possibile metastasi a distanza.
MO assenza di metastasi a distanza.
M presenza di metastasi a distanza.
Un altro paramentro significativo è il grado di aggressività del tumore o grado di differenzazione cellulare della neoplasia (G) che va da 1 a 4.
QUADRO CLINICO
Il tumore del polmone può essere asintomatico (6% dei casi), oppure presentarsi con:
- Sintomatologia generale.
Sintomi legati alla crescita del tumore.
Tosse, emottisi, dolori (toracico, nel tumore di Pancoast: alla spalla ed al braccio), sintomi da polmonite, dispnea, versamento pleurico, sintomi da ascesso polmonare (tumore squamoso cavitario), sindrome di Horner (miosi omolaterale, ptosi, anidrosi).
- Sintomatologia regionale.
Sintomi associati all’estensione del tumore primario ed all’invasione extracapsulare di metastasi linfonodali.
Disfonia (paralisi del nervo laringeo), dispnea (paralisi del nervo frenico), disfagia (compressione, invasione dell’esofago), sindrome della vena cava superiore (compressione o invasione della Vena Cava Superiore), segni di tamponamento pericardico (polso paradosso, turgore delle giugulari, tachicardia, sfregamento pericardio, toni parafonici).
- Sintomatologia sistemica.
Sintomi secondari alla presenza di metastasi ed al loro trattamento.
Ittero, dolore addominale, dolori ossei, fratture patologiche, deficit neurologici, calo ponderale, astenia, anoressia.
- Sindromi paraneoplastiche.
Cardiovascolari: tromboflebiti, endocardite trombotica non batterica. Neuromuscolari: degenerazione cerebellare subacuta, demenza, encefalite libica, retimopatia, miopatia necrotica subacuta, neuropatia vegetativa (associata in genere al carcinoma polmonare a piccole cellule), sindrome miastenia. Gastrointestinali: sindrome da carcinoide (carcinoma a piccole cellule). Anoressia e cachessia. Ematologiche: eritrocitosi, leucocitosi. Metaboliche: inappropriata secrezione di ADH (carcinoma a piccole cellule), inappropriata secrezione di ACTH (carcinoma a piccole cellule), ipercalcemia (carcinoma epidermide). Osteoartropatia polmonare ipertrofica Dermatologiche: acantosi nigricans, dermatomiosite.
DIFFUSIONE
Il carcinoma del polmone può diffondere per :
- Via diretta
Invasione della pleura viscerale e parietale, dei grossi vasi, del pericardio, del diaframma, della parete toracica e della colonna vertebrale.
- Via linfatica
Metastatizzazione dei linfonodi prossimali alla sede di insorgenza (peribronchiali ed ilari) e, successivamente, di quelli posti più distalmente (paratracheali, tracheobronchiali, della loggia di Barety, subcarenali; tracheobronchiali, della finestra aortica e mediastinici anteriori).
- Via ematica
Metastatizzazione a distanza di qualsiasi organo.
DIAGNOSI
Per una corretta valutazione diagnostica sono fondamentali un’accurata anamnesi ed un corretto esame obiettivo del paziente che va condotto sull’intero distretto corporeo.
E’ fondamentale valutare anche lo stato di validità (Performance status), lo stato nutrizionale (presenza di perdita di peso, anoressia e cachessia) e lo stato mentale del paziente (presenza di depressione).
Diagnostica di laboratorio
Per valutare le condizioni generali e metaboliche del paziente:
- Esame emocromocitometrico (emoglobina e di globuli rossi).
- Esami di funzionalità epatica.
- Esami di funzionalità renale.
- Determinazione del calcio e del fosforo (secrezione di paratormone).
Per escludere la presenza di patologia cardiaca in atto:
- Esame elettrocardiografico.
Per confermare la diagnosi di malignità:
- Esame citologico dell'espettorato.
Diagnostica per immagini
- Radiografia del torace
Importante per localizzare e caratterizzare masse polmonari e per stabilire la presenza di metastasi linfonodali ilari e mediastiniche.
Consente, inoltre, di valutare:
- atelectasia (mancata o imperfetta dilatazione degli alveoli) per ostruzione bronchiale.
- innalzamento del diaframma in caso di paralisi del nervo frenico.
- obliterazione del seno costofrenico in caso di versamento pleurico.
In genere la crescita rapida delle dimensioni di un nodulo, con assenza di calcificazione, in soggetti fumatori di età superiore ai 40 anni depone per la natura maligna della lesione.
- Tomografia assiale computerizzata (TAC)
Indispensabile per:
- escludere la presenza di masse benigne.
- evidenziare e localizzare masse sospette
- valutare la presenza di linfonodi metastatici a carico del mediastino
- documentare il coinvolgimento del corpo vertebrale nei carcinomi del solco superiore.
Inoltre è opportuno praticare la TAC addominopelvica per valutare la presenza di metastasi a carico del fegato, surrene, linfonodi sottodiaframmatici.
Infine la TAC dell’encefalo consente di evidenziare la presenza di malattia metastatica a carico del Sistema Nervoso Centrale.
- Tac Pet
Un unico macchinario che eseguire contemporaneamente la Tac, che utilizza i raggi X per ricostruire l'interno del corpo in tre dimensioni, e la Pet, che legge l'attività metabolica delle cellule, evidenziando quelle tumorali.
Efficace in particolare per la diagnosi del cancro del polmone e del colon-retto, dei linfomi e dei melanomi.
- Risonanza Magnetica Nucleare
Utile per avere informazioni sovrapponibili a quelle otenibili con la TAC.
Maggiore specificità della TAC per ottenere informazioni della regione ilare polmonare e dell’encefalo.
- Scintigrafia
Esame diagnostico di strutture e organi basato sulla somministrazione, per via endovenosa, di isotopi radioattivi instabili, che disintegrandosi emettono radiazioni gamma, trasformate in segnali grafici da appositi strumenti di rilevazione.
Scintigrafia polmonare
Identifica la presenza del microcitoma e di localizzazioni linfonodali metastatiche a carico di linfonodi mediastinici ed ilari.
Scintigrafia ossea
Serve per valutare l’estensione di una malattia a carico delle ossa.
Diagnostica di tipo invasivo
- Broncoscopia a fibre ottiche
Esame endoscopico della trachea e dei grossi bronchi per la tipizzazione istologica della lesione primitiva bronchiale, fatta eccezione per le lesioni periferiche.
Tale esame consente la diagnosi di malignità nel 90% delle lesioni visibili, nel 60% delle lesioni peroferiche ed in meno del 30% dei casi quando la lesione ha dimensioni inferiori ai 2 cm.
- Toracoscopia
Esame per via endoscopica dello spazio pleurico dopo induzione di pneumotorace.
La toracoscopia stabilisce una diagnosi in quasi metà dei pazienti con versamenti maligni non diagnosticati dall'esame citologico e dalla biopsia pleurica.
La procedura può essere usata anche per instillare talco o altri agenti sclerosanti o chemioterapici nella cavità pleurica in modo diretto o diffuso.
- Agoaspirato toracico percutaneo
Questa procedura è espletata per ottenere campioni citologici da lesioni polmonari e del mediastino, specialmente da noduli periferici intraparenchimali e della cavità pleurica.
Una diagnosi di solito si ottiene in > 90% dei pazienti con tumori maligni e in > 85% con patologie benigne.
- Agobiopsia con ago sottile per via transtoracica
Utile per le lesioni periferiche o addossate alla parete toracica, con negatività dell’esame citologico dell’espettorarto.
Ha un’accuratezza superiore al 95% ma nel 20% dei casi può causare pneumotorace.
L’agobiopsia con ago sottile è inoltre indicata in presenza di lesioni palpabili come nel caso del linfonodo prescalenico, allo scopo di documentare l’eventuale presenza di metastasi.
- Mediastinoscopia
Esame endoscopico del mediastino che permette la visualizzazione e la biopsia dei linfonodi: paratracheali, tracheobronchiali e subcarenali anteriori.
- Mediastinotomia anteriore parasternale
Ingresso chirurgico nel mediastino attraverso un incisione fatta attraverso il 2° spazio intercostale a sinistra adiacente allo sterno. Procedura indicata nei tumori del lobo superiore di sinistra per eslcudere la presenza di linfonodi metastatici a carico del mediastino di sinistra, dell’ilo e della finestra aortopolmonare (linfonodi subartici e laterali aortici)
- Biopsia osteomidollare
Consigliata da molti nel carcinoma polmonare a piccole cellule, ma risulta positiva solo nel 10-15% dei casi, in assenza di sintomatologia clinica sospetta per localizzazione ossea.
TERAPIA CHIRURGICA DEL CARCINOMA POLMONARE
La terapia chirurgica rappresenta l’unico intervento terapeutico radicale per i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule.
Indicazioni per l’effettuazione della terapia chirurgica sono:
- Pazienti con neoplasia in stadio 1. In questi casi si ottiene una percentuale di guarigione del 60-80%dei casi trattati.
- Pazienti con malattia in stadio 3 A senza metastasi ai linfonodi mediastinici o sottocarenali.
In genere la terapia chirurgica viene effettuata in quei pazienti che hanno una riserva polmonare sufficiente a compensare la perdita di parenchima conseguente alla resezione.
L’intervento chirurgico è condizionato da:
- Età del paziente
- Performance status
- Estensione del tumore primitivo
- Coinvolgimento di organi vicini (pericardio, trachea, diaframma, parete toracica).
Purtroppo solo nella metà dei pazienti dove si fa diagnosi, la chirurgia è praticabile. Esistono infatti contro indicazioni legate alla neoplasia non risolvibili (infiltrazioni loco regionali di strutture vitali) o legate al paziente (condizioni generali, cardiache e respiratorie) che non permettono un exeresi (asportazione chirurgica, totale o parziale, di un organo) polmonare o anche l’anestesia generale.
Criteri di inoperabilità:
- Metastasi a distanza
- Coinvolgimento della trachea o del bronco controlaterale
- Metastasi linfatico mediastinici
- Ostruzione vena cava superiore
- Versamento pleurico con presenza di cellule neoplastiche
- Paralisi ricorrenziale
- Microcitoma (tranne T1N0)
Fino agli anni 50 l’intervento di elezione è stato la pneumectomia.
Oggi l’entità della resezione è:
- Pneumonectomia di necessità
Quando il tumore è asportabile solo sacrificando tutto il polmone.
- Lobectomia
In tutte le altre resezioni.
Questa terapia viene effettuata quando la neoplasia interessa un solo lobo con margine sano del bronco prossimale di almeno 1 cm ed in assenza di metastasi linfonodali a distanza.
Quando il lobo principale è interessato dal tumore, come succede per i tumori del lobo superiore, viene effettuata la resezione segmentaria di un bronco principale con ricostruzione della continuità tracheobronchiale.
- Resezioni limitate
Solo quando precarie condizioni funzionali consigliano un risparmio di parenchima polmonare.
La linfoadenectomia è sempre da eseguire per una finalità fondamentalmente prognostica: Sapere quanto è più possibile con precisione il vero stadio della neoplasia che si è asportato.
La linfoadenectomia porta anche all’asportazione di tessuto neoplastico, la dove i linfonodi siano interessati da metastasi e quindi le terapie successive di appoggio chemioterapico e radioterapico avranno possibilità di maggior efficacia.
La resecabilità del carcinoma polmonare è più elevata nel carcinoma epidermoide (48%), seguito dal carcinoma a grandi cellule (40%) e dall’adenocarcinoma (30%).
Controllo post-operatorio del paziente
Il paziente viene controllato con una visita clinica che determini il suo attuale performance
status e con i seguenti esami:
- radiografia del torace,
- TAC total-body,
- broncoscopia,
- scintigrafia ossea,
- esami ematochimici di routine comprensivi dei markers tumorali.
In caso di necessità si valuta la funzione respiratoria.
RADIOTERAPIA NEL CARCINOMA POLMONARE NON A PICCOLE CELLULE
La radioterapia è una terapia radiologica basata sull’uso di raggi alfa, beta, gamma e X nella cura di alcune malattie. Nel carcinoma polmonare non a piccole cellule può essere utilizzata come:
- Terapia con intento radicale
Negli stadi 1 e 2 in pazienti che rifiutano o che non possono sostenere l’intervento chirurgico.
Oppure nello stadio 3 con metastasi linfonodali.
- Radioterapia preoperatoria
Viene eseguita in tumori non operabili con lo scopo di ridurne il volume e renderli operabili.
- Radioterapia postoperatoria.
Iniziata a 2 settimane dall’intervento chirurgico per ridurre il rischio di recidive locali dopo interventi apparentemente radicali, in assenza di interessamento linfonodale, o dopo interventi non radicali con residuo postoperatorio.
- Radioterapia palliativa.
Impiegata nei casi di metastasi intratoraciche, intracraniche, scheletriche, cerebrali e nella sindrome della vene cava superiore.
CHEMIOTERAPIA
- Chemioterapia neoadiuvante
Tale tipo di trattamento viene utilizzato negli stadi localmente avanzati (Stadio 3A N2), associata o meno alla radioterapia, allo scopo di:
- Rendere asportabile la neoplasia.
- Ridurre il rischio di recidive.
- Garantire protezione contro le micrometastasi.
- Chemioterapia adiuvante
Viene utilizzata a causa dell’alta incidenza di recidiva, sia locale (20-40%) che a distanza (60-80%), dopo chirurgia radicale.
- Chemioterapia per la malattia avanzata
Nel 35 % dei casi di carcinoma polmonare non a piccole cellule la diagnosi viene posta quando la malattia è in fase avanzata, con una sopravvivenza a 5 anni.
Patologie del Colon retto
CENNI ANATOMICI
Il colon e il retto rappresentano il cosiddetto “grosso intestino”, parte terminale del tratto gastro-intestinale; il colon misura oltre un metro, il retto, parte del grosso intestino che termina nell’ano, è lungo circa 15 centimetri.
Questo tratto di intestino va dalla valvola ileocecale alla giunzione retto-sigmoidea ed è diviso in 8 regioni anatomiche:
- cieco,
- colon ascendente,
- flessura epatica,
- colon trasverso,
- flessura splenica,
- colon discendente,
- colon sigmoideo
Il cieco rappresenta la porzione a diametro maggiore ed è situato in corrispondenza della fossa iliaca destra: alla sua estremità c’è l'appendice cecale.
La vascolarizzazione arteriosa del colon è fornita da 2 arterie principali, in comunicazione attraverso un'arcata vascolare paracolica (di Riolano):
- Rami dell'arteria mesenterica superiore:
(colon destro fino al trasverso)
- arteria colica media.
- arteria colica destra.
- arteria ileocolica.
- Rami dell'arteria mesenterica inferiore:
(colon sinistro fino al sigma)
- la colica sinistra
- le arterie sigmoidee (in numero di due o tre).
A livello della piccola pelvi, l'arteria mesenterica inferiore assume il nome di arteria rettale o arteria emorroidaria superiore e da essa nascono le arterie rettosigmoidee.
PATOLOGIE DEL COLON-RETTO
Malattia diverticolare
Estrusioni sacciformi acquisite di mucosa attraverso lo strato muscolare del tratto Gastro Interico che causano dei sintomi dovuti all'intrappolamento delle feci, alla comparsa di infezione, al sanguinamento o alla perforazione.
Malattie infiammatorie croniche:
- Rettocolite ulcerosa
Patologia cronica infiammatoria della mucosa colica che riguarda nella maggioranza dei casi il retto e la parte discendente del colon.
- Morbo di Crohn
Patologia cronica infiammatoria dell'apparato digerente.
L’infiammazione coinvolge tutta la parete del tratto interessato e spesso si estende al vicino mesentere e ai linfonodi. Frequentemente interessa il tratto terminale dell'ileo e il colon.
Neoplasie
- Benigne
polipi (tumore sotto forma di escrescenza carnosa sessile o peduncolata che sporge sulla mucosa), adenoma (tumore epiteliale benigno)
- Maligne
carcinomi (tumore maligno dei tessuti epiteliali)
Vascolari
- angiodisplasie
(malformazioni congenite che possono coinvolgere il sistema arterioso, venoso e linfatico).
- infarto
(necrosi ischemica di un tessuto per interruzione o grave riduzione del flusso sanguigno arterioso).
- emangioma
(tumore benigno dovuto ad anomalie di sviluppo dei vasi sanguigni).
PATOLOGIE DEL RETTO-ANO
Emorroidi
Dilatazione varicosa delle vene emorroidarie spesso complicate da infezione, trombosi e sanguinamento.
Ragade anale
Ulcerazione singola o multipla che tende alla cronicizzazione e causa l’ipertonia dello sfintere anale interno.
Fistole e Ascessi perianali
Una raccolta di pus localizzata che deriva dall'invasione batterica degli spazi pararettali, a partenza da uno spazio intermuscolare (intersfinterico) in cui penetra una cripta anale.
Le fistole (Canale di forma tubulare che si apre da una parte nel canale anale e dall'altra, solitamente, nella cute perianale), di solito, si formano spontaneamente o sono secondarie al drenaggio di un ascesso perianale. Le cause predisponenti comprendono anche il morbo di Crohn e la TBC.
Rettocele
Protrusione o prolasso della parete posteriore della vagina sotto la spinta del retto, attraverso tessuti perineali rilasciati o comunque lesi.
Neoplasie
NEOPLASIA DEL COLON RETTO
Fra le neoplasie del grosso intestino, il carcinoma (forma più comune), origina dalla mucosa (la parte interna dell’intestino), spesso per trasformazione maligna di polipi benigni, e si sviluppa infiltrando la parete dell’intestino.
Inoltre le cellule neoplastiche possono diffondersi attraverso i vasi linfatici o sanguigni ad altri organi o tessuti vicini, quali i linfonodi, o le ghiandole linfatiche, il peritoneo, il fegato o i polmoni.
La sede del carcinoma è importante sia per il trattamento che per la prognosi. In particolare il trattamento dei carcinomi del retto comporta il rischio di una colostomia permanente, soprattutto se situati molto vicini all’ano.
La malattia è localizzata al colon o al retto con una frequenza maggiore nelle aree:
- del colon discendente e del sigma (44%)
- del cieco e del colon ascendente (27%)
Per quanto riguarda la prognosi i carcinomi del retto si distinguono da quelli localizzati al colon per un maggior rischio di recidiva locale (pelvica).
Il cancro del colon e del retto si diffonde:
- per estensione diretta attraverso la parete intestinale,
- per via ematica con metastasi a distanza,
- per via linfatica con metastasi ai linfonodi,
- per diffusione perineurale,
- per via intraluminale.
Il tumore può essere di tipo:
- ULCERATO,
- POLIPOIDE o VEGETANTE,
- STENOSANTE,
- DIFFUSAMENTE INFILTRANTE.
Classificazione istologica
- Tumori epiteliali
le forme benigne sono rappresentate principalmente dal polipo adenomatoso e dalla poliposi familiare; tra le forme maligne il più frequente è l'adenocarcinoma (circa l'85% di tutti i tumori maligni del colon; il grado di malignità è legato al grado di differenziazione delle cellule neoplastiche), quindi l'adenocarcinoma mucinoso, il carcinoma epidermoide e il carcinoma indifferenziato.
- Tumori non epiteliali
le forme benigne sono essenzialmente il leiomioma (tumore benigno della muscolatura liscia), il lipoma (tumore benigno derivato dal tessuto adiposo) e l'angioma (neoplasia benigna dovuta ad anomalie di sviluppo dei vasi sanguigni); il leiomiosarcoma rappresenta la forma maligna del tumore della fibra muscolare liscia.
- Tumori carcinoidi (rari tumori a basso grado di malignità, derivati da cellule di derivazione neuroendocrina situate nell’intestino).
- Linfomi primitivi.
- Lesioni pseudotumorali
amartomi (poliposi di Peutz-Jeghers: poliposi familiare, anche del tenue, associata a pigmentazione a macchie melaniche del viso e della bocca); il polipo iperplastico ed il polipo infiammatorio.
Epidemiologia ed eziologia
Il cancro colorettale è la più frequente causa di morte tra le neoplasie maligne viscerali per entrambi i sessi (il carcinoma del retto per gli uomini e quello del colon per le donne).
La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiunge il picco massimo verso gli 80 anni.
Nelle seguenti situazioni si riscontra un rischio aumentato di neoplasia del colon-retto:
- Polipi
l’asportazione precoce dei polipi benigni è importante per prevenire il carcinoma.
- Familiarità
i parenti di primo grado di una persona con carcinoma del colon-retto hanno un rischio aumentato di sviluppare la malattia. Il rischio è ancora più elevato se a più membri della stessa famiglia è stata diagnosticata la neoplasia (carcinoma familiare del colon).
- Poliposi familiare
malattia ereditaria in cui centinaia di polipi benigni si sviluppano nel colon e nel retto.
- Rettocolite ulcerosa
malattia infiammatoria cronica dell’intestino.
- Dieta
un regime dietetico ricco in grassi e povero di vegetali e frutta sembra aumentare il rischio di sviluppare la malattia.
- Età
il rischio aumenta con l’avanzare dell’età.
- Altri fattori di rischio sembrano essere il pH alcalino delle feci, la carenza di calcio.
Segni e sintomi
- Sangue nelle feci
- Tenesmo
(contrazione involontaria, a volte dolorosa, dello sfintere anale, associata al continuo bisogno di espellere feci)
- Dolore locale
- Segni di ostruzione
- Massa palpabile alla esplorazione rettale
- Disturbi da infiltrazione
Diagnosi
Gli esami diagnostici hanno l’obiettivo di scoprire la presenza del tumore e di verificare lo stadio della malattia e l’eventuale interessamento di altri organi.
La diagnosi viene formulata mediante:
- Esame clinico
Palpazione dell'addome alla ricerca di eventuali masse a livello dell'intestino, del fegato e dei linfonodi, e nell'esplorazione rettale (circa il 70 per cento dei tumori del retto si sente con le dita).
- Indagini strumentali
Permettono di diagnosticare il tumore e di eseguirne la stadiazione.
Colonscopia
L'esame «gold standard» per la diagnosi delle neoplasie colo-rettali che grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l'analisi istologica, ovvero l'esame del tessuto. In caso di impossibilità ad eseguire un esame completo può essere eseguita una rettosigmoidoscopia facendo seguire un Rx clisma opaco a doppio mdc.
Clisma opaco a doppio contrasto e l'ecografia transrettale
Quando la lesione ha raggiunto una grandezza superiore a un centimetro. Utile anche per definire, in fase preoperatoria, il grado di infiltrazione del tumore nella parete dell'intestino. L'ecografia fornisce anche indicazioni sullo stato dei linfonodi più vicini.
TAC addome con mezzo di contrasto
Permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell'addome.
Per identificare l'esistenza di metastasi a distanza:
- radiografia del torace (o una TAC torace, se indicata), - ecografia epatica, - scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. - risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni).
È anche possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcino-embrionario): questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità della malattia, in quanto la concentrazione è direttamente collegata all'estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Oltre al CEA viene utilizzato anche un altro marcatore, il CA 19.9 detto anche GIKA.
Stadio della malattia
E’ molto utile valutare lo stadio della malattia ai fini della terapia e della prognosi. La valutazione si basa sia sugli accertamenti sopra-elencati che sulle risultanze dell’esame istologico (esame sul pezzo asportato che viene fatto dopo l’intervento chirurgico).
Per il tumore del colon-retto esistono diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i diversi medici concordano ma la più usata resta comunque quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi) e al sistema Astler e Coler.
STADIO I
Sistema TNM:
T1=Tumore che infiltra la sottomucosa
T2=Tumore che infiltra la muscolare propria
Sistema Astler e Coler:
A=Tumore che infiltra la parete fino alla sottomucosa - linfonodi indenni
B1=Tumore che infiltra la parete fino alla muscolare - linfonodi indenni
STADIO II
Sistema TNM:
T3=Tumore che infiltra la sottosierosa o il tessuto perirettale
T4=Tumore che infiltra direttamente altre strutture o organi e/o perfora il peritoneo viscerale
Sistema Astler e Coler:
B2=Tumore che infiltra la parete fino alla sierosa - linfonodi indenni
B3=Tumore che infiltra altri organi o strutture - linfonodi indenni
STADIO III
Sistema TNM:
N1=Metastasi in 1-3 linfonodi loco-regionali
N2=Metastasi in + di 4 linfonodi loco-regionali
N3=Metastasi in qualsiasi linfonodo prelevato lungo il decorso di un tronco vascolare e/o in un linfonodo apicale
Sistema Astler e Coler:
C1=Interessamento linfonodale prossimale indipendente dall’invasione tumorale
C2=Interessamento linfonodale distale indipendente dall’invasione tumorale
C3=Interessamento linfonodale apicale indipendente dall’invasione tumorale
STADIO IV
Sistema TNM:
M1=Presenza di metastasi a distanza
Sistema Astler e Coler:
D=Metastasi a distanza
Terapia
Il trattamento dipende dalla:
- localizzazione della malattia (al retto o al colon)
- estensione della malattia (stadio),
- condizione generale e dall’età del paziente
Chirurgia
Sulla base della posizione del tumore si procederà intervento parziale o, nei casi più gravi, con la totale asportazione del tratto di colon interessato o del retto.
L'interventio comporta la rimozione del tumore intatto con margini di resezione esenti da infiltrazione neoplastica. Per tumori infiltranti organi vicini, questi devono essere rimossi in blocco con la neoplasia. La sezione deve distare almeno 2 cm dal tumore e la legatura dei vasi deve avvenire all'origine.
Deve essere eseguita una adeguata dissezione linfonodale regionale con conferma della radicalità dell'intervento derivante dal giudizio operatorio e dall'esame istologico.
Oggi, la chirurgia del carcinoma del retto si è fatta sempre più conservativa:
Solo nei pazienti molto anziani o ad alto rischio si procede alla creazione della cosiddetta stomia (ovvero all'apertura dell'intestino sulla parete addominale con la creazione del cosiddetto ano artificiale, ovvero un'apertura che consenta di raccogliere le feci con appositi presidi).
In questo caso assume un ruolo fondamentale la riabilitazione sia fisica sia psicologica dei pazienti portatori di stomia. La radioterapia preoperatoria può, in casi selezionati, ridurre il volume e l'estensione tumorale, permettendo quindi interventi chirurgici che conservano l'orifizio anale naturale.
Un altro intervento, attuato in casi selezionati, è la resezione di eventuali metastasi al fegato. Quando si procede all'asportazione del retto è possibile, in alcuni casi, creare una tasca con un altro tratto di intestino, in modo da consentire al paziente di eliminare le feci per via naturale: ciò è fattibile solo se il cancro non ha coinvolto lo sfintere anale.
ASPORTAZIONE ENDOSCOPICA
L’asportazione endoscopica viene fatta durante la rettoscopia o la colonscopia.
É la procedura più adeguata per l’asportazione di polipi benigni di piccole dimensioni. Può essere considerata un trattamento adeguato anche per polipi che presentino una iniziale trasformazione maligna superficiale. L’asportazione endoscopica è anche indicata nel trattamento di neoplasie del retto in stadio I (alposto di un intervento chirurgico più complesso).
INTERVENTI DEL COLON
Emicolectomie (asportazione parziale del colon) - Resezioni multiviscerali o segmentarie
Il chirurgo in genere rimuove un tratto del grosso intestino (emicolectomia destra o sinistra, resezione del sigma-retto) ricongiungendo le parti sane dell’intestino con una procedura che si chiama anastomosi. Solo nei casi di poliposi multipla o di neoplasie multifocali, cioè
quando più segmenti del grosso intestino sono interessati da polipi o neoplasie, vi è indicazione all’asportazione dell’intero colon (colectomia totale). Unitamente al tratto di intestino in cui ha sede la neoplasia, il chirurgo rimuove i linfonodi vicini per una più precisa valutazione
dello stadio della malattia.
In situazioni particolari (esempio interventi d’urgenzaper occlusione o perforazione o neoplasie del retto) il chirurgo può essere costretto a praticare una colostomia che può essere:
- transitoria (eliminabile dopo poche settimane o mesi con un secondo piccolo intervento);
- permanente (nel caso di neoplasie localizzate nel retto a pochissimi centimetri dall’ano).
Intervento localizzato al:
- cieco, colon ascendente e fino alla flessura epatica
Emicolectomia destra con legatura dei vasi Ileocolica, colica dx e del ramo dx della colica media all'origine; può essere allargata + al trasverso con legatura dei vv. colici medi.
- colon traverso:
Trasversectomia con legatura del ramo superiore della colica destra e di tutta la colica media; in alternativa c'è un crescente consenso ad eseguire emicolectomie destre estese.
-flessura splenica ed al colon discendente
Emicolectomia sinistra con legatura all'origine dell'arteria colica sinistra e della vena mesenterica inferiore.
- colon sigmoideo
Colectomia sinistra con legatura all'origine dell'arteria e vena mesenterica inferiore. Tumori colo-rettali sincroni possono imporre interventi più estesi sino alla colectomia (sub) totale. Nelle donne in menopausa e nelle forme del discendente-sigma T3 si può eseguire l'ovariectomia bilaterale profilattica.
INTERVENTI DEL RETTO
1) Interventi locali per via transanale:
-Chirurgica classica
-TEM (Transanal Endoscopic Microsurgery)
-Elettrocoagulazione
-Fotocoagulazione Laser
2) Interventi per via addominale o addomino-perineale
Resezione del retto per via anteriore (RAR)
Amputazione del retto per via Addomino – Perineale (AAP) secondo Miles
Amputazione del retto secondo Hartmann
Estensione dell’exeresi
a) sull’organo (vescica, utero, vagina,…)
b) sul mesoretto
c) linfoadenectomia
3) Interventi Allargati
Exenteratio pelvica anteriore, posteriore o totale, tipo I,II,III
4) Radioterapia
RT esterna, RT endocavitaria
Radio-Chemioterapia Adiuvante
Radio-Chemioterapia neoadiuvante
Gli interventi al retto differiscono in base alla posizione della neoplasia nel retto, il cui limite prossimale è a 15 cm dal margine anale.
- Per neoplasie tra 15 e 10 cm dal margine anale
Proctectomia sub-totale con TME (Total Mesorectal Excision) e con anastomosi colo-rettale (LAR – Low Anterior Resection) con legatura dei vasi mesenterici inferiori.
- Per neoplasie tra 10 e 5 cm dal margine anale
Proctectomia sub-totale o totale con TME e legatura all'origine dei vasi mesenterici inferiori.
- Per neoplasie a meno di 5 cm dal margine anale
Proctectomia totale con anastomosi colo-anale (CAA, Colo-Anal Anastomosis) e con legatura all'origine dei vasi mesenterici inferiori.
- Per neoplasie del canale anale
Amputazione addomino-perineale con confezionamento di colostomia definitiva (APR, Abdomino-Perineal Resection).
Chemioterapia
Consiste nella somministrazione di farmaci aventi lo scopo di distruggere le cellule tumorali.
In genere i farmaci vengono somministrati in day hospital per iniezione endovena tramite siringa (bolo), fleboclisi di durata variabile da 10-15’ alle 2-3 ore, o pompe per infusione continua (dalle 22 ore fino a 7 giorni); meno frequentemente la chemioterapia viene somministrata per via orale.
Nel caso di infusioni continue, al fine di non danneggiare eccessivamente le vene degli avambracci, e per maggiore praticità d’uso, può esserle proposto il posizionamento di un catetere venoso centrale (un sottile tubo collocato in una grossa vena) collegato ad un piccolo serbatoio sottocutaneo nella regione pettorale (Port).
Questo intervento viene in genere effettuato dal chirurgo in day hospital, in anestesia locale.
La chemioterapia può avere scopi diversi in base alla fase della malattia:
- In una fase precedente l’intervento chirurgico
Chemioterapia neoadiuvante
In determinati casi può essere vantaggioso impiegare una chemioterapia prima dell’intervento chirurgico radicale. E’ il caso del carcinoma del retto, in cui la chemioterapia può essere associata alla radioterapia o in casi particolari di metastasi epatiche o polmonari.
- Dopo un intervento chirurgico radicale
Chemioterapia adiuvante o precauzionale
Viene in genere proposta entro 4-8 settimane dall’intervento chirurgico radicale con lo scopo di
eliminare eventuali cellule “sfuggite” dalla sede di origine prima o durante l’intervento chirurgico. La sua durata è in genere di 6 mesi.
L’obiettivo della chemioterapia adiuvante è quello di ridurre il rischio di recidiva neoplastica (locale o a distanza) dopo un intervento apparentemente radicale. Nel carcinoma del colon-retto in stadio III la chemioterapia adiuvante ha dimostrato di poter diminuire del 30% la probabilità di recidiva. Nello stadio II il consiglio ad effettuare una chemioterapia adiuvante si basa su varie considerazioni che le verranno illustrate dall’Oncologo (nello stadio I, essendo il rischio di recidiva molto basso, non vi è indicazione a chemioterapia adiuvante).
- In una condizione di malattia avanzata
Chemioterapia palliativa per malattia avanzata.
In situazioni di malattia estesa, non suscettibile di un intervento chirurgico radicale, gli obiettivi della chemioterapia sono i seguenti:
- Attenuare i sintomi della malattia, migliorando la qualità di vita
- Controllare la crescita della neoplasia
- Tentare di rendere operabili situazioni che inizialmente non lo sono
La durata della chemioterapia in fase di malattia avanzata non è sempre preventivabile; spesso è condizionata dalla tolleranza e dalla risposta della malattia che verrà periodicamente valutata con
opportuni controlli clinici. A seconda della tolleranza e della risposta le possono essere proposti schemi chemioterapici diversi.
Gli effetti collaterali della chemioterapia dipendono sia dagli specifici farmaci utilizzati e dalla loro dose, che dalla “suscettibilità” di ogni singolo individuo. Possono risentire degli effetti della chemioterapia le cellule prodotte dal midollo osseo (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine), le mucose della bocca e dell’intestino, i capelli e la cute.
Terapie locoregionali
In certi casi il fegato può essere l’unica sede di malattia. Le terapie locoregionali hanno il vantaggio di associare una maggiore efficacia nella sede della neoplasia (fegato) con una ridotta tossicità a carico di altri organi.
Le terapie locoregionali danno prevalentemente effetti collaterali a carico dell’organo interessato (in genere il fegato) o degli organi vicini.
I tipi di terapia locoregionale maggiormente in uso:
- Chemioterapia intrarteriosa
somministrazione di farmaci anti-tumorali direttamente nell’arteria che porta il sangue al fegato, attraverso un catetere collegato ad un serbatoio sottocutaneo (Port).
La chemioterapia intrarteriosa epatica può dare danni tossici a carico del fegato o delle vie biliari (ittero), dello stomaco (ulcere) o del pancreas (pancreatite).
- Termoablazione con radiofrequenza
procedura attraverso la quale si può ottenere la distruzione con il calore di uno o più noduli tumorali nel fegato, mediante un generatore di radiofrequenza che viene collegato con speciali “aghi” inseriti all’interno del nodulo da trattare sotto guida ecografica.
La termoablazione con radiofrequenza normalmente causa un dolore di intensità variabile soltanto durante il trattamento.
- Chemioembolizzazione
procedura effettuata mediante angiografia (studio radiologico dei vasi sanguigni mediante sottili cateteri inseriti in genere dall’arteria femorale) che ha il duplice scopo di somministrare farmaci antitumorali nel fegato e nel contempo di causare un temporaneo blocco della vascolarizzazione del tumore (ischemia).
La chemioembolizzazione può dare danni tossici a carico del fegato o delle vie biliari (ittero), dello stomaco (ulcere) o del pancreas (pancreatite). Inoltre sono frequenti effetti tossici acuti del trattamento, quali febbre, dolore e vomito.
Radioterapia
La radioterapia o terapia radiante, consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali.
E' una terapia locale, impiegata nel carcinoma del retto, in quanto situato in un’area ben precisa (la pelvi).
Nel carcinoma del retto la radioterapia viene impiegata sempre più frequentemente in fase pre-operatoria o neoadiuvante, spesso in associazione alla chemioterapia, con il fine di ridurre il volume della neoplasia favorendo in tal modo la radicalità dell’intervento e la possibilità di salvaguardare lo sfintere anale (e ridurre pertanto il rischio di dover effettuare una colostomia permanente).
Se non effettuata in fase pre-operatoria la radioterapia può essere comunque praticata in fase post-operatoria o in caso di recidiva pelvica di un carcinoma del retto.
In fasi di malattia avanzata, non operabile, la radioterapia può avere un ruolo palliativo (sia nel carcinoma del retto che del colon) e controllare i sintomi da compressione o infiltrazione neoplastica (esempio il dolore da metastasi ossea).
La radioterapia, solitamente impiegata nel trattamento del carcinoma del retto, causa comunemente disturbi transitori anche sui tessuti sani dell’area trattata (pelvi).
I disturbi più comuni nel corso del trattamento radiante sono pertanto rappresentati da diarrea, tenesmo (stimolo continuo alla defecazione), infiammazione e bruciore all’ano, ai genitali e alla vescica (cistite).
Controlli di follow-up
I controlli che le verranno consigliati dopo un intervento per carcinoma del colon-retto hanno lo scopo di poter diagnosticare precocemente eventuali recidive della malattia a livello locale (colon o retto) o a distanza (addome, fegato, polmoni in particolare) o nuove neoplasie intestinali (esempio polipi benigni).
Gli esami consigliati, in base allo stadio della malattia, ai sintomi clinici e al tempo di intervallo dall’intervento, sono:
- esami del sangue (marcatori tumorali: CEA e CA19.9),
- colonscopia,
- ecografia epatica,
- Rx torace.
Nel follow-up del carcinoma del retto sono utili anche TAC addomino-pelvica ed ecografia trans-
rettale. Altri esami possono esserle consigliati per eventuali approfondimenti diagnostici.
Shock
Sindrome caratterizzata da un’insufficienza circolatoria periferica, che comporta riduzione del flusso ematico e conseguente anossia tissutale.
Ha lo scopo di riportare a valori normali la pressione arteriosa, attraverso l'attivazione del sistema simpatico-adrenergico.
Patogenesi
La causa principale è l'ipovolemia, la riduzione della massa ematica circolante.
L'ipovolemia può essere di tipo:
- assoluto, quando si ha una totale perdita di sangue intero.
- relativo, quando non si ha una perdita totale, ma è causa di un abnorme ampliamento del letto circolatorio (data quasi sempre da una vasodilatazione, conseguenza di un’insufficienza della pompa cardiaca. Es. infarto del miocardio, embolia polmonare).
Lo shock di tipo settico, invece, è determinato da tossine in corso di sepsi.
Fisiopatologia
Il quadro fisiopatologico è rappresentato da una sequenza di eventi che inizia con l'ipotensione e che ha lo scopo di convogliare verso gli organi nobili, il flusso ematico rimanente.
L'ipotensione viene avvertita dai barocettori carotidei e aortici, i quali stimolano al centro cardio-respiratorio bulbare, istaurando un iper-tono simpatico.
L'ipertono simpatico è dovuto a:
- stimolazione midollare del surrene
- scarico delle catecolamine
- aumento frequenza e contrattilità miocardica
- stimolazione degli effettori con liberazione di noradrenalina
- intensa vasocostrizione
- stasi della microcircolazione con riduzione dell'ipoperfusione tissutale
- richiamo di liquidi in circolo, con momentaneo aumento della pressione
- gli sfinteri costretti fermano i liquidi richiamati diminuendo il ritorno al cuore
- riduzione gittata cardiaca
Tutti questi passaggi sono fino ad ora di tipo reversibile, se non vengono fermati tempestivamente si innescano dei meccanismi di tipo irreversibile:
- gli sfinteri arteriorali si aprono contro quelli venosi che rimangono chiusi
- il sangue refluisce lungo le arteriole ingorgando il sistema e trasudando dai capillari, portando ad edema interstiziale
- danno tissutale con ischemia delle cellule
- si altera il ciclo di Krebs portano ad una glicolisi anaerobica
- formazione di acido lattico
- diminuzione di ossigeno e di attività della membrana cellulare
- acidosi metabolica
- le membrane dei lisosomi si aprono attivano le chinine vasoattive
- l’albumina lascia il circolo aumentando la perdita di liquidi
- la stasi ematica determina ristagno dei GR e piastrine con aumento della coagulazione con conseguente CID.
Lo schok settico presenta un quadro fisiopatologico diverso.
Gli agenti patogeni che lo causano contengono endotossina, il cui effetto finale è l'inattivazione cellulare dell'ossigeno, esso ha tre azioni:
-danno cellulare diretto
-reazione simpatico-adrenergica
-attivazione del complemento
-liberazione delle sostanze vasoattive
-vasodilatazione ed ipovolemia
Anche se il meccanismo patogenico è differente,l'effetto finale è lo stesso
In questo caso si manifesta una CID più grave in quanto ci sono in gioco più fattori:
-lesioni endoteliali e riversamento di enzimi
-diminuzione del flusso ematico
-attivazione del complemento
-apertura degli shunt artero-venosi
Segni e Sintomi
- Ipotensione arteriosa
- Oliguria
- Tachicardia
- Pallore di cute e mucosa
- Sudorazione
Terapia
Reintegrazione della volemia, si utilizza il liquido più idoneo a seconda della perdita.
Correzione della volemia, ossigeno terapia e trattare la causa dello schok.
È importante porre il paziente in posizione anti-schok, coprirlo adeguatamente, rilevare i parametri vitali, registrare i liquidi in entrata ed in uscita.
Addome Acuto
Sindrome caratterizzata da differenti condizione morbose aventi in comune l'acuzie delle manifestazioni cliniche e la gravità della prognosi (il paziente può andare incontro a morte).
Comprende tutte le malattie acute e le complicanze delle patologie degli organi contenuti nella cavità addominale e degli organi contigui ad essa.
Le condizione morbose di questa patologia sono varie:
- Occlusione intestinale
- Peritonoti
- Emorragie gastrointestinali
- Flogosi acute
- Traumi addominali
OCCLUSIONE INTESTINALE (ileo)
Sindrome caratterizzata dall'arresto del transito e del contenuto intestinale solido, liquido e gassoso.
Si può parlare anche di sub-occlusione intestinale se essa è caratterizzata da un blocco solo dei liquidi e dei solidi.
Eziopatogenesi
La patogenesi si divide i due grandi branche:
1 - Ileo meccanico:
- da ostruzione: senza partecipazione vascolare
- da strozzamento: con partecipazione vascolare
2 - Ileo dinamico:
- paralitico: può essere di tipo infiammatorio, riflesso o metabolico
- spastico: principalmente di tipo neurologico
I fattori eziologici sono:
-di natura organica: per processi patologici dell'intestino (flogosi, neoplasie) o processi no direttamente dell'intestino (compressioni, ernie).
-di natura fisiologica: in assenza di lesioni intestinale si altera il tono e la peristalsi della muscolatura, per processi infiammatori, stimoli nervosi.
Da ostruzione
sono dovute da neoplasie intestinali o anche da compressioni (sarcoma del connettivo) corpi estranei nel lume intestinale
Da strozzamento
date da invaginazione intestinale, un'ansa rientra nell'intestino fino a ridurre il lume ed ostruirlo, torsione di 180° di un'ansa, strozzamento erniario è un buco dove entra l'ansa che rimane intrappolata man mano si restringe il lume fino a strozzarla.
Fisiopatologia
L'arresto del transito intestinale determina un’accumulo a monte, il lume intestinale si dilata, aumenta la pressione idrostatica comprimendo i vasi venosi con conseguente trasudazione dei liquidi nel lume.
A questo punto l'intestino disteso non è più in grado di riassorbire i liquidi in eccesso, inoltre l'abbondante trasudazione determina una grossa perdita di liquidi con grave disidratazione con possibile schok.
La distensione, ad un certo livello di gravità, può portare a perforazione della parete intestinale con necrosi e peritonite.
La perdita di elettroliti, in particolare di potassio, altera la funzione della muscolatura.
I fenomeni tossici possono portare a sepsi.
Segni e Sintomi
- chiusura dell'alvo a feci e gas
- distensione dell'addome aspetto globoso di esso
- vomito
- oliguria
- lingua secca e disidratazione
- tachicardia, ipotensione
Anamnesi ed esame obiettivo tramite:
- ispezione: addome disteso e globoso
- palpazione: resistenza elastica
- percussione: timpanismo
- ascoltazione: timbri metallici
Analisi chimiche: conta dei leucociti, ipo-potassiemia ed ipo-sodiemia.
Esami: Rx diretta addome per verificare gli equilibri idro-aerei
Trattamento
Prima di tutto bisogna correggere l'ipovolemia e la disidratazione, ridurre la distensione delle anse ed eliminare il vomito con un sondino nasogastrico.
Bisogna controllare la diuresi, somministrare antibiotici per eventuali sepsi e succesivamente eliminare chirurgicamente la causa dell'ostruzione.
In questi pazienti bisogna controllare continuamente:
- i parametri vitali
- la pervietà del SNG e del CV.
- il bilancio di entrate de uscite ed eseguire i prelievi ematici.
Peritonite
Processo infiammatorio della sierosa peritoneale, esso può essere diffuso o circoscritto.
Anatomia e fisiologia
Il peritoneo riveste la superficie interna della cavità addominale ed i suoi visceri.
Forma diverse pliche che saldano i visceri alla parete posteriore dell'addome o li collega tra loro.
Facendo questo divide la cavità addominale in spazi e loggie:
-spazio sotto-diaframmatico
-doccia parieto-colica
-sfondato retto-vescicale (nell'uomo) e retto-uterino del duglas (nella donna)
Le sue principali funzioni sono:
- agevolare lo scivolamento dei visceri
- costituire strutture di sospensione e di ancoraggio dei visceri
- partecipare ai processi di difesa
Eziologia
È una patologia sempre di natura batterica.
L'agente patogeno può infettare il peritoneo in due modi:
Via indiretta
- Per via ematica, nel corso di patologie infettive di altri organi .
- Per via linfatica, da flogosi contigue.
Via diretta
- Provengono da visceri endo-peritoneali
- Provengono dall'esterno (ferite).
La sierosa diventa iperemica (accumulo di sangue) ed edematosa, si verifica l'essudazione che può essere sierosa, siero-fibrosa o purulenta.
Nel cavo peritoneale si può trovare altro materiale come alimentare o fecaloide.
Fisiopatologia
La peritonite và sempre incontro ad occlusione intestinale, la flogosi (infiammazione) determina ipotonia (diminuzione del tono muscolare o dell’eccitabilità nervosa) ed arresto della peristalsi, le anse si distendono e si riempiono di gas e liquidi ricchi di elettroliti determinando disidratazione da ipovolemia.
Si ha stato settico e tossico, con shock ipovolemico.
Segni e sintomi
- alvo chiuso a feci e gas
- dolore addominale intenso
- aumento della frequenza del respiro
- disidratazione
- vomito
- oliguria
- febbre
Diagnosi
- ispezione
- palpazione
- ascoltazione
- esplorazione rettale
- Rx dell'addome
Evoluzione
- completa guarigione senza postumi
- guarigione con esiti aderenziali
- circoscrizione del processo infiammatorio
- aggravamento progressivo fino a shock, acidosi e morte.
Trattamento
Generalmente e quasi sempre di natura chirurgica e deve avere tre scopi:
1 - Eliminare la causa della peritonite.
2 - Rimuovere l'essudato.
3 - Drenare la cavità pleurica.
In questi pazienti bisogna controllare e valutare:
- Parametri vitali,
- SNG,
- CV,
- Drenaggi,
- Bilancio idroelettrolitico,
- Terapia antibiotica.
Peritonite circoscritta
La sua circoscrizione è in genere completata da aderenze del grande omento nella zona della flogosi e da essudazione fibrinosa che determina aderenze.
Può avere diverse evoluzioni:
- L'essudato sieroso va incontro a guarigione spontanea
- L'essudato purulento non va incontro a guarigione
Il trattamento consiste nel drenaggio TC guidato altrimenti l'intervento chirurgico.
Varici
Per varici si intende la dilatazione di una parete venosa con alterazione della sua struttura.
Si riscontrano soprattutto nelle vene superficiali degli arti inferiori (safene) ma anche nelle vene:
- Esofagee,
- Ano-rettali,
- Del plesso pampiniforme (varicocele).
Anatomia e fisiologia
Negli arti inferiori esiste un doppio sistema venoso: superficiale e venoso.
Le vene superficiali decorrono nel sottocutaneo e mancano di un vero sostegno rispetto a quelle profonde che sono circondate dai muscoli che gli danno sostegno.
Le vene sono dotate di valvole che gli permettono di avere un flusso unidirezionale.
Il sistema venoso superficiale è costituito dalla grande e dalla piccola safena, essa origina dal collo del piede sale lungo la faccia mediale della gamba spostandosi anteriormente fino a sboccare nella femorale.
La piccola safena coinvoglia il sangue nella vena poplitea.
Il sistema profondo coinvoglia nelle vene tibiali, nelle peroniere, nella poplitea, e nella femorale.
I due sistemi si anastomizzano tramite le vene perforanti.
Il ritorno venoso avviene per la contrazione muscolare e grazie alle valvole, il sangue viene riversato dal circolo superficiale a quello profondo fino alla vena cava.
Eziopatogenesi
Le cause si dividono in due branche:
Varici idiopatiche
la cui patogenesi è ancora sconosciuta
Varici sintomatiche
che sono secondarie a tromboflebiti del circolo profondo o per azione compressiva sui vasi profondi.
L'elemento eziologico determinante consiste in una debolezza congenita della parete venosa, una ipoplasia diffusa della sua componente elastica.
Un'altra condizione determinante è l'insufficienza valvolare, è quasi sempre di natura congenita ma si pensa che sia secondaria alla dilatazione delle vene.
Dopo la dilatazione, una quantità di sangue ristagna nell'albero venoso superficiale.
Di conseguenza si produce l'insufficienza valvolare che non mantengono l'unidirezzionalità; il ciclo superficiale si dilata ulteriormente e si aggravano le varici, da qui la stasi del sangue fa aumentare lo sfiancamento della safena che assume un decorso tortuoso.
Segni e sintomi
- Cordoni bluastri e dolorosi lungo il decorso della vena.
- La cute può apparire cianotica ed eczematosa (arrossata).
- L'arto appare appesantito e si possono verificare episodio di prurito
- Ulcera varicosa
- Tromboflebiti
- Lacerazione dei gavoccioli (dilatazione di vasi sanguigni, simile a un piccolo gomitolo, vistosamente sporgente sulla superficie della pelle).
Diagnosi
- Flebografia
Esame radiologico effettuato mediante somministrazione per via endovenosa di sostanze radiopache, che permette di visualizzare il sistema venoso di una determinata parte del corpo e di studiarne le affezioni.
- Ecodoppler
Metodica d’indagine degli organi interni che utilizza gli ultrasuoni per determinare alterazioni più o meno compatte rispetto alle strutture circostanti.
Per questa diagnosi è il più usato e attendibile.
Trattamento
Le possibili terapie sono di tre tipi:
- terapia pagliativa: uso di calze elastiche.
- terapia chirurgica: asportazione della grande safena.
- terapia sclerosante: immissione diretta nella varice di soluzione sclerosante.
Flebotrombosi
Occlusione trombotica delle vene, ad evoluzione lenta si instaura indipendentemente da una lesione infiammatoria del vaso.
La conseguenza più grave è la possibilità di un distacco di particelle di trombo che agiscono in senso embolizzante.
Eziopatogenesi
I fattori che predispongono alla trombosi venosa profonda si possono sintetizzare nella Triade di Virchow:
- IPERCOAGULABILITA' (incremento della viscosità del sangue)
- RIDUZONE DEL FLUSSO EMATICO (stasi)
- DANNO ENDOTELIALE (modificazione della parete vascolare)
Anatomia patologica
Il punto di partenza è a livello delle vene comunicanti della pianta del piede e del polpaccio, sono costituiti da un fitto reticolo fibrinoso.
Il trombo aderisce con la sua base a livello di una vena comunicante, mentre la sua coda oscilla nel flusso della vena profonda.
Da qui può bastare un movimento dell'arto o una brusca variazione del flusso perchè il trombo si stacchi e lungo la vena illiaca e la cava vada a tamponare l'arteria polmonare e provochi un'embolia polmonare.
Segni e sintomi
- Dolore violento ad un polpaccio o ad un piede
- Viene risvegliato dalla pressione del polpaccio o dalla flessione del piede
- Modesto edema del piede e dei malleoli
Phlegmasia coerulea dolens
E' una forma di flebotrombosi con caratteristiche peculiari:
- colpisce l'arto inferiore.
- è dovuta all'occlusione massiva dell'asse venoso principale illiaco-femorale.
- 50 % dei casi evolve in gangrena (o cancrena: necrosi più o meno estesa di tessuti o di organi).
La diffusa trombosi venosa determina abbondante trasudazione plasmatica con riduzione del gradiente pressorio tra sangue arterioso ed interstizio con possibile ischemia.
Trattamento
- Riposo a letto
- Antiaggreganti
- Anticoagulanti
- Trombectomia
- Stent ombrello cavali
Tromboflebiti
Occlusione delle vene, ad insorgenza improvvisa in seguito ad una lesione infiammatoria della parete vasale.
Il trombo è quasi sempre composto da materiale settico.
Eziopatogenesi
La causa è sempre infettiva.
I germi circolanti possono giungere all’endoltelio dei vasi, possono provenire dalla vena colpita o per contiguità.
Anatomia patologica
I vasi più colpiti sono quelli degli arti inferiori, sia quelli superficiali che quelli profondi.
Segni e sintomi
Possiamo avere quattro quadri clinici:
- Flebite varicosa
Interessa quasi sempre la grande safena. E' palpabile e dolente ma non provoca ne edemi, ne emboli.
- Flebite settica
Può sorgere dopo malattie setticemiche, colpisce la vena femorale sinistra, causa ostruzione dei vasi venosi profondi e si manifesta con edema ulcere e varici.
- Tromboflebite migrante
Presenta focolai segmentari superficiali e si manifesta con un cordone duro ed iperemico.
- Phlegmasia alba dolens
Insorge dopo un parto o un aborto. Si manifesta con uno stato sub-febbrile e tachicardia, parestesia e crampi dell'arto interessato.
Diagnosi
Per la vena profonda è più difficile perchè non si palpa al tatto i segni sono:
- Edema, cianosi, febbre e leucocitosi
Gli esami eletti sono: Ecodoppler e flebografia
Trattamento
- Terapia antibiodica
- Riposo
- Anticoagulanti
Embolia Polmonale
È una complicanza acuta della trombosi venosa profonda, determinata da un'ostruzione a carico del distretto arterioso polmonare.
E' causata dal trombo, che distaccandosi dalla sua sede primitiva, risale l'albero venoso e giunge al microcircolo polmonare.
Circa il 10% è mortale.
Eziologia
Possono essere unici o multipli e possono interessare un solo polmone o entrambi.
Possono essere di natura:
- ematica
- grassosa
- gassosa
- neoplastica
Patogenesi
Le trombosi hanno sede nei plessi venosi del piccolo bacino.
L'embolo viene trasportato dal flusso venoso al cuore destro e da qui prende il circolo dell'arteria polmonare fermandosi nel tronco comune o in una delle due arterie polmonari o in rami segmentari.
I cambiamenti funzionali del polmone non dipendono solo dall'occlusione ma anche dalla liberazione di sostanze come serotonina dall'embolo stesso.
Queste sostanze causano:
- broncocostrizione
- vasocostrizione
Anatomia patologica
Le embolie sono più frequenti nel polmone destro e nei lobi inferiori, solo nel 10% dei casi si verifica una necrosi.
Segni e Sintomi
- dispnea
- dolore toracico intenso
- emottisi
- tachicardia
- febbre
- cianosi
Trattamento
-antiaggreganti ed anticoagulanti
-fibrinolitici
-dopamina
-ossigeno terapia
Assistenza
-posizione semiseduta
-ossigenoterapia
-bendaggio con fasce elastiche
-ginnastica respiratoria
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