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L’ABITO NELLA STORIA
Nell’uso generico il termine abito indica il singo- lo indumento o l’insieme dei capi indossati; nel- l’accezione specifica della storia del costume e nella tecnica sartoriale femminile, l’abito costitui- sce la tipologia vestimentaria del capo intero.
Le origini dell’abito coincidono con l’evoluzione della tunica, indumento base della tradizione abbigliamentaria antica ed orientale.
Le popolazioni delle antiche civiltà del mediterra- neo, quasi indistintamente, avevano indossato pelli, cinte intorno ai fianchi, che lasciavano sco- perta la parte superiore del corpo. L’evoluzione di questo capo ha portato a coprire l’intero corpo, anche a più strati. Una tunica interna, a colori vivaci, la kandised una esterna, la kaunace, dis- posta in diagonale a formare una serie di balze e frange, costituiscono il costume assiro-babilone- se. I persiani indossarono lunghe tuniche sovrap- poste molto decorate e asimmetriche sulle spalle. Le donne egizie ebbero quella che si può consi- derare la prima veste femminile: la kalasiris, semplice e diritta, senza alcun taglio, ottenuta con un solo pezzo di stoffa. Essa fasciava il corpo ed era trattenuta da bretelle, può essere conside- rata antesignana del più recente “nude look” quando è realizzata in fine tessuto di lino plissè, la lavorazione tipica dei lini egizi più pregiati.
Al tempo dei Greci i templi erano maestosi, alte- ri come le vesti delle donne. Da una descrizione di Omero leggiamo: “la veste nazionale, il peplo, è una specie di scialle tenuto su con due spilloni, e lascia scoperto un fianco scendendo in pieghe ondulate che ripetono l’effetto delle colonne dei templi. A volte la parte superiore è ripiegata e vie- ne lasciata ricadere formando quegli affascinanti drappeggi che vediamo nel fregio del Partendone”. Ad Atene il chitone o peplo dorico è un rettango- lo assai ampio con due lati cuciti: la veste tubo- lare risulta trattenuta sulle spalle da una serie di spille o fibule. La vita è segnata da una ricca cin- tura, il tessuto risulta spesso plissettato.
A Roma, le donne portano la lunga tunica tubolare, det-
ta stola, che scende fino ai piedi, con bordatura dorata, stretta in vita da una cinta e al di sopra coperte da uno scialle, il pallio o la palla, cioè un grande mantello qua- drangolare che avvolgeva anche il capo.
La struttura del costume bizantino prevede due tuniche sovrapposte, seguendo la tipologia romana. Ma mentre le tuniche romane esaltavano la libertà del corpo con il drappeggio, per le donne bizantine la tunica di sopra diventa protagonista, è realizzata in pesanti sciamiti lavorati ad intrecci di fili di seta, oro e argento, con l’in- serzione di gemme e pietre. La figura si presenta auste- ra e geometrica e la tunica appiattisce le forme del cor- po scivolando pesantemente sui fianchi.
Tutte regine e dame delle corti Altomedievali apprezzano la seta multicolore che si produce a Bisanzio e indossano abiti a fasce verticali a due tinte. La formula delle due vesti sovrapposte durerà a lungo nei secoli successivi.
Dopo il Mille, il costume si presenta come una rielabo- razione delle vesti di origine bizantina: le donne indos- sano una doppia tunica. Quella di sotto, realizzata in tela, meno ampia e meno rigida, accostata al corpo con lunghe e strette maniche. Sopra viene indossata l’altra tunica colorata, realizzata in stoffa più pesante e di maggiore pregio, a volte più corta della prima. Quest’ul- tima ha maniche lunghe, molto allargate al fondo, con smerlature affrappate e bordure di pelliccia.
Nel corso del Duecento e del Trecento le prime gonnel- le sono aderenti al busto, hanno la vita leggermente alta, ampie nel fondo, lunghe e preziose, presentano ricami e bordature, con differenti denominazioni a seconda del luogo.
Nel Quattrocento l’abito femminile è definito dalla gon- nella o gamurra, un vestito aderente, usato per stare in casa, o per uscire, ma mai senza la cioppa. Abbastanza semplice, è priva di decorazioni vistose, ad eccezione di bottoni d’argento e bordature decorate. Le maniche mol- to strette seguivano la forma del braccio e di solito era-
no tagliate all’attacco della spalla, sopra e sotto l’ascella, e lungo l’avambraccio, lasciando fuoriuscire il gomi- to. Spesso le maniche erano staccabili, allacciate da aghetti e nastri.
La sopravveste femminile più diffusa per ogni classe
sociale prende il nome di cioppa. Nella forma generale
questo capo circoscrive la figura in un cono: busto model- lato, vita leggermente alta segnata da cintura, gonna sva- sata contraddistinta da una particolare lavorazione a ghe- roni che imitata le lavorazioni dell’oreficeria.
L’abito di uso quotidiano delle contadine e delle domesti- che è il guarnello, denominato dal tessuto in cui veniva realizzato, cotone, canapa, o lana lavorate grossolana- mente, quasi sempre di colore bianco; si presenta in due versioni, con o senza maniche. Spesso è tirato su e arro- tolato alla cintura in vita per facilitare l’andatura di chi lavora.
Nei modelli gotici d’oltralpe la tipologia dell’abito femmini- le rimane legata all’uso di due vesti sovrapposte dalla linea allungata: la cotte,abito di sotto, e la surcot che aderisce al corpo, per mezzo di stringa-
ture laterali o posteriori; la
sopravveste presenta varie tipologie di maniche, molto svasate, ampie, ad imbuto, che arricchiscono gli abiti lasciando intravedere le mani- che e gli alti polsi aderenti della veste sottostante; le sontuose maniche mantello sono tali da essere paragonate a fantastiche ali.
In tutta Europa le donne han- no messo in uso lo strascico in fondo alle gonne; il rango di una signora si poteva misurare in base alla lunghez-
za del traiuto del suo vestito.
Lo strascico o la coda, come ancora oggi si usa chiamare, ha da sempre assurto ad una funzione simbolica, ad imita- zione della coda degli anima- li, come simbolo magico di forza.
Alla fine del Quattrocento le figure non sono più esili ed affuso- late, ma presentano fianchi larghi e vesti che esaltano la figura materna e muliebre dal ventre rigonfio. Le nuove fogge aprono la via non solo a nuovi vestiti ma anche ad un nuovo modo di vede- re la vita, la religione e la morale.
Mentre le vesti del Medioevo e del Primo Rinascimento erano generalmente intere, ora si stabilisce definitivamente il distacco della gonna dal busto. Se un tempo la parte inferiore del vestito costituiva il proseguimento del corpino, ora la gonna si stringe in vita posandosi su strutture che la staccano dal corpo, stretto nel- la parte superiore da corpetti aderenti.
Dalla Corte di Castiglia si diffonde la moda del verdugo e del cor- setto che impongono all’abito volumi innaturali, lontani dalle for- me del corpo. Per tutto il Cinquecento e il Seicento l’abito fem- minile è costruito in sezioni separate per mezzo di impalcature rigide. La potenza economica e politica dei paesi europei che si sono succeduti come protagonisti della storia dal Secondo Rina- scimento alla Rivoluzione francese ha condizionato la moda in modo ciclico, imponendo tra capricci e novità l’impronta naziona- le: Spagna, Paesi Bassi, Francia e Inghilterra hanno imposto il proprio gusto dell’abito nelle fasi storiche della loro massima potenza.
Lechevallier-Chevignard E., European Costume, Illustrazioni di costumi femminili , 1825-1902:
Nel 1700 vengono importate dalle Indie le cotonine eso- tiche stampate, di sapore orientale che conquistano le corti europee per la leggerezza e la fantasia: vengono usate a metri nella nuova moda francese dell’abito volan- te, robe volant, nato dalla rivoluzione stilistica del roco- cò, che, durante il periodo della Reggenza, libera la moda dalle affettazioni di maestosità della corte del Re Sole. In periodo di Reggenza, l’abito volante, andrienne, deve la sua fortuna ad una commedia di Terenzio, in cui la pro- tagonista, Andria, indossava un abito di linea a campana, fissato sulle spalle che cadeva liscio, ondeggiando sul cor- po, rigonfiato da una nuova struttura a cerchi, il panier. La robe à plis Watteau, prese il nome dal pittore che la rappresentò; è considerata una veste mantello perché si presentava come la combinazione di due tipologie di abito: il davanti aderente in vita, scollato e abbottona- to, il dietro ampio e intero, che ricadeva dalle spalle in una serie di pieghe fisse.
Alla metà del secolo, il modello più diffuso in Francia era la cosiddetta robeà la francaise derivata dalla robe volant della Reggenza, si indossava con il panier, era composta da una sopravveste, una sottana e una pettorina. Aperta sul davanti, recava due gruppi di pieghe sul dietro. La variante à la polonaise vede la ricchezza della veste supe- riore raccolta sul dietro da due coulisse che formano un drappeggio voluminoso e decorativo.
L’evoluzione del panier, che vede modelli sempre più leg- geri e snodabili per favorire il passaggio dalle porte, assun-
se una forma ellittica, sviluppando il volume della gonna
solo sui fianchi e schiacciando il davanti e il dietro.
La chemiseà la reine, indossata dalla regina Maria Anto- nietta nel ritratto della pittrice alla moda, Elisabet Vigèe Lebrun, rappresentò il lancio di uno stile innovativo di derivazione orientale: si trattava di un abito-camicia in mussolina leggerissima, diritto, con maniche lunghe e fascia in vita. L’ampiezza era trattenuta alla scollatura da una coulisse, una arricciatura a strati alle maniche ed una ampia balza all’orlo. Il candore del tessuto e la linea mor- bida ne fecero il modello estetico da perseguire, in perfet- ta sintonia con il pensiero illuminista.
In periodo Neoclassico il recupero di elementi stilistici dell’antichità greco-romana contagia anche l’abbiglia- mento femminile. La semplice bellezza delle statue gre- che viene rievocata in una nuova moda che riporta in auge la tunica.
Mentre gli uomini vestono colori scuri, le donne indos- sano abiti leggerissimi dai colori marmorei: le tuniche sono lunghe camicie di lino o di cotone, all’antica o
alla vestale, senza maniche, drappeggiate sul corpo e
cinte da nastri sotto al seno.
Altri modelli di tunica presentano generose scollature, con coulisse e maniche a palloncino, coperte appena da scialli cachemire che scivolano dalle spalle. Più tardi entreranno in uso corti spencer, come quelli indossati dagli uomini sulle culottes bianche.
Questo stile sarà seguito dalla linea Impero, che coin- cide con l’apogeo napoleonico e varierà di poco le for- me del periodo precedente.
L’imperatore incaricò l’artista Isabey di disegnare gli abiti per la sua incoronazione, abiti che vennero confe- zionati con grande maestria dal sarto di corte Leroy. L’a- bito di Giuseppina era splendido nel taglio alto al seno, decorato da ricami in oro, con le maniche corte a pal- loncino, i guanti lunghi, il lungo strascico ed il mantel- lo in velluto rosso porpora.
L’abito intero non è mai stato prerogati- va delle classi popolari, dato l’alto metraggio di tessuto richiesto: le popola- ne vestivano con semplici camiciole, gon- ne arricciate in tessuto grezzo e bustini per sorreggere il seno; era immancabile il grembiale.
Il Giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra nell’ottobre 1792 annuncia: “Quello che c’è di nuovo per le donne sono i grembiali da donna di casa: è di moda la casalinga, la moda da pastorella, comoda”. Il vestito intero rimane il capo principale dell’abbigliamento femminile, ed evolve le sue proporzioni in relazione all’affer- marsi delle mode delle classi agiate: a tubo durante l’epoca napoleonica e la restaurazione, a campana sino a metà Ottocento, a cupola sino al 1870, a cam- panula sino al 1910.
Il tailleur, improntato al vestiario maschile, compare verso il 1885 indossa- to sul cul de paris, il cuscinetto imbotti- to che mette in evidenza la parte poste- riore, portato anche sotto le vesti da casa o nelle versioni eleganti da gran sera.
Nel 1889 la Tour Eiffel si erge sull’oriz- zonte parigino simile ad un enorme tra- liccio: la sua linea sottile e svasata in basso è la stessa degli abiti femminili del tempo detti a corolla.
Il movimento Liberty, la Secessione Vien-
nese,lo Jugendstil,alla ricerca di forme decorative naturali, identificano la sil- houette femminile in forme floreali aggra- ziate: calla, giglio, campanula. Per adat- tarsi a tali modelli, a seconda delle mode il corpo viene costretto, ancora una volta, in forme innaturali: a trottola, a S, a V.
Agli inizi del Novecento, con il couturier Paul Poiret, le donne assecondano le linee del corpo con stoffe morbi- de e forme non restrittive che individuano un nuovo con- cetto di eleganza.
Tra gli artisti che si interessano di abbigliamento esclusi- vo ed elitario, Mariano Fortuny a Venezia sperimenta tes- suti e lavorazioni per abiti dalle caratteristiche struttura- li fortemente innovative, ispirati alla classicità, come il delphos, aderente tunica plissettata, di complessa lavora- zione, o come i mantelli a cappa, con maniche kimono ispirati all’oriente, creazioni uniche, per l’invenzione e per l’uso di tessuti preziosi, stampati manualmente.
Gli anni Venti con la linea a tubo hanno determinato l’in- novazione più importante rispetto al secolo precedente,
per la prima volta il punto vita non viene sottolineato da
tagli, cuciture o restrizioni; l’abito scivola sul corpo e si accorciano le lunghezze lasciando vedere le gambe.
Gli anni Trenta hanno dato una forte innovazione ai modelli sartoriali dell’abito con sperimentazioni di tagli in sbieco e drappeggi che disegnano linee a sirena; le silhouette sono magre e slanciate, ispirate alle dive del cinema.
Gli anni Quaranta, in clima di conflitto mondiale, hanno assistito ad una battuta di arresto nella veicolazione del- le mode e delle merci; per necessità si ricorre all’aggiu- stamento di qualche vecchio abito conservato nell’arma- dio, in casa o dalla sarta, e le donne in genere si arran- giano, copiando i modelli dalle riviste, a confezionare i capi per la famiglia. I tessuti scarseggiano e costa-
no troppo, gli accessori, le passamanerie e le deco- razioni sono quasi introvabili.
In clima di ricostruzione, alla fine del conflitto, si crea un senso di entusiasmo e di ripresa: dalla Francia e dall’America arrivano immagini patinate di nuove donne, nuovi abiti, nuove linee, nuovi tessuti.
1941.
Così gli anni Cinquanta vedono emergere dalle collezioni di Alta Moda francesi le proposte da sogno di un grande stilista: Christian Dior.
Ogni sfilata era accompagnata da un clima di spasmodica atte- sa per le novità che poteva riservare, i modelli erano tenuti nascosti fino all’ultimo istante. Come per una delle sue propo- ste più famosa: quella del tailleur BAR, dalla celebre linea a corolla, lanciata nel 1947.
Le sue linee hanno determinato un rinnovamento nel modo di concepire l’abito in funzione della forma. La figura femminile delle sue creazioni presenta una varietà di geometrie rese cele- bri dalla nomenclatura ancora oggi in uso: ad A, ad H, a Y, a libro, a corolla, a palloncino, a profilè.
Il New Look è l’espressione di lusso, grazia ed eleganza, mal- grado le critiche, trovò immediato riscontro in tutto il mondo.
La proposta di Dior incitava all’ottimismo, ma anche al lusso e al superfluo. Il modello di gon- na a corolla necessita di più di tre metri di tessuto in doppia altezza, di una sottogonna a bal- ze, realizzata in nylon, e di una guêpière che stringe la vita.
Fonte: http://www.clitt.it/contents/disegno-files/Prodotto_Moda/Percorso_Storia_del_Costume/3_Abito_nella_storia.pdf
Sito web da visitare: http://www.clitt.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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