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LA COMUNICAZIONE ABBIGLIATIVA NELLA STORIA
La comunicazione abbigliativa è nata assieme all’uomo.
Soltanto in principio gli oggetti abbigliativi furono utilizzati solo per soddisfare i bisogni primari dell’uomo.
Ben presto, infatti, questi cominciò a vivere in gruppo ed a provare nuovi bisogni che non avevano niente a che fare con la sua sopravvivenza.
In primo luogo, voleva tenere buone “le forze” della natura che comandavano gli eventi naturali più terrificanti, come le forti piogge, i tuoni ed i fulmini: gli oggetti, pertanto, cominciano ad avere un significato magico.
Inoltre, vivendo in gruppo, iniziò ad avere l’esigenza di dimostrare la sua bravura per la cattura di un animale feroce, la sua forza e la sua potenza.
Per tale via, gli oggetti cominciarono ad avere una seconda funzione, non meno importante dalla prima: tramite gli oggetti si potevano dare messaggi agli dei per invocarne protezione, ed agli altri uomini per facilitare la convivenza.
Ritengo utile, per chi desidera approfondire tale aspetto, un breve percorso nella storia dell’uomo sulla terra, che dimostri in quale modo e utilizzando quali oggetti abbigliativi l’uomo, nelle diverse epoche, ha comunicato con gli altri e soddisfatto i suoi bisogni fisici e psicologici.
I.I Dalla preistoria al ‘700
L’aumento della massa celebrale e la perdita quasi totale del pelo sono i due fattori fondamentali che hanno fatto nascere il vestito.
Probabilmente, l’Homo erectus aveva già cominciato ad usare pellami o altri materiali vegetali per proteggersi dal freddo, successivamente l’Homo sapiens sapiens sviluppò l’abbigliamento nella duplice funzione di protezione ed abbellimento-comunicazione.
I vari ritrovamenti di materiale di osso o di conchiglia del periodo del Paleolitico medio, intorno a 15.000-20.000 anni fa, oltre alle pitture rupestri, fanno capire che già da allora l’uomo usava vestirsi ed ornarsi, cioè abbigliarsi.
E’ chiaro che, essendo l’uomo un animale senza armi per cacciare e per proteggersi, piano piano ha dovuto inventarseli, costruire i suoi accessori, come le lance e gli scudi.
I pellami non servivano più solo per proteggersi dal freddo, ma aiutavano a mimetizzarsi durante la caccia e a farsi ammirare per le sue capacità da cacciatore.
L’uomo primitivo era fortemente influenzato dalla magia e dagli spiriti, visto che questa era l’unica spiegazione che sapeva darsi per tutti i mali che gli capitavano.
Per proteggersi, dunque, cominciò a portare addosso amuleti che riteneva che allontanassero le influenze negative, come le collane ed i bracciali.
In tutte le civiltà antiche, come gli Egizi, gli Assiri, i Greci ed i Romani, il vestito era usato nelle classi basse della società, mentre le classi alte, specialmente il Re con la sua corte, usavano abbigliarsi con indumenti più prestigiosi ed accessori che facevano distinguere subito il loro status sociale.
Gli indumenti, con i loro colori e materiali, avevano già un significato più profondo.
In Egitto si usavano il lino per vestirsi, non solo perché la sua produzione era più diffusa ma anche perché la lana era considerata impura, e gioielli come l’occhio di Horus, che era il talismano contro ogni male.
Ha sempre destato scalpore, nell’antica Grecia, la raffigurazione della dea-serpente di Creta, una delle scollature più famose che si ricordano nella storia.
In realtà, essa non aveva nessun significato di attrazione sessuale ma era solo simbolo di fertilità e prosperità.
Le acconciature avevano già i loro significati, e lo dimostra il fatto che i greci tosavano gli schiavi non solo per una questione di igiene come si può pensare, ma anche perché non erano considerati uomini.
Alla barba, simbolo della virilità maschile, non rinunciava nessuno: era corta per gli stoici, lunga e ricciuta per gli epicurei.
I Romani poveri usavano anelli da quattro soldi che indicavano le loro professioni o con immagini degli dei, per essere protetti, mentre i ricchi portavano gioielli tempestati di pietre preziose, per mostrare la loro posizione di superiorità.
Durante le guerre civili, spesso i loro anelli indicavano l’appartenenza ad un certo partito, mentre nell’esercito l’anello indicava i gradi.
La stola di gala della donna romana finiva dietro con l’instita, cioè lo strascico, il quale seguirà tutta la storia dell’abito, basti pensare agli abiti da sera e agli abiti dei cardinali.
L’uso dello strascico cominciò dai sacerdoti egizi ed era un simbolo di forza.
Cinque secoli dopo Cristo, gli imperatori di Bisanzio erano assieme monarchi e capi della Chiesa ed ecco perché dovevano mostrare tutto il loro potere e la loro autorità non solo con degli abiti di linee austere ed accollate, fatti di tessuti preziosissimi come il velluto e la seta, appena sbarcata dalla Cina, ma con gioielli e decorazioni in oro e gemme preziose.
Furono loro per primi ad usare il colore porpora come simbolo della regalità, della sovranità, della sapienza e del potere.
Da allora in poi, il porpora sarà il colore–simbolo di tutti i regnanti.
Durante il lungo periodo del Medioevo l’abbigliamento cominciò ad adattarsi sempre di più alla figura, sottolineandola.
Venivano accentuate la lunghezza e la sottigliezza, mentre l’abbigliamento maschile assomigliava di più a quello femminile e si distingueva quasi esclusivamente per la diversa lunghezza.
Gli abiti delle donne erano fatti con maniche lunghissime, che parevano delle ali e si potevano staccare per poterle lanciare ai campioni dei tornei o regalarle agli amanti come trofeo.
La vita della Corte diventò l’ambiente dove si poteva fare sfoggio della propria ricchezza e del proprio rango, si corteggiava e si cercava di rimanere nelle grazie del sovrano.
Gli abiti della nobiltà, che dovevano rispettare le regole della Corte, venivano confezionati dai maestri sarti, nuovi professionisti che avevano regole ben precise.
Proprio loro cominciarono a confezionare gli abiti in base all’occasione in cui sarebbero stati indossati, distinguendo quelli per casa da quelli per le occasioni mondane.
Erano diversi anche gli abiti della donna nubile da quelli della donna maritata.
Infatti, le donne sposate per uscire di casa dovevano coprire i capelli ed il collo con un fazzoletto, esattamente come fanno oggi le suore, come simbolo della fedeltà, mentre le nubili andavano in giro con acconciature ondulate trattenute da fasce o cerchi, per attirare l’attenzione degli uomini.
Questo è il momento in cui la donna cominciò a valorizzare la sua bellezza, anche per poter attrarre il futuro marito.
Nel Rinascimento le persone volevano mostrare i loro pregi personali.
L’Italia diventò il simbolo della raffinatezza, dell’eleganza e della gioia di vivere.
Le forme dei vestiti si ampliarono, tentando di mettere in risalto la forza e la decisione dell’uomo e la florida salute della donna.
Le forme del corpo venivano esposte e accentuate dall’abbigliamento.
Caterina de’ Medici introdusse la scollatura, facendo creare sui suoi abiti due aperture rotonde che mostravano i seni.
I fianchi si gonfiarono sempre di più, in particolare in Francia, dove si inventò il bourrelet, una ciambella imbottita legata sotto la vita, che “donava” alle donne dei fianchi e fondi schiena mostruosi.
Montaigne, si chiedeva come mai le donne insistevano con tanta ostinazione a coprire con mille ostacoli le parti dove “si appunta” l’ammirazione maschile.
Forse per stuzzicare ancora di più l’appetito maschile, facendo finta di respingerlo?
Anche gli abiti maschili erano sempre più ampi e certe volte le maniche potevano raggiungere il diametro di un metro e mezzo, simbolo dei muscoli potenti e della forza posseduti da coloro che li indossavano.
Il colletto diventò sempre più alto, segno della posizione sociale.
I gioielli decoravano tutta l’esteriorità e la testa femminile diventò una vetrina ricoperta di perle fra i capelli e intrecciate nelle reticelle d’oro.
Non a caso la Chiesa minacciava, contro tutte queste ricercatezze e esibizioni di vanità e di lusso, il castigo.
In Spagna, sotto il potere di Carlo V e della Chiesa, l’abbigliamento acquistò un’importanza ancora più grande.
Carlo V impose la moda spagnola a tutti i popoli che conquistava.
La moda spagnola era l’espressione della controriforma cattolica.
La femminilità veniva ingabbiata sotto i corpetti irrigiditi da legno e metallo e le gonne presero la forma di una campana, per nascondere qualsiasi tipo di forma corporea, ma anche per nascondere i piedi, secondo le prescrizioni dell’etichetta.
Il colletto altissimo e rigido costringeva uomini e donne a muovere la testa il meno possibile.
In particolare, le donne, simbolo del diavolo e della tentazione, sembravano delle bambole fatte di un pezzo solo.
Il colore nero, sottolineava -come se non bastasse la rigidità- la mancanza di ogni tipo di gioia ed allegria, in favore della dedizione alla fede, nonché l’inafferrabilità, il distacco, la serietà.
La massima espressione di questa moda della femminilità trionfante di attrazione e respingimento arrivò durante il regno di Elisabetta d’Inghilterra, quando la stessa sovrana combinò la rigidità spagnola che ammirava, con lo splendore dei colori, dei pizzi e dei gioielli, esprimendo la donna-regina trionfante.
I.II. Dall’700 al 1900. Nasce la moda
Il ‘700 è segnato dal regno di Luigi XIV e dalla sua corte.
L’etichetta e la moda francese si imposero in tutta l’Europa.
Ogni mese bambole a metà grandezza naturale, vestite secondo gli ultimi dettami dell’eleganza, venivano mandate in tutta l’Europa che contava.
Le donne diventarono l’ornamento della corte reale, in particolare le amanti del re che erano l’ideale da copiare.
Per le famiglie nobili era considerato un onore avere una figlia che fosse amante del re, anche ciò permetteva loro di godere di tanti benefici.
La parrucca era un elemento fondamentale dell’abbigliamento, anche perché Luigi, che si dice avesse capelli fini e brutti, l’aveva imposta.
Ovviamente, nessuna parrucca doveva essere bella, incipriata ed alta come la sua, alta perché Luigi non godeva di grande statura.
Ecco perché il sovrano impose anche che nessuno poteva indossare scarpe con un tacco più alto delle sue che, per giunta, erano di colore rosso.
Anche le fibbie delle sue scarpe dovevano essere le più benne e costose, tempestate di pietre preziose.
Le donne della sua corte potevano usare tanti colori intensi, come l’azzurro e il rosa, ma non il rosso porpora che, ovviamente, era un’esclusiva del re.
Il Re Sole doveva anche indossare i gioielli più preziosi, fatti di diamanti, che spesso decoravano anche i suoi abiti.
Sebbene non amasse i gioielli, che non usava mai in privato, li considerava un simbolo del potere, “una necessità politica”, ecco perché ne faceva un uso sfrenato. La pelliccia d’ermellino, anch’essa simbolo del potere, era presente in tutti i suoi mantelli, e solo lui poteva adoperarla.
Ancora oggi l’ermellino viene adoperato per decorare le toghe degli alti magistrati (presidente di Corte di cassazione, d’appello, ecc.) e dai gradi più elevati della gerarchia accademica (rettore, preside di facoltà).
Nel ‘700 si impone alle donne di imparare ad usare il corpo e la gestualità per sedurre, ciò che è la loro prima priorità.
Si insegna loro come devono inclinare la testa, come fare dei sorrisi distratti, come giocare con gli occhi per poter sedurre i loro amanti.
Nella stessa maniera, le donne imparano ad usare gli oggetti abbigliativi.
In questo periodo appaiono sui visi delle signore alcuni accessori piccoli ma pieni di significati: i finti nei, chiamati mouches.
Erano fatti di taffetà di seta in mille forme, ma la cosa importante era la loro distinzione fra nei di bellezza, che si posizionavano dove meglio si credeva per dare risalto alla forma degli occhi o della bocca e nei “da comunicazione”.
Infatti, se il neo era posizionato all’angolo sinistro della bocca significava che la signora era “discreta”, mentre posizionato all’angolo dell’occhio era “passionale”.
Il neo al centro della fronte ci diceva che si trattava di una signora “maestosa” mentre, se posizionato in alto ed a lato della bocca, la rendeva “indecisa”.
Ancora oggi ci sono i studiosi dei nei, quelli naturali però, che, a seconda della loro posizione, forma e colore, interpretano il carattere della persona.
Le donne, nel loro gioco di attrazione, imponevano la galanteria agli uomini che, fra tante prove, dovevano anche decifrare il linguaggio non solo dei nei ma anche di un altro accessorio, il ventaglio.
Usato in tutte le epoche in forme e materiali diversi, nel ‘700 esso diventò uno dei protagonisti dei giochi di corte, non a caso si parla dell’esistenza di un “Linguaggio del ventaglio”.
Le donne venivano istruite dai loro professori di danza per poterlo maneggiare, per rinfrescarsi, per allontanare un insetto, ma anche per comunicare.
Parini ne “Il Giorno” descrisse la mimica del ventaglio: i l suo “trepido agitar” indicava il crescere dell’ira mentre “con la man che lungo il grembo cade lentamente” indicava meditazione.
Quando veniva tenuto con la mano sinistra vicino al viso significava: “vorrei conoscerti” e quando veniva toccata la punta del ventaglio con un dito: “vorrei parlarti”.
Se si appoggiava all’occhio destro significava: “vorrei vederti”, mentre un ventaglio girato nella mano destra “ci stanno guardando”.
La dama che apriva e chiudeva continuamente il ventaglio diceva al suo amante che era crudele e, gli chiedeva di farle vedere, di dimostrarle se davvero l’amava.
Appoggiato alla guancia destra significava: “Si”, mentre tirandolo leggermente: “Ti amo”.
La fine del ‘700 segnò un evento importante per la storia dell’abbigliamento.
Gli uomini rinunciarono alle forme di decorazione brillanti, sfarzose ed elaborate e ridussero il loro abbigliamento ad uno stile sobrio ed austero, delegando alla donna il compito di mostrare lo stato di agiatezza, e lo status sociale raggiunto da loro stessi, trasformandola in “donna trofeo”
Flügel definisce questo momento la “Grande Rinuncia” e ne attribuisce le cause a fattori politici e sociali connessi alla Rivoluzione Francese.
Adesso nessuno ha la priorità di distinguersi attraverso gli oggetti abbigliativi, anzi, questo è diventato un controvalore.
I valori della rivoluzione impongono abiti semplici, cosa che lentamente porterà agli abiti moderni e più democratici.
I pantaloni sostituirono le brache lunghe fin sotto il ginocchio, diventando un simbolo della libertà appena conquistata.
Anche le donne useranno all’inizio come simboli di libertà questa volta femminile, i pantaloni e, precisamente, dapprima i pantaloni-abito proposti da Poiret all’inizio del ‘900 e, successivamente, quelli sportivi proposti da Chanel trenta’anni dopo.
Solo in seguito i pantaloni diventeranno indispensabili anche per la loro comodità.
La donne, durante questo periodo, si “spogliarono”, limitandosi a portare un abito scollato, leggero come un velo, che non pesava più di 200 grammi ed era dotato di un’ampia scollatura.
Se faceva freddo, potevano usare uno scialle di lana, ma niente più.
La donna doveva sembrare fragile, malinconica e doveva svenire con facilità.
Doveva apparire bisognosa di protezione, cosa che gli avrebbe potuto fornire il “sesso forte”, ossia l’uomo-eroe che aveva combattuto per i diritti dell’umanità.
Questo periodo non durò tanto, visto che Napoleone volle subito spazzare via ogni ricordo della Rivoluzione.
L’abito femminile ricominciò ad essere fatto di stoffe più pesanti e decorate, ma si accorciò fin sopra le caviglie visto che la donna ormai voleva essere più comoda.
La scollatura si rialzò per l’abito da giorno, ma nacque l’abito da sera come si intende oggi, in cui la scollatura poteva essere molto più audace ed essere usata per il suo gioco di attrazione.
L’uomo si vestiva con capi semplici e durante il giorno si occupava delle sue imprese quindi non aveva bisogno di inutili sfoggi di ricchezza.
Coloro che cercavano di distinguersi dagli altri, anzi, venivano giudicati presuntuosi.
Lo stesso Luigi XIX ed il re d’Inghilterra misero da parte l’uniforme militare e cominciarono a vestirsi con l’abito scuro, l’ombrello ed il cilindro, simbolo di potere. Questo era l’abbigliamento dell’uomo elegante e di classe.
Ma la mascolinità dell’uomo diminuirà decisamente con il periodo del dandismo, sbarcato dall’Inghilterra.
L’eleganza del dandy stava nella discrezione ed il suo fascino derivava da ciò che non si vedeva; con il suo aspetto doveva dimostrare il suo sangue freddo, l’impertinenza cortese, la sua ironia verso la borghesia.
Quello stile ci ha lasciato in eredità il frac nero che con poche varianti ha resistito nel tempo non solo come indumento, ma anche come simbolo di eleganza e di classe: non a caso si indossa nelle occasioni di grande importanza sociale.
A fine secolo l’abbigliamento maschile si trasformò, assomigliando sempre di più a quello che conosciamo oggi, rinunciando alla fantasia ed all’ornamento.
Prese forma la giacca sobria e funzionale, con il panciotto, e rimase come unico sfoggio di fantasia e creatività la cravatta, che rimarrà un simbolo fallico che rispecchia il mondo intimo dell’uomo.
Molti esperti si sono cimentati a decifrare i significati di quest’accessorio.
La cravatta riveste il ruolo di una bandiera con la quale l’uomo esibisce le proprie emozioni e i propri desideri, il suo modo di essere e di apparire.
I grandi decisionisti si riconoscono dalle cravatte rigate, da non confondersi con le “regimental”, che con i loro colori rappresentano i vari club e i college di appartenenza, non a caso nate come parte della divisa dei club e dei college inglesi.
I diplomatici di alto livello usano cravatte con stampe di staffe e catenelle.
Chi vuole fare nuove conoscenze attirando l’attenzione, userà cravatte con dei piccoli disegni di oggetti o di animali, che da lontano non si riconoscono ma, una volta vicinissimi, sono un’ottima ragione per scambiare le prime battute di una conversazione.
Al contrario, chi vuole tenere a distanza gli altri e, comunque, manifestare il suo cattivo stato d’animo, userà una cravatta nera.
La cravatta blu la usa chi ha poca fantasia e vuole andare sul sicuro, mentre sceglie l’azzurra l’uomo disponibile e rilassato.
Ed il nodo?
Il nodo è grande se l’ uomo ha una sessualità esuberante e spesso aggressiva, il mezzo Windsor, cioè non troppo grosso né troppo piccolo si vede sugli uomini equilibrati, di classe, che con le partner hanno un’intesa armoniosa.
Se è sporca, il messaggio è chiaro: chi la indossa è negligente .
Ma anche la donna usa questo piccolo accessorio. Se vuole marcare il territorio, sarà lei a stringerla e sistemare il nodo, e se la scioglie … il messaggio è chiarissimo, bisogna rilassarsi e seguirla!
Contrariamente a ciò che accade per gli uomini, la moda femminile diventa sempre più scomoda, con la struttura della crinolina che prende dimensioni enormi, creando non poche difficoltà a colei che la indossa.
D’altra parte, se la donna deve essere la prova del successo dell’uomo, si deve pure impegnare a farlo!
Il suo corpo non è limitato solo dalla crinolina ma anche dal busto che crea la schiena ad “S”, una vera e propria mutilazione che dimostra, però, che chi l’indossa non ha bisogno di lavorare, nè di piegarsi per raccogliere qualcosa da terra.
Il marito fiero mostrava a tutti la sua moglie con il vitino, dimostrando come con la sua bravura poteva mantenerla abbondantemente.
Il francese Poiret cominciò a porre fine a tutto ciò, togliendo la parte superiore del busto e lasciando libero il seno, ma creando, comunque, gonne strette sul fondo che costringevano le donne a stare scomode camminando a piccoli passi.
La donna ancora non poteva considerarsi libera dalla società.
Lo stilista, creò le prime donne vamp, pallide e magre come un vampiro, che pensavano solo al divertimento.
Erano delle vere mangia uomini e volevano essere più indipendenti, libere di scegliere anche il loro amante.
I.III. Dal 1900 ad oggi
Ai primi del novecento le donne fumavano, ed avevano un taglio di capelli a là garçonne come gli uomini, si truccavano pesantemente e cercavano di esprimere la loro personalità, spesso esagerando.
La prima guerra mondiale diede alla donna quella spinta che le serviva per avere più autonomia; in mancanza dell’uomo che era al fronte, fu costretta a lavorare, a guidare l’automobile ed a sbrigarsi gli affari di famiglia.
Le donne si accorciarono fino a metà polpaccio, perché le donne dovevano sentirsi comode e camminare velocemente, salire e scendere dall’automobile.
Anche i tacchi delle scarpe divennero più bassi e grossi, le decorazioni sparirono dagli abiti da giorno.
La donna non era più un trofeo da esibire, ma aveva una vita attiva in tutti i sensi.
Chanel creerà il primo look comodo, casual che sarà molto discusso.
Come prima cosa, abolì del tutto il busto e liberò per sempre il corpo della donna.
Il corpo, liberato dalle gabbie, aveva bisogno comunque di sostegno e così nacque la biancheria intima come la conosciamo oggi, che non assolveva solo funzioni legate all’igiene corporea, ma anche una funzione erotica.
Il narcisista sente piacere auto-osservandosi, mentre con l’esibizione si provoca l’attrazione sessuale dell’altro.
Ovviamente, l’intimo aiuta a rinforzare la concezione che si ha della propria corporeità, serve per esaltare o coprire certe parti del corpo, non a caso abbiamo gli slip-sgambati, i corpini che modellano il ventre o i reggiseni push-up che fanno aumentare la taglia del seno.
Il gioco dei tessuti leggeri vedo-non vedo fa parte del gioco dell’attrazione.
Se la biancheria intima è nera, aiuta al gioco della attrazione; è invece simbolo della dolcezza se è di colori teneri come il rosa, il quale incita all’amore, all’affetto, all’altruismo ed ha delle decorazioni come i fiori; è simbolo di purezza se è bianca.
Mentre la donna ha osato esporre l’intimo anche in situazioni dove non c’è una intimità affettiva, per rafforzare l’attrazione dell’interesse erotico, l’ uomo lo ha fatto da pochi anni.
L’idea è stata proposta dallo stilista americano Calvin Klein che ha presentato gli slip con la fascia dell’elastico grossa e riportante la firma, facendoli diventare contemporaneamente un modo per esibire la propria disponibilità economica e un modo per attirare lo sguardo dell’altro sesso.
Chanel, fortemente indipendente, adottò per prima il cardigan, rubato dal guardaroba del amante inglese e, ben presto, anche i pantaloni.
Voleva dimostrare a tutti i costi tramite i vestiti che proponeva ed il modo in cui viveva la propria esistenza che era forte e indipendente come i maschi: fumava, guidava, dirigeva la sua casa di moda e non ci pensava due volte a mostrare il suo fisico androgino in spiaggia in un costume intero.
Scandalizzava la sua nudità, visto che il senso del pudore era altissimo e fino ad’ora ci si bagnava nell’acqua vestiti con mutandoni e camicioni, anche se poi il costume da bagno sia maschile che femminile, in tutte le sue forme e colori, ha acquisito non solo la funzione di coprire le parti del corpo più intime, ma anche per soddisfare il bisogno di essere guardati, cioè l’esibizionismo ed anche il piacere di guardarsi, ossia il narcisismo.
L’abbronzatura di Chanel fa discutere non poco.
Le donne e gli uomini di ceto sociale alto dovevano avere la pelle bianca, ecco come si spiega l’uso abbondante di cipria nel ‘600 e ‘700; la loro pelle bianca doveva contrapporsi al colorito abbronzato di coloro che lavoravano nei campi.
Ma è bastato il coraggio di questa donna: ben presto l’abbronzatura divenne obbligatoria, questa volta per dimostrare di potersi permettere le vacanze!
Ormai ci sono delle lampade speciali e dei cosmetici che creano l’abbronzatura artificiale che da un aspetto salutare al viso.
Chanel propose quello che negli anni novanta sarà chiamato “power look”, cioè il tailleur, la giacca di taglio maschile ma con la gonna.
Il tailleur ha una linea semplice perché deve dare l’idea della serietà, dell’impegno e del rigore.
Quelli più usati sono neri e blu, simboli –appunto- del rigore, colori non luminosi che non attraggono, così da far rivolgere l’attenzione altrove e da tenere a distanza.
Ecco perché si abbina alla camicia bianca che è simbolo di sincerità e purezza, ma anche di disponibilità all’apertura all’altro.
In questo modo, chi abbiamo in fronte sa che siamo disponibili ma non troppo e che la nostra priorità è fare bene il nostro dovere.
Diventerà l’abbigliamento della business woman, della donna che vuole mostrare la sua efficienza professionale.
Sarà Yves Saint Laurent, negli anni settanta, che lo proporrà anche in versione giacca con il pantalone e, addirittura, in versione sera, con tessuti più pregiati e trasparenze.
Nel 1929, con il crac della borsa americana e l’inizio di una gigantesca crisi economica, la donna si riduce ossa e vestito e prende il nome di “donna-crisi”.
Si allungano le gonne quel poco che basta per riaccendere la fantasia degli uomini che sempre più spesso si dichiarano “turbati dalla vista di una bella caviglia”, facendo capire che è meglio un corpo più coperto di uno molto esposto, perché aiuta ad accendere la fantasia erotica.
Mentre, in linea di massima, il ruolo maschile ed il suo abbigliamento rimane inalterato, la donna guadagna sempre più spazio nella società: lavora, fa sport, si occupa di mille cose.
Il pantalone guadagna sempre più spazio, perché è comodo e perché è una conquista, visto che è stato “rubato” all’uomo, così come si stavano “rubando” anche alcuni ruoli sociali.
La ricchezza non si ostenta più con la fastosità delle vesti, ma per la quantità di abiti che si possiede, e le occasioni mondane alle quali si partecipa per indossarli.
Di sera l’abito diventa lussuoso, con pizzi e ricami, ma sempre all’insegna della comodità.
Le perle sono necessarie, non solo perché sono un simbolo del lusso, pur senza essere eccessivo. Più ne hai intorno il collo meglio è.
Non è un caso che Chanel, essendo una grande imprenditrice e pensando a tutte le donne, abbia inventato il faux bijoux, i gioielli finti.
Adesso si può anche apparire senza essere.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale la donna acquista sempre più spazio nella società, perché gli uomini sono al fronte e si deve preoccupare lei di tutto.
In tanti paesi ormai vota da anni, fa parte del mondo artistico e letterario.
Anche il suo abbigliamento si adatta.
La gonna si accorcia fino al ginocchio, le linee sono semplici e lineari.
Tutto l’abbigliamento femminile rappresenta lo spirito del tempo.
Non c’è niente da dimostrare, niente da esibire.
Dior, negli anni cinquanta, propone la donna fiore, con il ritorno del vitino e la riproposta della crinolina, in versione corta.
Le donne, però, non sono più disposte a sottomettersi alle gabbie, quindi la crinolina fatta di strutture di stecche si trasforma in più strati di tessuto, in tal modo si ottiene lo stesso risultato con più morbidezza.
L’accentuazione del seno e dei fianchi c’è, per dimostrare che non è solo una donna femminile, ma anche una donna sana, atta a procreare.
Le donne, stanche dell’austerità del dopo guerra e della miseria, abbracciano subito il New Look che avrà un grande successo.
E’ il periodo della produzione in serie e Dior non osa rifiutare la proposta degli americani di produrre il suo look in serie più economiche.
Nasce così il Prét-â-Porter.
Adesso tutte le donne, e non solo le più benestanti, possono seguire la moda, esprimersi tramite l’abbigliamento, per stare al passo con i tempi che cambiano.
Negli anni cinquanta, Cinecittà diventerà il centro della produzione mondiale del cinema.
Qui si girano tutti i film ed a Roma sbarcano tutte le attrici famose per parteciparvi.
L’Italia diventa il simbolo dell’eleganza. Bisogna avere i pantaloni “capri” ed i cappelli di paglia toscana.
I capelli si tagliano corti e la donna non perde occasione di mostrare la sua indipendenza.
Ormai non basta essere vestita ed avere la borsetta o l’ombrellino ma, per essere alla moda, al passo con i tempi, devi avere il Total look: scarpe, cappello, guanti, tutto in un abbinamento quasi maniacale.
L’economia ricomincia a riprendersi, quindi è importante fare sfoggio dello status acquisito.
Intanto, irrompono sulla scena i teenagers e cambiano tutte le regole della società.
La moda non guarda più dall’alto in basso ma al contrario, visto che i genitori, per sentirsi più giovani, imitano i figli.
James Dean e Marlon Brandon rappresentano i simboli di una nuova virilità: blue-jeans, sciatteria, maglione, rifiuto della cravatta e giubbotto di pelle.
Yves Saint Laurent sarà lo stilista che metterà il giubbotto di pelle e i jeans sulle passarelle, creando ufficialmente la moda che si ispira ai giovani e alla strada.
Gli anni sessanta sono gli anni delle manifestazioni giovanili, in cui la donna chiede e ottiene la sua emancipazione totale.
Il segnale più evidente è la minigonna creata da Mary Quant e, subito dopo, gli hot pants, i pantaloncini cortissimi che non si portano solo in spiaggia ma a tutte le ore, anche la sera con delle calze nere.
Questi indumenti diventano i simboli della emancipazione femminile.
Negli anni settanta la moda si ispira alla guerra del Vietnam, che ha turbato tutto il globo, creando la moda militare con i tessuti mimetici, le spalline, i cinturoni e le medaglie.
La moda, in questo modo, vuole sdrammatizzare, alleviare l’angoscia, usando il tessuto militare per fare una mini gonna oppure mettendo le medaglie direttamente sul reggiseno.
In antitesi a tale fenomeno, arrivano i “figli di fiori”, gli hippies, che rompono tutti gli schemi sociali e di moda.
La parola d’ordine, infatti, era l’anti-fashion, cioè rompere tutte le regole -nella moda come nella vita- facendo gli abiti da soli, unendo tessuti di varie fantasie o di vari colori, mischiando tutti gli stili senza nessuna cura apparente.
I ragazzi lasciano i capelli lunghi e, spesso, non si riconoscono i maschi dalle femmine.
Il tessuto protagonista di questo periodo è il jeans che diventa come una tela bianca sulla quale si poteva dipingere qualsiasi cosa; venivano usati in qualsiasi ora, in qualsiasi modo, in qualsiasi forma.
I punk, che arrivano subito dopo, contestano le bellissime modelle delle riviste, affermando che, dal momento che non saranno mai così belli e curati, tanto vale essere diversi, anzi orrendi.
Usano vestiti strappati, infilano le spille nella pelle, tingono i capelli di colori impossibili.
Per loro tutto è una provocazione, visto che non riescono a vedere niente di positivo nel loro futuro.
Grandi stilisti come Vivienne Westwood trasformarono il loro stile in vera e propria moda.
Contemporaneamente, una fetta di ragazzi si veste servendosi dell’abbigliamento atletico, in particolare quello della danza.
Bisogna curare il corpo, dedicarsi di più alla propria persona è la frase che amano ripetere.
Gli anni ottanta sono caratterizzati dal Power look degli yuppies e della business woman.
La donna sbarca finalmente nelle posizioni alte delle aziende e lo deve dimostrare anche con l’aspetto esteriore.
Le spalline, sia degli abiti maschili ma anche di quelli femminili, crescono sempre di più: per l’uomo creano delle spalle forti, che reggono il peso della responsabilità e, per la donna, conferiscono un aspetto maschile, visto che deve dimostrare di essere brava come loro.
Giorgio Armani creerà il look perfetto per la donna, destrutturando il blazer maschile e adattandolo al corpo femminile.
La donna in carriera girerà in abito giacca–pantalone e spesso userà anche la cravatta, dimostrando la sua efficienza professionale, ma conservando, comunque, la sua femminilità.
L’uso degli status simbols è necessario: bisogna che tutti capiscano, con un solo sguardo, chi sei e cosa hai.
L’acquisto spasmodico di oggetti firmati e di grande valore diventa una delle assolute priorità.
Allo stesso momento, Versace comincia a proporre la donna super femminile e super sexy.
Il corpo deve essere curato, perché i tessuti di seta e di metallo che usa come corazze devono scivolare senza ostacoli.
La donna di Versace rispecchia il lusso assoluto, ma anche la bellezza assoluta.
La creazione delle top models, che diventeranno l’ideale per il mondo femminile da allora, si deve attribuire proprio a Gianni Versace.
Gli anni novanta per molti sono stati gli anni di tranquillità dopo l’eccessivo cambiamento e il lusso sfrenato del decennio precedente.
Tutti si rendono conto che l’eccessivo consumismo e la concentrazione sulla carriera non portano la felicità, che si deve cercare in altri modi.
Cade il muro di Berlino e, con esso, il comunismo russo; gli scandali ecologici sono sempre più frequenti.
Le persone sentono la necessità di avere più sicurezza, più verità, più valori.
La Guerra del Golfo crea ancora più insicurezza.
Di colpo le persone cominciano ad accontentarsi di capi base e di tagli classici. Anche il lusso non deve essere appariscente ma si deve concentrare su un buon taglio e un tessuto di qualità, cose che si notano solo a distanza ravvicinata e con il tatto.
Regnava il minimalismo: less is more.
Romeo Gigli crea la donna avvolta nei suoi abiti, quasi invisibile, intellettuale, con gli occhiali ed i capelli raccolti.
Le ridona la sua femminilità, togliendo le spalline che, durante il decennio precedente, erano arrivate a dimensioni enormi.
La ricerca di significati più profondi nella vita viene rappresentata sulle passarelle quando Versace, poco prima della sua morte, presenta degli abiti decorati con simboli mistici come i crocifissi d’oro.
Le telecomunicazioni si liberano e la Rivoluzione Cyber comincia anche nel mondo della moda, con l’uso di materiali sempre più tecnologici.
Il primo decennio del 2000 è caratterizzato dall’amalgamazione di tanti stili. L’informazione è più veloce che mai, ed il consumismo regna. Tutti gli stilisti propongono una varietà di scelte per cercare di accontentare tutti i gusti dei loro clienti.
Le donne e gli uomini cercano di creare il proprio stile fra la grande quantità di informazioni che ricevono, per cercare di spiccare e di imporre la propria personalità.
Contemporaneamente, regnano la moda del corto e del lungo, dell’aderente e del largo, del colore acceso e del colore scuro.
Adesso sono le persone che scelgono in base al loro gusto e adattano gli abiti e gli accessori a loro stesse, per poter esprimere la loro identità, le loro emozioni, i loro gusti.
J. C. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, 1930, pag.123
I segreti della cravatta, www.bfshop.it
Fonte: http://www.prepos.it/tesi%202014/IL%20COUNSELING%20NELLA%20MODA%20%20di%20Eleni%20Pantelidou.doc
Sito web da visitare: http://www.prepos.it
Autore del testo: Eleni Pantelidou
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