Moda italiana

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Moda italiana

Introduzione

Il concetto “la moda italiana” è oggi noto in tutto il mondo. Riflettendo sulla singolare dinamica del Made in Italy nei settori legati ai consumi per la persona (vestiario, mobili, arredamento, ecc.), molti commentatori hanno più volte sottolineato il riflesso positivo delle tradizioni storiche e, in particolare, „l’Effetto Rinascimento“ che tuttora persisterebbe nella cultura, nel senso estetico e nelle abilità artigianali degli italiani. A maggior ragione abbiamo scelto per la tesi l’argomento della moda rinascimentale, che si sviluppò nel modo proprio dettando legge in Europa e che fu una parte eccezionale per la storia della moda italiana.
Per poter capire che cosa rese possibile tale sviluppo, bisogna esaminare la questione da un punto di vista più vasto. L’Italia rinascimentale faceva parte dei paesi più culturali e civilizzati d’Europa, ma era anche considerata un punto di importante sviluppo economico, basato sopratutto sulla produzione tessile e sui prodotti di moda. Per questo nel primo capitolo esponiamo le idee fondamentali del Rinascimento e accenniamo come queste idee influenzarono due settori importanti per la moda italiana: la produzione tessile e la cultura.
Nel secondo capitolo descriviamo l’abbigliamento femminile, maschile, le acconciature e anche come si curava del corpo. Consideriamo la moda piuttosto come una parte dell’arte. Alcune espressioni riguardanti l’abbigliamento rinascimentale vengono definite nel glossario che forma un capitolo indipendente.
Nell’epoca rinascimentale oltre alla bellezza interiore dell’uomo si dava risalto all’apparenza esterna, ma allora questo non era considerato come il segno della superficialità: la sembianza esterna insieme con l’ingegno doveva creare un’unità armonica. Come tutto, anche la moda era soggetta alle analisi scientifiche. Nel Rinascimento per la prima volta possiamo conoscere l’abbigliamento anche tramite scritti di veri e propri storici del costume. Sono state scritte le prime istruzioni per come vestirsi, truccarsi e corrispondere al meglio alle esigenze della moda dei tempi, che vengono formalizzate nella letteratura italiana con piena sincerità. Nel quarto capitolo lo cerchiamo di dimostrare su opere di scrittori noti di quell’epoca.  

 

            1. Il Rinascimento

 

In questo capitolo cerchiamo di descrivere i cambiamenti che il Rinascimento portò con sé e che, naturalmente, influenzarono la moda italiana rinascimentale. Siccome non è possibile includere la problematica del Rinascimento in tutta la sua ampiezza, interpretiamo questi cambiamenti mediante il confronto del Medioevo con il Rinascimento.

Come principio del Rinascimento si stabilisce convenzionalmente il XV secolo, quando in Italia il rinnovamento culturale e scientifico iniziò.
Il Rinascimento vide l’affermarsi di un nuovo ideale di vita e il rifiorire degli studi umanistici e delle belle arti. La visione rinascimentale esalta il mondo greco-romano, condanna il Medioevo come un’era di barbarie e proclama la nuova epoca come era di luce e di rinascita del mondo classico.”
Una delle rotture più significative con la tradizione si produsse nel campo della storia. Gli storici, per esempio Flavio Biondo nel Quattrocento e Machiavelli e Guicciardini nel Cinquecento, abbandonarono la visione dei medioevali che era legata a un concetto di tempo segnato dall’avvento di Cristo, per sviluppare un’analisi degli avvenimenti che ha origine da una concezione laica e dall’atteggiamento critico verso le fonti.
Nel Medioevo tutte le scienze e le arti dipendevano dal pensiero religioso. La teologia, che studiava l’idea di Dio e dei suoi rapporti con l’umanità, era ritenuta la vetta più alta del sapere. Ad essa erano collegate la filosofia e la letteratura. L’astronomia e la matematica esploravano l’universo, che era considerato come il prodotto della creazione divina, e lo stesso faceva la medicina per il corpo umano. Il diritto riconosceva valide solo la potenza e l’autorità che venivano da Dio, quella del papa nel campo spirituale, quella dell’imperatore nel campo politico. Anche le arti erano concepite come strumento per glorificare il culto della religione.
Verso la metà del Trecento, queste idee cominciarono a modificarsi intensamente: l’attenzione si sposta sulla realtà concreta della vita terrena; l’uomo acquista di nuovo importanza come protagonista di avvenimenti determinati dalla sua volontà e il mondo appare come lo scenario delle sue azioni. Entriamo così in un periodo che annuncia l’età moderna. Quel movimento letterario e culturale che dal Trecento al Cinquecento fa trionfare le cosiddette “humanae litterae”, cioè quegli studi delle letterature classiche che si ritenevano indispensabili per la formazione dell’uomo e per metterlo in grado di svolgere le sue funzioni nella società, indichiamo con il termine di Umanesimo. L’Umanesimo si estese nel Cinquecento anche ad altri paesi europei.
Degli intellettuali provenienti dal Bisanzio, dopo la caduta di Constantinopoli in mano ai turchi ottomani (1453), insegnarono a Firenze, a Ferrara e a Milano. Diffusero lo studio del greco. Gli studi umanistici furono incoraggiati dalle famiglie dei Medici di Firenze, degli Este di Ferrara, degli Sforza di Milano, dei Gonzaga di Mantova e dei duchi di Montefeltro di Urbino, dei nobili di Venezia e della Roma papale. Così si allargò notevolmente la conoscenza del mondo antico e nacquero nuovi problemi e nuove idee.
La parola “rinascimento” ha un contenuto più ampio di “umanesimo”. Indica la “rinascita” non solo nella cultura letteraria, ma anche nelle arti, la rivoluzione scientifica, la scoperta e l’uso della stampa, la Riforma protestante e le grandi scoperte geografiche. Questi eventi riguardano non solo l’Italia, ma l’Europa intera. È l’epoca delle guerre, dei rivolgimenti politici e dell’affermazione di grandi stati nazionali come la Spagna, l’Inghilterra e la Francia. E l’Italia mentre perde gradualmente il proprio prestigio militare e politico si colloca al centro di questo rinnovamento culturale.
Il Rinascimento italiano fu soprattutto un fenomeno urbano, un prodotto delle più ricche città italiane come Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, Milano e Venezia. La riccheza di queste città, dovuta al periodo di grande espansione economica del XII e del XIII secolo, rese possibile le conquiste culturali di quest’epoca. I mercanti che operavano in tali città controllavano i flussi commerciali e finanziari di tutta Europa e ne favorirono perciò la fioritura.
Per quel che riguarda la problematica tratta nella nostra tesi, è importante la produzione tessile, che ebbe grande sviluppo nel Rinascimento e con la quale il commercio era naturalmente legato. I tessitori italiani superavano tutti i loro concorrenti per la quantità della produzione, ma in particolare per la qualità. Il panno prodotto dalle manifatture italiane era non solo finemente tessuto e ben lavorato, ma sopratutto colorato eccellentemente e riccamente decorato, tale da accontentare anche le richieste piú esigenti. Il commercio italiano approffitava del vantaggio della sua posizione al centro del Mediterraneo e della possibilità di fare da ponte fra est ed ovest.
Nel Rinascimento si mirava a fare dell’uomo ciò che era stato per gli antichi: il protagonista della natura e della storia, autonomo e responsabile di se stesso, non più subordinato alla forza divina. L’uomo, grazie ad un perfetto equilibrio tra le doti fisiche e quelle spirituali, doveva armoniosamente inserirsi nel meccanismo perfetto dell’universo.
Se il Medioevo aveva soprattutto volto lo sguardo ai problemi morali, l’età rinascimentale si espresse come culto della bellezza e dell’armonia. L’arte, in tutte le sue forme, era considerata la più alta manifestazione della personalità umana. Abbandonando lo stile gotico, i nuovi artisti avviarono nel Quattrocento ricerche basate sui modelli degli antichi, che avevano come scopo di ricollocare al centro d’interesse la persona umana intesa come perfetta costruzione corporea e spirituale. La prima fase dell’arte rinascimentale è incentrata a Firenze, ma nel passaggio fra Quattrocento e Cinquecento Roma diventerà il centro indiscutibile dell’arte. Nell’Italia del nord la frammentazione politica e la presenza di numerose corti era uno sprone per la promozione dell’arte, in Lombardia, Emilia e nel Veneto.
L’arte del Rinascimento vede lo studio e la riscoperta dei modelli antichi, sia in architettura che in scultura. Nell’architettura dominarono nel secolo XV Alberti, Brunelleschi e Bramante, e nel secolo XVI Michelangelo, il Palladio e il Sansovino. L’architettura si realizzò non solo in singoli edifici, ma in vasti piani urbanistici e nel raggiungimento di un perfetto rapporto tra la costruzione e il paesaggio.
L’immagine più suggestiva della civiltà rinascimentale è data dalle opere dei pittori, che si raccolsero intorno a due principali Scuole, quella toscana, caratterizzata dalla ricerca del disegno e delle forma, e quella veneta, in cui prevalse l’uso sapiente del colore. Tutti conosciamo le nome come Raffaello Sanzio, Michelangelo che eccelse anche tra gli scultori,  Tiziano Vecellio o infine Leonardo da Vinci che rappresenta nel modo più efficace, con la varietà dei suoi aspetti, l’ideale dell’artista rinascimentale.
Il Rinascimento fece inoltre grandi progressi nel campo della medicina e dell’anatomia. Tra il XV e il XVI secolo la prima traduzione delle opere di Ippocrate e Galeno venne redatta. Per l’anatomia viene ricordato Andrea Vesalio, che la studiò attraverso la dissezione dei cadaveri.
Alcuni dei più noti trattati greci di matematica furono tradotti nel XVI secolo. Verso la fine del XVI secolo, Galileo applicò i modelli matematici alla fisica. Lo studio della geografia fu trasformato dalle nuove informazioni ricavate dalle grandi esplorazioni geografiche.
In campo tecnologico, l’invenzione della stampa a caratteri mobili nel XV secolo da parte di Giovanni Gutenberg rivoluzionò la diffusione del sapere e la circolazione delle informazioni. La nuova invenzione aumentò la quantità di libri in circolazione, aiutò a eliminare gli errori di trascrizione e trasformò lo sforzo intellettuale in un’attività di confronto e di scambio piuttosto che di studi solitari. Tra l’invenzioni spicca anche l’introduzione delle armi da fuoco.
Le nozioni di repubblica e libertà, preservate e difese dai pensatori come Machiavelli sul modello degli statuti delle città-stato greche di Roma antica, ebbero un impatto indelebile sul corso della teoria costituzionale dello stato moderno.
Gli uomini di Chiesa del Rinascimento modellarono il proprio comportamento sull’etica della società laica. Le attività di papi, cardinali e vescovi si distinguevano ben poco da quelle dei grandi mercanti e dei principi. Il cristianesimo rimase comunque un elemento vitale nella cultura.
Lo storico Fernand Braudel scrive sull’eccezionalità del Rinascimento: “Dal 1450 al 1650 nel corso di due secoli particolarmente movimentati, l’Italia ha irradiato la sua luce dai mille colori tutti splendenti ben al di là dei suoi confini: questa luce , questa diffusione di un patrimonio culturale formatosi nel suo seno, si presenta come la caratteristica di un destino eccezionale, come una testimonianza che per la sua ampiezza, ha un peso reale di storia molteplice, i cui particolari, esaminati sul luogo, perfino in Italia, non si afferrano facilmente tanto sono stati diversi.” In altre parole, afferma Braudel, la “grandezza italiana è stata una dimensione del mondo” .
Il tramonto del Rinascimento iniziò con la decadenza politica ed economica in Italia, quando si spensero quelle forze creative che gli avevano dato vigore. Alcuni storici stabiliscono la fine del Rinascimento al 6 maggio 1527, quando le truppe spagnole e tedesche saccheggiarono Roma.

 

            2. Abbigliamento       

            Nel secondo capitolo descriviamo l’abbigliamento femminile, quello maschile, le acconciature, il trucco, la cura del corpo e i gioielli. Cerchiamo di osservare la moda rinascimentale come una parte dell’arte.
Come materiale di riferimento usiamo soprattutto il volume Obrazová encyklopedie módy di Ludmila Kybalová.

L’apparenza esterna dell’uomo e le cose che lo circondano mostrano in Italia un’eleganza ed un raffinamento maggiore che in qualsiasi altro paese.
Per studiare i cambiamenti che la moda ha subito nei secoli, occorre servirsi di documenti artistici, soprattutto di quelli pittorici. Ciò che i pittori italiani ci rappresentano come costume di quel tempo è in generale quanto di piú bello e di piú accomodato ci fosse allora in Europa, ma non si potrebbe dire con certezza, se quel modo di vestire prevalesse generalmente e se i pittori, ritraendolo, siano stati sempre esatti. Certo è che in nessun luogo si tenne del vestire quel conto che se ne teneva in Italia.
Verso la fine del XIV secolo non c’era una moda prevalente nelle città. Mentre la moda gotica indicava addirittura l’appartenenza di sociale delle varie persone, nel Rinascimento le differenze si equilibravano e la moda nel vestire si era individualizzata. La gente non aveva piú paura di distinguersi. La caratteristica principale dell’abbigliamento maschile e femminile era l’individualismo.
Spesso si venerava stoltamente tutto ciò che veniva dalla Francia, mentre in realtà molte delle sue mode non erano che antiche mode italiane spacciate come nuove, solo rientrate dopo aver fatto il giro del paese straniero.
Il simbolo più espressivo della “nuova moda” era che il corpo umano con le sue forme non si scopriva così come nell’antichità o come nello stile naturalistico gotico, ma che il corpo era interpretato come un complesso plastico. Con tutto l’individualismo, che era tipico di quei tempi, la moda rinascimentale è riuscita a creare un modello ideale del vestito da donna e da uomo del rinascimento, che fa da esempio a tutte le parti della società. L’intera idea dell’umanità, con la scoperta dell’uomo e con i ricordi dell’antichità, si specchia nella moda del Rinascimento, nel vestito articolato aritmicamente, dove vengono con delicatezza messe in evidenza le forme fondamentali del corpo umano. La “nuova moda” ha annullato, dai tempi precedenti, tutto ciò che era in disaccordo con la forma dell’armonia, della simmetria e della moderazione, eliminando tutto ciò che era legato ai tempi passati, per esempio mirò l’attenzione sulla proporzione dell’altezza. Ha eliminato mezza vita posizionata troppo in alto o troppo in basso sui fianchi, scarpe a punta innaturali, grandi scollature a punta, cocche allungate delle maniche e tutti i cappelli troppo alti. Al posto di questi ha introdotto una nuova norma rinascimentale, che veniva incontro all’ideale dell’epoca. Ha stabilito addirittura delle regole ben precise che valgono fino ad oggi: figura alta, spalle larghe, mezza vita stretta, le braccia e le mani perfette con le dita lunghe, pelle di color bianco e rosa, una bella bocca, denti bianchi, labbra rosse, movimenti eleganti e posizione slanciata del corpo.
La moda del Rinascimento si concentrava anche sull’acconciatura, colore dei capelli, forma del petto e altezza fisica. Ha creato un’equilibrio delle proporzioni umane nella moda, in modo simile come nell’architettura. È di prima importanza la misura umana, perciò la moda del Rinascimento del XV secolo nei confronti della moda dello stile gotico ha un’aspetto molto naturale.
La moda italiana del Rinascimento, si differenzia nettamente da quella del resto d’Europa, sviluppando un proprio stile, sia per gli uomini sia per le donne.

 

         2.1. L’abbigliamento femminile

         Il fatto che nel Rinascimento le donne iniziarono ad acquistare una posizione sociale più importante, si manifestò anche nell’abbigliamento che iniziò a differenziarsi maggiormente da quello maschile. Per questo periodo si può parlare di una vera e propria rivoluzione estetica; le donne aquistarono un linguaggio espressivo del tutto nuovo, che si manifestò nell’abbigliamento, nella cura del corpo e nel comportamento.
Il vestito femminile del XV secolo era pieghettato in maniera tale, da creare delle pieghe larghe e regolari, che fanno ricordare un ritmo tranquillo dell’architettura rinascimentale. Il vestito, che nello stile gotico circondava strettamente il corpo e cadeva dalle spalle strette, verticalmente accentuate, approfitta adesso molto di più della sensualità e plasticità.  Il naturalismo del gotico, che era tendenza della moda del nord nei tempi più famosi, fu repressa.
Per la prima volta il vestito da donna viene diviso in taglio di gonna lunga e corpetto, spesso da allacciare, con una scollattura piccola ovale. Con un rapporto equilibrato del corpetto e della gonna la moda italiana specifica chiaramente un ideale dell’equilibrio delle singole parti del corpo, in pratica tendenza simile come nel caso dell’architettura italiana, che è come se fosse fatta su misura dell’uomo. Per esempio H. Wölfflin segue il cambiamento dell’architettura italiana nel Cinquecento, la confronta prima di tutto con il vestito di questi tempi. L’architettura gli sembra essere come un vestito una proiezione dell’uomo e della sua sensualità sull’aspetto. Gli spazi che l’architettura costruisce con la creazione del soffitto e delle pareti, esprimono il tempo con la stessa precisione come lo stile del corpo e dei movimenti, come vorrebbe essere  e in che cosa trova un vero valore e importanza.
Il corpetto del vestito da donna all’inizio era completato da una manica semplice e aderente. Cosí sono finite le sopravvivenze del Medioevo, che alle maniche aggiungeva delle cocche lunghe. Queste limitavano il movimento delle persone e diventavano un simbolo del vestito delle classi più alte. La moda del Rinascimento, come spesso dicevano i teoretici e sopratutto le donne, deve essere ricca. Questa ricchezza si specchia non solo nei tessuti costosi e nella loro qualità, ma di nuovo nella manica. La manica stretta elegante del vestito del XV secolo veniva – dopo la metà del secolo – all’inizio sul gomito e dopo anche nella parte delle braccia tagliata, scoprendo cosí un pezzettino della biancheria intima bianca. Questo dettaglio capriccioso nella sua forma primaria potrebbe anche spiegarla come un’esigenza del Rinascimento, che puntava sull’agilità, movimento e flessibilità. Con la realizzazione di questi tagli all’inizio era accentuata la meccanica del corpo umano, liberando le maniche proprio nei punti di tensione più grande del tessuto. A queste tendenze venivano comunque adattati anche il taglio dell’intero vestito, con la separazione del corpetto e della gonna. All’inizio i tagli erano realizzati nelle cuciture. Lo spacco all’inizio era verticale, in una forma di un nocciolo, oppure un uovo, solo più tardi, nel XVI secolo erano tagliate in mezzo intere maniche in tutte le direzioni nelle forme di rettangoli, stelle e figure, creando cosí un gioco di due colori, due materiali e inizio di deformazioni, che sono tipici piuttosto alla moda del manierismo. La biancheria intima diventa la parte ovvero di lusso dell’abbigliamento, perché il vestito del color bianco era uno dei più pregiati.
Alla fine del XV secolo queste maniche costose e lavorate con ricchezza vengono addirittura separate dal corpetto e fissate allo stesso sul braccio solo con dei fiocchi. La manica del Rinascimento quindi ritorna al compito di una distinzione, come lo era nello stile gotico e quello del Bisanzio. I capricci della moda conferiscono il compito della distinzione una volta alla tunica romana, una seconda alle maniche e una prossima ad altri dettagli.

 

            2.2. L’abbigliamento maschile
        
         Nella moda maschile del Rinascimento esiste una doppia linea. Ugualmente come nell’antichità, anche nel Rinascimento i giovani zerbinotti usano vestiti corti, molto espressivi, la base dei quali è sempre composta di una tunica antica, dalla moda del Medioevo completata da maniche e vari accessori. Questo vestito, chiamato anche qualche volta „giornea“, arriva spesso alle ginocchia, altre volte è molto più corto, scoprendo il calzone, cucito di vari tipi di tessuti. Il vestito è decorato con le maniche, con trattamenti difficili ed una camicia col colletto. Nei tempi precedenti era pieghettato e completato con la cintura. Nel Rinascimento la pieghettatura e separazione con la cintura viene perfettamente lavorata. Siccome in moda arrivano broccati decorati, velluto tagliato e damasco e il decoro nella pieghettatura si perderebbe, i sarti uniscono il tessuto nelle pieghe arrotondate e regolari, che il tessuto duro gli permette di fare, rispettando il decoro. Altri tipi di soprabiti maschili, chiamati per esempio „tappert“ vengono – per gli stessi motivi – usati piuttosto come indumenti da Chiesa.
Alla seconda linea appartiene il soprabito maschile, con le maniche e il colletto largo, con ricche pieghe, che cade dalle spalle fino ai talloni. È una specie di un continuatore del soprabito tradizionale (toga). Anche se si tratta di un soprabito funzionale, è riuscito a conservarsi il significato simbolico e per il suo carattere di dignità è diventato una specie di un marchio degli studiosi, vecchi e l’intelligenza. Nessuna meraviglia che quest’abito, classico nei tempi di punta del Rinascimento, si è conservato come vestito tradizionale delle feste universitarie in tutto il mondo. Forse proviene dalla Francia, ma solo nell’Italia intellettuale, dove nel movimento rinascimentale il ruolo molto importante è quello degli studiosi e poeti, questo vestito assume  una vera importanza.
In Francia si mantiene il compito di distinzione. Un vestito usava un cavaliere o l’imperatore, un altro il giudice. In Italia però nel tempo del Rinascimento il potere intellettuale aveva tale importanza, che il soprabito degli studiosi era utilizzato anche dai sovrani, nobili, ecc. Questo soprabito e il primo segno certificante, che l’intelligenza comincia ad essere stimata per la propria esperienza e valutazione e per il beneficio, che porta alla società. Pittori, prima solo artigiani, diventano artisti, studiosi. Leonardo da Vinci costruisce le sue macchine, gli architetti e i pittori studiano la prospettiva e la classe governativa comincia ad interessarsi di tutte le scoperte, monumenti storici, matematica ed  astronomia. Nell’Italia del Rinascimento cominciarono a nascere le condizioni necessarie per lo sviluppo di un piccolo gruppo, ma importante, che fino ai tempi del gotico non esisteva. Il cosiddetto „soprabito dello studioso“, adottato da tutte le classi sociali, n’è una  dimostrazione anche nella moda.

 

            2.3. L’acconciatura, il trucco e la cura del corpo

In nessun paese d’Europa, dalla caduta dell’Impero romano in poi, non s’è cercato di dar tanto risalto al pregio della figura, al colore delle carni e alla ricchezza dei capelli, quanto allora in Italia. Tutto tende ad uniformarsi ad un tipo convenzionale universamente accettato.
Macek descrive il nuovo ideale estetico così: “L’ideale estetico era rappresentato da una biondina raggiante e dolce, cioè, come generalmente accade, l’opposto di quello per cui le donne italiane eccellevano per natura: capelli neri e carnagione scura. Va notato che la stragrande maggioranza delle Madonne dei pittori italiani sono – forse per influssione della tradizione gotica – o bionde o con i capelli castani. Anche nei busti ammiriamo la bionda belezza delle donne fiorentine e delle altre donne italiane (si veda, per esempio, il busto dipinto e dorato di una giovane fiorentina al Louvre). Anche la lirica amorosa esaltava le donne bionde. Già Dante aveva confessato che gli sarebbe piaciuto toccare i biondi capelli della sua amata e, dopo il re dei poeti, anche altri cantori dell’amore esaltarono l’ideale di una bionda luminosa. È stata la moda a influenzare la creazione artistica o sono invece stati gli artisti ad imporre al pubblico il loro ideale di bellezza femminile?”
Le dame italiane si preoccupavano di schiarire i propri capelli e di ampliare la fronte depilandosi l’attaccatura dei capelli, con creme o pinzette. Si credeva che il raggio solare avesse in sè la virtù di far acquistare il biondo ai capelli, perciò le dame ebbero il coraggio di stare giornate intere sotto la sferza del sole. Nei capelli venivano intrecciate le cordicelle di perle e coralli, capelli venivano decorati con le rettine e veli.
La truccatura, di cui era pratica ogni donna, faceva parte dell’arte. Le arti cosmetiche, che fino al 1300 erano tramandate per lo più oralmente, di madre in figlia, più tardi grazie all’invenzione della stampa nel XV secolo furono raccolte in libri di “segreti” e ricette di bellezza. Alcune istruzioni di Caterina Sforza ci fa uno conoscere tutta la raffinatezza, cui veniva usata nella truccatura .
Non sempre il trucco era accolto con entusiasmo, anzi molti criticavano le dame dicendo che i cosmetici alteravano “l’immagine di Dio”, ma le signore continuavano a correggere i propri difetti o a migliorare la propria natura utilizzando diversi rimedi. Non giovarono nè i sarcasmi dei poeti, nè le invettive dei predicatori, nè la paura stessa di guastarsi precedentemente la pelle a distogliere le donne da quegli usi.
La realtà è che Firenze e Siena, per esempio, si riempirono ad un tratto di bionde, anche se qui le donne erano per natura brune e di carnagione scura. Franco Sacchetti considerava ironicamente le donne fiorentine superiori a tutti i pittori del suo tempo: esse, a quanto diceva, erano in grado di mutarsi i capelli e il viso fino a diventare irriconoscibili, fino a creare su se stesse proprio l’opposto di ciò che natura aveva loro dato. A chi non gli credeva, il Sacchetti consigliava di guardarsi intorno.
Macek scrive: “Il poeta Cecco Angiolieri descrive in versi, con ricchezza di particolari, il filtro, la biacca, l’allume e i pennellini con cui sua moglie si era truccata il viso in modo tale che, rientrando a casa, egli non l’aveva assolutamente riconosciuta. Il severo monaco Fra Filippo nei suoi Assempri ha addirittura fatto prendere dal demonio le popolane vanitose e truccate. I belletti, a giudizio dei moralisti, erano la maschera del demonio che le donne empie si mettevano su un volto creato da Dio! Ancora cento anni dopo (nel 1480) Vespasiano da Bisticci criticava la vanità e la smania delle donne fiorentine di vestirsi alla moda e di truccarsi con creme e belletti.” Le critiche moralistiche non servirono a nulla. Le donne cominciarono ad emanciparsi dalla condizione di creature oppresse e assolutamente prive di diritti, iniziarono a considerarsi personalità piú importanti di quanto non lo fossero state fino allora, si misero ad accentuare le differenze fra l’una e l’altra soprattutto nella grazia esteriore, nella bellezza delle vesti, nel viso e nell’ideale di bellezza alla moda.
Anche gli uomini però cedevano alla civetteria, tingendosi di scuro la barba. Il candore della pelle, indice di stato agiato, opposto al colore abbronzato dei contadini, rimase un fondamento della moda per i tre secoli successivi, e veniva preservato riparandosi dai raggi del sole. Il bianco non doveva però essere completamente uniforme. Le guance dovevano essere rosate, come la punta delle orecchie, il mento ed i polpastrelli, che dovevano trasmettere un senso di benessere e attirare lo sguardo.
Anche l’uso dei profumi eccedette ogni misura e si estese perfino a tutte le cose, con le quali in qualsiasi modo si doveva venire a contatto. Per la fabbricazione dei profumi vengono usate materie prime costosissime, animali e vegetali, come il muschio, la mirra, lo zibetto, l’ambra grigia (secrezione profumatissima del capodoglio), e poi rose, fiori d’arancio, gelsomini. Sono di gran moda le gemme portaprofumo (vasetti, piccole giare d’oro, ma anche pomi d’oro e bossolotti) ed i guanti che mantengono permanentemente il profumo che è stato loro dato mediante una particolare concia.

2.4. Gioielli
Il Cinquecento è il secolo dei gioielli che abbelliscono non solo la persona ma anche i diversi capi dell’abbigliamento.
Si diffonde l’uso degli orecchini nella versione a goccia. Reti d’oro ingioiellate raccolgono i capelli; le fronte è segnata dalla lenza con gemma. Si sfoggiano a profusione medaglie ed iniziali in oro massiccio, grandi catene d’oro e collane di perle e braccialetti con incastonate pietre preziose. Gli anelli sono frequentissimi e la vera spesso si arricchisce di gemme.
Gli uomini portano medaglie e cammei che sono appuntati non solo sul cappello, ma anche sulle vesti e sul mantello e pendono dalle grosse collane d’oro a catena. Gli anelli sono usati con moderazione.
Una legge suntuaria del 1540, a Bergamo, proibisce l’uso degli orecchini agli uomini a ciò fa pensare che essi fossero stati adottati anche dai gentiluomini, benché l’uso non sia documentato.

Tutte le prescrizioni di moda venivano rispettate severamente e ogni ritratto rinascimentale è  una conferma chiara di questo stile.
        

 

3. Glossario

 

Molti nomi che indicano parti dell’abbigliamento o delle acconciature rinascimentali non si usano più o con il passare del tempo è cambiato il significato della parola. Abbiamo riassunto in questo capitolo i termini base della moda rinascimentale per chiarirli più dettagliatamente.

balzo – acconciatura fastosa ed imponente, tipicamente italiana, di forma rottondeggiante, fatta con tessuti preziosi ed arricchita di ornamenti.

borsacchino, borzacchino – stivaletto chiuso o allacciato sul davanti, che arriva al polpaccio. In pelle o feltro.

broccato – pregiato tessuto di seta, di lana o anche di velluto, nel quale il disegno è ottenuto con la sovrapposizione di fili di seta, d’oro o d’argento. Originaria della Cina, questa lavorazione si diffuse a Milano, Firenze e Venezia, tra il XIV e il XVI secolo.

camora - casacca per donne lunga fino a terra e allacciata sul davanti con una fila di bottoni. La camora era di seta d’estate e di lana d’inverno. Era indossata sotto la giornea e qualche volta sotto un mantello foderato di stoffa o di pelliccia. Il nome viene fatto derivare dal plurale della parola araba khimar (pl. khumur) che significa velo da donne o più generalmente vestito da donna.

capoto – giacca elegante, senza maniche.

cappa – ampio mantello, in genere fornito di cappuccio, indossato un tempo da cavalieri e persone d’alto rango.

cioppa – veste invernale, indumento importante anche nell’abbigliamento maschile. È spesso foderata di pelliccia, con maniche ampie, ornate di ricami e passamanerie; quando il tempo è brutto, è completata da un cappuccio.
 
coazzone – lunga treccia arricchita da cordelle e perle.

colletto – nella moda rinascimentale un bustino di origine militaresca, che, all’inizio di cuoio e molto semplice, è con il tempo diventato molto elegante e ricco.

cono – stravagante acconciatura.

corna – acconciatura, raggiungono talvolta l’ampiezza di 120 centimetri, restano in Italia modeste.
 
cotta – si porta sotto la giornea, è di tessuto leggero e quasi sempre chiaro, resa preziosa da ricami ed ornamenti, ma talvolta preziosa anche solo per il tessuto di cui è fatta.

damasco – tessuto che prende il nome dalla città di Damasco, capitale della Siria, dove questa tecnica si perfezionò nel XIII secolo. Può essere di seta, cotone o lana fine, e è operato a due dritti, in modo che il disegno ornamentale, pur essendo eseguito nella medesima tinta del fondo, spicca per una diversa lucentezza.

farsetto – indumento corto con maniche, segue la linea del busto e scende un poco sotto la vita. È abbottonato sul davanti ed è fornito di occhielli e lacci per sostenere le calze solate prima, le calze braghe poi.

gabbanella – abbigliamento infantile, una sorta di cappottino ampio e corto al ginocchio, senza maniche.

gamurra, gammurra – vedi camora.

gavardina – veste corta, spigliata ed elegante, forse di origine spagnola.

ghirlanda – acconciatura simile al balzo, ma più piatta.

giornea – sopravveste sia maschile che femminile in uso nel’400 in Italia, eredita dalla trecentesca guarnacca, caratterizzata dall’ampiezza dall’assenza di maniche; secondo alcuni autori rientrano nella categoria anche le sopravvesti con maniche solo ornamentali, che non venivano indossate ma lasciate pendere. Realizzata in tessuti ricchi, broccato, velluto, damasco, può presentare una fodera in pelliccia. La giornea femminile è ampia e lunga sino a terra, sovente con strascio. Quella maschile è più corta, al ginocchio o appena sopra; molto ampia, ricade in una serie di pieghe che possono essere trattenute da una cintura; può presentarsi completamente aperta sul fianco, e talvolta si mostra orlata da una fascia di pelliccia uguale alla fodera.

giuppone – abbigliamento degli uomini nobili, che si indossava come una maglietta del quale si vedevano solo le maniche.

giustacuore – lunga casacca attillata con maniche dagli ampi risvolti, usata solo fuori casa.

guarnacca, guarnàccia – sopravveste medievale, lunga ed ampia, completamente chiusa (cioè priva di allacciatura), munita di ampi spacchi laterali, con o senza cappuccio, priva di maniche o con maniche amplissime, che ebbe larga diffusione in Italia, in Francia e in Inghilterra. Dapprima esclusivamente maschile, la guarnacca fu adottata anche dalle donne a partire dal secolo XIV e sopravvise fino alla fine del Cinquecento. È molto elegante e riccha (talvolta anche troppo).

guarnaccione – soprabito che portavano i borghesi fiorentini più anziani.

guarnello – abito senza maniche che prende il nome dal tessuto leggero col quale era cucito. È indossato come grembiule a casa.

lucco – tipico abbigliamento maschile a Firenze. Si indossa in estate, è generalmente di colore nero, chiuso al collo da un gancio, lungo fino ai talloni, aperto davanti ed aperto ai fianchi per lasciare uscire le braccia. Nobili e ricchi possono portarlo anche in inverno, foderato di stoffe ricche e pesanti o di pelliccia.

mantellina – tipo di mantello

mazzocchio – specie di turbante che avvolgeva il capo e poi ricadeva sulla spalla con una falda abbastanza lunga.

pellanda – vedi cioppa

pizzo a tombolo, a fuselli – lavorazione tradizionale veneta (un tempo diffusa in tutta Italia e ora relegata ad alcune regioni come l’Abruzzo), una tecnica antica che risale al XV secolo. Si esegue con coppie di fili avvolti attorno a fuselli che si intrecciano insieme. Esistono solo due punti fondamentali: il mezzo punto e il punto intero con i quali si ottengono una grande quantità di motivi.

robone – indumento femminile lungo fin quasi a terra, aperto davanti, con maniche ampie e spesso foderate di stoffa e di pelliccia. Le maniche sono allacciate alle spalle mediante cordelle che finiscono con puntali di ferro, d’oro, d’argento o anche di cristallo.

saio – sopravveste maschile elegante, adottata da gentiluomini e ricchi mercanti, dotata di maniche, abbottonata davanti, che copre il busto ed arriva a metà coscia, di seta e non foderata.

saione – saio più abbondante in ampiezza e lungo fino ai piedi.

sbergna – tipo di mantello

sella – acconciatura simile alla sella usata comunemente per cavalcare, avvolta secondo le occasioni in reti gemmate e portata sotto il cappuccio.

solana – copricapo curioso, che usavano le donne cercando di ossigenarsi i capelli naturalmente: con il sole. Proteggeva la carnagione e il cocuzzolo serviva alla stenditura dei capelli.

sopravveste – antico abito maschile e femminile caratteristico delle classi agiate, che era portato sopra gli altri indumenti ed era spesso ornato di pelliccia. Aveva finte maniche e le braccia uscivano da apposite aperture.

tabarro – tipo di sopravveste, indumento serio, in genere non raffinato, ma talvolta foderato di pelliccia e di tessuto pregiato.

 tappert – corto mantello da indossare sotto la cotta d’armi.

toga – indumento lungo e piuttosto ampio, che ha un colletto verticale. Le maniche sono in genere aderenti al braccio, ma a Venezia sono ampie ed aperte (maniche alla dogalina).

velluto – termine colletivo per tessuti con struttura pelosa in rilievo e morbida, liscia o a coste più o meno larga.

veneziane – ampi calzoni lunghi sino al ginocchio, poco imbottiti, in uso nel Cinquecento.

vescapo – tipo di mantello.

zimarra – vedi sopravveste

zuparello – corto giubbetto che indossavano i giovani. La cortezza era esagerata in Italia e sarebbe stato motivo di scandalo in altri paesi.

 

            4. La moda nella letteratura      

 

Non solo il lato morale degli individui e dei popoli, ma anche l’apparenza esteriore dell’uomo è oggetto d’osservazione nel Rinascimento. Lo possiamo dimostrare su opere di scrittori noti di quell’epoca. Per questo scopo abbiamo scelto opere di Giovanni Boccaccio, Baldassare Castiglione, Angelo Firenzuola e Alessandro Piccolomini.

4.1. Giovanni Boccaccio

Boccaccio è un vero maestro per quel che riguarda la descrizione della bellezza, ma non tanto nel Decamerone, dove la novella vieta ogni lunga descrizione, quanto nei suoi romanzi.
Nella Commedia delle ninfe fiorentine (o Ameto) possiamo trovare il ritratto di una bionda e di una bruna. Burckhardt scrive: “La bruna ha già alcuni tratti che potremmo dire classici: nelle parole la spaziosa testa e distesa si ha il presentimento di forme grandiose, che vanno al di là della semplice grazia e leggiadria; le sopracciglia non formano più, come nell’ideale dei Bizantini, due archi, ma una sola linea ondeggiante; il naso sembra che l’autore lo immagini pendente nell’aquilino; anche il largo petto, le braccia di moderata lunghezza, la bella mano posata negligentemente sul manto porporino, tutti questi tratti insomma accennano evidentemente ad un sentimento della bellezza, che è quello dell’epoca che s’avvicina, e che, senza saperlo, tiene al tempo stesso assai di quello della classica antichità.”
In altre descrizioni il Boccaccio parla anche di una fronte piana (non rotondeggiante all’uso del Medioevo), d’un occhio serio, bruno, oblungo, di un collo rotondo, ma non curvato in arco, nonché, con gusto molto moderno, di un piccolo piede e di due occhi “ladri nel loro movimento”   in una Ninfa dalle chiome d’ebano.

 

4.2. Baldassare Castiglione

“Dico ben che ancor l’abito non è piccolo argomento della fantasia di chi lo porta” afferma l’autore del Cortegiano .
Secondo Baldassare Castiglione il vestito è la prima arma di seduzione, più efficace quanto più è nascosta, più pericolosa quanto più è sottile. Deve svelare invece di nascondere, attirare lo sguardo in una maniera fortuita in apparenza, ma in realtà estremamente studiata. Il vestito diventa insomma una forma della famosa “sprezzatura”: l’arte che consiste nel celare lo sforzo e nel nascondere sotto una disinvoltura apparentemente spontanea, l’artificio. Dice infatti Castiglione:
“Avete voi posto cura talor, quando, o per le strade andando alle chiese o ad altro loro, o giocando o per altra causa, accade che una donna tanto della robba si leva, che il piede e spesso un poco di gambetta senza pensarvi mostra? non vi pare che grandissima grazia tenga, se ivi si vede con una certa donnesca disposizione leggiadra ed attillata nei suoi chiapinetti di velluto, e calze polite? Certo a me piace egli molto e credo a tutti voi altri, perché ognun estima che la attillatura in parte così nascosta e rare volte veduta, sia a quella donna più tosto naturale e propria che sforzata, e che ella di ciò non pensi acquistar laude alcuna.”
La “grandissima grazia” di cui parla qui Castiglione è una delle componenti della Grazia, quel “condimento d’ogni cosa, senza il quale tutte l’altre proprietà e bone condicioni sian di poco valore” a cui è dedicata la maggior parte del primo libro del Cortegiano. La Grazia è una metafora dell’equilibrio su cui riposa la Corte , immagine di una realtà perfetta, regolata da leggi e da comportamenti ben definiti.
E come è l’ideale del cortigiano a proposito dell’apparenza esteriore? A questa domanda risponde il Conte Ludovico di Canossa a Bernardo Bibbiena nel primo libro del Cortigiano: “Certo quella grazia del volto, senza mentire, dire si può essere in voi. Né altro esempio adduco che questo, per dichiarire che cosa ella sia: che senza dubbio vediamo il vostro aspetto essere gratissimo e piacere a ognuno, avvenga che i lineamenti di esso non siano molto delicati; ma tiene del virile, eppure è grazioso. E trovarsi questa qualità in molte e diverse forme di volti.
E di tale sorte voglio io che sia l’aspetto del nostro cortigiano, non così molle e femminile come si sforzano di avere molti, che non solamente si crespano i capelli e spelano le ciglia, ma si strisciano con tutti quei modi che si facciano le più lascive e disoneste femmine del mondo. E pare che nell’andare, nello stare, e in ogni altro loro atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro l’uno dall’altro. (...)
Venendo adunque alla qualità della persona, dico bastare che ella non sia estrema in piccolezza né in grandezza, perché e l’una e l’altra di queste condizioni porta seco una certa dispettosa meraviglia, e sono gli uomini di tale sorte mirati quasi di quel modo che si mirano le cose mostruose. Benché, avendo da peccare nell’una delle due estremità, meno male è l’essere un poco diminuito, che eccedere la ragionevole misura in grandezza: perché gli uomini così vasti di corpo, oltre che molte volte di ottuso ingegno si trovano, sono ancora inabili a ogni essercizio di agilità. La quale cosa io desidero assai nel cortigiano.”

 

            4.3. Angelo Firenzuola

            Nel secolo XVI il Firenzuola emerge in modo speciale con il suo notevolissimo scritto “Della bellezza delle donne”. In esso possiamo separare quello che  egli ripete sulla fede degli scrittori antichi o sulla autorità degli artisti (per esempio la determinazione delle proporzioni secondo la lunghezza del capo, alcune idee astratte e simili), dal molto di più che è frutto di osservazioni sue proprie, confermate con esempi di donne e fanciulle di Prato. La sua operetta ha la forma di un discorso, che l’autore tiene dinanzi alle donne di questa città, quindi dinnanzi ai giudici più severi, perciò non c’è ragione di credere che non si sia tenuto scrupolosamente fedele alla verità. Il principio dal quale move è la ricerca parziale di molte singole parti belle per costituire un tutto perfettamente bello. Definisce le diverse gradazioni dei colori, che possono avere le carni e i capelli, e dà la preferenza al biondo come il più bello. Sotto “il biondo” intende un giallo delicato pendente nel bruno.
Vuole che i capelli siano crespi, copiosi e lunghi, la fronte serena, alta la metà della sua larghezza, candida, di una bianchezza rilucente, non morta e dilavata, le sopracciglia brune, sottili e morbide come seta, folte in sul mezzo e dolcemente digradanti verso il naso e gli orecchi, il bianco dell’occhio tendente leggermente all’azzurro, l’iride non assolutamente nera, quantunque tutti i poeti gridino ad una voce occhi neri, come prerogativa di Venere, mentre invece è certo che l’azzurro celeste fu vanto delle stesse Dee, e che il bruno cupo è più cercato, perché crea una vista dolce, allegra, chiara e mansueta. L’occhio poi vuol essere grande e rilevato; le palpebre saranno bellissime, se “bianche e vergheggiate con certe venuzze vermigliate, che a fatica si veggano... i peli delle quali voglion essere raretti, non molto lunghi”, né troppo neri.
Quella fossa che circonda l’occhio, non deve essere né molto affonda, né troppo larga, né di colore diverso dalle guance. L’orecchio, di mediocre grandezza, saldo e bene attaccato, può essere più vivamente colorato nelle parti rilevati. Le tempie devono essere bianche e piane, né troppo strette. La bianchezza “dalle estremità, pura neve, vadia, insieme con gonfiamento della carne, crescendo sempre in incarnato” è la caratteristica delle guance. Nel naso, che determina essenzialmente il pregio del profilo, devono le nari rialzarsi in principio, di poi, abbassandosi dolcemente, salire verso la fine, sicchè con ugual tratto sempre diminuiscono. La parte inferiore del naso deve avere un colore “simile all’orecchio, ma forse anche menoacceso, purchè non sia bianco bianco, come se gli facesse freddo” , e la parete di mezzo sopra il labbro sia leggermente rossa.
L’autore desidera la bocca piuttosto piccola, ma nè appuntita, nè piatta, le labbra non troppo sottili, ma bellamente proporzionate tra loro: nell’aprirle accidentalmente (vale a dire senza parlare o ridere) non si vedono mai più di sei denti superiori. Bellezze speciali sono una piccola fossetta nel labbro superiore, un bel rigonfiamento dell’inferiore, un vezzoso sorridere nell’angolo sinistro della bocca ecc. I denti non devono essere né troppo piccoli, né disuguali, ma con bell’ordine separati e candidi come l’avorio: le gingive “paiano piuttosto orli di raso chermisino, che di velluto rosso.” Sia il mento rottondo, “non già arricciato, né aguzzo, colorito nel suo rialto d’un color vermiglietto, un poco acceso”.  Il collo deve essere bianco e rottondo e piuttosto lungo che corto, la fontanella e il cosí detto pomo d’Adamo appena percettibili; la pelle “nell’abbassarsi vorrebbe far certe rughe circolari in forma di monili e nell’alzarsi vuol distendersi tutta”. Le spalle le desidera larghe, ed anche quanto al petto il Firenzuola ne riconosce nella sua latitudine il maggior pregio; ma deve essere “sì carnoso, che sospetto d’osso non apparisca, e dolcemente rilevandosi dalle estreme parti, venire in modo crescendo, che occhio a fatica se ne accorga, con un color candidissimo macchiato di rose”.
La gamba deve essere lunga, schietta nelle parti inferiori, ma non con gli stinchi ignudi di carne. Il piede lo vuole piccolo, snello, ma non magro, “né senza l’atto del salir del collo..., bianco come lo alabastro.” Anche le braccia devono essere bianche “con un poco d’ombra d’incarnato sui luoghi più rilevati, carnose e musculose, ma con una certa dolcezza, come quelle di Pallade, quando si mostrò al pastore”; in una parola succose, fresche e sode. Finalmente la mano si desidera bianca, massimamente nella parte disopra; deve essere grande e un poco pienotta, e morbida a toccare come fina seta, rosea nell’interno, “con linee chiare, rare, ben distinte, non intrigate, non attraversate”; le dita lunghe schiette e assottigliantisi dolcemente verso la cima, con unghie “chiare, non lunghe, non tonde, né in tutto quadre... scalze, nette, ben tenute, sicché da basso appaia sempre quello archetto bianco, e di sopra avanzi della polpa del dito quanto la costola d’un picciol coltello.”
Burckhardt scrive: “Sull’uscire del medioevo tutte le letterature possono vantare singoli tentativi fatti per fissare quasi dogmaticamente l’idea della bellezza. Ma ogni altra opera resta facilmente ecclisata da questa del Firenzuola.”

 

4.4. Alessandro Piccolomini

Il Dialogo della bella creanza delle donne, o Raffaella, come è questa opera di Piccolomini di solito chiamata con il nome di una delle due interlocutrici, vide la luce a Venezia nel 1539 per i tipi di Curzio Navò e fratelli. Oggi è disponibile nell’edizione critica allestita da Giuseppe Zonta nei Trattati del Cinquecento sulla donna (Bari, Laterza, 1913, pp. 1-67), ristampata con un unico emendamento in Prose di Giovanni Della Casa e altri trattatisti cinquecenteschi del comportamento, a cura di Arnaldo Di Benedetto, Torino, UTET, 1970, pp. 431-505.
Nell’opera viene rappresentato il colloquio tra la mezzana Raffaella e la giovane Margherita, maritata, che viene convinta infine ad accettare le profferte amorose dell’innamorato Aspasio.
Gli argomenti che tocca la ruffiana nella sua requisitoria sono l’utilità in gioventù di vivere allegramente e prendersi qualche sollazzo, il governo della casa, la condotta nei ritrovi e nelle conversazioni, la legittimazione dell’amore extraconiugale, le norme con cui scegliere lo spasimante, ma anche l’abbigliamento, la cosmetica e l’igiene della persona.
Quando Margherita, la più ingenua delle due, chiede a Raffaella, quale è la caratteristica più importante della moda, Raffaella risponde con molta sincerità; in disaccordo con tutti i criteri della Chiesa la moda deve essere ricca, il vestito deve essere largo, con numerose pieghe. Margherita e Raffaella continuano a parlare di stoffe, che devono essere più delicate possibili e di miglior qualità perchè se l’uomo si veste nel panno, sembra come se fosse vestito in una tonaca da monaco.

 

         Conclusione

 

         “...il Rinascimento non può essere colto solo nel fascino e nella perfezione entusiasmante della sua forma, ma nella sorprendente armonia di tutti i suoi aspetti. Solo cosí si può compiutamente apprezzare il suo significato duraturo,” afferma Macek.
La tesi prende origine dalla questa concezione del Rinascimento: per questo abbiamo cercato di riflettere su un ramo importante della cultura italiana del Rinascimento da un punto di vista più vasto.
Dal primo capitolo, in cui abbiamo descitto le idee fondamentali del Rinascimento, risulta che i segni più significanti sono l’armonia e  la perfezione. Il fatto si manifestò naturalmente anche nel modo di vestirsi, che fu considerato una parte importante dell’arte .
Per una maggiore chiarezza abbiamo formato il glossario che include i concetti più usati nel campo della moda rinascimentale. Spesso la stessa parte dell’abbigliamento viene chiamata con più nomi, per lo più perché si usava in ogni regione un altro nome. Qualche volta l’abbigliamento viene chiamato differentemente comunque si distingue solo minimamente dall’altro.
Il modo di vestirsi e l’apparenza esterna dell’uomo fu un tema frequente di molti scrittori dell’epoca, come abbiamo dimostrato sulle opere di Boccaccio, Castiglione, Firenzuola e Piccolomini.
La moda italiana del Rinascimento diventò il fondamento per la moda odierna non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo.
La moda rinascimentale è legata anche con i primi cambiamenti della posizione della donna nella società, e forse ci rende possibile capire l’orgoglio nazionale italiano.

in Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/rinascimento, 17/4/2006.

cfr. ibid.

cfr. Burckhardt J., La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze 1926, volume I, Parte seconda, cap. I, pp. 153-159; Ibid. Parte terza, pp. 201-206, pp. 220-241; cfr. anche Galavotti E., Il Rinascimento,  http://www.homolaicus.com/letteratura/rinascimento.htm 29/4/2006.

Ibid.

Ibid.

cfr. Macek J., Il Rinascimento italiano, a cura di Leandro Perini, Roma 1972, pp. 7-15. Titolo originale: Italská renesance, Praha 1965. Ci si possono conoscere i particolari che si riferiscono allo sviluppo della produzione tessile, la fondazione delle manifatture e l’origine dei rapporti capitalistici.

cfr. Francesco Morante, Primo rinascimento, http://www.francescomorante.it/pag_2/204.htm 30/3/2006; cfr. anche Burke P., Italská renesance, Mladá fronta, Praha 1996.

cfr. ibid.

cfr. Wikipedia, http://it. wikipedia.org/wiki/Rinascimento, 17/4/2006.

Ibid.

cit. Braudel F., Il secondo rinascimento. Due secoli e tre Italie, Einuadi, 1986, p.3.

Ibid.

cfr. Wikipedia, http:/it.wikipedia.org/wiki/rinascimento, 17/4/2006.

Kybalová L., Obrazová encyklopedie módy, Artia,Praha 1973.

cfr. Burckhardt J., La civiltà del Rinascimento in Italia, a cura di G. Zippel, volume II, Firenze 1921,  pp. 111-121.

  Ibid.

cfr. Kybalová L., Obrazová encyklopedie módy, Artia,Praha 1973, pp. 139-144.

Ibid.

Ibid.

cfr. Wölfflin H., Klasické umění, Praha 1912, p. 284.

cfr. Kybalová L., Obrazová encyklopedie módy, Praha 1973, pp. 139-144.

ibid. pp. 144-153.

Macek J., Il Rinascimento italiano, a cura di Leandro Perini, Roma 1972, cit. p. 326.

cfr. Kybalová L., op. cit., p.139.

cfr. Floerke H. v., Die Moden der Renaissance, München 1924, p. 103.

Macek J., op. cit., p. 326.

cit. ibid.

cfr. ibid., pp. 326-327.

cfr. Fustinoni M. G., L’arte della moda nel rinascimento italiano,. http://web.tiscali.it/ramp2/artmoda/artemoda006.htm, 30/4/2006.

Ibid. http://web.tiscali.it/ramp2/artmoda/artemoda007.htm, 20/4/2006.

Le nozioni sono prevalente derivate da Renesančná Florencia, Tatran,Bratislava 1973, pp. 71-84 (in originale Tutto su Firenze rinascimentale, Bemporad Marzocco, Firenze 1964); Zítek O., Lidé a móda, Orbis, Praha 1962, pp. 244-251; Fustinoni M. G., L’arte della Moda nel rinascimento italiano, http://web.tiscali.it/ramp2/artmoda.

cit. Burckhardt J., La civiltà del Rinascimento in Italia, a cura di G. Zippel, volume II, Firenze 1921, pp. 79-80.

ibid. p. 80. Questa citazione è derivata dalle Opere volgari del Boccaccio, ediz. Moutier, vol. XV, p. 30 sgg.

cfr. ibid.

B. Castiglione, Il libro del cortegiano, intr. di A. Quondam, note di N. Longo, Milano, Garzanti, 2000, libr. 2, cap. XXXVIII, p. 161.

cfr. Abram B. C. M., Il travestimento nella commedia del ´500, www.provincia.belluno.it.

B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Milano, Garzanti, 1981, libro I, cap. XL, p. 88.

Ibid.

Ibid., p. 56.

Corte d‘Urbino

cfr. Abram B. C. M., op. cit.

Ibid. pp. 39 – 41.

cfr. Burchardt J., op. cit., p. 81.

cfr. Burckhardt, op. cit., pp. 81-82. Citazione sono derivate da Della bellezza delle donne, nel vol. I, delle Opere di A. Firenzuola, Milano 1802. Cit. Discorso secondo: Dialogo della perfetta bellezza d’una donna, p. 63 e sgg.

Ibid.

Ibid. p. 83.

Ibid. pp. 83-84.

Ibid. p. 84.

cit. ibid. p. 85.

cfr. Pignatti F., Alessandro Piccolomini, Il dialogo della bella creanza delle donne, www.italica.rai.it/rinascimento/cento_opere.

Ibid.

cfr. Floerke, H. v., Die Moden der Renaissance, München 1924, p. 45.

cit. Macek J., Il Rinascimento italiano, a cura di Leandro Perini, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 425.

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/74497/ff_b/0.doc

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