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La leggendaria couturiére francese Coco Chanel diceva: “La moda non è solo qualcosa che sta nei vestiti. La moda è nell’aria. Ha qualcosa a che fare con le idee, con il modo in cui viviamo, con ciò che ci accade”.
Infatti, come si spiega il fatto che, quando una persona vuole entrare a far parte di un dato contesto sociale, comincia a “imitare” i comportamenti ed il modo di apparire di quel gruppo?
Come mai, quando una persona esce da un periodo buio della sua vita, spesso -per prima cosa- apporta un cambiamento alla propria immagine, al modo, cioè, in cui si presenta agli altri?
Perché una persona che raggiunge il successo professionale, spesso e volentieri modifica in tutto o in parte il suo modo di apparire, comprando abiti di tagli e materiali più raffinati e aggiungendo oggetti di prestigio come, ad esempio, un orologio prezioso, oppure un paio di scarpe di pellame pregiato?
E’ difficile non dare un significato a quei maglioni a collo alto e a manica lunga che cercano di nascondere il più possibile le mani ed il busto, oppure a quelle acconciature di capelli con cui volutamente una persona nasconde parte del viso, in particolare se siamo dotati di un po’ di intuizione o di sensibilità e, in tal modo, ci rendiamo conto che quella persona sta passando un momento di imbarazzo o di difficoltà.
L’abito parla, ogni look ha un suo linguaggio e ogni coiffeur trasmette un messaggio: tutto concorre alla costruzione dell’identità della persona.
La moda esprime un comportamento, perché non è un fenomeno silenzioso, ma un atto che si traduce in parole fatte di movimento, colori, linee, in una incessante dinamica di cambiamenti e di revival.
E’ un oggetto culturale, che accompagna l’uomo nella sua evoluzione storica e umana.
Il Counseling non può, pertanto, rimanere estraneo ad una realtà che tocca la persona al pari di altri eventi, esperienze e situazioni in cui viene a trovarsi.
La ragione di questa tesi nasce proprio dalla necessità di guardare il fenomeno moda più in profondità per dare una risposta diversa, significativa, di rottura e di cambiamento, che può dare solo chi sceglie di offrire una relazione di aiuto, anche in un ambito che per molti appare banale, inutile e irrilevante sebbene, al contrario, aggiunga anche la sua parte di senso nella costruzione dell’identità di una persona.
Il counseling per la moda entra a pieno titolo, come legittima risposta a un bisogno dell’uomo e come relazione di aiuto, ogni qualvolta questo bisogno non è espresso o, al contrario, è oltremodo ridondante, o ha bisogno di un orientamento.
La moda non può essere considerata solo un bisogno biologico, non risponde esclusivamente alla necessità di coprire la propria nudità e proteggerla.
L’abito e l’accessorio nascondono in sé stessi dei segni, più o meno palesi, utili al fine di esprimersi e di esprimere la propria identità personale e sociale.
L’oggetto smette di essere solo funzionale, anzi quest’ultima caratteristica diventa secondaria.
L’oggetto, infatti, diventa prima di tutto un segnale comunicativo di cui anche il counseling si mette in ascolto, per tradurlo in una relazione di aiuto.
Quando l’eccentricità o l’eccessiva invisibilità si nascondono in una cravatta eccessivamente sgargiante o un disagio in una gonna troppo lunga, il counselor può essere di aiuto per aumentare la consapevolezza e migliorare la qualità della vita. Possiamo chiederci se sia veramente possibile un cambiamento che parte dalla nostra “moda”, ovvero dal nostro modo personale di vestire il nostro corpo.
Possiamo dire senza dubbio che anche l’abito fa la persona, rende consapevole il suo rapporto con la corporeità, scioglie tutti i legami interni, le corde invisibili più profonde.
Così l’individuo può riconoscere qual’è il suo abito, distinguendolo da tutti i copioni che ha indossato fino a quel momento.
Il Counselor, che guarda ai vissuti del suo cliente, può usare -in aggiunta agli altri strumenti a sua disposizione- anche la moda ed il significato che si nasconde negli abiti, negli accessori e nel modo in cui vengono indossati.
CAPITOLO 1
LA MODA E’ FUTILE?
1.1 Che cos’è la moda?
“Il termine moda, dal latino modus, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo, tono, moderazione, guisa, discrezione, indica uno o più comportamenti collettivi con criteri mutevoli.
Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi” .
L’abbigliamento, a sua volta, segue due direzioni diverse.
La prima è il costume che viene definito come un insieme di comportamenti, di usi, di modi di pensare e di vivere accettati da una collettività per un lungo periodo di tempo.
Possono essere dei gesti, come salutare con il baciamano, o dei riti religiosi e non, o possono essere anche usanze come quella di bere vino durante il pasto.
Ogni collettività, che sia un gruppo di amici, una tribù oppure una nazione, ha le sue usanze consolidate nel tempo, ovvero i suoi costumi, una guida culturale che regola una parte della vita sociale, visto che chi vuole essere accettato e far parte di quel gruppo deve rispettarne gli usi.
Anche per l’abbigliamento esistono vari costumi, che si sono affermati nel tempo e fanno parte delle norme sociali, religiose ed etiche.
Basti pensare all’usanza di portare il nero come colore del lutto.
E’ chiaro che questa è un’usanza europea; in Cina, infatti, durante i funerali si indossano abiti bianchi.
Al contrario, in occidente il bianco è un colore che simboleggia la purezza, non a caso lo si utilizza per gli abiti da sposa.
Ovviamente, anche i costumi subiscono dei cambiamenti per adeguarsi al progresso della società, ma questi avvengono lentamente, in periodi di tempo molto lunghi.
Tutte le variazioni all’interno del costume, anche quelle più piccole vengono chiamate moda.
La moda è quell’idea, quell’usanza, quell’oggetto che si crea, si accetta, si adotta, si usa e poi si diffonde in modo estremamente rapido ed improvviso, senza giustificazione alcuna, perché non è in alcun modo legato ai bisogni di sopravvivenza.
Queste mode hanno una vita molto breve nella società.
Esprimono lo spirito del tempo, sono fra i segnali più immediati dei cambiamenti sociali, culturali, politici ed economici.
Sono fenomeni sociali e chi vuole sentirsi al passo con una società in perenne cambiamento deve seguirli, adeguarsi, soprattutto ai tempi nostri, fatti di consumismo ed abbondanza.
Non a caso, il sociologo William Graham Sumner scrive che “La moda controlla ampi settori della vita sociale: non solo la forma degli abiti e del corpo oppure le acconciature, ma anche gli stili architettonici, i metodi educativi, la musica, la letteratura e persino la matematica e la scienza. La moda non è in alcun modo un fenomeno trascurabile; essa costituisce una forma di dominio del gruppo sull’individuo e può essere a volte dannosa e a volte benefica!” .
Ed anche il filosofo ed economista Adam Smith ci conferma lo stesso concetto quando afferma che la moda “governa con le sue leggi non solo l’abbigliamento e l’arredamento, ma anche la musica, la poesia, l’architettura e persino i nostri giudizi rispetto alla bellezza degli oggetti naturali” .
Entrambi gli studiosi sono d’accordo nell’affermare che la moda si diffonde per “contatto e per contagio”.
Anche la moda abbigliativa, funzionando esattamente come tutte le altre, impone che gli uomini debbano adeguarsi ad essa se vogliono apparire esteriormente secondo le modalità proposte dallo sviluppo sociale.
Il fascino della moda consiste proprio nella sua rapidità di diffusione e di morte e, come scrive il sociologo Georg Simmel riferendosi proprio alla moda abbigliativa che, da ora in poi, chiamerò semplicemente moda, “… ha il fascino caratteristico di un confine, di un inizio e di una fine contemporanei, il fascino della novità e contemporaneamente quello della fragilità … è simultaneamente essere e non essere, e ci dà finchè è fiorente un senso del presente così forte da superare sotto tale aspetto ogni altro fenomeno” .
Proprio questa sua caratteristica, invece di declassarla, è motivo di maggior fascino. Secondo Simmel, i vestiti servono per soddisfare i nostri bisogni pratici e biologici ma la moda, cioè se una gonna deve essere larga o stretta oppure se le cravatte devono essere nere o colorate, dipende solamente da motivazioni sociali e psicologiche.
La moda soddisfa il bisogno di coesione ma, allo stesso momento, anche quello di distinzione; essa, dunque, unisce e separa.
Non a caso, Simmel afferma che il fenomeno della moda morirà come fenomeno sociale solo se morirà uno dei due bisogni di cui è figlio, cioè la coesione e la distinzione.
Infatti, ogni moda propone dei modelli, ma non prevede delle sanzioni se non vengono adottati.
Gli individui scelgono di adottare una moda liberamente, perché essa non appartiene ai bisogni relativi alla sopravvivenza, ma alla sfera dei desideri con i quali l’uomo soddisfa altri suoi bisogni, quali l’appartenenza, l’identificazione, la differenziazione, l’imitazione, la sicurezza.
“Per potersi sentire accettati, integrati nella società dei consumi è necessario “riaggiornare” le proprie conoscenze, rimanere al passo, riciclarsi annualmente, stagionalmente nei propri vestiti, nei propri oggetti” , scrive il filosofo Nicola Squicciarino.
Quindi, la moda non è un fenomeno concentrato sul singolo individuo, ma esprime lo spirito del tempo, “… non è che l’espressione esagerata e superficiale di una trasformazione profonda della vita sociale” .
1.2 La moda e la società
La moda non è un fenomeno concentrato sul singolo individuo, ma esprime lo spirito del tempo, “… non è che l’espressione esagerata e superficiale di una trasformazione profonda della vita sociale” .
Molti sociologi si sono occupati della moda e del rapporto che ha con i cambiamenti sociali.
Secondo Gabriel Tarde, la moda favorisce una uguaglianza sempre maggiore e l’affermarsi dell’individualismo e “il gioco dell’imitazione dall’alto in basso, col passare del tempo, porta a quella che si chiama uguaglianza democratica, cioè alla fusione di tutte le classi in una sola in cui viene praticata ammirevolmente l’imitazione reciproca attraverso l’accettazione delle rispettive superiorità” .
Infatti, si tende ad imitare le persone di cui si ha soggezione, quelle che ci incuriosiscono per il loro stile di vita, quelle che si stima.
Anche secondo Herbert Spencer la moda è imitativa, ma è anche un compromesso tra libertà e restrizione, visto che con gli anni si è passati dall’autorità del governo e delle classi sociali all’autorità dell’opinione sociale.
Critica anche la moda e l’eleganza, visto che, a suo parere, hanno segnato la morte dell’utilità, in quanto gli individui del suo tempo “a fini estetici occupano un’area assai troppo ampia della coscienza” .
Georg Simmel, che è stato uno dei più importanti filosofi e sociologi, ha scritto due libri dedicati alla moda in cui afferma che essa “è una struttura complessa in cui sono rappresentate tutte le fondamentali tendenze opposte dell’anima” .
A suo parere, “la moda per le donne ha costituito a lungo il surrogato di uno status professionale” , cioè la donna si è dedicata più dell’uomo al suo aspetto esteriore e alla moda per poter esprimere una posizione più dinamica nella società, cosa che le veniva impedito dalle regole sociali.
Il filosofo continua affermando che “la moda è una palestra adeguata per individui che sono intimamente non autonomi e bisognosi di appoggio” e che serve ad integrare “l’insignificanza della persona, l’incapacità di individuare la propria esistenza”.
Dunque, la moda ci fa sentire di appartenere alla società ma, allo stesso tempo, se ne diventiamo schiavi obbedendole ciecamente, ci deresponsabilizza, perché in tal modo deleghiamo agli altri le nostre scelte ideologiche e vestimentarie, e perdiamo la nostra identità.
Ma ci sono persone che, di proposito e con coscienza, si servono della moda, obbedendo ciecamente a tutte le regole imposte dalla collettività nella loro esteriorità, in tal modo utilizzandola come una maschera per proteggere il loro mondo interiore, che non vogliono condividere con gli altri.
1.3 Da dove si origina la moda?
Non si sa da dove tragga origine la moda.
Essa si forma in modo inconsapevole e spontaneo ma poi, essendo una forza sociale, si radica attraverso la ripetizione e si trasmette per suggestione.
Secondo Georg Sumner, è una forma di dominio del gruppo sull’individuo, in modo positivo e contemporaneamente negativo.
Si impone in modo autoritario, decidendo quale sia il tipo ideale di bellezza e di eleganza, ma sanzionando, anche, una possibile “disobbedienza” con l’esclusione dalla collettività, visto che tutti la seguono .
L’economista e sociologo statunitense Thorstein Bunde Veblen, afferma che la moda è uno strumento della classe agiata e di chi vuole sembrare tale.
“Il nostro vestiario è sempre in evidenza e indica al primo colpo d’occhio la nostra posizione finanziaria a tutti gli osservatori. E’ altresì vero che un’evidente spesa di sfoggio si vede più chiaramente, ed è forse più universalmente praticata nel campo del vestire, che in qualunque altro campo” .
Gli abiti quindi devono essere vistosamente dispendiosi, scomodi per dimostrare che non si fa nessun lavoro manuale e continuamente aggiornati.
Anche il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard crede che la moda serva all’individuo per affermare la sua “differenziazione sociale ed il suo prestigio” e, spesso, è una forma di auto-inganno, visto che il possesso dei beni alla moda non è la certificazione dell’effettiva conquista di uno status sociale superiore” .
Il sociologo statunitense Herbert Blumer afferma che la moda ed i suoi oggetti hanno un significato che è creato, confermato, trasmesso e modificato attraverso un processo sociale di interazione tra le persone.
Quindi, le persone che capitano in aree di comune interazione e che hanno simili percorsi di esperienza sviluppano gusti comuni.
Secondo il filosofo e sociologo francese Gilles Lipovetsky, le nostre società sono ormai società-moda in cui la moda, che non è più simbolo di spreco e di consumismo ma simbolo del desiderio dell’individuo di affermare la sua personalità, ha plasmato l’intera società.
Ormai, non ci si veste più per farsi guardare, ma per guardarsi, creando un neonarcisismo di massa.
“La moda è un mezzo che non tende a uniformare o a riprodurre differenze di classe e segregazioni sociali, ma a potenziare l’autonomia degli individui attraverso un parossistico aumento delle occasioni di scelta, … è l’apoteosi della seduzione, della giovinezza e dell’estetizzazione della persona, la celebrazione del presente sociale … l’elogio dell’effimero” .
Insomma, la moda ha unito conformismo e libertà, autonomia e mimetismo, in tal modo osannando il principio dell’autonomia estetica individuale ma, al contempo, “ha contribuito in modo decisivo a distruggere le identità e le relazioni sociali creando una crisi comunicativa senza precedenti”.
Anche la sociologa Diana Crane sostiene che nella società moderna gli abiti hanno cominciato ad essere importanti per l’individuo non per dare segnali di appartenenza ad una classe, ma per costruire la propria identità.
Infatti, le aziende di moda e gli stilisti non propongono un unico stile ma un’ampia gamma di opzioni nella quale l’individuo può combinare un look che sia compatibile con la sua identità .
La moda, proprio perché è mutevole e fugace, è stata caratterizzata come effimera perché è legata direttamente alla dimensione del piacere e ancora oggi si discute sulla sua utilità o meno.
La moda si odia o si ama e le varie critiche rivolte ad essa dai filosofi, che nel corso dei secoli se ne sono occupati, lo dimostrano chiaramente.
Per quel che riguarda la fugacità della moda, Georg Simmel scrive: “Il suo problema non è essere o non essere; la moda è contemporaneamente essere e non essere, essa sta sempre sullo spartiacque di passato e futuro e ci dà, finchè in voga, una così forte sensazione del presente come pochi altri fenomeni riescono a darci” .
Bernard de Mandeville afferma che la moda e il lusso sono frutto di alcuni vizi degli uomini mentre Jean–Jacques Rousseau è contrario gli abiti alla moda che spesso sono scomodi e malsani, perché la salute, il benessere e la ragione devono avere la precedenza su tutto.
Friedrich Nietzsche ritiene che la mutevolezza della moda sia indice dell’immaturità degli individui, della loro mentalità servile, del loro istupidimento e involgarimento .
Al contrario Immanuel Kant, anche se definisce la moda come una forma di vanità e di follia, considera che “nel modo di vestire l’uomo non debba trascurare del tutto la moda; è un dovere non presentarsi al prossimo in abito disgustante o soltanto vistoso” .
Sostenere che la moda riguardi l’effimero e il piacere non significa affermare che sia poco importante per l’individuo e la collettività.
Proprio l’effimero, di cui fanno parte anche il gioco e lo svago, oltre a fornire momenti di fuga dall’impegno, dalla serietà e dalle ansie della vita, fornisce anche specifiche soddisfazioni.
Peraltro, ogni “modello di moda”, ha un valore assegnato che può essere d’uso, cioè l’importanza che gli viene conferita, di scambio, cioè il suo prezzo monetario, ed infine simbolico, ossia l’insieme di significati che vengono attribuiti al bene.
Questo valore varia da individuo ad individuo, visto che ogni persona gli conferisce un significato diverso in base all’uso che intende farne, ed è influenzato anche dai significati che la società gli attribuisce.
William Graham Sumner, Costumi di gruppo, Comunità, 1962, pag. 216
Adam Smith, Teoria dei sentimenti morali, I. E. Treccani, 1991,p.262
Georg Simmel, La moda Riuniti, 1985, pag.27
Nicola Squicciarino, Il vestito che parla, Armando,1986,pag.153
Maurice Halbwachs, L’evolution des besoinsdans les classes ouvrières, Alcan, 1933, p.132
Maurice Halbwachs, L’evolution des besoinsdans les classes ouvrières, Alcan, 1933, p.132
Gabriel Tarde, Le leggi dell’imitazione, Utet, 1976, pag. 387
Herbert Spencer,Principi della sociologia,Utet, 1967, pag,81
Georg Simmel, La moda, Longanesi, Milano, pag.48
Costanza Baldini, Sociologia della moda, Armando.2008, pag.35
W.G.Sumner,Costumi di gruppo, Comunità, 1962, pag.204-217
Thorstein Bunde Veblen, La teoria della classe agiata, Einaudi, 1949, pag.99
J.Baudrillard, Per una critica della economia politica del segno, Il Mulino, 1974pag.35
Herbert Blumer, Fashion, from class differentiation to collective selection, 1969, pag.281
Gilles Lipovetsky, L’impero dell’ effimero, Garzanti, 1989, pag.181
Diana Crane, Questione di moda. Classe, genere e identità nell’abbigliamento, Angeli, 2004,pag.29
Georg Simmel,La moda, Longanesi, 1985, pag.37
Bernard de Mandeville,La favola delle api, Laterza, p.81
J.J.Rousseau, Le confessioni, Garzanti, 1988, p. 377
F.Nietzsche, Umano, troppo umano, Mondadori, 1970, p.75
L.E. Borowski, Descrizione della vita e del carattere di I. Kant, Laterza, 1969, Pag 51
Fonte: http://www.prepos.it/tesi%202014/IL%20COUNSELING%20NELLA%20MODA%20%20di%20Eleni%20Pantelidou.doc
Sito web da visitare: http://www.prepos.it
Autore del testo: Eleni Pantelidou
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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