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Un prodotto culturale nell’industria della moda
di SEBASTIANO DISTEFANO
In questo scritto si vuole considerare la pubblicità non come artificio che persuade un generico e anonimo consumatore passivo attraverso meccanismi inconsci, manipolatori o subliminali, a dispetto di teorie che vorrebbero il consumatore come inerme recettore di messaggi, ma piuttosto come una pubblicità creativa in cui il professionista estrinseca pubblicamente le sue istanze soggettive, il suo modo interiore di essere. Il prodotto pubblicitario così creato è caratterizzato dal suo stesso stile, improntato alla sua soggettività e alla rispondenza a specifiche esigenze ambientali esterne e di mercato.
Il consumo dei prodotti segue un calendario preciso; spesso certi prodotti sono proibiti ad alcune classi d’età, a certi gruppi sessuali, a taluni aggregati sociali. La pubblicità è fruita in maniera diretta dal consumatore, il quale seleziona le proposte che lo coinvolgono maggiormente: oggigiorno promotion e communication sono fondamentali per la diffusione dell’articolo. La logica seguita dall’azienda di moda deve considerare ciò che il consumatore può e non può percepire. Nella moda la differenziazione ha un senso solo se viene percepita, trattandosi, nella sostanza, di vendere emozioni più che il prodotto in sé. Se in passato il posizionamento è stato basato sul prodotto, senza distinguerlo dalla marca, oggi il marchio rappresenta il nodo focale delle strategie aziendali della moda. Esso svolge sia una funzione identificativa, in quanto si ricollega a un certo logo, nome, colore, assieme a una responsabilità di garanzia delle qualità-prestazioni dei prodotti offerti, sia una funzione emozionale, perché ogni marca è una rappresentazione mentale che sintetizza aspetti materiali ed emotivi. A questo proposito, la storia del gruppo Benetton, su cui ci soffermeremo, è un caso esemplificativo
di innovazione intesa come ricerca costante del nuovo, come fattore rilevante di sviluppo.
Nei prodotti di moda gli aspetti evocativi e simbolici prevalgono su quelli tecnico-funzionali: in quest’ottica la marca diventa una leva importantissima nel marketing. Pubblicità e moda rappresentano un connubio affascinante in cui la pubblicità assume dignità artistica e presenta le caratteristiche di prodotto culturale. Pubblicità che può essere considerata come espressione del genio creativo, dove elementi di marketing ed estrosa fantasia confluiscono influenzandosi a vicenda.
È vero che la campagna pubblicitaria si propone di comunicare con il mercato perché vuole attirare la sua attenzione e convincerlo, conquistarlo, fargli conoscere e apprezzare la collezione, mantenere un costante rapporto di contatto, ma è altrettanto vero che si vuole entrare in sintonia con l’interiorità dell’individuo, attraverso idee singolari: idee preponderanti che costituiscono il fulcro della campagna pubblicitaria dando vita al tema comunicazionale. Quel che conta è la capacità umanistica di registrare, attraverso la pubblicità, le sensazioni provenienti dall’esterno, reagendo con proposte e prodotti in grado di anticipare e incubare le tendenze.
Con le sue continue bizze e con i suoi frenetici capricci, la moda è costantemente visibile, e noi stessi, in ogni istante, sfiliamo in una mutevole passerella quotidiana. «Laddove non esiste sentimento del tempo è la moda a trionfare. La moda che taglia il tempo e non ha più paura della morte, che è anzi la sua più fedele alleata»1. Barile descrive la moda come quella “signora” che attraversa trasversalmente il tempo, senza temere che il suo inesorabile fluire sia causa di decadimento. Ai nostri giorni la moda non è solo un fenomeno frivolo, epidermico, salottiero, ma è lo specchio del co-
1 A. ABRUZZESE, N. BARILE (a cura di), Communifashion, Sossella, Roma 2001.
stume, dell’atteggiamento psicologico dell’individuo e contribuisce costantemente all’evoluzione delle idee e degli atteggiamenti collettivi. In questo senso possiamo considerare il sistema moda come il luogo in cui cultura ed economia si intersecano, dove si forgiano oggetti materiali con un alto contenuto di cultura. Il mercato della moda ha progressivamente allargato il suo raggio d’azione come offerta, come vendita, come domanda. La moda c’è, si vede, si sente, si parla di moda. Siamo completamente circondati da mode e viviamo di mode che rappresentano e interpretano il nostro tempo.
Il settore dell’abbigliamento indica come siano sempre meno individuabili mode che abbiano la diffusione e la celerità di contagio del passato. Sempre più, seguire la moda significa reinterpre tarla in termini personali. Si tratta, dunque, di un gusto più soggettivo che entra in gioco sia nel momento della scelta che in quello della “metabolizzaizone” personale, nella mescolanza e nell’assemblaggio di stili differenti, con una conseguente negoziazione di significato. Inizialmente questa funzione è stata assolta dagli accessori d’abbigliamento, ma l’orientamento preponderante ci porta verso una maggiore autonomia della persona: si è giunti a un’interpretazione dialettica che consente di attingere singoli tasselli dall’universo moda, combinandoli in modo assolutamente personalizzato, valorizzando la singolarità individuale. Il nuovo consumatore vuole riconoscere la materia e dialogarvi, sentirla parte di sé, ap propriarsi della sua struttura intrinseca. Riconoscere la materia significa essere più vicino all’oggetto, vivere quasi in simbiosi con es so, comprendere la cultura che esprime e della quale è intriso, in definitiva poter dialogare con la sua identità profonda. Identità e riconoscibilità sono i presupposti attraverso i quali il prodotto può appropriarsi del suo nuovo ruolo maieutico2. L’aspetto dream del vestito stabilisce delle solide connessioni tra l’universo delle idee del mondo della produzione e la sfera dei significati trasferiti dal consumatore sul prodotto acquistato. Sogno e divertimento sono i termini chiave della cosiddetta dream society i cui prodotti devono ri-
2 F. MORACE, Controtendenze, Domus Academy, Milano 1990.
spondere a necessità emotive-immateriali3. L’individuo lascia tra sparire sentimenti, umori e, più in generale, il proprio mondo psicologico. Il suo modo di vestirsi sarà sempre più connesso ai cambiamenti che si sono verificati nel suo profondo, nella sua intimità, cercando di proporre all’esterno una raffigurazione del suo mondo interiore. Moda e pubblicità di moda avranno come punto di riferimento l’individuo con tutte le sue caratteristiche peculiari, che non rispecchiano caratterizzazioni generiche, bensì valori personali e psicologici, rendendo il consumatore “più individuo” e “meno consumatore”, dato che il fashion system deve rispondere sia a esigenze comportamentali che a bisogni consumistici4.
La crescente ricerca di affettività da parte del consumatore conduce a sentimenti di attesa del possesso, alla presenza di forti desideri che si connotano come sogni, come elaborazioni interiori che non sono definite e precise come i bisogni, ma rinviano a una ricerca, a una realtà onirica, a una scoperta dell’offerta più confacente attraverso un universo magico. Incidendo sull’emotività del suo pubblico, la marca potrà aumentare la possibilità di essere scelta5. L’azienda deve porsi nell’ottica di immaginare desideri prima di produrre beni e servizi; l’ambito dei bisogni appare saturo ed è necessario creare nuove aree immaginarie, nuovi ancoraggi collettivi su cui intervenire. Una marca dotata di forte carica affettiva sarà ricompensata da una maggiore fedeltà dei consumatori. Bisogna proporre ai consumatori ciò che essi potrebbero desiderare se solo sapessero immaginarlo, richiamando la loro attenzione attraverso una comunicazione efficace che può aumentare il livello di simpatia e affettività, unita a una continua rigenerazione dell’identità di marca, intesa in divenire.
Il problema della personalità del brand è per certi versi simile a quello della personalità umana. Ci sono aziende con una forte
3 T.G. CORRÊA, Moda, Arte, Corpo. Moda e costruzione, in A. ABRUZZESE, N. BARILE (a cura di), Communifashion, cit.
4 P.M. HIRSH, Processing Fads and Fashions, in «American Journal of Sociology» 1972 (77).
5 A. BUCCI, L’impresa guidata dalle idee, Domus Academy, Milano 1992.
personalità, altre invece poco interessanti. Un’azienda con prodotti tendenzialmente imitativi, con politiche aziendali banali, con una pubblicità di rimessa costruita senza creatività non sarà in grado di proporre una sua individualità forte e decisa6. Il brand vive della va lutazione del tutto soggettiva che il consumatore ha formulato riguardo all’operato dell’azienda. Quest’ultima dovrà tener conto del suo posizionamento, di quello dei suoi prodotti, e interrogarsi su quali coordinate vuole posizionarsi all’interno del mapping semiotico dei valori del consumo, entro quali termini e secondo quali prospettive7. Il prodotto deve avere una collocazione precisa sul mercato, sia in base alle sue qualità concrete, come la consistenza del materiale utilizzato, la fattura, l’estetica, sia in base al suo valore intrinseco, cioè rispetto a quello che comunica.
L’elemento passionale può essere considerato, secondo Semprini, come l’impulso che spinge all’azione e può essere analizzato attraverso il “mapping semiotico dei valori del consumo”, in contrasto con altri esponenti del marketing della moda, fra i quali A. Foglio, che si basano su ricerche di mercato di tipo più tradizionale, affermando che ciò che conta, nella sostanza, risiede nell’andamento delle scelte individuali e nella loro successiva aggregazione. Il mapping semiotico distingue, invece, differenti settori all’interno dei quali ciascuna marca reale può essere posizionata: l’emisfero della missio ne, il quale considera la tolleranza e il rispetto delle differenze come sostrato della nuova socialità; l’area del progetto, ovvero una sorta di cultura dell’individualismo fondata sulla valorizzazione del corpo, l’estetizzazione e la ricerca della bellezza; il quadrante dell’euforia, un universo emozionalmente ricco dove l’evasione e il sogno infondo no un clima di serenità e armonia e in cui le dinamiche passionali accolgono l’imprevisto e l’inatteso solo se non assumono una forma destabilizzante; infine l’area dell’informazione, che ingloba i valori di onestà, moralità e rispetto. Ne deriva che la credibilità risulta strettamente connessa alla coerenza, ovvero al legame naturale che in-
6 D. ROMANO, Immagine, marketing e comunicazione, Il Mulino, Bologna 1998.
7 A. SEMPRINI, Marche e mondi possibili, Franco Angeli, Milano 1993.
tercorre tra la marca, il prodotto e la categoria all’interno della quale il prodotto stesso è inserito.
Il cliente è il perno attorno al quale ruotano le fasi di creazione del prodotto, che deve essere a lui confacente e basarsi sulla sua personalità: il mercato si mostra, utilizzando un’efficace meta fora, come una struttura a scacchiera le cui caselle corrispondono ai diversi stili e gusti, in cui il ruolo del cavallo che salta da una casella all’altra spetta al consumatore8, in pieno accordo con quanto rilevato da Volontè riguardo ai desideri degli individui nell’ambito dei consumi di moda. Considerando gli aggregati sociali come fulcro di interesse, emerge che è presente una doppia aspirazione che da un lato porta alla condivisione dei codici vestimentari del proprio gruppo sociale di appartenenza, dall’altro alla volontà di differenziarsi sia a livello out-group che in-group9. Il consumatore di oggi aspira ad appropriarsi del ruolo di produttore trasformandosi in prosumer, secondo l’espressione di Morace: quando si parla di prospettiva del “consumatore-produttore” ci si riferisce proprio alla figura del prosumer, sintesi efficace e veritiera dei due soggetti.
L’impresa deve calibrare attentamente le leve del marketing mix al fine di ottenere dal prodotto il massimo dei risultati economici: il ruolo della pubblicità è quello di insinuare nel consumatore un desiderio che sfoci nell’atto dell’acquisto, con la conseguente disillusione dovuta al possesso e all’uso del bene che prima rappresentava un consumo al quale si aspirava, fino a introdurre un altro desiderio che apre nuovamente il ciclo.
Consumare o respingere la pubblicità di moda, vestirsi o non vestirsi alla moda sono maniere differenti di costruire la propria identità sociale. Ci troviamo in una fase in cui l’individuo
8 F. MORACE, Fashion Subway, Editoriale Modo, Milano 1998.
9 L. RUGGERONE, Aldilà della moda, Franco Angeli, Milano 2003.
prende in prestito idee dall’immaginario della marca, deformandole e ricomponendole in modo imprevedibile. Il consumer esige trasparenza etica, vuole comprendere come i prodotti vengono realizzati, gradisce che l’impresa apra le proprie porte per far vedere al mondo esterno quali sono i suoi processi produttivi. Anche le piccole e medie imprese sono fortemente consapevoli del mutamento degli scenari. Oggigiorno la moda proietta i consumi di massa nel mondo dei sensi: vista, udito, tatto e olfatto sono fortemente coinvolti. L’estetica postmoderna si riverbera sulla pubblicità di moda rendendosi manifesta nella contemporaneità di tendenze, nella non appartenenza a nessuna tendenza specifica, nell’intreccio di storico e non storico, presente e passato, nella polverizzazione delle distanze geografiche in un tempo senza tempo.
Il ruolo della pubblicità creativa è di evidenziare nuovi rapporti, legami prima inesplorati tra gli oggetti e la sfera del consumatore, anche a costo di violare norme comunicative consolidate. Il pensiero creativo si articola in un processo di cui è spesso manifesta solo la parte finale, il prodotto finito, ovvero, nel nostro caso, la campagna pubblicitaria ultimata; non è individuabile né l’inizio, né l’iter che si segue per giungere alla sua organizzazione finale: è un processo che non procede sinteticamente e per tappe, ma si evolve in un continuum difficile da prevedere. La pubblicità creativa con cui sovente si identifica l’intero processo pubblicitario spesso ottiene vistosi riconoscimenti e riesce a promuovere chi la esprime a star del firmamento pubblicitario, una star che è però il più probabile capro espiatorio quando il risultato finale non corrisponde alle aspettative. Il creativo, dato che ha la responsabilità di partorire pubblicità, che è un bene di consumo individuale, ha il dovere di guardarsi attorno in continuazione, deve avere il costante contatto con l’attualità e con la gente, deve partecipare alle tendenze e alle mode, deve essere perennemente informato, conoscere quello che c’è di più aggiornato e innovativo nel mondo del cinema, della mu sica, della narrativa10.
10 G. SANNA, A. BIASI, Professione creativo, Bridge, Milano 1991.
La comunicazione è la corrente sotterranea che irriga e alimenta il “corpo di moda”. Nel rapporto tra il mondo degli oggetti e i soggetti, questi ultimi sono in grado di riorganizzare l’insieme degli oggetti distinguendoli per categorie di gusto in base alle loro preferenze culturali. Molti abiti vengono considerati delle creazioni artistiche alla stregua di un dipinto, di qualsiasi altra opera d’arte. Spesso si acquista un’intera collezione perché possa conservare il carattere di opera d’arte nella sua interezza. Così la pubblicità, appropriandosi degli oggetti di moda e stringendoli a sé, può esser considerata anch’essa come emanazione artistica e di conseguenza come prodotto culturale. Ne deriva che sia gli oggetti di moda sia la pubblicità che li riguarda hanno una forte valenza culturale.
In questo attraente scenario, la pubblicità come prodotto culturale è un luogo di sedimentazione di conoscenze, credenze, atteggiamenti, tradizioni ed usi, valori, norme e costumi di una socie tà che confermano la cultura dominante o elaborano elementi culturali innovativi; questi ultimi potranno essere incorporati nella cultura dominante, qualora esistano le condizioni adatte. D’altra parte il consumatore può reagire al messaggio pubblicitario con un orientamento critico, con un consumo culturale come resistenza creativa, smontandone l’originaria struttura semantica. Questi processi di incorporazione o resistenza ci portano a definire i criteri di compa tibilità ed estraneità della pubblicità, considerando ovviamente il consumatore come termine di paragone.
A tal proposito, la griglia elaborata da F. Colombo per distinguere i flussi comunicativi interni ed esterni all’industria culturale, può essere utilizzata nel contesto della pubblicità di moda che verrà classificata in comunicazione che confluisce nel mantenimento, nell’assorbimento, nell’espulsione e nell’interdizione11. In questo caso non è rilevante discernere fra origine interna o esterna di ciascun ele mento della promotion, quanto piuttosto differenziare la pubblicità in
11 F. COLOMBO, Marginalità e circolarità nell’industria culturale, in L. BOVONE, L. RUGGERONE (a cura di), Intorno a produzione e consumo. Percorsi nell’industria culturale, Franco Angeli, Milano 2003.
compatibile (mantenimento, assorbimento) ed estranea (espulsione, interdizione). In un contesto di mantenimento, il frame istituzionale non subisce alcuna variazione. Si tratta di pubblicità che ha l’intento di informare della presenza, nei vari punti vendita, di un determinato capo, dell’uscita di una certa collezione, dell’organizzazione di una sfilata-evento, del lancio di una campagna di fidelizzazione, dell’attuazione di una acquisizione o incorporazione fra aziende diverse, del cambio di ragione sociale e così via; in altri termini ci si focalizza sulla diffusione di un contenutonotizia che non impatta l’universo valoriale del pubblico, un pub blico non generalizzato ma selezionato secondo criteri prefissati. La pubblicità che sfocia nell’assorbimento rappresenta la condizione di stabilità ideale verso la quale ciascuna agenzia di comunicazione tende, al fine di evitare un flop di mercato: si propone un certo stile che viene accolto da quegli individui che si rivedono in maniera più o meno soddisfacente in quella tendenza, senza travisare i significa ti veicolati, pur ammettendo funzioni d’uso e abbinamenti non previsti in partenza. Quando ci si rivolge a tribe cultures caratterizzate da inclinazioni “di nicchia”, più facilmente circoscrivibili, è più probabile che l’assorbimento si realizzi. Quando il messaggio pubblicitario viene espulso, con molta probabilità non si sono seguite oculatamente le regole del time to market. Può accadere che un segmento considerato significativo in una certa fase diventi poco profittevole in una successiva. In questo caso i contenuti scivolano via, vengono allontanati, quasi ignorati, perché non rispondono a esigenze reali. L’espulsione avviene naturalmente anche quando la comunicazione continua ad appoggiarsi su unità semantiche appartenenti a una moda ormai in fase di tramonto, percepita come obsoleta. Il contenuto della campagna pubblicitaria può essere addirittura interdetto da una sorta di “spirale del silenzio” derivante dall’attivazione di stili post-moderni fra i quali quello dei punk che sono il segnale lampante di una reazione creativa portata alle estreme conseguenze: se da un lato non esprimono nulla, dall’altro la loro estetica capovolta mette in scena significati profondi e prove tangibili di critica sociale. In definitiva, la compatibilità-estraneità
della pubblicità al sistema socio-culturale indica ancora una volta che lo spot, di qualsiasi natura esso sia, viene consumato e i suoi contenuti accettati o rifiutati.
Il successo storico delle aziende del settore moda ha il suo punto di forza nella creatività degli stilisti, dei direttori artistici, de-
gli stylist della comunicazione, dei fotografi, degli altri creativi dell’immagine. Lo stilista tende sempre più verso la figura dello stilista-imprenditore che coordina, spinto da evidenti interessi artistici, il lavoro di diversi team operativi, cercando di prevedere la profittabilità di nuovi prodotti e di catturare le tendenze più recenti del gusto. Le sue creazioni e più in generale la sua attività professionale, non sono più autolegittimate dalla “mitologia del creativo”, ma sono costrette a ricercare sostegno nel
Fig. 1. Maglierie Benetton, “Lady Godiva”, 1966
marketing e nella cultura socia le. Uno stilista di successo raccoglierà i frutti del suo
operato che si concretizzeranno nella scelta del suo marchio da parte dei buyer, dei grandi magazzini, nell’acquisto da parte del cliente12. Design pubblicitario e styling sono componenti basilari dell’offerta in genere e del prodotto in particolare. Quelle dello stilista e del pubblicitario possono esser considerate come professioni cucite su misura, poiché il grado di standardizzazione dei processi all’interno dei quali questi soggetti operano è scarso, e di conseguenza essi si
12 E. MORA, Culture e mestieri dell’abbigliamento, in P. VOLONTÈ (a cura di), La Creatività Diffusa, Franco Angeli, Milano 2003.
trovano a fare i conti con un’evoluzione frammentata del loro lavoro che si sviluppa a bolle, attraversando i diversi ambiti di tutta la filiera produttiva.
Ritenamo opportuno considerare le campagne pubblicitarie del gruppo Benetton a partire dalla metà degli anni ‘60 fino ad arrivare ai giorni nostri, perché
soltanto in questo modo è possibile individuare le vie del cambiamento e, di conseguenza, i punti che evidenziano il passaggio da una strategia a un’altra. Cerchiamo allora di notare gli elementi che meglio rappresentano l’ideologia alla base di ciascuna campagna, partendo dal 1966, anno in cui Benetton affida l’esecuzione delle sue prime campagne pubblicitarie allo Studio Formica, che ha optato per una campagna basata su immagini in bianco e nero su carta stampata, in linea con
gli orientamenti di quel
periodo (Fig. 1). Il 1972 è l’anno in cui subentra
Fig. 2. Benetton Maglieria internazionale,
1972
l’agenzia Planad che curerà la pubblicità di Benetton per quasi dieci anni, nella figura del publisher Carlo Mazzaro (Fig. 2).
Nel 1981 le campagne del gruppo attuano un cambiamento radicale, un punto di rottura rispetto alle precedenti. L’agenzia El-
dorado propone un’impronta allo stesso tempo innovativa, anti conformista e provocatoria. Il 1982 vede l’emergere, con il photogra pher Oliviero Toscani, del tema multirazziale associato alla nozione di colore. Benetton significa colore: quest’idea viene abbozzata sui manifesti che mostrano gruppi di bambini, prima bianchi, poi di colore (Fig. 3), e, nel 1984, con la campagna “Tutti i colori del mondo” (Fig. 4), il messaggio si carica di allegria, spensieratezza, semplicità; i cartelloni sono ricchi di capi variopinti, inseriti in un ambiente pacato.
Le rappresentazioni del 1985 “United colors of Benetton” mostrano già un cambiamento sostanziale: dai gruppi di bambini si passa alle coppie, ponendo i prodotti in una posizione più eccentrica con maglioni e pullover sovrapposti. L’anno successivo, due ragazzi – uno arabo, l’altro israeliano – appaiono abbracciati e assieme stringono tra le mani un mappamondo, che assurge a simbolo di unificazione fra i popoli, in un’immagine che fa parte della campagna “Globi”. Questo passaggio evidenzia una connotazione ideologico-filosofica dei messaggi che accantona il prodotto, prima po sto in primo piano, facendolo in alcuni casi sparire. Gli animali, vestiti da Benetton, hanno fatto da pubblicità alla collezione 012 di quell’anno: scelta grafica alquanto rivoluzionaria e in contrasto con quelle degli anni immediatamente precedenti.
“Benetton. Mondo dei jeans” è diventato, invece, lo slogan del jeans wear dell’azienda nel 1987. Il 1988 è l’anno del lancio dell’eau de toilette “Colori” con la campagna “Profumo del mondo”, presentato da due mani femminili, una bianca e l’altra nera, che si uniscono attorno a una bottiglia rettangolare, autografata da Bruno Suter, presidente di Eldorado, stratagemma messo a punto per rafforzare il legame tra il brand name e l’agenzia di comunicazione. La nuova campagna “Superstars” del settore abbigliamento mescola culture e leggende con gli accoppiamenti più bizzarri: Giovanna d’Arco e Marilyn Monroe, Giulio Cesare e Leonardo da Vin ci in posizione speculare; mentre l’etichetta 012 sostituisce gli animali con graziosi bimbi mascherati nelle coppie lupo e agnello, cane e gatto in una versione più soft rispetto a quella che mostrava gli animali in primo piano.
Le fotografie del 1989 esprimono una forte vocazione per la comunicazione e un diffuso desiderio di fratellanza, uniti alla formulazione di una visione critica ora sottesa, ora del tutto manifesta. Il logo aziendale su sfondo verde con caratteri di colore bianco è riportato in piccolo e in posizione limitrofa: la scelta di porre la griglia grafica del logo e dei caratteri istituzionali con il nome dell’azienda in secondo piano è abbastanza inconsueta per quegli anni.
Nel 1990 si gioca sul confronto fra nero e bianco ma i vestiti non sono presentati affatto. Un lupo bianco e una pecora nera; una mano nera, minuta, su una mano bianca di dimensione spropositata; coppie di giovani spazzacamino, minatori e panettieri, uniti dal nero della fuliggine o delle miniere di carbone e il bianco della farina: sono questi i temi ricorrenti. Ci si sposta da un’atmosfera serena, dal senso estetico positivo caratterizzato dalla vivacità dei colori, alla cupa oscurità che rinvia alle vittime di guerra, alle traverse tutte uguali di un cimitero americano, o alla caduta di olio altamente inquinante sulla superficie del quale galleggiano delle foglie secche “multi-colored”. Oggettivamente si trattano argomenti che hanno una forte capacità di penetrazione: alcune rappresentazioni possono urtare la sensibilità individuale, in contrasto con l’art. 1 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, sulla cui base è stata motivata la condanna dell’immagine che ritrae una bambina appena nata sporca di sangue e muco. Le immagini, poi, appartenendo per loro statuto all’universo simbolico, giungono come una precipitazione di “significati fluidi”, per dirlo alla Griswold, che rimangono aperti a tutta una serie di letture differenti: in questo caso specifico non si assiste però a una solidificazione dei significati stessi, ma ci si trova di fronte a elementi fortemente disturbanti che potenzialmente pos-
sono mettere in crisi un universo di valori cristallizzato, comunemente accettato fino a quel momento. Toscani ha giocato più che mai sulla nota contradittoria della dualità, quella che divide la linea fra due acque: guerra/pace, integrità ambientale/inquinamento.
In risposta alle innumerevoli critiche, Benetton ha risposto con la creazione di una collezione internazionale di vestiti per la croce rossa e per la Caritas nel 1991. David Kirby, morente, con la sua famiglia al capezzale; un guerrigliero africano che tiene in mano un kalachnikov e un osso umano, creando il solito contrasto nerobiaco13. La bottiglia del profumo “Tribù” del 1993, con il relativo disegno futuristico che punta sul mercato giovanile, è firmata da Tamotsu Yagi: lo spot che la pubblicizza è decisamente di natura più commerciale; ha veste grafica inconsueta e una struttura davvero innovativa in quanto è ospitato all’interno di una tv e di un video-clip. È in questo stesso anno che si mostrano i primi piani di varie parti del corpo (stomaco, braccia, pube) con su bollato
13 A. YAGI, Global vision, Robundo Publishing Inc., Tokyo 1993.
“HIV”, evocando l’inchiostro viola usato dai veterinari o i numeri tatuati sui corpi dei prigionieri nei campi di sterminio.
Nel 1994 la campagna pubblicitaria viene differenziata in un mosaico di numerose fotografie di gente comune, ma ancora con una nota di profonda amarezza, come dimostra l’accoppiamento di pantaloni e camicia sporchi di sangue di un soldato bosniaco che muore appunto dissanguato, ferito durante un combattimento; o come rivela il passaggio del relè collegato alla sedia elettrica da una mano bianca a una nera, che infine, preme il pulsante fatale.
La campagna “Bianco, nero, giallo” del ’96, che considera i gruppi etnici come nodo focale del discorso, sfocia in immagini provocatorie di dubbio gusto (Fig. 6). Ma la strategia cambia subito direzione con il manifesto “Matti da legare” in cui viene ritratto l’intero gruppo dirigente Benetton con Luciano, fondatore e leader dell’azienda, in posizione chiave, vestito con una camicia di forza che gli impedisce braccia e gambe (il capo “più matto” di tutti), mentre tutti gli altri indossano “solo” camice di forza su pantaloni colorati. I colori che rompono la glacialità delle camicie bianche fanno tutt’uno con i sorrisi che illuminano i volti di questi matti da legare, connotando di una valenza positiva e creativa la rappresentazione della follia aziendale. Creatività contro conformismo, follia creativa dei pochi contro il “sonno della ragione”; viene ripresa, con indiscussa abilità comunicativa, la tecnica retorica del “mondo alla rovescia”, ampiamente utilizzata nel mondo della rappresenta-
zione iconografica14. Si rivolgono poi le proprie forze all’organizzazione delle campagna stampa in occasione del World Summit Conference of Food, in collaborazione con le Nazioni Unite e la FAO, con un poster che mostra un singolo cucchiaio di legno e nient’altro.
Spesso punti di vista originali o estremi riescono ad attirare l’attenzione e a far parlare di sé. È il caso del discorso sociale che si è sviluppato su Benetton, alimentando un animato dibattito e un confronto di opinioni al quale hanno preso parte giornalisti, scrittori, storici dell’arte e studiosi di comunicazione di massa. Le “campagne shock” inaugurate nel 1989 raggiungono il loro massimo potere disturbante con la campagna primavera-estate del 1992 che affronta problemi sociali rilevanti e di scottante attualità, innescando dibattiti e reazioni critiche all’interno dell’opinione pubblica. Se da un lato la fotografia di moda tende a dividersi in due filoni, uno più commerciale e uno più artistico, dall’altro si allentano sempre più i confini tra moda, pubblicità e arte, come dimostra la tendenza di molti fotografi a estendere la loro ricerca al digitale e alla Visual Art. Questo prodotto culturale si pone all’attenzione del pubblico calamitando l’interesse nei confronti delle proprie iniziative e delle idee trasmesse, insinuando l’onda del dubbio, minando gli schemi mentali di chi riceve la comunicazione, mostrando nel contempo una certa flessibilità lontana dal presentarsi come un sapere dogma tico.
Vorremmo ora analizzare alcune immagini relative alla campagna autunno-inverno 1992-93 perché è qui presente una forte tensione strutturale all’interno del prodotto culturale: se, da un lato, si può ritenere moralmente accettabile il sistema degli annunci diffusi, incentrati su problemi sociali rilevanti, dall’altro non si può affermare che sia lecito utilizzare queste stesse tematiche per fini prettamente economici e commerciali. Pur riconoscendo alla Benetton la capacità di stimolare una riflessione e una accesa discussione su tematiche
14 A.H. SMITH, A.S. DE ROSA, Tecnica e retorica pubblicitaria: il caso Benetton, Università La Sapienza, Roma 1996.
quali il razzismo, l’emarginazione e la violenza, non si può legittimare, ribattono Landi e Pollini, il trattamento organizzativo dei contenuti per interessi privati e di natura mercantile da parte di un’azienda15. Questa tensione strutturale è essa stessa la causa della condizione psicologica di dubbio e incertezza che vede il target in capsulato in un atteggiamento ambivalente, quasi fluttuante.
15 P. LANDI, L. POLLINI, Cosa c’entra l’Aids con i maglioni?, Mondadori, Milano 1993.
Le cinque immagini che abbiamo scelto mettono a contatto l’osservatore con una fotografia ricercata, toccante, “artistica”, che tocca argomenti quali la razza, il sottosviluppo, la violenza e lo sfruttamento minorile, come nella foto in cui una bambina nera abbraccia una bambola bianca, sudicia come lei, con uno sguardo che suscita una triste tenerezza (Fig. 10); o come in quella in cui si ritraggono bambini-muratori apprendisti (Fig. 11). Si toccano poi temi ecologici, come nell’immagine in cui i maiali “pascolano” tra i rifiuti di una discarica (Fig. 12), o problemi sociali connessi alla vio lenza, come la pena di morte (Fig. 13) o la brutalità dell’interrogatorio poliziesco (Fig. 9).
Uno stratagemma retorico, utilizzato nella campagna immediatamente successiva, quella del 1994, consiste nella modulazione hard/soft dei messaggi: accanto a immagini violente e irritanti, in grado di suscitare reazioni indignate, vengono mostrate contemporaneamente immagini soft che fanno leva, in maniera visibile e non ambigua, sui buoni sentimenti e sui valori relativamente condivisi dell’eguaglianza. L’appello a un corpus di convinzioni fortemente radicato nel sociale favorisce un’attenuazione dei giudizi negativi e un ancoraggio delle modalità espressive di Oliviero Toscani a un messaggio ideologicamente apprezzabile e legittimo. Alla devianza, all’infrazione delle regola e dei canoni espressivi pubblicitari segue sempre un’operazione di compensazione.
La valutazione altamente favorevole del brand name, se paragonata a quella spesso negativa delle immagini, si inquadra ancora una volta nell’ambito della tensione strutturale, che può essere interpretata secondo tre differenti modelli interpretativi.
della comunicazione pubblicitaria, ma anche alla dimensione sociale e a quella economico-imprenditoriale del gruppo16.
16 A. SEMPRINI, Benetton: dalla missione all’azione, in «Micro & Macro Marketing», 1994.
17 A. MAAS, R.G. CLARK, Hidden impact of minorities, fifteen years of minority influence research, in «Psychological Bulletin», 1984 (95).
18 S. MOSCOVICI, Psicologia delle minoranze attive, Boringhieri, Torino 1981.
19 E. SHAW, Agenda-setting and mass communication theory, in «International Journal for Mass Communication Studies», 1979 (25/2).
no, tanto più questo fenomeno viene preso in considerazione e giudicato rilevante. Paradossalmente, quindi, l’alta visibilità sociale, strettamente connessa alla natura trasgressiva ed emotivamente disturbante del prodotto culturale forgiato da Oliviero Toscani, potrebbe essere la causa di un’amplificazione della percezione di importanza ed efficacia del gruppo: quanto più si parla di Benetton, indipenden temente dal fatto che si formulino giudizi positivi o negativi, tanto più l’azienda viene percepita come un colosso nel mondo della comunicazione e dell’imprenditoria. In questo senso, l’obiettivo di aumentare la visibilità sociale è stato perseguito intenzionalmente, in maniera sistematica, come dimostrano le interviste rilasciate da Oliviero Toscani.
Emerge però un interrogativo: i vantaggi ottenuti in termini di visibilità non sono forse controbilanciati dalle reazioni negative suscitate dalle immagini? In altri termini: il fatto che una parte con sistente della popolazione esprima un’opinione nettamente sfavorevole verso questo tipo di pubblicità, accusandola di “necrofilia” e “cinismo”, non è un costo che sopravanza il guadagno ottenuto in termini di notorietà e visibilità? L’opinione pubblica si divide net tamente: da una parte coloro che ritengono la pubblicità del gruppo Benetton strumentale, basata sul principio del “vendere a ogni costo”, dall’altra coloro che ritengono tale pubblicità efficace, esteticamente apprezzabile, nonché socialmente utile. Trovare una risposta a questo interrogativo è tutt’altro che facile. La tecnica comunicativa del gruppo è chiaramente improntata alla creazione e conse guente gestione del conflitto. La Benetton crea intenzionalmente un conflitto nell’opinione pubblica, ma parallelamente cerca di gestirlo attraverso l’adozione coerente di una serie di stratagemmi retorici volti a spostare l’ago della bilancia verso una maggiore accettazione delle proprie posizioni.
Significativa è, a tal riguardo, la relativa modificazione di strategia, consistente nel passaggio dalla semplice teorizzazione dei mali sociali alla partecipazione attiva e militante, attraverso pro-
grammi mirati. Il passaggio dal “dire” al “fare”, documentato dalla stessa azienda, ha un duplice obiettivo: confutare le critiche di utilizzazione strumentale e cinica dei drammi sociali e, cosa più importante, dimostrare la fondamentale coerenza e limpidezza della propria filosofia di marketing20. Tornando al nostro interrogativo, è possibile allora azzardare una risposta affermativa alla nostra domanda iniziale: le forti critiche rivolte nei confronti delle pubblicità devianti e trasgressive di Toscani rivelano paradossalmente, infatti, la formazione di una valutazione positiva nei confronti della marca.
La connotazione della strategia comunicativa della Benetton come tipica di una minoranza attiva nello scenario dei pubblicitari, si serve dell’esposizione di una fonte maggioritaria, il pubblico tutto, a comunicazioni originali, bizzarre, sconvolgenti, elaborate da una minoranza dissenziente incarnata dal team dei creativi. Le posizioni espresse dall’equipe della Direzione Comunicazione e Pubblicità hanno uno strano potere: persistendo nella difesa delle loro posizioni, determinano a livello profondo una modificazione degli atteggiamenti, ma questa modificazione corrisponde, a livello manifesto, all’espressione di critiche e valutazioni negative. Sintetizzando, il potere d’influenza di una minoranza attiva deriva, da una parte, dal suo stile di comportamento (ma anche all’apertura nei riguardi delle obiezioni e delle critiche mosse dalla controparte) e, dall’altra, da una certa corrispondenza tra le idee e i valori che sono propri del target al quale si rivolge21.
In conclusione, l’uscita per le strade e sulla carta stampata delle prime pubblicità shock di Toscani ha sortito l’effetto di far parlare della Benetton, poco importa se pro o contro: si pensi all’elenco, assai cospicuo, di settimanali e quotidiani che hanno rifiutato quelle immagini giudicandole offensive e amorali o ai casi giudiziari suscitati dall’affissione dei manifesti. Lo scandalo paga, non solo nei termini della notorietà e della visibilità sociale ma anche paradossalmente nei termini dell’immagine. Mentre la Benetton è
20 O. TOSCANI, Ciao mamma, Mondadori, Milano 1995.
21 U. ECO, Lector in fabula, Bompiani, Milano 1979.
stata invitata a esporre le proprie pubblicità nell’ambito di mostre tematiche organizzate dal museo di Arte Contemporanea di Losanna, dal Museo d’Arte Moderna di Città del Messico, dalla Biennale di Città del Brasile e dalla Biennale di Venezia, queste stesse pubblicità sono state rifiutate aspramente. Emblematico, a questo riguardo, il rifiuto, nel ’96, da parte della giunta comunale di Vicenza che non ha autorizzato la realizzazione della mostra “Toscani al Muro”. In effetti, al momento, non è possibile affermare che la Benetton sia riuscita a trovare presso il suo pubblico una completa le gittimazione sociale, pur godendo di ampia visibilità.
Fonte: http://www.educatt.it/collegi/archivio/QDL200503DISTEFANO.pdf
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