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LA LINGUA DELLA MODA
GLORIA CORBUCCI
Università per stranieri di Perugia
I linguaggi non verbali sono stati trascurati per molto tempo dagli studiosi della comunicazione e della glottodidattica, che hanno focalizzato il loro interesse sulla lingua. Recentemente c’è stata una rivalutazione della componente non verbale negli scambi comunicativi, ma si tende ancora a trascurare l’abbigliamento, anche se è una parte fondamentale dell’identità sociale. La vestemica, nell’accezione di Roland Barthes, è la scienza che studia la competenza nella moda e nell’uso degli abiti, più o meno formali, che fanno parte dei modelli socio-culturali di una comunità. Un altro motivo per prendere in considerazione lo stile e l’immagine è la massiccia presenza di studenti stranieri che studiano l’italiano perché vogliono frequentare i vari corsi universitari o master presenti in Italia per poter poi entrare nel mondo della moda. In tali corsi di italiano a stranieri diventa quindi necessaria un’attenzione particolare non solo al modo di vestire e alle differenze interculturali fra popolazioni diverse per quanto riguarda le regole dell’abbigliamento e l’uso degli status symbol, ma anche alla “lingua della moda”, con le sue caratteristiche lessicali tipiche di una lingua settoriale, che si diffonde principalmente attraverso i mass media. Il docente può presentare agli studenti articoli tratti da giornali e riviste per guidarli a una riflessione sulle peculiarità di questo linguaggio.
Parole chiave: linguaggi non verbali, moda, stampa,
La moda ha assunto una particolare importanza nei nostri tempi e si può considerare una forma d’arte, o per lo meno un settore che è molto legato ad altre arti, come la musica e il cinema. La moda è regina nelle riviste patinate di élite come
«Vogue», «Elle», «Marie Claire», che raccontano stile e stili in una cornice sofisticata. Non c’è più il giornalismo dei grandi reportage, ma un turbinio di immagini e parole. Si cerca di reinventare il rapporto testo-immagine, ci si appella alla forza del ritratto piuttosto che a un articolo di dieci pagine. Le fotografie, spesso completamente distaccate dagli articoli, vincono, finiscono per avere più rilievo, perché sono più efficaci e più aggressive.
Per esaminare il linguaggio della moda sono stati selezionati articoli presso le seguenti fonti:
periodici femminili specializzati, che – data la loro settorialità – definiremo sinteticamente ‘di fascia alta’: <<Vogue>>, <<Marie Claire>>;
periodici femminili non specializzati rivolti ad un pubblico di lettrici giovani (in generale nubili, di cultura medio-alta ed impegnate professionalmente), che definiremo ‘di fascia media’: <<Amica>>, <<Glamour>>;
periodici femminili non specializzati rivolti ad un pubblico più anziano (donne sposate, con figli, mediamente scolarizzate e generalmente non lavoratrici), che definiremo ‘di fascia bassa’: <<Intimita’>>;
periodici non specificamente rivolti ad un pubblico femminile:
<<L’Espresso>>;
stampa quotidiana: <<Corriere della Sera>>, <<La Stampa>>.
La selezione di un corpus ragionevolmente omogeneo non è stata facile per le seguenti ragioni:
mentre articoli di moda sono presenti saltuariamente nei quotidiani e si trovano con una certa regolarità nel settimanale «L’Espresso», non compaiono, invece, nelle riviste di fascia media e bassa, dove vi sono per lo più foto con descrizioni di abiti o brevi trafiletti.
Le riviste esaminate affrontano raramente gli stessi argomenti; un tema trattato dalla stampa specialistica non è di solito riscontrabile nelle riviste che non sono di settore, e viceversa. E’ impossibile trovare articoli in comune in tutti i diversi periodici. La selezione dei testi è stata quindi estesa il più possibile, ma il paragone non comprende mai tutte le testate.
Gli scopi di questo lavoro possono essere così sintetizzati:
-verificare se e in quale misura quella che abbiamo definito la ‘lingua della moda’ sia effettivamente identificabile come lingua settoriale autonoma, secondo la definizione di SOBRERO (1993: 239);
-se tra le diverse tipologie di testate siano riscontrabili sostanziali differenze nelle scelte linguistiche, eventualmente riconducibili al grado di specializzazione nel settore ‘moda’ o al tipo di target selezionato.
Particolarmente interessanti ai fini di quest’analisi sono risultati gli articoli sui cosmetici, se non altro perché, sulla base della loro presenza/assenza, è possibile tracciare una distinzione preliminare tra le testate scrutinate: come prevedibile, i quotidiani e i periodici non specificamente destinati al pubblico femminile non si occupano dell’argomento, se non sotto forma di rapidi accenni all’interno di articoli di costume o di moda; d’altra parte, i periodici femminili trattano di cosmetici secondo modalità estremamente diversificate. Nelle riviste femminili da noi definite ‘di fascia bassa’ non compaiono di solito veri e propri articoli dedicati ai cosmetici, coerentemente con le abitudini del target, che non si suppone appassionato a questo genere di ‘frivolezze’; nelle riviste ‘di fascia media’, invece, si da’ molta importanza al trucco, chiamato rigorosamente make-up e maquillage; vi sono inoltre consigli pratici per valorizzare il viso che, al contrario, mancano completamente nelle riviste ‘di fascia alta’, le cui lettrici, giovani sofisticate e cosmopolite, sanno presumibilmente gestire il proprio fascino in modo autonomo; ad esse saranno piuttosto destinati sintetici e, soprattutto, tempestivi accenni sulle ultime tendenze del make-up, in modo da consentire un aggiornamento costante. I rossetti costituiscono un tema privilegiato, che sembra stimolare la creatività linguistica delle redazioni.
La morigerata «Intimità», generalmente caratterizzata da toni assai sobri, per non dire austeri, utilizza una sinestesia ‘civettuola’:
Ben più arditamente, «Glamour», di fascia media, parlando di “tocchi esperti per labbra da sballo” (ove si nota la presenza di un’espressione estremamente marcata, appartenente al linguaggio giovanile, ma in origine tratta dal gergo dei tossicodipendenti), realizza la seguente descrizione:
La frase presenta un prestito dal francese e tre dall’inglese. Nessuno di essi può dirsi prestito di necessità1: al posto di nuance si sarebbe potuto usare sfumatura, mentre i termini extralight, gloss e all over avrebbero potuto essere sostituiti, rispettivamente, da ‘molto leggero’, ‘lucidalabbra’ e ‘integrali’; inevitabilmente, però, la descrizione sarebbe risultata troppo neutra e piatta, fallendo lo scopo persuasivo verso le lettrici.
«Marie Claire», di ‘fascia alta’, parla di “feticci da avere: il viola (e il rosa), un gloss fruttato, un tocco punk”. Il trafiletto prosegue:
1 Sui concetti di ‘prestito di necessità’ e ‘prestito di lusso’ cfr. GUSMANI (1993: 13), che rimane a tutt’oggi l’opera di riferimento più esaustiva e rigorosa sui fenomeni di interferenza linguistica.
A potenziare l’effetto estremamente ‘dinamico’ ed espressivo del brano, oltre all’uso dell’iperbole (mitici) e dell’interrogativa contratta (tipica anche dello slogan pubblicitario), che tende ad imitare il carattere emotivo e colloquiale del parlato, i numerosi anglicismi apportano un contributo fondamentale; in particolare, si rileva la comparsa di neologismi (lusso-pensiero, Pucci-mania) che, nella loro struttura di composti con ordine interno determinante-determinato, appaiono immediatamente come calchi strutturali dall’inglese.
«Vogue», la ‘bibbia’ della moda, pubblica la seguente didascalia:
Nell’evidente ricerca di uno stile raffinato, mediante frasi ad effetto, la sequenza trimembre di prestiti dall’inglese serve a creare un alone di fascino. Vi sono poi beauty pageant ‘passerella di bellezza’, tecnicismo da addetti ai lavori, e trash ‘robaccia, ciarpame’, molto usato nel linguaggio della moda, che costituiranno parole- chiave anche nel resto dell’articolo. Nel descrivere la sfilata di Galliano per Dior, si parla infatti di modelle truccate come reginette di bellezza, con il trucco degli occhi colato per le tradizionali lacrime d’emozione e la faccia coperta dei baci rosso fuoco delle rivali:
I prestiti dall’inglese si addensano vistosamente (salvo un omaggio alla lingua francese nel riferimento all’unico tocco di raffinatezza, peraltro non attinta, del quale si faccia menzione). Si noti in particolare l’espressione Madonna wannabes, che è prestito linguistico proveniente dall’American English: wannabe è un sostantivo derivante dal costrutto verbale want to be (‘voler essere’) e indica una persona che
vuole imitare un personaggio famoso, indossando abiti simili e cercando di atteggiarsi alla sua stessa maniera. L’espressione ha un riferimento di cronaca ben preciso: nel 1984, Madonna ha fondato un’azienda d’abbigliamento mirato soprattutto alle teen- ager, chiamata appunto Madonna-Wanna-Be. Ancora un riferimento alla popolarissima cantante americana si coglie in Epoca Borderline, che richiama una delle prime canzoni di Madonna. Va osservato, in proposito, che la rockstar è presente molto spesso negli articoli di bellezza di «Vogue» come modello di riferimento: il suo look esprime infatti un certo sensazionalismo sexy, di grande impatto, e al tempo stesso ricercato, che incontra il gusto delle giovani donne ansiose di indipendenza e di raffinato anticonformismo.
Le ragazze all’ultima moda sono ritratte così:
tangerine, e textures ultra-sheer, scintillanti di microparticelle glittering. (<<Vogue>>, n.610, Giugno 2001, p.156).
La descrizione si sviluppa per tocchi rapidi, con una successione di frasi brevi ove prevale lo stile nominale, ellittico del verbo ‘essere’. Permane l’abbondanza di anglicismi; è in particolare interessante il sintagma aggettivale un filino trashy, che combina il prestito con un modificatore tipico dell’italiano colloquiale più stereotipato e ‘caricaturale’ (BERRUTO 2001: 147), a suggerire un’intenzione ironica neppure troppo implicita. La combinazione di elementi di provenienza italiana e straniera è riproposta da altri due aggettivi, fruttato-pop e arancio tangerine.
Soffermandoci ancora sulle descrizioni delle tonalità di rossetto, particolarmente degno di commento appare il seguente brano, sempre pubblicato da
«Vogue»:
Si noti soprattutto la strategia di giustapposizione utilizzata per quasi tutti gli aggettivi che compaiono nel paragrafo: le due componenti che si fondono a formare l’aggettivo sono accostate senza l’ausilio di elementi funzionali. In rosa-rosa, la ripetizione dell’aggettivo esalta la purezza e l’intensità del colore, con un procedimento analogo a quello definito da SABATINI (1985:169) ‘superlativo del sostantivo’ (il tipo ‘Vorrei un caffè-caffè’) e da lui individuato come tratto caratterizzante dell’italiano dell’uso medio. Come in 6), anche qui gli aggettivi scaturiscono in misura rilevante da strategie di ibridazione linguistica (vivace- gourmand, latteo-marshmellow). Da rilevare, infine, il costante richiamo delle denominazioni dei toni di rossetto alla sfera semantica del cibo (con un effetto affine alla sinestesia): oltre ai due precedenti, si vedano in proposito acidulato di mandarino e fuxia granatina.
Se nell’articolo appena commentato le labbra femminili sono rappresentate implicitamente come frutti morbidi e profumati da mordere, in un altro ‘pezzo’
«Vogue» lancia lo “scary look”:
Le scelte lessicali, questa volta, contribuiscono efficacemente ad evocare un’atmosfera ‘horror’: il film “Il corvo” non è citato a caso…
Ancora espressioni complesse e composite: in particolare, destroy barocco cela probabilmente un riferimento ad un romanzo della giovane scrittrice ‘pulp’ Isabella Santacroce, in cui il termine ‘destroy’ ricorre ossessivamente nella scansione dei paragrafi, in una sorta di esaltazione frenetica del nichilismo.
L’articolo prosegue:
9) […] Palpebre nero shining post punk e piercing multiplo da Gaultier, a enfatizzare una moda destroy/flamboyante ricca di influenze barocche. […] Protagonisti ombretti neri o falsi tali per uno sguardo ipnotico/aracneico. E Saint Laurent punta su grafismi jais o bordeaux cupissimo per spietati cat eyes. […] Palpebre nere su incarnato fanè, esangue, e su labbra appena contrastate, carnicine, quando non addirittura frosted, come di neve. O occhiaie livide e bocche mirtillo da revenant. (<<Vogue>>, 613, Settembre 2001, p.426)
Il ridondante sintagma aggettivale nero shining post punk, mentre cela un ulteriore riferimento alla cinematografia ‘nera’, fornisce, sotto il profilo linguistico e concettuale, un aggancio immediato (punk) per la comparsa di uno dei pochi prestiti che possano davvero dirsi ‘di necessità’: il termine piercing, infatti, si riferisce alla
perforazione di alcune parti del corpo, con inserimento di anelli o spille; per tale procedura, venuta in auge con il movimento punk alla fine degli anni Settanta1, l’italiano non dispone, ad oggi, di una denominazione specifica. Da notare, ancora, il frequente ricorso all’unione di aggettivi mediante slash (/), quasi a suggerire la
possibilità di un’alternativa, più che un rapporto di determinazione tra le due componenti: oltre a aggressivo/dark, in 8), si vedano destroy/flamboyante (dove si accostano due prestiti di diversa provenienza) e ipnotico/aracneico, a proposito del quale vale la pena notare come la scelta del secondo termine, variante di ‘aracneo’, vocabolo colto proveniente dal greco, crea un effetto sofisticato, laddove il ben più corrente ‘ragnesco’ avrebbe ottenuto un effetto ridicolo di anticlimax. I non pochi prestiti dal francese si rivelano in questo brano assai più adatti degli anglicismi ad ottenere un alone di eleganza misteriosa e vagamente decadente.
Per molti aspetti affine al ‘look horror’, il make-up di sapore ‘sado-maso’ consente ai redattori di «Vogue» di giocare con i simboli della trasgressione sessuale:
[Didascalia]
1 Il movimento punk (aggettivo che ha il significato di ‘marcio’, ‘scadente’) nacque in Inghilterra e si diffuse presso i giovani in tutto il mondo occidentale. I punk, il cui credo era no future, avevano un look molto aggressivo fatto di tutto nero, borchie, catene, calze bucate, spille e anfibi.
10)” Al collo dei nuovi profumi, charms, chokers, chains & co. A eccitare le fashion victims o a esprimere le vibrazioni tenero/perverse del rapporto dominante/dominato?”
[Articolo]
Un trend che viene dalla moda, sexy & dangerous con ironia. Vedi i chokers con manette sfavillanti di strass di Agent Provocateur, coniugazione perfetta di S&M e glamour sfoggiati col consueto aplomb anche da Claudia Schiffer. (<<Vogue>>, 615, novembre 2001, p.148).
Il gruppo allitterante iniziale, composto da tre prestiti dall’inglese, indicanti alcuni strumenti tipicamente ricorrenti nelle pratiche sadomaso, si chiude con la sigla & co, mutuata dall’inglese commerciale, a sottolineare la chiave d’interpretazione ironica e giocosa con la quale l’atmosfera di perversione sessuale viene proposta. Fashion victims è un anglicismo molto diffuso, mentre non è usato l’equivalente italiano ‘vittime della moda’. L’uso di sigle (S&M) e di grafemi ‘brachilogici’ (& in luogo di ‘and’) richiama il linguaggio scarnificato dei messaggi SMS e delle chat- lines, potenziando in tal modo l’effetto allusivo e ammiccante del pezzo.
CALEFATO (1999: 98) sottolinea l’importanza del colore nero nel mondo della moda, notando come i termini che lo designano nelle diverse lingue (noir, black, dark) pongano in rilievo il legame con un genere letterario (ad esempio, il fumetto italiano Martin Mystere), cinematografico (The Blues Brothers, Men in black) o musicale (gruppi dark degli anni Ottanta, come i Bauhaus). Secondo Calefato, il colore nero nella moda è associato principalmente al vestiario feticista, perché “il nero assorbe la luce, annulla in sé tutti gli altri colori, evoca il buio, la notte, come zone in cui l’imprevisto, l’inaspettato, l’inaudito possono diventare la normalità” (CALEFATO 1999: 104).Il tema del nero nella moda è stato affrontato dalla vasta maggioranza delle testate scrutinate ed è quindi interessante porre a confronto i brani linguisticamente più significativi inclusi nel corpus.
«Intimità», in un breve servizio intitolato “Signore in nero”, mostra fotografie di indossatrici in abiti rigorosamente classici e piuttosto anonimi; al contrario delle foto dei periodici femminili di fascia più alta - che evocano atmosfere esotiche da jet- set - le foto di «Intimità» fanno pensare a rassicuranti e ovattate atmosfere familiari. L’articolo che ne accompagna la presentazione, realizzato in uno stile neutro e privo di enfasi, non rivela caratteristiche ‘marcate’ dal punto di vista sociolinguistico:
“Non tramonta mai il successo di questo colore che, soprattutto di sera, resta l’indiscusso protagonista dell’eleganza femminile”.
[Articolo]
Essenziale il modello a balze sovrapposte con spalline sottili realizzate in paillettes… Sulla lunga gonna in seta, il top in maglia goffrata di seta e inox, come la borsina. (<<Intimità>>, n.14, 12 aprile 2001, p.13).
Si può immediatamente rilevare che paillettes, inox e top sono prestiti di necessità, i primi due provenienti dal francese, l’ultimo dall’inglese. L’italiano ‘lustrini’ non ha lo stesso potere connotativo di paillettes, in quanto evoca un’atmosfera più kitsch, da circo. Quanto a top, tale vocabolo non ha una traduzione adeguata in italiano; dire ‘indumento femminile costituito da una camicetta senza maniche, spesso priva di allacciatura, molto scollata sia davanti che dietro’ risulta decisamente poco incisivo.
Degno di nota è il termine borsina, che, con il suo sapore ‘provinciale’ e vagamente infantile, a fronte dei francesismi “pochette” o “trousse”, incorrerebbe in una rigida censura presso testate quali «Vogue», «Elle» e «Marie Claire».
L’articolo prosegue senza sorprese:
Compaiono altri prestiti di necessità, due dei quali, chanel e cardigan, costituiscono esempi di quelli che GUSMANI (1993: 101 ss.) include nella categoria dei prestiti apparenti, definendoli ‘appellativi da nomi propri’ (derivano infatti, rispettivamente, dal nome della creatrice Coco Chanel e dal nome del primo estimatore dell’oggetto in questione, il generale britannico J. Th. Brudenel, conte di Cardigan). Va detto, in proposito, che l’uso di eponimi è molto diffuso nella lingua della moda. Nude look è un prestito di lusso dall’inglese, ma di diffusione così ampia che si trova anche nei dizionari di lingua italiana, ed è conosciuto anche da chi non sa l’inglese.
Nel sito Internet http://www.dellamoda.it, realizzato dalla casa editrice Baldini e Castoldi, Serena Viviani, giornalista del mensile femminile «Amica» (di fascia media) firma un pezzo sulla tendenza neo-punk:
Serena Viviani, “Borchia Amica mia..,”http://www.dellamoda.it/articoli/2006- 11/borchia_amica_mia.php; 4/4/2001 ).
Il tono è informale, con molte espressioni e costrutti tipici dell’italiano colloquiale, che vivacizzano lo stile: sotto il profilo sintattico, in particolare, si notano
Anche «Vogue», a commento di un servizio fotografico intitolato “Magnificent excess”, parla di punk couture, ma l’effetto è ben diverso:
«Vogue» crea propriamente una lingua nuova, che mescola lingue diverse, selezionando parole di notevole potere evocativo. La sintassi sembra ‘esplodere’ e lo stile è rigorosamente nominale. I numerosi prestiti non adattati dall’inglese e dal francese costituiscono i cosiddetti ‘tecnicismi collaterali’, secondo la definizione di DARDANO e TRIFONE (1999: 631), cioè “parole ed espressioni stereotipate dal cui uso non risulta una maggiore chiarezza dell’enunciato, e tuttavia preferite perché conferiscono al discorso una più spiccata connotazione tecnica”: ne sono esempio i bijoux oversize, che nel brano si sostituiscono efficacemente a ben più prosaici ‘gioielli enormi’. Interessante l’unione dell’aggettivo inglese tough (‘duro’) al francese chic, a sottolineare l’eleganza aggressiva della moda punk. Ladies evoca un’atmosfera aristocratica, riproposta dall’espressione principesse punk. Il termine vintage couture, che indica l’accostamento di un accessorio d’epoca a un abito contemporaneo, è molto usato nel mondo della moda, in cui è costante la rivisitazione di stili passati. A ben vedere, nel brano i prestiti di necessità sono soltanto due, strass e guêpière; in alcuni casi, tuttavia, il ricorso al forestierismo è quasi obbligato: per colliers de chien, ad esempio, il francesismo è l’unico mezzo per evitare l’imbarazzante anticlimax che l’italiano ‘collari da cane’ avrebbe prodotto.
«Vogue» dedica a più riprese veri e propri reportages al colore nero. La rivista osanna ed enfatizza il re dei colori come un poeta invoca la sua musa:
L’ampio uso dell’ossimoro mira, sul piano formale, a conferire una certa ‘nobiltà retorica’ alla frase; non a caso, l’austerità e la severità dello stile sono sottolineate dall’assoluta mancanza di prestiti. L’articolo si conclude così:
L’enfasi retorica, annunciatasi nelle righe precedenti, e mantenuta anche con l’ausilio di espedienti di livello fonologico (la scansione in sillabe dell’aggettivo iperbolico, l’allitterazione con inversione di senso della coppia aggettivale seguente), raggiunge il culmine con la personificazione del colore, resa mediante il ricorso al discorso diretto. Al di sotto del tono ostentatamente ‘ieratico’ dell’articolo, tuttavia, si percepisce il permanere di quell’ironia, comunque ‘partecipe’, che potremmo dire costituisca una delle caratteristiche più salienti dello stile di «Vogue».
L’analisi della stampa non specificamente destinata ad un pubblico femminile riserva qualche sorpresa: se, infatti, l’argomento rimane lo stesso, è tuttavia il tono degli articoli a mutare drasticamente.
Il settimanale «L’Espresso», nella sua versione on-line, presenta spunti interessanti:
L’andamento estremamente veloce e disinvolto del periodare, che si snoda in una successione di brevi frasi semplici, appena interrotta da una scissa con funzione di ‘focalizzazione’, è costellato da pochi anglicismi e da alcuni colloquialismi, tra i quali spiccano i ben poco ‘tecnici’ gonnellona e molto nude. Fino dall’incipit, si avverte un tono piuttosto pacato e prosaico, che poco ha a che fare con le tinte fortemente espressive di alcune riviste femminili.
Nei servizi di moda del quotidiano «La Stampa», la nota dell’ironia predomina nettamente, quasi che le esigenze della cronaca producessero una sorta di distacco, vagamente irrisorio e condiscendente, rispetto all’oggetto trattato. Il brano selezionato, incluso in un articolo sulle sfilate di Milano, si sofferma sulla passerella di Tom Ford, direttore creativo di Gucci e di Saint Laurent:
resto è tutto nero. Che passione la tinta scarafaggio. Perché non festeggiare anche il 25 dicembre in black? “Ci ho già pensato, sto preparando alberi di Natale neri e decorazioni in tinta”, sottolinea angelico Tom Ford, raffinatissimo dark-dipendente che ama firmare gli oggetti più disparati. Chitarre e tavole da surf comprese. (<<La Stampa>>, sabato 3 marzo 2001, p.13).
Il giornalista traduce tra parentesi l’aggettivo kissable, sottolineandone in tal modo l’anomalia e la resa semantica e formale sottilmente ridicola in italiano; l’articolo, del resto, sembra richiamare costantemente il lato grottesco degli eccessi proposti dal mondo della moda: basti pensare alle giacche striminzite da bambino, o alla tinta scarafaggio, che – in qualità di efficace anticlimax – interviene a ridimensionare il tono serio e competente della frase precedente.
L’articolo prosegue:
La frase nominale, con uso ad effetto del francese, funziona come una sorta di ‘titolo’ al periodo successivo, dal quale – secondo una logica di contrasto – sono completamente banditi i forestierismi, a beneficio delle espressioni gergali o ‘contratte’ tipiche dell’italiano colloquiale.
Sempre nel quotidiano «La Stampa», la giornalista Maria Laura Rodotà così si esprime sul ritorno del nero:
“Via i colori, torna il nero scollatissimo strapponissimo.”
[Articolo]
[…] Ci hanno talmente rotto le scatole in questi anni, tra allegati-donna, riviste di moda sganciate dai quotidiani, vetrine dei nostri negozi preferiti, che abbiamo comprato parecchie cose di altri colori; e ci scoccia abbandonarli, i soldi ormai li abbiamo spesi. Il nero che ci propongono ultimamente non è il preferito di noi filo-Morticia, tendenzialmente minimaliste. E’ roba diversa, strapponissima, scollatissima, tutta spacchi e stranezze, a volte pure in pelle; praticamente un Nero Tangenziale. (<<La Stampa>>, sabato 3 marzo 2001, p.8).
Il titolo è composto dalla giustapposizione di due frasi, la prima delle quali ellittica del verbo; l’’effetto’ è ottenuto da un’efficace coppia di superlativi, scollatissimo e strapponissimo (‘indumento arricchito di tagli e squarci’), che ‘mimano’, per così dire, le caratteristiche di vestibilità dell’abito. Il tono dell’articolo è informale, come testimoniano le numerose concessioni al parlato, sia sul piano lessicale (ci hanno rotto le scatole, sganciate, ci scoccia, cose, roba), sia sul piano sintattico (cfr. la dislocazione a sinistra in i soldi ormai li abbiamo spesi). I neologismi, sottilmente umoristici, sono di genuina matrice italiana, da filo-Morticia a nero tangenziale, aggettivo che allude in modo estremamente specifico, dal punto di vista culturale e geografico, alle modalità di rappresentazione del mondo della prostituzione.
Il pezzo prosegue così:
L’accumulo di diminutivi (tratto in forte espansione nell’italiano neo-standard) svela definitivamente l’intenzione ironica. A fronte dei tre sparuti prestiti di necessità dall’inglese, i tre colloquialismi fortemente marcati mutande, vabbè e XY (in luogo di un chiarissimo disfemismo) conferiscono al tutto un’ulteriore nota di bonaria irrisione.
Nell’ambito dei materiali raccolti dalla stampa quotidiana, il culmine della dissacrazione nei confronti del rutilante mondo della moda si raggiunge con gli articoli pubblicati da Beppe Severgnini sul «Corriere della Sera», a commento alle sfilate milanesi di moda maschile (“Noi uomini neri”):
Il brano ha un taglio bozzettistico, come si addice a quello che potremmo meglio definire un articolo ‘di costume’, piuttosto che ‘di moda’; a questa dimensione del contenuto corrisponde pienamente il piano espressivo, che attinge all’italiano neostandard, accantonando – o utilizzando con ostentata imperizia - gli esotismi e i tecnicismi.
A conclusione di questa sintetica rassegna del materiale tratto dal corpus raccolto, possiamo delineare i risultati più rilevanti della nostra ricerca.
I dati illustrati ci inducono, in primo luogo, a concludere a favore dell’ipotesi secondo la quale la ‘lingua della moda’ sarebbe effettivamente una lingua settoriale autonoma, che dispone di un proprio lessico specializzato ed utilizza con particolare frequenza specifiche strategie morfosintattiche che ne caratterizzano profondamente lo
stile. Si può dire, anzi, che nelle testate specializzate (quali, ad esempio, «Vogue») la densità di tecnicismi, la loro appropriatezza e precisione designativa rendono non di rado i testi quasi inintelligibili ai non addetti ai lavori.
In generale si può affermare che:
Ciò che di stabile si può osservare, eventualmente, in questo particolare sottocodice, sono alcune strategie di formazione di parola, in parte endogene
(soprattutto derivazioni per prefissazione), in parte esogene (si vedano i calchi strutturali dall’inglese con ordine interno determinante-determinato); tali strategie, peraltro generalmente utilizzate dal linguaggio giornalistico, vanno costantemente rafforzandosi e diffondendosi presso la massa dei parlanti anche grazie ad usi settoriali quali, appunto, quello dei giornali e degli articoli sulla moda.
Un secondo ordine di considerazioni scaturisce dalla comparazione tra le diverse testate prese in esame. Sotto questo profilo, si può notare innanzitutto come la lingua della moda, al pari di una vera e propria lingua specialistica, possa essere utilizzata sia a livelli che potremmo definire, con qualche forzatura, ‘scientifici’, sia a livelli decisamente divulgativi. Ne è esempio l’uso, appena commentato, dei neologismi di provenienza straniera: se gli anglicismi sono assolutamente predominanti in riviste di settore come «Vogue» e sono presenti, anche se in misura minore, in periodici femminili non specializzati e rivolti ad un pubblico giovane, come
«Amica» e «Glamour», essi si rivelano quasi completamente assenti in periodici rivolti ad un pubblico di lettrici di età ‘matura’, come «Intimità», il cui target si suppone non adeguatamente ‘acculturato’ rispetto all’enciclopedia condivisa in seno alla comunità dei ‘cittadini globali’, che sono giovani, mobili e, dunque, cosmopoliti.2
Nelle pubblicazioni non specificamente indirizzate ad un pubblico femminile, d’altra parte, appare evidente come la lingua delle rubriche e delle pagine dedicate alla moda e alla bellezza perda completamente ogni specificità, omogeneizzandosi, salvo sporadiche occorrenze lessicali, alle caratteristiche linguistiche degli articoli di diverso argomento.
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ed.
2 In proposito, si veda l’interessante contributo di PILLER (2001).
MORETTI B.,/PETRINI D.,/BIANCONI S. (a cura di), 1992, ” Linee di
tendenza dell’italiano contemporaneo“, in Atti del XXV Congresso Internazionale della Società Linguistica Italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991), Roma, Bulzoni.
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Sitografia http://www.dellamoda.it http://espresso.repubblica.it/ http://www.stile.it
Fonte: http://ojs.cimedoc.uniba.it/index.php/glottodidattica/article/download/208/79
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