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Il linguaggio comunicativo di Elsa Schiaparelli
Mi era capitato un paio di volte di pensare che invece di dipingere o scolpire, attività in cui riuscivo piuttosto bene, avrei potuto inventare abiti o costumi. Per inciso, ritengo che disegnare vestiti non sia una professione, ma un’arte. La consideravo un’arte molto difficile e di poca soddisfazione, perché un vestito, appena nato è già qualcosa che appartiene al passato. Spesso, devono intervenire molti elementi perché si possa realizzare un’idea che corrisponda esattamente a ciò che si ha in mente. L’interpretazione che si dà di un vestito, il modo in cui è fatto e la strana reazione che a volte riservano i materiali – questi fattori a pre- scindere da come l’abito viene portato, provocano tutti inevitabilmente una leggera, se non amara, delusione. Esserne soddisfatti in un certo senso è anche peggio, perché il vestito una volta creato non ti appartiene più. Un vestito non può semplicemente stare appeso alla parete come un quadro o rimanere intatto e vivere a lungo ben protetto come un libro. Un vestito vive solo se lo si indossa e, appena ciò accade, un’altra personalità ti sostituisce e lo anima – o almeno ci prova - lo esalta, lo distrugge o lo trasforma in un canto di bellezza. Più spesso diventa un banale oggetto o anche una misera caricatura di ciò che tu desideravi fosse – un sogno, un modo di esprimersi.
(Shocking life, Elsa Schiaparelli 1954)
Due furono le donne che crearono la moda fra le due Guerre, Chanel e Schiap, l’una nata in povertà, l’altra in una situazione estremamente privilegiata.
Fin da subito, Elsa iniziò a mostrare la sua determinazione e il suo forte temperamento, sognava di fare l’attrice ma la posizione della famiglia non poteva consentirle di salire su un palcoscenico. Scrisse alcune poesie, in stile vagamente dannunziano, che vennero pubblicate in un piccolo volume.
Schiap non aveva ancora trovato la sua strada quando, un’amica della sorella, sposata con un ricco inglese, iniziò ad occuparsi di bambini orfani e chiese informazioni a proposito di una ragaz- za che potesse aiutarla. Elsa decise di cogliere l’occasione. Partì per raggiungere Londra passando per Parigi, fu il suo primo contatto con la città delle avanguardie, e il suo primo approccio con la sartoria. Un amico di famiglia la invitò ad un ballo per il quale realizzò il suo primo abita da sera tenuto insieme solo da pochi spilli.
Arrivata a Londra, ad una conferenza, incontrò il conte Wendt de Kerlor, suo futuro marito che praticava e predicava dottrine filosofico-religiose d’ispirazione orientale.Si sposarono dopo poco, nel 1914.
Il diminutivo Schiap fu proba-
bilmente introdotto in Francia per semplificare la pronuncia del suo cognome ma divenne poi una sorta di nome d’arte con cui anche lei stessa s i chiama nelle sue memorie.
I due coniugi allo scoppio della prima Guerra Mondiale si trasferirono a Nizza, dove rimasero fino al 1919, data di par- tenza per gli Stati Uniti.
Giunta a destinazione, Elsa si rese con- to di quanto fosse diverso quel posto, non solo da Roma ma anche dalle città prece- dentemente visitate. Nel giro di un anno la sua vita cambiò, ebbe una figlia, Gogo, il marito la lasciò e suo padre morì. Si trovò sola con una bimba piccola di salute cagio- nevole e senza sostegno economico della famiglia di origine. Conobbe Gabrielle, ex moglie dell’artista Francis Picabia, che si offrì di occuparsi di Gogo mentre Schiap era alle ricerca di un lavoro. La conoscenza di questa donna fu fondamentale poiché le diede la possibilità di inserirsi nella vita di New York, frequentare gruppi di artisti Dada e fotografi d’avanguardia come Man Ray e Marcel Duchamp. Fu in questo periodo che avvenne l’incontro che, secondo le sue stese affermazioni, segnò il suo destino: il grande Poiret.
Silenziosamente provai dei vestiti e, dimenticando completamente dove mi trovavo, passeg- giai, molto contenta di me, davanti allo specchio. Misi un mantello dal taglio ampio e largo, che sembrava fosse stato fatto per me. Era di velluto d’arredamento nero con grosse bande lucenti, doppiato in crêpe de Chine blu vivo. Era magnifico. - Perché non lo acquistate, signorina? Si di- rebbe fatto per voi. - Il grande Poiret in persona mi guardava e io sentii lo choc delle nostre due personalità. - Non posso, risposi. È certamente troppo caro, e quando potrei metterlo? - Non vi preoccupate del denaro, riprese […] . E poi, voi potreste portare qualsiasi cosa in qualsiasi posto.
– Poi con un affascinante saluto me lo offrì. Nelle mie stanze scure, il mantello somigliava a una luce del cielo.
(Shocking Life, Elsa Schiaparelli 1954)
Dagli anni 20 in poi, l’attività sportiva divenne una moda diffusa perciò si crearono abbigliamen- ti specifici. Elsa pensò che questa poteva essere la strada giusta e iniziò a realizzare abbigliamento sportivo. Nel 1925 sostenuta dal finanziamento di una amica comprò la Maison Lambal una piccola sartoria. Nel 1927 venne presentata la sua prima vera collezione all’interno del suo appartamento. Si trattava soprattutto di maglieria dai colori brillanti ispirata per lo più al Futurismo e a Poiret, realizzata con materiali nuovi come il kasha. I giochi di colore prevedevano cardigan abbinati a gonne ma anche calze e sciarpe abbinate ai completi.
Il modello che poco dopo la lanciò nel campo della moda fu un particolare golf. L’aveva visto addosso ad un’amica ed era stata colpita dal suo aspetto solido, elastico e dal particolare punto a maglia fatto a mano. La lavorazione era ottenuta con 2 fili di lana che permetteva di avere come risultato un capo più resistente e, grazie alle modifiche che apportò Elsa, di creare effetti di dise- gno utilizzando i due fili di diverso colore. L’idea del golf trompe-l’oeil fu immediata, disegnò un grande fiocco sul davanti del golf e quando venne raggiunto l’effetto desiderato fu lei la prima ad indossare tale capo, attirando immediatamente l’attenzione del pubblico.
La fantasia di Schiaparelli si scatenò e sui golf apparvero i soggetti più svariati: foulard, cra- vatte, schemi di cruciverba o tatuaggi. Nel giro di poco tempo tutte le signore alla moda avevano un maglione trompe-l’oeil.
Nel 1928 Schiap trasferì la sua attività in un appartamento nella zona della moda dove espose l’insegna “Schiaparelli pour le sport”. Schiap cercò di rinnovare tutto l’abbigliamento sportivo, utilizzando molti colori.
La sua specialità erano i costumi da bagno e i pigiama da spiaggia.
Nei primi anni 30 la sua produzione divenne una vera e propria Maison de Couture e così, senza alcuna conoscenza in materia, si fece strada nel campo della moda; aveva il coraggio di ri- schiare poiché non aveva nulla da perdere. In seguito imparò alcune regole riguardo ai vestiti, che lei stessa stabilì , aiutata dalla bellezza che l’aveva circondata durante tutta l’infanzia.
Sentiva che i vestiti dovevano ispirarsi all’architettura: non bisogna mai dimenticare il corpo e bisogna usarlo come si usa la struttura di un edificio. Le linee e i dettagli stravaganti o un effet- to asimmetrico devono sempre essere in stretto rapporto con questa struttura. Più il corpo viene rispettato, più vitalità acquisisce il vestito. Si possono aggiungere imbottiture e fiocchi, si possono abbassare o alzare le linee, modificare le curve, accentuare questo o quel punto, ma l’armonia deve restare. I greci, più di chiunque altro a esclusione dei cinesi, hanno capito questa regola e hanno dato ai loro dèi, anche a quelli decisamente grassi, la serenità della perfezione e il meraviglioso portamento di chi è libero.
(Shocking life, Elsa Schiaparelli 1954)
Armonia era la parola chiave delle sue creazioni.
Successivamente tailleur, gonne-pantalone e abiti da sera completi di giacca divennero la spe- cialità della casa.
Schiap decise di indossare personalmente a party e ad occasioni mondane le collezioni più stravaganti, quelle che nemmeno le clienti più eccentriche e alla moda avevano il coraggio di spe- rimentare per prime. Ma per fare questo doveva essere accettata alla pari dalla società del lusso, una condizione che fu resa possibile dal fatto che lei non veniva dal chiuso mondo della sartoria ma da quello dell’aristocrazia e dagli artisti internazionali girovaghi, che sapevano vivere e fare gruppo in qualsiasi luogo e situazione. Elsa si sentiva un’artista. Fare un abito era un modo per intervenire nella cultura estetica di un’epoca e delle donne che lo indossavano e lo vedevano indossato. Il ve- stito, era il primo strumento di comunicazione interpersonale e doveva nascere, da un lato, dallo studio di chi doveva metterlo e dal contesto in cui si inseriva e dall’altro dalle idee che attraverso il suo aspetto potevano essere veicolate. Questo la portò a cercare un rapporto diretto con i suoi committenti.
Agli inizi degli anni 30, Schiap aveva messo a punto una sua silhouette femminile che corri- spondeva allo stile e all’ideale di donna che si stava facendo strada dopo la crisi del 29. La ricchezza tornò ad essere un bene raro, che si poteva comunicare, attraverso il lusso e l’estrosità. Gli abiti, dovevano proteggere la donna dai contrattacchi del maschio, di cui stava sfidando superiorità e di cui stava invadendo il territorio. Gli abiti di Elsa, riflettevano un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno ed estremamente seducente di sera.
Il suo matrimonio era stata una delusione, questo la portò a pensare che la nuova donna degli anni 30 non doveva avere fiducia negli uomini. L’universo femminile cominciava a costituire un universo autonomo dove l’uomo era il nemico da fronteggiare per farsi spazio nel lavoro. Nacque così negli anni 30, la silhouette a “grattacielo”: vestiti muniti di imbottiture, dalle linee dritte e verticali e dalle spalle larghe e squadrate. Le decorazioni, fin da subito, assunsero un significato ambiguo: da un lato sembravano sottolineare la femminilità dell’indumento, dall’altro la loro col- locazione, esaltava l’effetto di armatura.
La Schiaparelli conquistò il comfort senza perdere la femminilità. Ad una struttura semplifi- cata, affiancò una fantasia sfrenata, che si espresse con decorazioni e accessori. Dal 1931 cominciò ad ingrandire la sede della Maison, occupando i primi piani del palazzo in rue de la Paix e aprendo un piccolo spazio vendite nel cortile. Lo sistemò in modo che avesse l’aspetto di una imbarcazione. Insieme all’attività si era allargato anche il suo staff che ormai prendeva un responsabile per ogni settore e una serie di collaborazioni.
Clement si occupava della creazione degli accessori e Lesage eseguiva i ricami.
Collaborò con artisti come Dalì e Cocteau e con fotografi come Man Ray conosciuto a New york.
Nel 1933 aprì una sede a Londra che però creò continui problemi sia dal punto di vista finanziario che organizzativo.
Negli anni seguenti, l’artista continuò a lavorare sulla stessa silhouette, variandone l’immagine: comparve la linea “a scatola”, “a cono”, successivamente la linea “uc- cello” che comprendeva berretti alati, cappe alate, ali in spalle abbastanza grandi per volare e come decorazioni piume di pappagallini e canarini.
Sperimentò una grande quantità di materiali sintetici o rielaborati chimicamente, alla ricerca di effetti particolari. Il cellophane venne utilizzato sia lavorato a tessuto sia per ricamare, sia per creare accessori trasparenti.
Nel 1935 la boutique viene trasferita in Place Vendome e diventa subito famosa per la nuova formula del “pret a porter”. Elsa non si limita solo alla produzione di abiti, ma spazia dai profumi agli accessori, bijoux ecc.
Il suo scopo era quello di poter dare al cliente, la possibilità di vestirsi Schiaparelli dalla testa ai piedi, oppure scegliere solo un piccolo particolare. La boutique Schiap divenne uno dei punti ob- bligati della moda parigina. Le collezioni presentate divennero 4 ogni anno ed erano create ognuna secondo un tema diverso che si rispecchiava in abiti, bijoux e stampe dei tessuti. Questo metodo faceva in modo che Schiap potesse scatenare tutta la sua creatività e teatralità. Nel 1935 il tema della collezione di primavera erano le cerniere, di colori contrastanti rispetto al colore dell’abito e dalle collocazioni inattese, tali da colpire l’occhio.
Non mancava la ricerca dei materia- li: cape de verre era un corto mantello trasparente realizzato in rhodophane, dalla trasparenza vetrosa e il tessuto stampato a pagina di giornale che le era stato ispirato osservando una donna che usava un copricapo di carta per ripararsi dal sole, venne utilizzato per ogni indu- mento e accessorio.
A Copenaghen, un giorno Schiap visitò il mercato del pesce, dove c’erano vecchie che restavano sedute per ore sulle rive dei canali in mezzo a un mare di pesci con le scaglie d’argento, ancora vivi e tremanti. Queste donne portavano in testa cappelli dalle strane forme, fatti con fogli di giornale piegati. Schiap osservò con attenzione e, tornata a Parigi, mandò a chiamare Colcombet, il più audace dei tessitori.
<<Voglio un tessuto stampato come se fosse un giornale>> disse.
<<Ma non venderà mai>> esclamò l’uomo allarmato.
<<Io penso di si>> rispose Schiap.
(Shocking Life, Elsa Schiaparelli 1954)
La collezione d’autunno affrontava temi politici e si chiamava “FERMATI, GUARDA E ASCOLTA”, quasi a voler incitare ad una necessaria presa di coscienza.
In ottobre presentò la collezione “ESKIMO”, che tendeva ad esaltare la parte alta del corpo in modo esagerato, utilizzando inserti di pelliccia a scopo decorativo, ispirandosi al mondo del lavoro.
In dicembre si recò a Mosca per rappresentare la couture fran- cese alla “prima fiera internazionale sovietica”, da questa esperienza nacque il tema delle prime sfilate del 1936, legato al volo e ai nuovi mezzi di trasporto che iniziavano a solcare i cieli.
Nella collezione dell’inverno, Elsa si adeguò alla moda che tutte le case parigine, stavano proponendo: abiti bianchi che ricordavano le statue greche. Realizzò anche modelli più vicini al suo stile, rese personali gli abiti con la sola applicazione di un nastro appoggiato sugli indumenti e ripiegato su se stesso durante il percorso. Ancora una volta interveniva il meno possibile sulla silhouette, ma sugge- riva il tema di moda attraverso un elemento decorativo da usare in collocazioni e modi diversi e il nastro divenne anche un’alta cintura da stringere in vita.
Nel 1936 iniziò un periodo particolare nel- la ricerca di Schiaparelli: fu come se a quel punto avesse sentito il bisogno di chiarire a se stessa i contenuti culturali del la- voro che stava facendo sul linguaggio dell’abito. Già negli anni precedenti aveva osato come nessuno aveva mai fatto prima, rifiutan- dosi di seguire i metodi e i contenuti tradizionali dell’alta moda; voleva che le donne fossero se stesse e che comunicassero agli altri la propria individua- lità. La forma del lusso che offriva alle sue clienti era quella di non seguire le regole del senso comune, anche nell’aspetto. C’era qualcosa nel suo modo di fare arte che somigliava alla comunicazione messa
in atto dagli artisti dada e surrealisti, conosciuti prima a Parigi poi a New York. Si rivolse a due surrealisti, Cocteau e Dalì, per capire attraverso due diversi metodi quanto “il linguaggio dell’inconscio”, che il surrea- lismo stava sperimentando, potesse modificare il linguaggio degli abiti.
Dall’autunno dello stesso anno le colle- zioni si articolarono su doppi filoni, da un lato la stilista si concentra- va sull’elaborazioni di particolari temi, attor- no ai quali sviluppare le collezioni, (musica, farfalle, astronomia…)
A questo punto gli abiti realizzati da Dalì iniziarono a starle stretti poiché erano volti a comunicare un unico significato erotico - sessuale. La moda femminile nel corso del tempo espresse fondamentalmente due contenuti: quello erotico/seduttivo, anche se in forma meno esplicita di come aveva fatto Dalì, e quello sociale. Elsa voleva ricorrere ad altri universi linguistici per esprimere altri significati.
L’obiettivo del surrealismo era liberare l’immaginazione poetica e dare sfogo al mondo dei sogni. Il me- todo era la libera creazione d’immagini prive di significato e di scopo, lasciate scaturire come nascono dalla fantasia. Il sogno, l’infanzia, il favoloso e il meraviglioso erano le fonti cui ricorrere. Schiapparelli scoprì che questo metodo le era congeniale per creare un linguaggio vestimentario che comunicasse la dimensione interiore della donna. Capì infatti che quello che riusciva più stimolante era considerare il corpo della donna e la forma dell’indumento come pagine bianche su cui scrivere il flusso delle fantasie, che sorgevano spon- taneamente nel momento in cui si metteva a lavorare su un tema; immagini isolate e precise, che nella loro libera sequenza ricostruivano il suo immaginario, come si era costruito nel tempo, attraverso mille esperienze diverse. Il problema poteva sorgere nel momento in cui queste immagini dovevano essere accostate alla realtà degli abiti e qui le venne in aiuto il ricordo di Marchel Duchamp e i suoi ready-made.
Schiapparelli scelse lo stesso sistema: le figure si aggregarono sui suoi modelli senza alcun senso preciso che non fosse quello della sua fantasia e quindi della sua immaginazione, creando favole che raccontava alle donne.
Nel ’38 nacque la prima collezione che seguì questo criterio, dedicata al circo. Per la prima volta una sfilata ebbe le caratteristiche di uno spettacolo, nella boutique di place Vendome gruppi di acrobati facevano i loro numeri entrando e uscendo da finestre e vetrine. La novità era nella decorazione che diventava una sorta di gioiello sul capo. I cappelli si adeguarono alla linea generale e furono piccoli feltri conici ispirati ai pagliacci, cappellini con la piuma, finte galline da accompagnare a bottoni a forma di uova.
La collezione dedicata allo commedia dell’arte fu l’ultima in cui si espresse il desiderio di Elsa di studiare il profondo significato dell’abito femminile. Tra la paura del comunismo e quella del nazismo fece ancora due sfilate: una collezione “revival”, che modificava la linea dell’abito attraverso il rigonfiamento artificiale della parte posteriore e un’ultima collezione-sfilata sul tema della musica, per alleggerire un’atmosfera ormai pesantissima. Cercò anche di allestire la boutique di Place Vendome, simboleggiando la pace attraverso un grande globo terrestre cosparso di colombe.
La guerra scoppiò e negli anni seguenti non ci fu più, né il tempo né la voglia di dedicarsi al linguaggio e alla ricerca. Dopo l’inizio della guerra mise in atto una collezione pratica, ricca di grandi tasche, utile per scappare in fretta e portare con sé tutto il necessario. Inoltre c’era l’abito che da corto diventava lungo, tirando semplicemente un nastro, quindi portabile anche di sera. Era una moda utile che non rinunciava alla femminilità. In quel periodo circolavano i nuovi ricchi , queste cambiò la qualità della clientela e ebbe influenza sulla moda. Spalle larghe, vite sottili, gonne e giacche corte, pettinature complicate, scarpe or- topediche che rendevano sgraziato ogni piedino femminile, tutto questo provava che una Parigi calpestata possedeva ancora un po’ di senso dell’umorismo e per difendere la sua personalità, aveva deciso di scegliere un fronte che sfiorava il ridicolo. Subito dopo l’invasione, Elsa partì verso gli Stati Uniti per raccogliere me- dicinali e fondi per i bambini della zona non occupata. Contro il parere di tutti tornò per portare a termine la sua missione e riprese a lavorare, ma presto dovette fuggire per evitare i nazisti. Riuscì a tornare di nuovo in America dove, per sensibilizzare l’opinione pubblica alla situazione francese, tenne conferenze, organizzò concerti e mostre collaborando anche con Marchel Duchamp.
Pensai sarebbe stato interessante proporre una mostra solo di opere moderne e d’avant garde. Per orga- nizzarla chiesi aiuto a Marchel Duchamp […]. Marcel è un personaggio molto speciale. Nei suoi quadri, in brevi frasi pronunciate qua e là, ha dato la più perfetta definizione di surrealismo, poi, quando pensava di aver detto tutto ciò che aveva da dire, lo ha abbandonato […]. Promise di collaborare ed emergendo dolo- rosamente dalla sua solitudine si mise in azione con risultati sbalorditivi. Le maestose stanze furono divise con pannelli che dovevano servire ad appendere i lavori e tra i pannelli vennero stese delle corde disposte in modo da formare un labirinto che conduceva i visitatori alle diverse opere secondo un ordine organizzato per creare un preciso contrasto […]. Era una collezione di dipinti straordinaria […]. La mostra, composta da circa 80 opere fece molto scalpore, perché da essa emergeva l’influenza che la vita americana aveva esercitato sugli artisti francesi trapiantati. (Shocking Life, Elsa Schiaparelli 1954)
Shocking life: Elsa Schiaparelli by Elsa.
Nasce a Roma il 10 settembre 1890 da una famiglia di intellettuali piemontesi e respira cultura già dai primi anni della sua vita. Ribelle ed emancipata, Elsa si sposa giovanissima e va a New York dove conosce artisti come Man Ray e Marcel Duchamp. A 25 anni, separata e con la figlia Gogo, ritorna a Parigi, decisa a rifarsi una nuova vita. Nella capitale francese conosce il celebre sarto Paul Poiret.
Anni 20: L’incontro fatale con Poiret e l’ingresso nell’alta società. “i maglioni trompe l’oeil”.
Le sue prime creazioni sono pullover con stampe trompe l’oeil in stile optical bianco e nero . Presto il pubblico si innamora di lei: grande successo hanno i suoi pullover lavorati a mano dalle donne armene. Le stampe sono rivo- luzionarie: “a raggi X” (con la sagoma di uno scheletro come si vede da una lastra) o con le immagini di tatuaggi. Elsa Schiaparelli crea inoltre accessori sportivi e costumi da bagno: nasce il marchio “Schiaparelli pour le sport” Anni ’30: dall’armonia dei tailleurs alla nuova silhouette femminile a “grattacielo”, a“scatola”, a“cono”, a“uccello”. Nasce una nuova idea di donna: difensiva di giorno, seducente la sera.
In quel periodo, Schiap lavora il tweed, arricchisce gli abiti da sera con bottoni stravaganti e realizza una mantella trasparente leggendaria. Il suo stile innovativo incanta Greta Garbo, Katharine Hepburn e le Duchessa di Windsor, sue affezionate clienti
1935: lascia l’atelier di rue de la Paix e si sposta in place Vendome: nuova formula del “pret a porter”. Crea abiti in rhodophane, tessuti a stampa di foglio di giornale; inaugura le sfilate all’estero (Mosca). 1936: il rapporto con il Surrealismo e il sodalizio con Dalì e Cocteau
Nascono i lunghi abiti in organza con aragoste stampate, cappelli a forma di calamaio e borse dalla foggia di un telefono. Ed è proprio grazie a Dalì che la Schiaparelli realizza il famoso tailleur nero con tasche ricamate a forma di cassetti.
Jacques Cocteau disegna per lei delicati profili da ricamare sugli abiti.
Arrivano poi i bijoux, bottoni gioiello e profumi, che faranno scandalo come la confezione dell’eau de toilette Shocking, ispirata alla silhouette di Mae West, nel 1938.
La guerra. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, prima di cercare riparo in America, a New York, Elsa realizza la collezione “Cash and Carry” con capi pieni di tasche per permettere alle donne in fuga dal conflitto di portare con sé tutto il necessario. All’estero cerca l’aiuto di artisti “alleati” per sensibilizzare l’opinione pubblica circa la situazione della Francia
1954: La Maison Schiaparelli chiude.
Tornata in Francia nel 1954 scrive l’autobiografia “Shocking Life” il cui titolo rimanda alla sua vita sopra le righe e al suo colore simbolo, il rosa shocking, appunto. Famosi i suoi “12 comandamenti delle donne”, una sorta di vademecum della femminilità.
1973: Elsa Schiaparelli muore nel sonno all’età di 83 anni.
Grande la sua eredità artistica:dall’incessante ricerca su nuovi materiali e lavorazioni, all’invenzione delle collezioni a tema, il fil rouge che unisce i capi di un marchio per una stagione. I nomi Neoclassica, Farfalle, Il Circo, Fondo del Mare, Pagana, Cosmica sono famosi nel mondo della moda e i modelli di Elsa si trovano nelle mostre e nei musei da Parigi a Philadelphia, mentre si attende ancora che l’Italia le tributi la fama che le compete. Il debito di riconoscenza sarà saldato, speriamo , da Diego della Valle che ha acquistato la sua maison di Parigi per farla rivivere.
Elsa Schiaparelli, Shocking Life, Autobiografia di un artista della moda, Alet, Padova 2008. Traduzione Rossana Stanga.
Enrica Morini, Storia della moda, XVIII-XX secolo, Skira, Milano 2006.
Gillo Dorfles – Angela Vettese, Arti visive, Il novecento, Percorsi tematici, Atlas, 2004
-Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve- Alain Bois, Benjamin H.D Buchloh, Arte dal 1900, Modernismo, Antimo- dernismo, Postmodernismo, Zanichelli, 2006
www. nannimagazine.it www.philamuseum.org www.aletedizioni.it/news/pdf/secolo_4.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/panorama_8.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/rolling_3.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/elle.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/gioia_4.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/alias_9.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/vogue.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/venerd 5.pdf www.aletedizioni.it/news/pdf/domus1.pdf
Fonte: http://www.istitutocardarelli.gov.it/files/tesine_10/5b/Maggiali_A4.pdf
Sito web da visitare: http://www.istitutocardarelli.gov.it
Autore del testo: Chiara Maggiali
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