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Analisi del testo: "X Agosto" di Giovanni Pascoli
Parafrasi
San Lorenzo, io so perché un numero così grande di stelle brilla e cade attraverso l’aria tranquilla, perché un pianto così grande risplende nella volta del cielo. Una rondine stava ritornando al suo nido: fu uccisa: cadde tra i rovi: aveva nel becco un insetto: la cena per i suoi figlioletti. Ora è là, come se fosse in croce, che tende quel verme verso quel cielo lontano; e i suoi piccoli sono nell’oscurità ad aspettarla, pigolando sempre più piano. Anche un uomo stava tornando a casa: fu ucciso: disse: “Vi perdono”; e nei suoi occhi sbarrati restò soffocato un grido: portava in regalo due bambole… Ora là, nella casa solitaria, lo aspettano, lo aspettano inutilmente: lui immobile, sbigottito mostra le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, infinito, eterno, dall’alto dei mondi sereni, inondi di un pianto di stelle questo corpuscolo senza luce caratterizzato solo dal male.
La lirica è composta da sei strofe, che sono quartine di decasillabi e novenari alternati, con schema metrico ABAB cioè in rima alternata ( con presenza consistente di sinalefe).
In X Agosto, ricchissima di simboli, Pascoli, come in molti altri componimenti di Myricae, rievoca la tragedia dell’uccisione di suo padre, avvenuta il 10 agosto 1867, trent’anni prima della stesura della poesia. Il 10 agosto è, però, anche il giorno di San Lorenzo, quello in cui, secondo la tradizione popolare, si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. Le stelle che cadono in quella notte, nell’immaginario pascoliano, rappresentano il pianto del cielo sulla malvagità degli uomini: quest’immagine rende l’idea di un cosmo profondamente umanizzato.
Nelle quartine centrali, prendendo le mosse dalla propria tragica vicenda personale, il poeta affronta i grandi temi del male e del dolore: gli elementi familiari e biografici vengono trasposti su un piano universale e cosmico (tema della lirica). Così, la rondine e il padre uccisi, posti in evidente parallelismo (ritornava una rondine al tetto, v. 5 – anche un uomo tornava al suo nido, v. 13; “l’uccisero: cadde tra spini”, v. 6 -“l’uccisero: disse: Perdono”, v. 14; “ella aveva nel becco un insetto”, v. 7 – “portava due bambole in dono”, v. 16; “tende / quel verme a quel cielo lontano”, vv. 9-10 – “addita / le bambole al cielo lontano”, v. 20), diventano il simbolo di tutti gli innocenti perseguitati ed alludono scopertamente alla figura di Cristo, la vittima per eccellenza, che perdona i suoi carnefici sulla croce, richiamata già nel titolo, con il numero romano X. La rondine che stava tornando al suo nido portando un verme per i suoi piccoli, è stata uccisa durante il tragitto e li ha lasciati soli ed affamati; allo stesso modo, il padre del poeta viene ucciso mentre sta tornando a casa, il “nido” chiuso e protetto, portando due bambole in dono alle figlie, che ora lo aspettano vanamente, proprio come i piccoli della rondine aspettano la madre, ormai affamati e morenti. L’unica differenza tra la rondine e il padre in punto di morte sta nella parola “perdono” pronunciata dall’uomo.
Riguardo i campi semantici, si individuano parole legate alla sofferenza, come “grido negli occhi”, “pianto di stelle”, “pianto nel concavo cielo”, e parole legate al concetto di nido, come luogo protetto dalla cattiveria esterna, come “ritornare al tetto”, “il nido attende”, “un uomo tornava al suo nido”. Il poeta, comunque, usa un lessico semplice e comprensibile e anche la sintassi è lineare, con brevi frasi paratattiche. Sono presenti degli enjambement, come ai vv. 1 – 2, 9 – 10, e molti segni di punteggiatura piuttosto che uso di congiunzioni.
Per quanto riguarda le figure di suono, molte sono le allitterazioni, come di l nei primi due versi e di r al quinto, e le ripetizioni di suoni, come “arde e cade”v. 3.
Numerose le figure sintattiche: Anafore: “ora è là, come in croce…/ ora là, nella casa…” (vv. 9 e 17); “che tende…/ che attende… / che pigola”(vv. 9-12); “l’uccisero: cadde tra spini… l’uccisero: disse: Perdono” (vv. 6 e 14); Epanalessi: “aspettano, aspettano invano” (v. 18); Anastrofi: “Ritornava una rondine al tetto” (v. 5); “di un pianto di stelle lo inondi” (v. 23); Iperbati: “Tanto di stelle…..arde” (vv. 1 – 3).
Molte di più sono le figure di significato: Metonimia: “nido… / che pigola” (vv. 13-14); Sineddoche: “al tetto” (v. 5); Sinestesia: restò negli aperti occhi un grido” (v. 15); Similitudine: “come in croce” (v. 9); Metafore: “sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla” (vv. 3-4); “nido” (v.13); “di un pianto di stelle” (v. 23); “atomo opaco del Male” (v. 24); Personificazione: “E tu, Cielo” (v. 21); “Male” (v. 24); Iperbole: “di un pianto di stelle lo inondi…” (v. 23); “atomo” (v. 24).
Commento
Nella raccolta Myricae (parola latina, che significa “piccoli arbusti”, citazione virgiliana), Pascoli canta i motivi del mondo della natura, caricandoli di significati simbolici. Infatti, la sua poetica, detta “del fanciullino” (dal titolo di un saggio di poetica, da lui pubblicato nel 1897), consiste nel sapere trovare la poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura che ci circonda, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino, che consentono di riscoprirne i lati segreti e la purezza originaria. Si tratta di componimenti generalmente brevi e lineari, che rappresentano quadretti di vita campestre che si caricano di significati misteriosi e spesso evocano l’idea della morte. È in quest’ottica che la celebrazione delle piccole cose e del “nido” si può leggere come un baluardo che il poeta erige contro le forze inquietanti e minacciose.
La struttura del componimento è circolare (Ringcomposition), poiché esso si apre e si chiude con l’immagine del cielo inondato di stelle cadenti, simboli del dolore (vocativo “San Lorenzo”, v. 1 – vocativo “E tu, Cielo”, v. 21; “aria tranquilla”, v. 2 – “mondi / sereni”, vv. 21-22; “sì gran pianto”, v. 3 – “pianto di stelle”, v. 23). Il Cielo, ossia Dio, è sentito come lontano, distante, indifferente, separato dal mondo, capace solo di guardarlo dall’alto e di “piangere” sulle miserie umane, ma non di lenirne in nessun modo le sofferenze. Il male, personificato, è incomprensibile per l’uomo, che si sente sempre in balia di un insondabile destino. La Terra, nell’economia dell’universo, al cospetto dell’immensità del Cielo, non è altro che un “atomo opaco”, un minuscolo ed insignificante corpuscolo che non brilla neppure di luce propria.
Di fronte alla malvagità del mondo, l’unico rifugio, dovrebbe essere il “nido”, unico luogo protetto in cui trovare pace, ma la casa è anch’essa “romita”, solitaria, lacerata dalle tragiche vicende del mondo, dunque insufficiente a proteggere l’uomo, a cui non resta che invocare invano il “pianto di stelle” del cielo che lo soccorra e partecipi del suo dolore.
Fonte: http://mtg20.altervista.org/wp-content/uploads/2015/02/Analisi-del-testo-X-Agosto-di-Pascoli.docx
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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