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Come quando perché
i bambini sono felici.
Diciamo che è bello mettere a tema il bambino felice perché facciamo esperienza che la Felicità del bambino è contagiosa; lo sanno i genitori, e specie i nonni: è un po' difficile mantenere un atteggiamento burbero o rattristato in presenza di un piccolo che esplode di Felicità.
Ma come il bambino manifesta la sua Felicità?
Possiamo dire che essa è in qualche modo programmata, cioè fa parte delle tappe del suo crescere ed è congrua alle nuove scoperte e abilità di cui egli diviene man mano partecipe. E non è un'osservazione da poco: il bambino è strutturato in modo da esser felice, cioè è in grado di riconoscere come gioia, contentezza e risorsa una tappa del suo apprendimento (Sommessamente: ma crediamo davvero noi adulti ed educatori che il crescere/apprendere lo faccia felice? Se cominciassimo a crederlo, ci salveremmo da molti fallimenti pedagogici!). Ebbene, rubiamo alla classica psicologia dell'età evolutiva alcuni primi piani di Felicità connessi a tappe di apprendimento.
Verso i nove mesi si affaccia nella sua piccola mente il "principio di permanenza", come lo chiama seriosamente Piaget e, cioè, il sospetto che la mamma, che è tutto il suo "ambiente vitale" e l'essere cui è appesa la sua gioia, esista da qualche parte, anche se non cade nel suo campo percettivo. Prima, il nostro piccolo totalmente dipendente dal suo campo visivo, è consegnato ad un terribile (e dimenticato) gioco dell'apparire-sparire, essere-non essere. Niente permane. Neanche la mamma.
Tutte le culture, infatti, hanno sviluppato giochi tipo "baucette": dove al nascondimento/scomparsa si alterna lo svelamento/ricomparsa, dove un volto nascosto da uno straccio emette un prolungato e misterioso «bau...», e qualche secondo dopo lo straccio vien tolto ed il volto sorridente esplode in un suono oltremodo gioioso «cette!». Sappiamo tutti che questo per il nostro piccolo è un gioco divertente che egli vorrebbe far durare all'infinito...
Ebbene, questo gioco è prossimo al primo piano di felicità, che vorremmo additare. Un giorno egli, magari solo nel lettino, pronuncia un richiamo tipo: «m…a…m» e in quel momento da un'altra stanza l'amatissima voce gli risponde: «Sono qui... vengo!...». Avessimo una cinepresa, potremmo fermare il ritratto della Felicità. Il nostro piccolo pare dire: «Oh, allora, ci sei, non sei sparita nel nulla... sono felice, felice, felice...». È così che gli si spalanca un apprendimento indispensabile alla vita: l'allargamento del campo percettivo, l'invisibile che diviene visibile, qualcosa che permane, è presente, anche se altrove. E gli procura sicurezza e felicità (sommessamente: forse questa è l'esperienza del mistico: sapere con tutte le sue fibre che l'invisibile c'è, lascia le sue tracce; e questa è gioia pura; e forse questo ci dice che l'esperienza del sacro è attingibile dal bambino con modalità che abbiamo a lungo dimenticato o represso, come diciamo nel nostro recente testo Dio fa bene ai bambini).
Ed ecco un secondo "primo piano": gustare la Felicità. Sappiamo bene che il periodo dello svezzamento è molto delicato, perché presenta il quadro di come il piccolo affronterà il nuovo (diciamo tra parentesi che l'ansia e la fretta distanziante della figura materna sono fattori negativamente preditivi sulla capacità del piccolo di adattarsi alla novità); ma se tutto è filato grosso modo liscio, il piccolo mostrerà piacere ad un sapore nuovo; egli cioè, mostrerà la percezione per così dire "naturale" che i cibi nuovi sono un allargamento, una ricchezza. Lasciatemelo dire: un bambino smorfioso che rifiuta il cibo prima ancora di assaggiarlo non è un "prodotto naturale": gli sono state passate molte e ansiose "informazioni culturali" per farlo diventare così diffidente! Anzi, un bambino che ha provato il piacere del gusto del nuovo è un bambino che va perfino trattenuto, perché si butterebbe ad assaggiare qualsiasi cosa, come ha fatto una bimba di un anno sulla spiaggia: si è messa in bocca un granchietto vivo, grazie alla disattenzione dei genitori; e le urla feroci che ne sono seguite dicevano non soltanto il dolore, ma anche lo sconcerto che una cosa infilata in bocca possa essere cattiva (e del resto il "tenere fuori dalla portata dei bambini" scritto su molti liquidi e medicine, la dice lunga sullo spontaneo desiderio del piccolo di sperimentare in proprio se certe cose danno o no felicità).
Ebbene, questo approccio sperimentale al nuovo come fonte di piacere si allarga sempre di più: man mano che il nuovo diventa un nuovo suono (quante esplorazioni su questi fronti, che a noi adulti sfuggono: non vi ricordate il suono delizioso del cucchiaio sul bicchiere o di una scarpa contro l'altra?) una nuova serie di immagini, di colori, una cantilena, una fiaba dove ancora non vale una trama, ma l'immagine stupefacente, poniamo, di un "drago al guinzaglio". Se ci pensiamo, possiamo ancora ripescare nel fondiglio del nostro cuore queste briciole di Felicità e lasciare che si sprigionino emozioni, lì pronte per essere evocate ed avvicinarci ai nostri bambini: «Mi fa solletico!» grida felice la bimbetta di tre annni: è una "gatta pelosa" (in Brianza: un bruco) che lei ha raccolto da una foglia e che le cammina delicatamente sul ditino. Oppure è "una criceta" buffissima che, da dentro la sua gabbia, fa girare vorticosamente la ruota e si può stare minuti e minuti lunghissimi a guardarla: «Vedi? È felice di stare qui!», dice il bimbetto che poi la libera per la casa, sicuro che – dopo l'esplorazione – andrà a rifugiarsi tra le sue mani. La Felicità non si dà senza esplorazione (sommessamente: ma come facciamo a spegnere la gioia del nuovo nei nostri bambini? Perché non siamo sicuri in partenza che, poniamo, entrare nella mappa di una piramide dell'Antico Egitto non sia un'esperienza di Felicità?).
Ed ecco il terzo "primo piano": la percezione della fierezza di sé, cioè di un'immagine di sé degna, valutante e valutata. Pensiamo al nostro piccolo nel secondo anno di vita davanti ad uno specchio: prima tocca la sua immagine nello specchio, la vuol afferrare e ne rimane deluso, poi - ad un tratto (gli eventi che conducono alla Felicità sono in qualche modo subitanei, anche se a lungo preparati) tocca se stesso: «Ah… sono io quello lì!». E di nuovo l'esplosione della Felicità. La quale - lui ce lo insegna - ha bisogno di iterazioni che non stancano; dopo la prima scoperta dello specchio il bambino si specchierebbe in tutti gli specchi del mondo! Oppure pensiamo al momento in cui lui sta in piedi su due gambe: «Guarda mamma!. Sono un umano, non un quadrupede! Sono uno piantato su due piedi, ecco, lo vedi? Posso fare qualcosa da solo, posso perfino allontanarmi di un passo da te... per precipitarti poi in braccio». Oh Felicità! (e non ci avvicina questo ai macarismi del Discorso della Montagna?!). Felicità della tua felicità, come quando ti porto il vasino con dentro qualcosa; non so bene perché, ma so che ti fa felice. La fierezza di me passa attraverso l'esperienza che so renderti felice (sommessamente: perché l'abbiamo dimenticato questo primario apprendimento e cioè che felicità è fare felice chi amiamo?).
E passiamo ad un quarto "primo piano": arriva poi il tempo del "come se" e il bambino si produce in giochi spericolati di storpiamento, di finzione creativa che fa aggio sui dati di realtà. È una felicità nuova perché io devo pur credere di essere io per tramutarmi in qualcosa d'altro e trarne Felicità. «Facciamo che eravamo» è una gioiosa distribuzione di parti: Tu papà eri il cavallo, e io il Cavaliere; tu, zio eri il cameriere ed io il Capitano (sic); tu mamma eri la scolara e io il Maestro... Fino ad arrivare a «Tu il nonno e io il nipote», come in una entusiasmante storia di una bella collana di fascicoletti per bambini della San Paolo: "Le parole per dirlo", in cui un nipotino non è più riconosciuto dal nonno precipitato in Alzheimer e allora inventa un nuovo gioco del "come se", per non arrendersi alla malattia del nonno, quando lo va a trovare nella residenza per anziani. «Facciamo che tu eri il nonno e io il tuo nipotino?», inventa il piccolo di sette anni e così possono tornare ambedue ad essere felici. Allargare i confini della realtà è giusto un modo per essere felici, se ciò accade in una relazione affettiva accogliente e sana.
Siamo pronti, ora, per una sottolineatura su un carattere specifico della Felicità del bambino: il bambino è felice intero, non tiene da qualche parte delle riserve; mentre è felice, è felice tutto, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi; come a dire, va dentro la felicità a capofitto, esplode, anche motoriamente, impegna totalmente se stesso. Forse per questo siamo così stupefatti davanti ad un bambino felice: abbiamo perso da un pezzo questa capacità di connettere nell'unica gioia le emozioni, la circolazione sanguigna, l'intelletto, la voglia di saltare e di abbracciare. Di più, in quell'attimo di felicità egli sta con tutta la sua piccola storia, un passato che sa già guardare, dal balcone della Felicità, come tutto investito della stessa sua gioia. Che, perciò, conosce l'eccedenza, come tra breve mostrerà mio marito.
Magari pochi minuti dopo egli è disposto a metter la stessa intensità in un pianto catastrofico, ma ora che è felice, è… felice. Una bimba di sei anni in un biglietto natalizio: «Grazie mamma, grazie papà che avete scelto proprio me per farmi nascere!». È un pensiero che dà le vertigini e che non può non aver messo i piedi in un senso di sé pieno, felice; proviamo a svolgerlo: quegli strani dei che sono i genitori avevano un'ampia scelta sui bambini da far nascere e io sono felice che hanno scelto proprio me perché sono io, per questo li ringrazio. È vero: fierezza di sé e gratitudine, ci insegna la felicità di questa piccola, stanno l'una accanto all'altra, si celebrano reciprocamente: la fierezza di sé non ha nulla a che fare con l'autosufficienza! Ebbene, proviamo a dire anche noi lentamente questo strano versetto di un salmo, indirizzato al Signore della vita: «Grazie che hai scelto me per farmi nascere!». È un me, questo, che a poco a poco scioglie le paure e le facili autodenigrazioni e così socchiude la porta alla Felicità, quella Felicità che possiedono i bambini, quando non li abbiamo ancora contagiati con i nostri vittimismi: la Felicità di essere pensati e perfino scelti e anche amati. Punto fermo da cui prende inizio ogni forma di Felicità.
Mentre stavo preparando questo mio intervento, ho intervistato una bimbetta di quasi otto anni, presente nel mio studio; le ho chiesto se mi aiutava a scoprire la felicità dei bambini e lei è stata tutta felice di aiutarmi. Ecco l'elenco, assolutamente veritiero, uscito dal mio registratore, esattamente nella successione che Anna mi ha regalato. È una successione molto istruttiva, che ci introduce alla seconda parte del nostro lavoro.
Sono felice quando…
▬ quando mamma e papà non litigano
▬ quando vado a giocare con le mie amiche
▬ quando ricevo un regalo
▬ quando si fa il cenone di Natale
▬ quando la mamma mi coccola, mi dice le belle parole e mi dà le carezze
▬ quando sono soddisfatta di aver fatto un disegno bello
▬ quando i nonni mi danno la caramella alla sera
▬ quando vado in chiesa e Gesù è lì con me
▬ quando penso come ha fatto Dio a fare la terra
▬ quando do i miei soldini alla signora che sta davanti alla porta della chiesa
▬ quando porto due merende a scuola, così ne do una a chi non l'ha.
E qui siamo ad una svolta, che si impone per non rischiare di leggere la Felicità del bambino come una serie di bamboleggiamenti che poi perderà con il crescere. È necessario cioè avventurarci in una sorta di antropologia della Felicità: e così troviamo che essa non solo non abita nel paese dei balocchi, ma ha un proprio movimento, la cui oscillazione non è neutra, indifferente.
La Felicità infatti ha un movimento centripeto, ed un movimento centrifugo. Il primo movimento dice che la Felicità è centrata su di me, sono io al centro, sono io il destinatario/consumatore cui la Felicità porta in dono se stessa. Purtroppo sembra che molti di noi conoscano soltanto questo movimento e perfino lo attribuiscano ai bambini: «Contento io, contenti tutti!».
Ma, se costringiamo la felicità nel solo movimento centripeto, essa assume un volto privato e cosificato e ne contagiamo i nostri figli che ci appaiono tanto più felici quanto più possiedono e magari quando giusto possiedono quello che noi avevamo desiderato e non abbiamo avuto: «Ti pago la bici da cross, così sarai felice; io la desideravo tanto e mi è arrivata una bici normale che mi faceva schifo» e non vedeva - questo padre - che quel mingherlino e coccolato del suo bambino avrebbe voluto tutto fuorché una bici da cross. Non solo, vi sono stanze di bambini - in barba ad ogni pudore - che sembrano esposizioni di giocattoli e/o di aggeggi elettronici, tutte "cose per essere felici", diciamo ai nostri bambini e ci aspettiamo che lo siano. E se non lo sono, siamo stralunati: «Ma come, hai tutto e non sei contento?».
Fortunatamente, i bambini non sempre ci credono, come Giorgio di cinque anni che dopo un pomeriggio passato con il nonno arrivò a casa con un sacchetto di elasticini "veri" del valore di un euro. «Guarda che grande regalo mi ha fatto il nonno!» diceva felice il bambino ad un padre che stava per sbottare: «E io allora? Altro che regali da un euro ti ho fatto!», ma il piccolo fece in tempo a precisare: «Ci ho giocato con lui tutto il pomeriggio… questo è un gioco vero!». Incredibile Felicità: scoprire che gli oggetti sono solo un mezzo per stabilire legami. Per questo sono veri.
Noi invece tendiamo a ridurre la felicità al solo movimento centripeto: ciò che è per me esclude gli altri dalla fruizione, anzi: più ciò che ho è bello, ricercato, status simbol, più mi deve fare felice. Se una cosa ce l'hanno tutti, pare non valga più. Crediamo che la Felicità si prostituisca in una interminabile vincita al lotto: se io sono baciato dalla fortuna, gli altri ipso facto ne sono esclusi e perciò io ho il dovere di essere felice. Si favoleggia sulla Felicità dell'esclusiva come se essa dovesse mettere i piedi sulla non vincita/infelicità degli altri. Ma questo è un movimento alla lunga distruttivo. Perché? Perché arraffare per sé solo non ha mai fatto felice nessuno, al contrario ci imprigiona in una roulette che ci rende insicuri: oggi a me, domani a te. Di cosa? Di infelicità!
Ciò che meraviglia è che molti genitori (ed educatori) abbiano soltanto queste aspettative nei confronti dei figli: che siano felici se riempiti di cose. Spesso, troppo spesso, i figli entrano nella circolarità della relazione con i genitori e li accontentano con i loro voglio: «Se mi dai questo e quello sarò felice, se no sarai responsabile della mia infelicità!». Di solito gli scolari superano i maestri, i quali poi si lamentano di avere dei figli incontentabili; ma essi sono invece terribilmente coerenti con le premesse degli adulti di riferimento: se mi hai detto che questo o quello mi fa felice ed io non lo sono ancora, devi semplicemente darmi di più, allungare la lista di diò che dai!
Qualcuno, però, si sveglia dall'incantesimo: «Caro Gesù bambino, quest'anno non portarmi tutti i regali dell'anno scorso. Io voglio solo un regalo: che papà e mamma non si separino!»; Irma otto anni. Il biglietto è doloroso, ma ci informa sulla qualità della felicità di un figlio/a. Irma dice: i regali con cui tentate di riempirmi la vita non servono a farmi felice; per essere felice ho bisogno che voi continuate a volermi bene .
La piccola Irma ha scoperto il secondo movimento della Felicità, quello centrifugo e cioè il movimento che raggiunge l'altro e perciò stesso diventa una fonte che non si dissecca.
Diciamolo in modo tecnico: la Felicità del bambino si identifica con i comportamenti pro-sociali; sono questi a fornirgli briciole di felicità da distribuire a piene mani e sempre di nuovo. Nel nostro diktat individualista (non essere fesso, arraffa per te ciò che puoi, non rinunciare mai a niente) ci siamo da un pezzo dimenticati che un comportamento gratuito a favore dell'altro è una piccola fonte di felicità.
Affacciamoci su questo mistero (reso tale solo dalla nostra arroganza di sapere ciò che fa felice un bambino, in maniera individualistica): Matilde, otto anni, venne a sapere che per il compleanno del tredicenne fratellone Tommaso i genitori avevano deciso di comprargli (finalmente, pensava lei!) un telefonino, che lui desiderava tanto. Matilde non solo seppe tenere il segreto per ben una settimana, ma investì i suoi piccoli risparmi per comprargli una magnifica custodia da cellulare. Tutte le mattine diceva alla mamma: «Come sarà felice Tommaso!» E rideva; «Chissà che faccia farà, è una sorpresa» e si metteva a guardarlo quasi esplorando come sarebbe stato felice. Una settimana di risvegli mattutini pieni di Felicità anticipata: «Sarà felice, vero mamma?». La sola rappresentazione della Felicità del fratellone causava in Matilde un vero e proprio sussulto di contentezza. Matilde sperimentava il movimento centrifugo della felicità, là dove la propria gioia è una sorta di riverbero della felicità dell'altro.
Ma non è una famiglia di marziani quella di Matilde, come sembrerebbe a prima vista, nel cuore della nostra cultura; si tratta della convinzione che si respirava nell'aria in quella famiglia: non si è mai felici da soli, anzi.
In controluce un episodio di un bambino, Filippo, che riceve in dono una pila di giornalini usati: li legge e poi li distrugge per la sola ragione che la sorellina vuole vederli anche lei; come se la contentezza dei giornalini letti svanisse se anche una "rivale" vi avesse accesso. Ma Filippo non è un mostro è semplicemente un bambino in cui sono stati attivati prevalentemente i meccanismi della rivalità e del controllo (meccanismi presenti in tutti gli umani, naturalmente). In un contesto in cui ciò che io ho («Facciamogliela vedere a quelli di sopra» diceva il papà che non riusciva a mandar giù che il fratello si fosse appropriato di una stanza in più, suo malgrado) vale quanto più un altro non ce l'ha, come si diceva, il comportamento di Filippo può essere bollato a parole («Sei un egoista!») ma non adeguatamente disincentivato.
I comportamenti prosociali, dei nostri bambini, sono presenti, se li lasciamo a fiorire. Esperimenti hanno mostrato che davanti ad un attore che mimava dolore e angoscia, perfino un piccolo uomo di 13 mesi offriva il proprio biberon, quasi d'istinto.
Ma i veri comportamenti prosociali provengono dall'instaurarsi nel bambino di una teoria della mente, pare già a partire dai cinque anni, quando il bambino sospetta che l'altro abbia, appunto, una sua mente e cioè pensieri, sentimenti, punti di vista diversi dai propri.
Anche qui è notissimo un esperimento in cui uno sperimentatore mostra ad un gruppo di bambini di 4/5 anni che un compagno mette il suo prezioso peluche in una grande cesta; poi il compagno esce. Lo sperimentatore nasconde il peluche in un cassetto e poi chiede: «quando il vostro compagno rientrerà, dove andrà a cercare il suo peluche?». Quasi tutti bambini di quattro anni non hanno dubbi: lo andrà a cercare nel cassetto, perché è lì che loro hanno visto che è stato nascosto; intorno ai cinque anni, invece, molti bambini sanno che il compagno lo andrà a cercare dove lui lo aveva lasciato, perché il suo punto di vista è diverso dal loro!
Ora, questa cognizione di una "teoria della mente" fornisce al bambino, diciamo così, la linea di partenza per nuovi comportamenti prosociali che lo rendono da una parte inattaccabile, dall'altra altruista a ragion veduta, se lo vuole. Come fece quella bimbetta di sei anni che al fratellino che frignava perché voleva due biscotti invece che uno, gli prese delicatamente il biscotto dalle manine, lo spezzò in due davanti al suo naso e glielo restituì dicendo trionfante: «Ecco due biscotti», con grande Felicità del fratellino… e sua.
Va da sé che i comportamenti intelligenti (e cioè pro-sociali come dice Daniel Goleman ) vanno attivati e celebrati. «Mia nonna scomparve quando avevo otto anni, era stata la mia nonna prediletta: era stata rinchiusa - così dicevano i grandi - ed io non potevo andare a vederla, men che meno potevo imboccarla, come faceva mamma tutti i giorni. "Non devi vederla conciata così - mi diceva mamma - è meglio che te la ricordi quand'era ancora sana ed efficiente!", e non sa di quanta felicità mi ha derubata!». E spesso perdiamo le occasioni per lasciar praticare i nostri bambini da... felici samaritani, che possono sperimentare in proprio quel che si può chiamare "felicità di ritorno" che i bambini conoscono bene: una nonna aiutata a camminare («Appoggiati, nonna, sono forte, sai?») non è semplicemente una "buona" azione, ma un'azione che ha a che fare con la fierezza, la gioia di sentirsi per...
E allora? Imponiamo ai nostri bambini azioni prosociali, così che possano vedere fin da piccoli come si sta bene a fare il bene?!
No di certo, anzi dobbiamo guardarci dal chiedere pesantemente ai nostri bambini comportamenti pro-sociali che provengono piuttosto dalla nostra fantasia che dal loro cuore: un bambino si affaccia ad un comportamento altruistico soltanto se ha già fatto esperienza di sicurezza, di essere difeso e protetto... Egli non è una sorta di masochista che mette davanti gli altri a se stesso; egli - per usare una metafora - può dare il suo pane quando è sicuro che ce ne rimane per lui. Se si sente amato, può concedersi la felicità di un gesto amorevole perfino per il gatto di casa... ma deve aver fatto da qualche parte l'esperienza della eccedenza. Cioè di un criterio sovrabbondante, di una sicurezza tranquilla. Lo sanno bene quelle educatrici preziose che sono le maestre della scuola materna, dalle Sorelle Agazzi in poi: affidare un bambino ad un altro bambino è una gioia, loro sanno di quali gesti di cura essi sono capaci. Ma a un patto, di essere stati loro per primi oggetto di cura. «Ricordi quando appena arrivata ti ho fatto passare la paura e ho giocato con te?». «Sì, maestra!». «Vedi? C'è quel bambino nuovo in un angolo…» e la maestra non ha fatto in tempo a finire la frase, che la bambina è già volata in soccorso del nuovo, inventando gesti felici, come sanno fare i bambini. A patto che abbiano sperimentato l'eccedenza della sicurezza!
Ho qui un prezioso documento che mi sono fatto rilasciare da due giovani genitori, con l'autorizzazione a mostrarlo; confesso che nemmeno io avrei ritenuto possibile - se non l'avessi avuto tra le mani - una simile altruistica posizione da parte di un bimbetto - Luca, di poco più di sette anni – a tre mesi dall'inizio della seconda elementare. Documento di una teoria della mente assodata, di un sorriso sulla vita e sulle paturnie di mamma, di un comportamento prosociale astuto e divertito; ascoltiamo questo messaggio donato quasi di nascosto alla mamma, zeppo di errori ortografici, ma ricco di sorrisi. C'è perfino un titolo: la vita...
«Cara mamma non sempre le cose vanno
come vuoi, è la parte della vita.
Non arrabbiarti se sbagli. Perché?
Tutti sbagliano e pure tu!
E noi ti vogliamo sempre bene. Perché tu sei il nostro gioiello.
Da papà e Luca».
Non possiamo pensare che questo messaggio provenga soltanto da una... saggezza filosofica (sarebbe mostruosa!); viene piuttosto da una felice ironia del tutto immediata. Ci sembra, questo Luca, un bambino divertito, che raggiunge la mamma dal suo punto di vista; la sente arrabbiata di se stessa e lui... le spiega che così è la vita. Piccola perla: c'è alla fine una sorta di firma: da papà e Luca. Ma il papà che insieme alla mamma ci consegna il biglietto dice che lui non ne sapeva nulla, eppure questo piccolo uomo per dire alla mamma «sei il nostro gioiello» si associa al papà, è come sicuro che ciò che è vero per lui è vero anche per papà. Di più, è sicuro che papà è un valore aggiunto alla sua dichiarazione d'amore verso la mamma. Luca è un piccolo esperto in felicità, possiamo ben dire che è felice di far felice la mamma, perfino quando sbaglia; in più associa in questo movimento il papà e a sua volta la felicità ricade su di lui. Ha scoperto che il vero movimento della felicità è circolare. E noi gliene siamo grati.
Nel primo film come regista: "Anche libero va bene" nel 2006, Kim Rossi Stuart ha detto, con voce di bambino protagonista, questa straziante verità, senza nessun esplicito richiamo religioso o morale. Un film da vedere e da far vedere.
Goleman D., Intelligenza sociale, Trad. it. Rizzoli, Milano 2007.
Fonte: http://www.diocesi.parma.it/new/images/Ufficioscuola/CONVEGNO%202008%20-%20E%20VISSERO%20TUTTI%20FELICI%20E%20CONTENTI/1)%20RELAZIONE%20GILLINI-ZATTONI%20Come%20quando%20perch%E9%20i%20bambini%20sono%20felici.doc
Sito web da visitare: http://www.diocesi.parma.it
Autore del testo: relazione di Mariateresa Zattoni e di Gilberto Gillini
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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