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TUTTA UNA VITA DI PAURE …………E LA GIOIA? -
Quante volte pronunciamo queste espressioni, questi modi di dire: “ Ho paura di non arrivare in tempo, ho paura che stia per piovere, ho paura di non essere all’altezza, ho paura di averlo perso, ho paura che se ne offenda, ho paura di non aver capito. Insomma se riflettiamo a quante volte usiamo queste frasi nel nostro linguaggio abituale, scopriamo che siamo quasi sempre alla mercè delle nostre paure, ovvero la paura sembra una fedele ma inquietante compagna della nostra vita; ansia, precarietà, insicurezza, insoddisfazione, senso di inferiorità………………sono queste le componenti che determinano il nostro modo di vivere quotidiano? Spesso queste nostre espressioni sembrano passare inosservate, soprattutto a noi che le pronunciamo; ma se ci facciamo caso, sono molto subdole, insinuanti, in qualche modo ci smascherano, o forse, ci danno l’opportunità di conoscere meglio la realtà di noi stessi. E’ quello che ci sfugge, ciò a cui dobbiamo dare invece attenzione.
Ho deciso di parlare delle nostre paure perché se non le riconosciamo, se non ci rendiamo conto di quanto sono presenti nella nostra quotidianità, e di come la condizionano, non possiamo aspirare a un benessere interiore, ma neppure assaporare il gusto della vita, dove il gioire è sintesi di pace e libertà.
Parlerò in generale della paura, delle paure che ci portiamo dietro da tutta una vita; non mi soffermerò sugli aspetti patologici ,invalidanti delle paure, le fobie, delle vere e proprie ossessioni, che diventano spesso prigioni per la nostra mente, la nostra anima, gabbie della nostra personalità.
Poiché l’argomento è molto vasto, e come diceva Voltaire, “l’unico modo di annoiare è quello di voler dire tutto”, a parte il fatto che non è questa la sede per un trattato enciclopedico sulle paure, prenderò come parametro, le normali tappe dello sviluppo della vita umana, quasi la fisiologia della paura, le esperienze comuni a molti di noi; tanto per capirci: “la paura della prima volta”, la “paura della scuola” (per alcuni incubi), “la paura degli esami”……………e vedere come e se, le abbiamo superate, se ci soni state utili per la nostra maturazione, per conoscere quali talenti, quali risorse abbiamo usato, o se ancora dobbiamo scoprirlo.
Diciamocelo, in realtà siamo molto meglio di come spesso ci dipingiamo, abbiamo superato le feste di compleanno con i parenti, lo scorrere del registro della maestra prima dell’interrogazione a sorpresa, le prime feste alle quali non siamo stati invitati, i brufoli, la suocera, qualcuno anche i corsi del CTA, in fondo siamo degli eroi altro che fifoni!!
Mai prendere troppo sul serio le nostre paure, però, neppure ignorarle, tra incoscienza e prudenza una sana paura cautelativa ci fa “accendere” il cervello, e dare un’occhiata a 360° alle nostre opzioni esistenziali; questo teniamolo sempre presente.
DALLA NASCITA ALLA MORTE- PAURA DI VIVERE E PAURA DI MORIRE
Un trauma, in campo psicologico, significa, un’emozione improvvisa e violenta, capace di provocare un’alterazione permanente nell’attività psichica. (Dal diz. Giacomo Devoto Oli) Il trauma della nascita sappiamo essere il primo evento sconvolgente della vita psichica dell’individuo. Già durante la permanenza intrauterina possono esserci stati momenti di violente ed intense emozioni che passano direttamente dalla madre al feto. Comunque sia, l’improvvisa caduta in una dimensione fisica, ambientale, fisiologica, completamente diversa da quella sperimentata per il lungo periodo nel grembo materno, sicuramente rappresenta un’esperienza di forte disagio, solitudine, confusione, e totale impotenza.
Dipenderà da come, da chi, saprà prendersi cura del neonato, tutto il suo futuro sviluppo di individuo. Non a caso la psicoanalisi tramite gli studi di Erikson, chiama questa prima fase di vita, la fase di acquisizione della fiducia di base. L’humus dal quale la piccola piantina/uomo prende alimento, richiede un clima affettivo rassicurante, un giusto nutrimento affettivo, oltre a quello materiale, e dalla consapevolezza di far crescere un’anima dentro un corpo, di essere educatori oltre che genitori.
Molte paure si collocano proprio in questi primi stadi di crescita. Precoci esperienze di carenze affettive, perdite, separazioni traumatiche, tradimenti, promesse non mantenute, abbandoni, violenze. Ho sempre paragonato questi primi momenti di vita, della prima infanzia, a territori di innocenza, di meraviglia, di promesse. Calpestare questi albori dell’anima, distruggere questi territori sacri, compromette non solo il futuro dell’individuo ma di tutta l’umanità.
Più tardi molte persone soffrono senza più ricordare, senza sapere; queste prime esperienze, chiamate preverbali, sono tra le più devastanti e occorre un lungo lavoro simbolico per far riaffiorare queste antiche ferite; questo uno dei delicati compiti della relazione terapeutica.
Quanti ricordano con angoscia le prime visite pediatriche? Le prime vaccinazioni? Credo in pochi. Eppure dentro di noi, la paura dell’estraneo (Spitz la colloca agli 8 mesi), la sensazione di dolore, l’impotenza, il non sapere, sono stati registrati e se non sono stati sufficientemente metabolizzati, ma anzi, rafforzati da successive esperienze similari, rischiano di condizionarci per molto tempo.
Qualcuno ricorda il primo giorno di scuola, lo sguardo degli altri bambini? Le maestre? I giochi ai giardini, la palla dietro al cespuglio che non si trova più? Quante possibili paure nei cuoricini dei bambini. Quando sono piccoli, tremano, come foglie al vento; più grandi sono imbronciati. I bambini cattivi sono spesso bambini che hanno paura.
Recuperiamo per un momento le nostre paure infantili. La paura di perdere i genitori, di essere abbandonati, la paura del dentista, la paura dei compiti non fatti, la paura di non piacere a tutti. Subire un’ingiustizia, sentirsi incapaci di fronte a una prova; scorgere con un lungo cannocchiale invisibile il percorso inarrivabile dell’età adulta, il timore di sentirsi in un corpo che non ci piace.
Quanto siamo stati compresi in queste fragilità? Quanto siamo stati ascoltati, rassicurati; chi ci ha insegnato ad amare il solo fatto di essere al mondo, ed ad apprezzare ciò che eravamo; quanto invece, siamo stati presi in giro, derisi,superficialmente ignorati in quanto “piccoli”, oppure a volte, repressi, messi in guardia dalla vita, la paura degli altri,non in quanto estranei ma diversi, tante lezioni di sfiducia; e le paure crescevano in noi, in questa giungla esistenziale, che aveva sì tanti bellissimi fiori, ma anche tante trappole, e insidie improvvise. Anziché insegnarci a riconoscere ed evitare le trappole, ad orientarci nella vita relazionale, ad alcuni hanno dato bussole rotte, strumenti inadeguati, false mappe, riferimenti sbagliati.
Paure reali, paure immaginarie, ogni paura merita rispetto e dignità. Le paure ci parlano delle nostre parti più delicate, che per motivi diversi, situazioni diverse, non sono state accolte da coloro che avrebbero potuto o dovuto. Dopo averlo scoperto, è giusto onorare il nostro dolore, ma la rabbia del passato deve lasciare posto al profondo respiro del perdono, e finalmente decidere di mettere noi, i pezzi mancanti nel mosaico della nostra vita: coraggio, umiltà, comprensione, fiducia.
Un’ altra tappa evolutiva che segna l’ingresso nella vita adulta, è quella dell’adolescenza. Spesso da questa epoca ci portiamo dietro un gran numero di paure. Se nelle fasi precedenti, qualche paura la potevamo condividere con gli adulti, con i genitori,:”Mamma, ho paura dei buio,oppure, ho fatto un brutto sogno, ho paura di essere sgridata” e talvolta trovare conforto, non lo si poteva fare però con i coetanei. Spesso i bambini sono crudeli, spietati verso coloro che si mostrano deboli, sensibili, timidi. Durante l’adolescenza invece, si ritira la fiducia dal mondo adulto e la si riversa sui coetanei, tipo “mal comune mezzo gaudio”. I mutamenti corporei, il non riconoscersi nei modelli imposti dalla moda, dai mass media, la paura del futuro, la scelta degli studi, l’incertezza di un posto di lavoro, e per quanto riguarda, la propria intimità, la paura della sessualità, temere di non essere amabili, desiderabili, l’incertezza dell’ aspetto fisico, del proprio potere personale. Sul piano sociale, lo scontro con i poteri della vita adulta, in primis, finanziari, economici, politici; la consapevolezza di essere oggetti di ricerche di marketing, soggetti di bisogni indotti; i genitori che lavano le proprie colpe educative tramite generosi oggetti/simbolo, per poi rinfacciare ai figli i sacrifici fatti per tale generosità.
Cosa temevate durante la vostra adolescenza? C’è qualcuno che ha avuto un’adolescenza felice? Credo che si debba essere educati alla felicità. Ognuno di noi nasce con un bagaglio che,o ci porterà a scoprire la bellezza della vita, o a vederne solo gli aspetti deprimenti, ma ciascuno può decidere, anche partendo da basi svantaggiate , di ricercare dentro di sé i mezzi per liberarsi dai vincoli delle paure, che agiscono come lenti deformanti, ci separano dalla gioia di vivere.
Cosa ci portiamo dietro dalla nostra adolescenza? Quali timori, quali incertezze? Cosa ci ha salvato? Un incontro, una persona, un ideale? Se ancora non siamo in salvo, credo che in fondo abbiamo il desiderio di salvarci. Salvarci, come senso unico e personale del nostro vivere. Testimoniare la nostra vita, decidendo di dare il meglio di noi in ogni momento, in ogni situazione. Questo si può fare, sempre, si può iniziare in ogni istante; è un nostro diritto vitale quello di essere felici. Non quella stupida momentanea folata euforica, mista di onnipotenza e distacco dal mondo, ma quel gioire vibrante che scalda il cuore e ci fa sorridere.
La gioventù è il momento delle intenzioni per la vita, di prendere impegni verso se stessi, verso gli altri, la società; si progetta, si inizia a realizzare, si dà concretezza all’ideale. Nella mente spesso si annidano le insidie, le paure, la paure della sconfitta, del fallimento, della solitudine. Quanti suicidi, morte annunciate, deroghe esistenziali. Molti giovani giocano a nascondino con la vita; se la prendono troppo sul serio ne restano schiacciati, se la evitano, si mascherano, da bulli, da sbruffoni, si aggregano in clan, bande, la vita prima o poi pretenderà il prezzo dovuto, come? Spesso le conseguenze sono tragiche. Gli errori di gioventù, sono maestri, se riconosciuti e compresi, altrimenti sono macigni che fanno sprofondare sempre più in basso nel mare magnum dell’esistenza.
Quale è il terreno privilegiato delle nostre paure ? La mente, tramite i pensieri, le idee, l’immaginazione, le illusioni. Chi è il Signore delle nostre paure? L’ego. Ovvero quella falsa immagine di noi che ci siamo costruiti per sopravvivere alle conflittuali istanze della personalità. L’ego ci depotenzia, ci allontana dal nostro vero io o sé personale, ci limita nelle altezze del nostro Essere e ci imprigiona nell’angustia dei complessi, che nutre e appaga proprio tramite le paure!!
L’ego ci separa dalla nostra anima, dalla possibilità di accedere a piene mani all’amore autentico verso noi stessi e gli altri, ci nutre di egoismo.
L’infanzia, la fanciullezza, la gioventù, se non si indirizzano verso il fisiologico processo d’identità, lasciano spazio, non all’io, al senso di pienezza di sé, alla compiutezza come strumento per il divenire, ma permettono all’ego di sopraffare la propria autenticità, diventando le brutte copie di quanto potevamo essere. Quante forme di vita mancate; Biswanger in un libro di 30 anni fa(1), tracciava le maschere tragiche di quanti, allontanati da sé, avevano tradito le promesse esistenziali, pagandone il prezzo tramite, la follia, l’oblio.
Non sempre è possibile riconoscere le nostre paure esistenziali, derivanti dall’infanzia, dalla gioventù. Forse è per questo che molte persone iniziano un percorso di autoanalisi o di crescita, dopo i trenta anni. A questa età termina la maturazione delle strutture cerebrali, e iniziano a sorgere riflessioni sul senso di sé.
Arrivano certi segnali, prime sconfitte, prove da superare, dolori inattesi, opportunità e non solo avversità. Si dice “non tutto il male viene per nuocere”. Certe paure nascono da dubbi nascosti, da verità taciute, dall’aver preteso troppo, da non aver rispetto i nostri tempi, i nostri autentici bisogni.
La paura della solitudine, ci ha fatto fare scelte sbagliate in campo sentimentale? La paura di non valere ci ha influenzato nella ricerca della professione? Ci siamo forse rifugiati in una causa ideale perché altrimenti la nostra vita non avrebbe avuto senso?
Assagioli parla di 5 forme principali di paura che stanno alla base di 5 istinti fondamentali:
1)L’istinto di conservazione che ha per radice la paura della morte.2) L’istinto sessuale, alla cui base vi un senso di incompletezza e la paura della solitudine. 3)L’istinto gregario, suscitato dalla paura che l’individuo prova nel sentirsi isolato, e che lo induce a cercare appoggio, e sicurezza nell’associazione con altri. 4) La tendenza all’autoaffermazione. Questa sembrerebbe il polo opposto della paura. (nota sempre Assagioli). Ma un’analisi approfondita mostra che una almeno delle sue radici, è la paura di non essere apprezzati, stimati quanto meritiamo (o crediamo di meritare!)
E quindi di non avere sugli altri il potere a cui aspiriamo. 5) La quinta paura deriva dalla tendenza insita nell’animo umano di indagare, di conoscere, e da questa, la paura dell’ignoto, del mistero.
Molte di queste paure hanno spinto e spronato l’umanità verso ogni tipo di conquista, di progresso, quindi dobbiamo rivalutare gli aspetti costruttivi delle nostre paure, e non vederne solo gli aspetti negativi.
Infatti, grazie alla paura della sofferenza, psichica, morale, mentale, spesso ci inoltriamo nella ricerca del significato della vita.
La maturità, l’età della maturità, la via verso la conclusione del nostro ciclo vitale, ovvero la vecchiaia, segna uno dei periodi più fecondi per la raccolta delle “messi” esistenziali. Qui si inizia a raccogliere quanto abbiamo seminato, o a piangere sul magro raccolto. In fondo la paura della morte nasce dal non aver condiviso la Vita con il mondo dei sentimenti, degli incontri, di non aver mai osato, rischiato. Sono state le paure a non far fluire la nostra esistenza; per preservarci dal timore di vivere, la vita ci è passata accanto, e noi non ci siamo stati, o ci siano stati male, sbiaditi, incolori, falsamente: questa la disperazione del morire, il non aver vissuto.
A ciascuno di noi, a qualsiasi età, è data l’opportunità, anche in un ultimo anelito di vita, di esserci e decidere come esserci. Il risveglio dell’anima è questo. Una vita lunga un sogno; i saggi ci ricordano che “dormiamo” per tutta la vita, e pochi gli attimi in cui siamo svegli: benedetto l’attimo di eternità che ci risveglia, sia questo un dolore, un’intuizione, un incontro.
Siamo alle conclusioni di questa panoramica su alcune delle paure che ci accompagnano nella nostra esistenza. Tante le paure che non ho citato, a cominciare dalla paura della stessa paura, alla paure della carestia, madre di tutte le fobie, prima ancora della tanatofobia.
Desidero solo brevemente accennare su alcuni effetti che la paura può provocare ,sia a livello fisico, che mentale ,e spirituale.
Da tempo ho fatto del mio corpo un laboratorio vivente di autoconoscenza. Ho compreso come le tensioni psichiche, mi portano all’irrigidimento muscolare, all’attivazione di ormoni che inquinano il sangue, all’alterazione del respiro.
Le paure albergano nel nostro corpo, certe posture difensive lo rivelano, certi atteggiamenti, gestualità, ne denunciano la presenza.
Come si fa a riconoscerle? Tramite la semplice ma non sempre attuata tecnica dell’osservazione. Iniziamo a osservarci, ricordiamoci di certe nostre abituali posture, sentiamo cosa succede nel corpo, nel respiro, nella sudorazione, nel battito cardiaco, nella muscolatura, nelle nostra ossa. Espressioni come si mi rizzano i peli dalla paura, mi sono venuti i capelli bianchi dallo spavento, non sono solo coloriture linguistiche ma fatti che avvengono realmente.
Anche la nostra mente si irrigidisce, si impunta, si fissa, i pensieri spesso sembrano dei rintocchi martellanti e assillanti di cui, più ci vogliamo liberare e più ne siamo avvinti. La paura tende a dilatare, ad impressionare, a legarsi a immagini, a scenari sempre più devastanti, la paura alimenta la mente in deliri e spazi sempre più oblianti; l’immaginazione è la lente deformante di ogni paura. Quando dalla mente si allontanano le paure, ecco che ritorna ad essere lo strumento per eccellenza di conoscenza di sé e del mondo che ci circonda.
Cosa accade a livello spirituale, anche l’anima ha paura? La paura dell’anima è quella che la personalità non la riconosca, non la percepisca, non l’accolga. Può sembrare un paradosso ma forse l’anima che teme questo, ci fa paura tramite le paure?
Il Sé trans personale ci scuote come un albero, dal quale, i frutti maturi, non vogliono staccarsi. Godere dei frutti della vita e condividerli, è solo questa la fonte autentica di gioia e compiutezza.
Assagioli pone tra gli ostacoli allo sviluppo spirituale, inteso come realizzazione di sé, prima tra tutti la paura, l’emozione più diffusa; gli altri ostacoli, li ricordo sono gli attaccamenti, la sofferenza priva di senso, il criticismo, l’aggressività non trasformata, il pessimismo, perfino la depressione come commiserazione di sé. Ma tornando alla paura, non solo cita, le 5 forme principali, prima accennate, ma ci indica anche i mezzi per superarle, ovvero tramite metodi psicologici e metodi spirituali. Li troverete nel libro “Lo sviluppo trans personale”(2) , citare questi metodi sarebbe troppo frettoloso, occorre la volontà di riconoscere le nostre paure, comprenderle, senza negarle o mascherarle, e la volontà di trasformarle in opportunità. Contano solo i fatti e per questo desidero concludere con una testimonianza , tramite lo scritto di un ragazzo di 20 anni, morto la scorsa settimana a Firenze, di nome Luca Pesci. Non sapevo della sua esistenza fino a 10 giorni fa. Scriveva su un giornale locale e teneva una sua rubrica. Non l’avevo mai notata, scriveva da gennaio ogni domenica, e come spesso accade, certi gioielli, passano inosservati, proprio perché piccoli anche se molto preziosi.
Sono stata attratta dalla grande pagina sul giornale a lui dedicata; sulle prime non avevo neppure capito che era morto, che era già conosciuto a molti per la sua storia e per il suo impegno. Era malato di cancro da 5 anni, a 15 anni gli avevano amputato una gamba, da quel momento si era trasferito a Firenze dalla sua città natale, Aprilia, lasciando un po’ in sgomento i genitori che poi avevano amorevolmente e saggiamente compreso la sua scelta. Faceva parte dei “super eroi” di “Milano 25”, l’associazione alla quale fa capo Caterina Bellandi, personaggio di cuore e umanità, famosa a Firenze, perché con il suo taxi, dipinto con sfavillanti cartoni animati, porta gratuitamente all’ospedale Meyer, i bambini malati di cancro insieme ai famigliari.
Ecco un estratto, dall’ultimo articolo di Luca che si intitola: “Confesso che ho vissuto”.
“Ma cos’è la felicità? Avere un’auto, una donna, una casa? Anche. Questi sono elementi che arricchiscono la nostra vita e ai quali giustamente dobbiamo ambire, ma, in realtà, una volta ottenuti saremo di nuovo al punto di partenza. Una nuova auto sarà cambiata dopo qualche migliaio di chilometri; nel frattempo avremo speso dei soldi per ripararla. Con una casa avrei problemi nel mantenerla bene….. . Insomma, una volta ottenuto ciò che tanto desideravamo, ecco che nuovi problemi si affacciano all’orizzonte. Una felicità che non prescinda da circostanze esterne non è assoluta, perché essendo l’ambiente in continuo mutamento lo saranno anche i nostri desideri una volta esauriti.
Una felicità assoluta si basa sulla piena accettazione di noi stessi. Sentirsi liberi dai nostri limiti e superarli; comprendere il nostro valore. Questi sono gli obbiettivi a cui dovremmo mirare. Un modo per verificare la nostra importanza è vedere quanti legami solidi e profondi sappiamo creare.
E’ naturale che se dedico il mio tempo ad aiutare chi soffre otterrò sicuramente qualcosa di positivo: questo perché qualsiasi cosa nasca dall’amore si manifesterà sempre in modo sincero: non c’è razionalità in tutto questo, solo spontaneità”.
Questo giovane ventenne, sicuramente aveva un’anima antica; la sua saggezza ci ricorda che la paura, ogni tipo di paura, si vince solo con l’esercizio dell’amore, e l’amore, rappresenta il futuro prossimo per ciascuno di noi.
Grazie Luca.
NOTE 1) L. Biswanger “Tre forme di esistenza mancate”, Milano, Il Saggiatore, 1966
2) R. Assagioli “Lo sviluppo trans personale,” Roma, Astrolabio,
Fonte: http://www.psicosintesi.it/sites/default/files/TUTTA%20%20UNA%20%20VITA%20%20DI%20PAURE.doc
Sito web da visitare: http://www.psicosintesi.it
Autore del testo: Elena Morbidelli
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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