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C’era una volta…
Non c’è espressione più accattivante di quella che dice
“ C’era una volta…”. Mentre alla verità ci si può opporre, a una storia è impossibile resistere.
Le fiabe possono essere lette o raccontate ai bambini come veri e propri momenti di oasi. E’ importante comunque non leggerle subito dopo che il bambino ha manifestato un problema, perché potrebbe vivere la fiaba stessa come frustrante o come meramente consolatoria. E’ meglio proporgliela in un momento piacevole e gioioso dell’interazione, perché lo scopo è preventivo.
Le fiabe sono state definite i sogni dell’umanità e insieme ai miti e alle leggende rispecchiano desideri, angosce, conflitti interiori e speranze comuni alle persone di tutti i tempi.Ogni narratore sa che i suoi ascoltatori, soprattutto se bambini, tendono a identificarsi nei protagonisti che hanno affinità con loro o che esprimono i loro stessi problemi. Le vere fiabe però non descrivono la psicologia degli eroi ma ce li mostrano in azione, e i sentimenti come paura, coraggio e dolore vengono sinteticamente espressi solo quando ciò serve a far procedere la storia.
Il processo di crescita pone il bambino di fronte a una quantità enorme di problemi e incognite a cui spesso non sa rispondere. Le ‘paure evolutive’ più frequenti sono quelle di essere abbandonato , lasciato solo, la paura di non farcela o di non essere amato e apprezzato abbastanza. Ciò che aiuta i bambini sono i fatti piuttosto che le parole. Ovvero l’espressione dell’affetto, il senso di sicurezza e la garanzia della protezione del genitore. In breve, l’attenzione ai suoi bisogni psicologici e l’amore. Inoltre il bambino ha bisogno di essere aiutato a trovare da sé risposte alle sue incertezze e preoccupazioni.Le parole rassicuranti di un genitore servono, ma ancor di più sono utili quelle parole che vanno direttamente alla fantasia e utilizzano un linguaggio accessibile al bambino. Più è piccolo , più il suo mondo è fantastico e regolato da strumenti magici.
Raccontare una fiaba diventa allora un ‘dono d’amore’ che il genitore o l’educatore fanno al bambino. Un tempo condiviso che non verrà più dimenticato e al quale il bambino attingerà per dare risposte ai problemi della sua vita.
LA FIABA COME RISPOSTA AI BISOGNI PSICOLOGICI DEL BAMBINO
Chi non ricorda almeno qualcuna tra le fiabe tradizionali? Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Biancaneve sono impresse nella nostra mente sin dai primi anni di vita.
La fiaba, infatti, è molto amata dai bambini, perché è il genere più adatto ai processi di pensiero tipici dell’età infantile. Grandi psicologi come Piaget, Spitz e Mahler hanno fatto luce sulla qualità del pensiero infantile , evidenziando come esso sia governato più dalla immaginazione che dalla logica, dalla intuizione che dalla verifica, dai dati concreti più che da quelli astratti.
Fiabe e favole ben si adattano a questo tipo di pensiero, ma ancor più la fiaba accentua il carattere magico e fantastico tanto caro all’infanzia. Nella vita dei bambini, come in quella degli adulti, ciò che conta è poter dare significato alla propri esistenza; i poemi, i miti, le fiabe trasmettono per l’appunto un senso del vivere e illuminano ciò che si presenta come difficoltà, paura o incomprensibilità.
Secondo lo psicologo Bruno Bettelheim le fiabe presentano in forma fantastica in che cosa consiste il processo di sviluppo che inizia con la resistenza ai genitori e la paura di crescere e termina quando il giovane ha realmente trovato se stesso, l’indipendenza psicologica e la maturità morale. E’ così che Pollicino diventa la metafora dell’uomo che si sente piccolo di fronte alle difficoltà, ma sa poi risolvere i suoi problemi uscendo dal bosco e ritrovando la via di casa.
Portando l’analisi ad un livello simbolico, le analogie tra la fiaba di Pollicino e il poema dantesco – in cui il protagonista si ritrova “ in una selva oscura ché la diritta via era smarrita” – diventano evidenti.
La nostra cultura preferisce fingere, soprattutto quando si tratta di bambini, che il lato oscuro della vita non esista. Nella fiaba è chiaro che una lotta contro le gravi difficoltà dell’esistenza è inevitabile.
Le fiabe, che spesso si aprono con la morte di qualcuno, prendono molto sul serio le ansie, i desideri e le paure dei bambini : il bisogno di essere amati, la paura di non essere considerati, la paura della morte.
Non solo essa prende spunto proprio da queste tematiche ma soprattutto offre soluzioni che il bambino può afferrare in base al proprio livello intellettivo. La famosa formula di chiusura “e vissero per sempre felici e contenti” oltre a fugare le paure, modulandole verso un clima di fiducia, suggerisce come un legame soddisfacente con un’altra persona sia l’unica strada che ci permette di superare i problemi della vita.
“ La fiaba tiene per ogni uomo un posto libero in Paradiso” afferma Peter Mayer, volendo significare che per ogni tipologia umana ,dal porcaro al re, dalla contadina alla principessa, la fiaba intende la persona in generale, nella sua piena dignità.
Per questo motivo non troviamo quasi mai nella fiaba i nomi propri dei personaggi non protagonisti ma assistiamo piuttosto a delle generalizzazioni – la mamma, la sorella, il cacciatore- che permettono facilmente all’ascoltatore di identificarsi e proiettare così i suoi vissuti. Anche per i protagonisti i nomi propri sono generici o descrittivi
( Cenerentola, Biancaneve, Pollicino) lasciando così al bambino una ampia possibilità di identificazione. I personaggi delle fiabe non sono ambivalenti , un po’ buoni e un po’ cattivi come tutti siamo nella realtà, ma bensì facilmente caratterizzabili come schiocchi, cattivi, avari, buoni e così via. La polarizzazione della realtà, legata a categorie di qualità contrapposte, domina la mente del bambino . Jean Piaget ha evidenziato come il suo pensiero sia concreto e , fin verso i 6/7 anni, irreversibile, cioè incapace di tenere presenti aspetti diversi della stessa realtà. Quante volte tutti noi ci siamo scontrati con la difficoltà di far comprendere ad un bambino come la mamma sia anche la figlia della nonna o la sorella dello zio. I ruoli rigidamente definiti dei personaggi della fiaba rispecchiano la visione polarizzata del mondo, qual è quella dei bambini piccoli, ancora incapaci di integrare nello stesso oggetto parti diverse tra loro. La mamma buona e la mamma cattiva, rispettivamente fata e strega, convivono nella sua percezione senza integrarsi in un’unica figura, almeno fin quando il bambino è piccolo.
Il ‘ realismo morale’ , a causa del quale il bambino valuta un’azione non in funzione della intenzionalità ma a causa delle conseguenze che essa produce, lo porta a scegliere l’eroe in quanto tale e non perché egli agisca rettamente. Scrive Bettelheim “ non è il fatto che il malfattore venga punito alla fine della storia che fa dell’immergersi nelle fiabe un’esperienza di educazione morale, anche se ne fa parte….. La convinzione che il delitto non paga è un deterrente molto più efficace ed è per questo che nelle fiabe la persona cattiva è sempre perdente… è l’eroe a risultare più attraente per il bambino che si identifica con lui in tutte le sue lotte. Grazie a questa identificazione il bambino immagina di sopportare con l’eroe prove e tribolazioni e trionfa con lui quando coglie la vittoria.”
Le fiabe offrono soluzioni emotivo-fantastiche ai conflitti che il bambino vive a livello psicologico e che si manifestano in sentimenti quali la gelosia,, la rabbia, la frustrazone; esse stimolano la sua immaginazione,lo aiutano a sviluppare il suo intelletto e a chiarire le sue emozioni.
Le fiabe, pur esprimendo la limitatezza e allo stesso tempo le sconfinate aspirazioni dell’uomo, hanno una struttura semplice e lineare, centrata sull’azione. Il loro linguaggio è accessibile e ben si adatta alla tendenza tipica del pensiero infantile, ad attribuire qualità fisionomiche agli oggetti. Questi ultimi, insieme alle piante e agli animali, vengono investiti di attributi umani ( parlano, sentono, ecc.) e spesso nelle fiabe si assiste a metamorfosi magiche in cui un rospo si rivela un principe, una pianta di prezzemolo una principessa.
Ciò risponde perfettamente alla mentalità animistica del bambino per il quale tutte le cose hanno un’anima.
Le fiabe rispondono a tre particolari esigenze:
Ciò costituisce l’elemento non imposto ma alluso, di fronte al quale il bambino può scegliere come comportarsi.
Lungi dal porre richieste la fiaba rassicura e offre promesse di lieto fine. Qualora il bambino dovesse spaventarsi per qualche aspetto pauroso presente nel racconto, potrà sempre autorassicurarsi o chiedere rassicurazione pensando che in fondo è solo una fiaba.
La natura non realistica delle fiabe tradizionali ha proprio il vantaggio di permettere questo distacco emotivo; il famoso incipit C’era una volta … dilata lo scenario e gli elementi naturali creando un’atmosfera un po’ fuori dallo spazio-tempo ordinari.
L’elemento magico e irreale presente nella fiaba ci testimonia come il suo fine non sia quello di comunicare utili informazioni circa il mondo esterno, ma di chiarire i processi interni che hanno luogo in un individuo. Concludendo con le parole di Bettelheim:
“ L’eroe delle fiabe agisce per un certo tempo nell’isolamento, così come spesso il bambino moderno si sente isolato. L’eroe viene aiutato dal fatto di essere a contatto con cose primitive – un albero, un animale- così come il bambino si sente più in contatto con esse della maggior parte degli adulti. La sorte di questi eroi convince il bambino checome loro può sentirsi emarginato e abbandonato nel mondo, brancolante nel buio ma come loro –nel corso della vita- verrà guidato in ogni suo passo e otterrà aiuto quando ne avrà bisogno.”
COME LEGGERE O MEGLIO RACCONTARE LE STORIE AI BAMBINI
Nel momento in cui un adulto si accinge a raccontare una storia ad un bambino si attiva e si rinsalda la relazione che lega entrambi. Infatti l’adulto dedica interamente una parte del suo tempo al bambino, dal momento che mentre si racconta o si legge in modo significativo non è possibile pensare a d altro. Il bambino è poi esigente con l’adulto; pretende che gli si racconti bene, che non vengano tralasciati i dettagli e si ripeta un numero imprecisato di volte la stessa storia. Rivendica cioè, nel momento della tabulazione uno spazio di possesso del genitore o dell’educatore, finalmente libero da impegni seri ma occupato in un’attività apparentemente improduttiva. Scrive Pier Cristiani “ Con la fiaba si conquista un’occasione di riconciliazione familiare, in un clima di ampia disponibilità affettiva e comunicativa, talvolta compromesso dalla frettolosità degli odierni regimi di vita.”
Queste occasioni di incontro si fanno ancor più importanti tenendo conto del fatto che i bambini non crescono più nella sicurezza di una famiglia allargata e mancano quei momenti narrativi collettivi, una volta rappresentati dalle lunghe serate invernali trascorse nelle stalle. Un genitore attento rende allora possibili questi momenti e modula il suo linguaggio sulla base del livello di comprensione e produzione linguistica di cui è in possesso il bambino. L’ascolto e la narrazione fanno del linguaggio il filo conduttore di una relazione non minacciata dalla concorrenza delle immagini. Le favole televisive, invece, impongono una narrazione standard che non tiene conto dei diversi livelli degli utenti e comprime le attività immaginative degli stessi. Ci si potrebbe a questo punto chiedere quando è possibile cominciare a raccontare le fiabe. Probabilmente non c’è un momento definito
in cui l’infanzia comincia a vivere nel mondo della fantasia ma è con la maturazione della funzione simbolica che l’immaginazione e la fantasia si dispiegano.
Tutto ciò avviene già prima dei due anni , ed è favorito dall’incontro con la voce narrante del genitore quale esecutore di filastrocce, ninne-nanne e semplici sequenze favolistiche. Questo incontro con le forme narrative più elementari si rivela di fondamentale importanza per la successiva relazione con il mondo del racconto prima e della lettura poi.
Le esperenze di animazione culturale del libro condotte nella scuola materna evidenziano come,perché il leggere divenga patrimonio culturale durevole, occorre sia un’attività piacevole e coltivata fin dal’infanzia.
Il percorso che viene così a delinearsi parte dall’ascolto della narrazione, passa per la lettura delle immagini e si conclude con la lettura autonoma dei racconti.
L’attività della lettura sarà tanto più volentieri intrapresa da un bambino quanto più sarà per lui possibile associarla ad esperienze affettivo-emotive piacevoli, vissute nei momenti di ascolto di temi fiabeschi, che sono i più congeniali al pensiero infantile.
Definito perché è importante raccontare fiabe ai bambini, andiamo ad analizzare come raccontarle.
Innanzitutto è bene chiarire che non esiste un modello di narratore ideale da imitare , ma tutti possiamo inventarci narratori a patto di rispettare alcune regole.Esse sono ;
E’ preferibile raccontare le fiabe ai bambini piuttosto che leggerle poiché la narrazione permette una maggiore flessibilità di adattamento alle esigenze dell’ascoltatore. Molti adulti sostengono di non saper raccontare le fiabe o di non ricordarle, poiché da piccoli sono stati privati di questa esperienza e a loro volta non sanno offrirla.
Può essere importante insistere su un recupero, pur tardivo, di questa pratica. La narrazione può allora diventare un momento allettante e utile all’interno della quotidianità, per coglierne l’imprevedibile, il curioso, l’eccezionale ; per far provvista di ottimismo e sfidare la vita immaginando un futuro piacevole raggiunto attraverso l’attivazione di risorse che si pensavano perdute.
COME SI INVENTANO FIABE E/O STORIE TERAPEUTICHE
Dal momento che l’impiego di racconti, aneddoti, parabole e fiabe come mezzi di comunicazion è stato diffuso attraverso tutta la storia, dobbiamo ipotizzare che vi sano dei vantaggi nel trasmettere messaggi in forma metaforica piuttosto che in modi più diretti.
La validità delle storie deriva dal fatto che coniugano meravigliosamente due livelli di comunicazione; mentre la mente conscia è all’ascolto degli aspetti letterali della storia,le suggestioni accuratamente predisposte attivano associazioni inconsce e significati variabili che traboccano infine nella coscienza. L’elaborazione che di una storia fa l’emisfero sinistro è consequenziale, logica,e letterale mentre dell’emisfero destro avviene in forma simultanea, solistica e implicativa. I due emisferi funzionano anche come unità di cooperazione per cui abbiamo specializzazione e integrazione.
Per avere efficacia terapeutica una metafora deve dare la possibilità di sviluppare un senso di identificazione con i personaggi che vengono descritti.
Il bambino, o l’adulto, deve creare un ponte per collegarsi personalmente agli eventi della narrazione, se deve riportare parte di questa nella propria vita reale. Ciò fa sì che l’ascoltatore passi da un senso di isolamento al senso di un’esperienza condivisa. Qui sta la finezza della metafora terapeutica; la storia coglie nel segno, ma lo fa curiosamente, di lontano. Rifacendoci ai costrutti teorici della programmazione neuro linguistica (PNL) possiamo affermare che la metafora presenta una struttura superficiale di significato che attiva una struttura profonda di significato associata, che riguarda indirettamente l’ascoltatore, la quale attiva a sua volta una struttura profonda di significato recuperata che riguarda direttamente l’ascoltatore (ricerca transderivazionale).
Se adeguatamente costruiti e narrati i racconti sono di solito più interessanti della diretta esposizione delle cose che si desiderano sottolineare. Gli ascoltatori possono utilizzare i contenuti trasmessi a amodo proprio e possono cogliere quei significati che si applicano alla loro situazione particolare. I racconti tendono a essere meno minacciosi e provocatori delle affermazioni dirette e perciò aiutano a mantenere la relazione, grazie anche alla piacevolezza che deriva dall’esperienza condivisa dell’ascoltare e raccontare una storia. Gli aneddoti in particolare servono a sottolineare o illustrare qualcosa, suggerendo soluzioni ai problemi, aiutando le persone a riconoscere se stesse, desensibilizzandole dalla paura e riscoprendo potenzialità che temevano perdute. Aneddoti, racconti, parabole e fiabe sono ricchi di metafore. Esse rappresentano un organizzatore intellettivo, un fenomeno transizionale capace di creare area intermedia tra realtà esterna e rappresentazioni interne del reale. Le metafore si riferiscono più a forme e a processi che a contenuti.
L’ambiguità è l’inevitabile derivato della suggestione metaforica. Come lo specchio la metafora è capace di riflettere pensieri e personalità di chi ad esso si relaziona e richiede al lettore/ascoltatore una cooperazione interpretativa foriera del proprio vissuto personale. Una BUONA STORIA TERAPEUTICA PARTE DAL PROBLEMA E TROVA RISCONTRI METAFORICI che si risolvono nell’esito desiderato, prevedendo strategie di collegamento tra la situazione iniziale e quella finale. Non si può saltare con successo dal problema al nuovo comportamento. La storia terapeutica deve mostrare come i personaggi che rappresentano i soggetti della vita reale hanno compiuto quei cambiamenti che hanno permesso loro di superare i problemi. Spesso il cambiamento non riguarda tanto la situazione problematica ma il modo in cui le persone considerano il problema. Se ci accingiamo a inventare una storia terapeutica sarà importante raccogliere i dqati sul destinatario ( età,caratteristiche, esigenze ed interessi), chiarire quali sono le finalità e gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere attraverso il racconto della storia e formulare un piano generale che preveda i personaggi e l’intreccio. In particolare, se ci rivolgiamo a un bambino, le informazioni più importanti saranno quelle relative ai suoi hobbies, films, personaggi dei cartoni animati o fumetti preferiti, compagni di gioco, avvenimenti, ricordi e altro che abbiano avuto su di lui un effetto benefico.
Queste associazioni piacevoli possono fungere da biglietti di ingresso al personalissimo mondo interiore delle risorse del bambino. Bisogna poi porre molta attenzione nell’individuare il sistema o i sistemi sensoriali preferenziali del soggetto in questione. ( E’ un bambino Visivo, Uditivo, Tattile Cenestesico?) Ce ne accorgeremo osservandolo, ascoltandolo parlare e notando come si muove.
Inventeremo allora la nostra storia disseminandola di suggestioni terapeutiche relative a quegli aspetti sensoriali bloccati e spesso originanti il problema. Ad esempio, se un bambino soffre di enuresi notturna – evidenziando così un sistema cenestesico bloccato- si potrebbe inventare una storia in cui il protagonista sia un elefantino incapace di utilizzare la proboscide nei tempi e nei modi adatti a spingere fuori l’acqua e successivamente trovare delle strategie narrative per cui l’elefantino diventi capace del comportamento summenzionato.
Le fiabe terapeutiche sono così strutturate:
Ci piace concludere indicando alcuni campi metaforici che ben si prestano ad essere utilizzati all’interno dei racconti.
Le attività sportive offrono molte occasioni per l’impiego di frasi metaforiche relative al raggiungimento dei propri obiettivi ( fare goal, arrivare alla prima base).
Le risorse non impiegate possono essere paragonate a denaro in banca o a un ripostiglio in cui giacciono oggetti dimenticati.
Il decidere quanta autonomia dare ai figli può essere reso con l’immagine di una bicicletta senza rotelline.
Con persone che attraversano tempi difficili si può utilizzare la metafora di una nave che attraversa mari tempestosi.
Il regno animale e quello vegetale sono esempi dei processi di crescita, sviluppo, declino e della successione da una generazione all’altra per cui possono essere utilizzati con problematiche relative allo sviluppo dell’individuo e della famiglia.
Una metafora della famiglia funzionante è data da un’orchestra , da una squadra sportiva o da un’impresa edile in cui lavorino più persone accomunate dallo stesso scopo.
BIBLIOGRAFIA
Bettelheim B., Il mondo incantato Feltrinelli
Burns G.W., 101 storie che guariscono Erickson
Calvino I. Fiabe italiane Mondadori
Colombo B. et al. , Le favole che fanno crescere Erickson
Crispiani P., Andar per fiabe Armando
Marcoli A., Il bambino nascosto Mondadori
Marcoli A., Il bambino arrabbiato Mondadori
Marcoli A., Il bambino perduto e ritrovato Mondadori
Mills J., Metafore terapeutiche per bambini Astrolabio
Pamparana A. , Cosa gli racconto questa sera? Mondadori
Propp V., Morfologia della fiaba Einaudi
Rodari G., Grammatica della fantasia Einaudi
Rondot F., Varano M., Come si inventano le fiabe Sonda
Santagostino P., Guarire con una fiaba Feltrinelli
Fonte: http://www.diocesi.concordia-pordenone.it/pordenone/allegati/675/C'era_una_volta.doc
Sito web da visitare: http://www.diocesi.concordia-pordenone.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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