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Per insegnare l’italiano ai bambini stranieri
a cura di Maria Luisa Damini
Insegnare italiano ai bambini stranieri…
Quali sono gli obiettivi dell’insegnamento dell’italiano come lingua 2?
Innanzitutto un primo chiarimento: insegnare italiano come L2 non è come insegnare una lingua straniera. È qualcosa di diverso: per i bambini stranieri, infatti, l’italiano non è la lingua degli affetti, della casa e quella con cui hanno iniziato a comunicare con la mamma, ma non è neppure la lingua straniera appresa attraverso gli strumenti guidati del libro e delle lezioni. Essi acquisiscono la lingua giocando, camminando per strada, guardando la televisione, ascoltando le persone che parlano. Si tratta allora di una situazione di apprendimento mista, che consta cioè tanto di momenti espliciti e intenzionali dedicati al loro specifico problema linguistico (costituiti da sequenzialità più o meno precise, nonché da esercitazioni sistematiche con relativa correzione degli errori), tanto di un’acquisizione spontanea. Questa consapevolezza deve indurre gli insegnanti o comunque gli adulti italiani che si occupano del bambino a stabilire transfer continui tra i due momenti. Non è certo la situazione di “bagno linguistico” che consente al bambino di diventare rapidamente italofono.
Ora, gli allievi stranieri hanno due ordini di motivazione per imparare la lingua italiana:
Dove si colloca, stando così le cose, l’intervento del volontario?
Probabilmente a metà tra il comunicare e basta e il comunicare bene.
Per questo è necessario un lavoro attento sugli obiettivi da prefiggersi.
Possiamo allora sostenere che si può pensare ad un “curricolo di italiano per allievi stranieri”? In altre parole, è possibile dare un’indicazione di una serie di contenuti generalmente espressi come competenze (es. “sa instaurare una comunicazione”; “sa ringraziare”; “sa salutare” ecc.) oppure di una lista di elementi lessicali (parole varie) che devono essere apprese in una sequenza più o meno ordinata?
Riferendoci all’analisi operata da Paolo Balboni ciò non è applicabile in un’ottica d’insegnamento di L2 perché quando si parla di alunni stranieri è difficilissimo generalizzare, in quanto sono tantissime le diversità nell’ambito di:
Tuttavia è possibile indicare la meta: l’allievo deve arrivare a possedere una competenza comunicativa, ciò significa che egli deve/dovrà arrivare a:
Come posso procedere?
Veniamo ora alla domanda più pratica: “Bellissimo, ma come faccio?”.
Ancora una volta, quello che si chiede è di partire dal bambino.
Quello che dovrebbero fare le insegnanti sarebbe quello di valutare prima di tutto le competenze di base su cui è poi possibile lavorare. A volte, infatti, i bambini arrivano in Italia con un minimo di competenza orale, acquisita magari guardando la TV (pensiamo ai bambini albanesi), alle volte parlano una lingua simile all’italiano (pensiamo ai bambini di madrelingua portoghese), alle volte non conoscono assolutamente niente della nuova lingua.
Questa potrebbe essere l’idea di scheda di rilevazione delle competenze comunicative dei bambini stranieri, compilata dalla Dott.ssa Della Puppa (ALLEGATO 1). Come si potrà vedere, è molto particolareggiata, ma proprio da qui va innestato un discorso di approfondimento.
Da qui, pertanto, possiamo passare ad un altro strumento: la proposta per una descrizione degli stadi di apprendimento in L2 presentata da Graziella Favaro (ALLEGATO 2).
Dall’osservazione di questa tabella, è possibile prima di tutto delimitare il campo d’azione e il ruolo del volontario: ai volontari è richiesto di intervenire nel livello 1 e 2 dell’apprendimento. È bene ricordare, infatti, che il nostro è un po’ il volontariato dell’emergenza e della fase di accoglienza, anche se chiaramente non si possono definire i tempi di questo tratto d’inserimento. Come sempre, infatti, ogni bambino è diverso e irripetibile perché ogni storia di vita è diversa e irripetibile.
Le indicazioni che qui vengono proposte dovrebbero tendere a:
Ciò di cui ha bisogno prima di tutto il bambino è di poter comunicare. Il lessico imparato in questo periodo serve pertanto a richiamare attenzione, chiedere, denominare oggetti e azioni. Mai come in questa fase, la lingua dev’essere legata al contesto, ai campi di attività comunicativa legati al quotidiano.
Ogni tema potrebbe essere impostato in questo modo:
Lo sviluppo delle attività dovrebbe essere “a spirale”, ovvero dovrà innestarsi su ciò che è già stato appreso.
In altri termini, le prime parole apprese dai ragazzi (nomi, aggettivi, verbi…) serviranno poi per agganciarvi nuovi attributi ed espansioni, per costituire un tessuto via via più complesso. L’ottica è quella di cercare di aggiungere sempre un elemento ignoto ad uno noto per facilitare la comprensione: es. se il ragazzo conosce già il comando "prendi la penna" si può aggiungere "prendi la penna rossa" e poi "prendi la penna rossa sul banco" e così via.
Molti sconsigliano di cominciare con le classiche domande "come ti chiami?", "quanti anni hai ?" "da dove vieni?" perché sono prive di referenti concreti (a meno che non si abbia a disposizione un altro alunno che possa fare da interprete). Spesso anche la nostra gestualità usata per cercare di rendere comprensibili queste parole può risultare oscura: es. per dire "io" noi indichiamo il cuore mentre i cinesi indicano il naso.
Una notazione veloce sulla lingua scritta: è necessario affrontare subito la lingua scritta? Per quanto la tentazione di noi insegnanti sia molto forte, soprattutto se il bambino non è scolarizzato o non conosce il nostro sistema alfabetico, è bene rinviare l'introduzione della lingua scritta in modo da non sovraccaricare ulteriormente la memoria. Per i ragazzi un po' più grandi, che sanno già scrivere e leggere in L1, si può invece portare avanti parallelamente l'orale e lo scritto, anche perché sono i ragazzi stessi che spesso si aspettano e chiedono di scrivere (altrimenti pensano di aver perso tempo). Una delle attività che piace ai ragazzi e ai bambini è quella di costruire un vocabolario personale corredato di immagini o semplicemente con la traduzione accanto in L1: il vocabolario viene continuamente aggiornato e consultato durante le esercitazioni. Se ne possono creare anche alcuni da parete, consultabili da tutta la classe.
Lo stesso sviluppo “a spirale” dovrebbe esserci per le tematiche. I temi principali riguarderanno il bambino, la sua storia, le caratteristiche principali dell’identità e il suo ambiente di vita quotidiana (la scuola, la casa, gli oggetti della scuola, gli oggetti personali). Tali tematiche sono già presenti nei testi per l’insegnamento della L2. Questi ultimi presentano già svariate attività, ma molte se ne possono aggiungere. Quello che pare importante è cercare di costruire una sorta di “circolo virtuoso” dei materiali: no, quindi, alla fotocopia “usa e getta”, sì alla circolarità delle informazioni e delle attività fatte per costruire un patrimonio per tutti. A volte basta poco: segnare quello che si è fatto per discuterne insieme.
Ecco comunque una possibile lista di temi:
Per ciascun tema si proporranno esercizi variati, visione di cose concrete (non solo il libro, insomma) se non è possibile fare delle piccole “uscite”.
Tali tematiche sono funzionali alle abilità che si vuole vengano raggiunte dal bambino in questa prima fase del lavoro. Esse possono essere così suddivise:
b) imparare a comunicare:
Per chi è in grado di farlo è inoltre possibile proporre obiettivi e successive attività del tipo:
Proposte e punti di attenzione sull’italiano come lingua per la comunicazione
A conclusione di questo discorso, si vogliono proporre ora alcuni suggerimenti utili per l’italiano in una fase di accoglienza e non solo. Si tratta ovviamente di un elenco limitato che può essere integrato con indicazioni tratte dall’esperienza.
Che cosa fare nella fase del silenzio?
Capita molto spesso agli insegnanti di scontrarsi con il silenzio iniziale dei propri alunni, silenzio che sembra mettere in discussione la validità dell'intervento didattico. Questo periodo è assolutamente normale nei bambini che imparano una lingua: prima capiscono e poi parlano. Lo stesso succede quando si apprende in maniera naturale una seconda lingua: occorrono circa 1-3 mesi per avere le prime produzioni orali spontanee in L2. La durata di questo periodo silenzioso varia comunque molto da individuo a individuo: ci sono alcuni che si esprimono già dopo qualche giorno, altri dopo 6/7 mesi. Studi condotti su apprendenti adulti e bambini hanno dimostrato che chi comincia a parlare più tardi ha risultati migliori sia nella pronuncia sia nella grammatica rispetto a coloro che avevano iniziato subito a fare esercitazioni orali. Molto spesso capita che un alunno rimasto silenzioso per tre o quattro mesi inizi a parlare esprimendosi meglio di altri compagni che si erano dimostrati meno timorosi. Evidentemente è necessario un periodo nel quale i dati linguistici sono elaborati e sistemati: l'apprendente si concentra sulla comprensione e ciò sembra andare apparentemente a scapito della comunicazione. Questo periodo, dunque, ha un grosso valore per l'alunno ed è per questo che esistono diversi metodi che prevedono il rispetto di questo silenzio iniziale Il silenzio iniziale ha una propria funzione nello sviluppo di una seconda lingua. Ma che cosa può fare l’insegnante per rispettare questa fase? Nella propria programmazione è bene prevedere attività che non richiedono subito la produzione orale da parte dell’alunno. Il primo mese, in pratica, dovrebbe essere dedicato all’ascolto e alla comprensione della nuova lingua. Le attività saranno differenziate e dipendono chiaramente dall’età dell’allievo. Ma come verificare il livello di comprensione del ragazzo? Si possono accettare risposte scritte, sia in L1 che in L2 (o in una L3 comune all’alunno e all’insegnante), risposte orali in L1 oppure “risposte fisiche” (l’alunno, cioè, esegue le azioni indicate dall’insegnante)
I docenti, in genere, preferiscono optare per l’ultima soluzione, perché scavalca alcune delle difficoltà presentate dalle altre: non conoscenza della L1 del ragazzo, non conoscenza del sistema di scrittura alfabetico ....
Spingere “ossessivamente” l’alunno a parlare significherebbe comunque costringerlo ad utilizzare le strutture della prima lingua per colmare vuoti e incertezze, incentivando così la comparsa e la fossilizzazione di errori e forme scorrette.
Ha senso la correzione? Come effettuarla?
Ai fini dell'apprendimento, la correzione degli errori non serve. Sono state condotte alcune ricerche mettendo a confronto i risultati di due gruppi: uno con il quale veniva effettuata la correzione sistematica degli errori e un altro con il quale non era stata fatta alcuna correzione: fra i due gruppi non fu osservata alcuna differenza significativa, confermando ciò che gli insegnanti verificano continuamente in maniera empirica. Allora perché correggere? Un insegnante percepisce la correzione dei compiti come uno dei suoi doveri primari, ma, frequentemente, è anche l'allievo che chiede la correzione perché pensa che essa migliorerà i suoi risultati futuri. La correzione, inoltre, ha la funzione di controllo del processo di apprendimento e questo serve sia all'allievo sia all'insegnante. Con molta probabilità, la correzione, comunque, svolge questa sua funzione solo a partire dagli 11-12 anni, prima di questa età il bambino è poco capace di comprendere su quali aspetti deve lavorare, al di là della valutazione generale che può premiare (o sanzionare) il suo impegno e le sue capacità. Alcune volte una correzione troppo severa degli errori può demotivare gli allievi anche perché spesso è accompagnata dal voto che etichetta le loro capacità. Può dunque succedere che i ragazzi finiscano per esprimersi poco perché temono di perdere la faccia.
Fonte: http://www.comprensivolari.it/public/intercultura/insegnare_italiano.doc
Sito web da visitare: http://www.comprensivolari.it
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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